Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 1 agosto 2014, n. 4123
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10086 del 2008, proposto da:
Sc.Al., rappresentato e difeso dall’avv. Ri.Lo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma.Ga. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro-tempore e Capo della Polizia di Stato pro-tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – L’AQUILA n. 996/2008, resa tra le parti, concernente risarcimento danni derivati da illegittime destituzioni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 aprile 2014 il Cons. Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti gli avvocati Lo. e dello Stato Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’appellante, Soprintendente della Polizia di Stato, espone di essere stato (inizialmente) sottoposto a due separati procedimenti disciplinari, originati da tre pignoramenti presso terzi per piccoli debiti contratti e non onorati, conclusisi con provvedimenti di destituzione.
Tali provvedimenti, a seguito di impugnativa rigettata dal T.A.R. Abruzzo con sentenza n. 777 del 1998, venivano annullati in appello (C.d.S., IV Sezione, n. 449 del 28.1.2002).
Seguirono altri provvedimenti di destituzione (complessivamente in numero di cinque) a causa dei quali l’appellante è rimasto senza lavoro per un periodo di sei anni, con conseguenti difficoltà economiche e disagio personale.
Con ricorso al TAR ha, pertanto, proposto azione di risarcimento del danno contrattuale e aquiliano
adducendo che l’infarto ed altre patologie denunciate sarebbero la logica e diretta conseguenza degli illegittimi licenziamenti adottati nei suoi confronti.
Per quanto attiene alla quantificazione del danno che assume subito, sotto diversi e molteplici profili, il ricorrente chiedeva la liquidazione di Euro 500.000, ovvero della diversa somma da determinarsi in giudizio, maggiorata di interessi e rivalutazione.
2. – Con la sentenza in epigrafe, il TAR ha rigettato il ricorso per l’estrema ampiezza e genericità della domanda.
Si tratterebbe di un danno che avrebbe inciso il fisico, la psiche, il benessere, la salute, il morale, il senso di autostima, la vita di relazione, la qualità della vita, i rapporti sociali e la stessa condizione esistenziale; il tutto con riferimento non solo al ricorrente ma anche agli altri componenti del nucleo familiare (moglie e tre figli), del quale, secondo il primo giudice, non risulta però che siano state fornite specifiche ed analitiche prove (neppure la relazione del Dott. Paolo Pomero viene ritenuta esaustiva). Anche l’individuazione del “quantum” viene ritenuta contraddittoria.
3. – L’appellante critica la sentenza che, cadendo in contraddizione, quanto alle conseguenze dannose delle destituzioni, avrebbe però, nel corpo della motivazione, dato atto della riconosciuta dipendenza da causa di servizio dell’infarto occorsogli.
Contesta l’asserita assenza di prove, invocando i documenti nn. 8, 9 e 10 del fascicolo di primo grado, nonché la circostanza di essere stato espulso dalla Cooperativa edilizia per morosità.
La perizia medica proverebbe che gli eventi subiti hanno compromesso “la serenità personale e familiare” e, per contro, non è stata disposta altra perizia medica d’ufficio, né espresse le motivazioni dell’inattendibilità della prova offerta.
Infine, afferma l’appellante che la quantificazione del danno non è affatto destituita di fondamento e motivazione.
4. – All’udienza del 10 aprile 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- Il ricorso è infondato.
1.1. – Occorre, innanzitutto, rammentare che i decreti di destituzione, la cui illegittimità viene invocata come produttiva di danno ingiusto, hanno formato oggetto, alcuni (decreti n. 333 – D/38785 del 5, 7 e 9 agosto 1996, originati da tre atti di pignoramento presso terzi per debiti contratti e non onorati) della sentenza di rigetto del TAR Abruzzo n. 777 del 2 ottobre 1998, riformata in appello con sentenza del C.d.S., IV Sezione, n. 449 del 28.1.2002, che non ha ritenuto congrua la motivazione (“persistente propensione a contrarre debiti senza onorarli, propensione dettata da una ingiustificabile indifferenza e superficialità che mettono in luce una assoluta mancanza dell’onore”); altri decreti sono stati annullati dal TAR con sentenza n. 307 del 2002 (decreto di sospensione n.333-D/38785 del 9.03.1995 ” per aver comunicato in ritardo la sua indisponibilità ad effettuare il turno di volante, provocando in tal modo la soppressione del servizio stesso”; decreti di destituzione n.333-D38785 del 22.02.1997 e n.333-D38785 del 10.8.1996, per aver emesso un assegno bancario senza l’autorizzazione del trattario, adottati sul presupposto dei provvedimenti di destituzione precedenti, che però erano stati annullati in sede giurisdizionale per difetto di motivazione).
Gli annullamenti sono stati disposti per difetto di motivazione e sproporzione della sanzione, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione non espulsivi.
Tuttavia, i fatti oggetto dei provvedimenti sanzionatori non vengono negati dalle sentenze richiamate, anche se non è stata ritenuta giustificata l’irrogazione della sanzione massima.
1.2 – Ciò posto, il Collegio ritiene che, per un verso, fermi i fatti contestati e accertati nel corso dei procedimenti disciplinari, la comminatoria della diversa e minore sanzione della sospensione dal servizio (che le sentenze di annullamento dei provvedimenti impugnati non escludono, in luogo delle illegittime destituzioni) non avrebbe impedito al ricorrente di vedere ridotto il proprio reddito in conseguenza dell’esercizio dell’azione disciplinare, la cui potenzialità afflittiva è insita nella stessa funzione e della quale, pertanto, il ricorrente non può fondatamente dolersi, dovendo semmai imputare a se stesso i fatti che hanno dato origine all’esercizio dell’azione disciplinare.
Inoltre, andrebbe dimostrato che la pluralità di effetti dannosi lamentati sul piano fisico, psichico e della vita di relazione, sono da riconnettersi in via diretta ed immediata, oltre che esclusiva o preponderante, alla destituzione dal servizio; prova che non si ritiene raggiunta, neppure considerando i documenti che l’interessato ha prodotto in giudizio.
Infatti, i documenti depositati (doc. n. 8, dichiarazione del rag. Lelio Cucchiella alla Cooperativa edilizia “Fortuna 87” arl; doc. n. 9, attestazione della Caritas Diocesana e doc. n. 10, attestazione del Presidente del Conservatorio di Santa Maria della Misericordia di L’Aquila) dimostrano la situazione debitoria e lo stato di indigenza in cui versava l’appellante nel periodo settembre 2002/maggio 2003, sicuramente conseguenti anche alla mancanza di reddito; ma non dimostrano che le medesime circostanze non si sarebbero verificate qualora l’esercizio dell’azione disciplinare avesse comportato la mera sospensione dal servizio (con sospensione anche della retribuzione, ovviamente), e neppure che la percezione di reddito da lavoro avrebbe azzerato la situazione debitoria del ricorrente (non va dimenticato che i procedimenti disciplinari sono stati originati proprio dalla tendenza del dipendente a “contrare debiti senza poi onorarli”).
1.3 – Quanto all’infermità occorsa (infarto del miocardio), non risulta che si sia concluso il procedimento di accertamento della dipendenza da causa di servizio (cfr. relazione del Ministero dell’Interno del 10.7.2010 depositata dall’Avvocatura dello Stato); inoltre, la Commissione Medico Ospedaliera di Chieti con mod. AB n. 5722 del 17.11.1995 affermava la sussistenza di correlazione tra l’affezione cardiaca e il servizio prestato negli anni precedenti, cosicchè sembra da escludersi la riconducibilità dell’infarto, almeno in via preponderante, alle vicende intervenute successivamente al 1995, oggetto dei provvedimenti disciplinari in questione.
Peraltro, ove riconosciuta la dipendenza da causa di servizio, l’infermità troverebbe risarcimento nella liquidazione di equo indennizzo.
2. – In conclusione, non ritiene il Collegio che sia dimostrato l’elemento oggettivo della responsabilità civile della pubblica amministrazione, sotto il profilo della sussistenza del nesso causale tra l’esercizio dell’azione disciplinare e il danno lamentato dal ricorrente.
Il risarcimento del danno provocato dal provvedimento amministrativo illegittimo postula la dimostrazione del nesso di causalità fra la sua emanazione e l’effetto lesivo, con la conseguenza che il nesso causale deve essere escluso, ai sensi degli artt. 1227 c.c e 30 c.p.a., qualora nella catena causale il fatto lesivo sia anche in parte imputabile allo stesso danneggiato (Consiglio di Stato, sez. V, 16/04/2014, n. 1896).
3. – Le spese di giudizio si compensano tra le parti, in considerazione della peculiarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo – Presidente
Michele Corradino – Consigliere
Bruno Rosario Polito – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria l’1 agosto 2014.
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