Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso e si configura come diritto autonomo rispetto a quello di proprietà

Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 7 maggio 2018, n. 2695.

Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene (nella specie, conseguente all’illegittimo esercizio del potere amministrativo, per il rilascio di una concessione edilizia in violazione del piano di recupero vigente) spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso e si configura come diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non seguendo quest’ultimo in caso di alienazione inter vivos a titolo particolare, salvo che nell’atto di alienazione vi sia espressamente prevista la cessione.

Sentenza 7 maggio 2018, n. 2695
Data udienza 30 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9203 del 2011, proposto dalla società En. di Wi. Ma. & C., in persona del legale rappresentante p.t., e dalla signora Wi. Ma., rappresentate e difese dagli avvocati Ig. Ja. ed Em. Ga., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ro. Na. in Roma, via (…);

contro

il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ca. e Ch. Ba., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Ca. in Roma, via (…);

la Ca. Ra. Tu. Au., in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso dagli avvocati Iv. Ts. e Lu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano, n. 251/2011, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 30 novembre 2017, il consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Ig. Ja., Pa. Ca., per delega dell’avvocato Lu. Ma., e Co. Se., per delega dell’avvocato Ma. Ca.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano, pronunciava definitivamente sul ricorso n. 21 del 2011, proposto dalle odierne appellanti – nella loro qualità di proprietarie degli immobili tavolarmente identificati dalle porzioni materiali 1, 2, e 3 della p. ed. 45, nonché dalle particelle edilizie 247, 47 e 65 in C.C. (omissis), ubicati nella zona residenziale A1-Centro storico del Comune di (omissis) (soggetta a un piano di recupero approvato con deliberazione consiliare n. 15 del 25 febbraio 1974 e con deliberazione della Giunta provinciale di Bolzano n. 4865 del 5 novembre 1974) e confinanti con l’edificio p.ed. 674 C.C. (omissis) di proprietà della controinteressata Ca. Ra. Tu. Au., già destinato ad attività alberghiera ed oggetto di un intervento di demo-ricostruzione sulla base di correlativa concessione edilizia rilasciata dal resistente Comune -, nei confronti del Comune di (omissis) e della controinteressata per sentirli condannare al risarcimento dei danni, esposti nell’importo di euro 494.140,00, subiti dall’asserito illegittimo rilascio della concessione edilizia alla controinteressata, in violazione delle disposizioni del piano di recupero.

In particolare, il TRGA dichiarava irricevibile sia la domanda risarcitoria proposta a tutela della posizione di interesse legittimo, in quanto al momento della proposizione del ricorso (individuato nella sentenza all’11 gennaio 2011) era ampiamente spirato il termine di decadenza di 120 giorni per la proposizione della domanda, sia la domanda risarcitoria proposta a tutela dei diritti soggettivi asseritamente lesi dalle opere di demo-ricostruzione relative all’edificio principale, ritenendo che al riguardo fosse maturato il termine di prescrizione quinquennale.

Il Tribunale respingeva, invece, nel merito la domanda risarcitoria «per la paventata lesione di diritti soggettivi derivante dalla realizzazione di parcheggi e di strade di accesso a rampe dei garages a servizio dell’edificio della controinteressata» (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza), rilevando che, all’atto dell’acquisto degli immobili da parte dei ricorrenti (con contratti di compravendita del 12 aprile 2007), tutti i lavori per la realizzazione dell’edificio erano già ultimati (come anche desumibile dalla licenza d’uso del 28 dicembre 2006) ed erano parzialmente realizzati anche le opere infrastrutturali e d’accesso ai garages, con conseguente chiara percettibilità dell’eventuale lesione dei diritti delle acquirenti, le quali tuttavia avevano omesso di proporre «i rimedi giurisdizionali adeguati» e di avvalersi di eventuali garanzie contrattuali, sicché «il comportamento delle ricorrenti ha assunto un ruolo eziologico decisivo nella produzione di un pregiudizio che il corretto utilizzo dei rimedi rammentati, inquadrato nella condotta complessiva esigibile, avrebbe plausibilmente consentito di evitare» (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza).

Il TRGA dichiarava, infine, di «prescindere dall’esame delle altre eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti» e condannava le ricorrenti a rifondere al Comune resistente e alla parte controinteressata le spese di causa.

2. Avverso tale sentenza interponevano appello le ricorrenti soccombenti, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) «Error in iudicando: violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 2, del D.Lgs. 02.07.2010 n. 104 e dell’art. 2947 c.c. e per motivazione erronea, omessa contraddittoria e travisata rispetto alla declaratoria di irricevibilità del ricorso per prescrizione stante l’asserita decorrenza del termine di 5 anni per promuovere un’autonoma azione di condanna al risarcimento dei danni per lesione di diritti soggettivi», essendo il TRGA, in particolare, incorso in un errore nel computo del termine quinquennale di prescrizione, a fronte dell’ultimazione dei lavori di costruzione dell’edificio in data 10 novembre 2006 (ritenuto accertato dallo stesso TRGA) e dell’instaurazione del giudizio risarcitorio con ricorso proposto in data 14 gennaio 2011, quindi prima della maturazione del termine di prescrizione;

b) «Error in iudicando: violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 30» del D.Lgs. 02.07.2010 n. 104 in relazione all’art. 1227 c.c. e per motivazione erronea, omessa, contraddittoria e travisata rispetto alla declaratoria di infondatezza del ricorso relativamente alla precedente richiesta di risarcimento dei danni per lesione di diritti soggettivi derivanti dalla “realizzazione di parcheggi e di strade di accesso a garages a servizio dell’edificio della controinteressata», sotto il profilo che le appellanti erano divenute proprietarie degli immobili de quibus dopo il perfezionamento dei lavori sui fondi confinanti e, solo in esito ad una perizia conferita a un tecnico (dopo l’acquisto della proprietà), era rimasta accertata la violazione delle norme del piano di recupero, sicché, ad opere ormai terminate, quale unico rimedio residuava quello risarcitorio, azionato tempestivamente.

Le appellanti chiedevano pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni ex artt. 30 ss. cod. proc. amm. «conseguente all’illegittimo esercizio del potere amministrativo» e alla «violazione dell’art. 2043 Cod. Civ. e dell’art. 832 Cod. Civ. e dell’art. 97 Cost.», previo espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio.

3. Si costituiva in giudizio l’appellato Comune, chiedendo la reiezione dell’appello.

L’Amministrazione, nelle memorie difensive del 24 ottobre 2017 e del 7 novembre 2017, eccepiva la carenza di legittimazione attiva in capo alle originarie ricorrenti, in quanto:

– il loro dante causa a titolo particolare, con un accordo intercorso in data 13 giugno 2005 con la costruttrice Cassa Raiffeisen, aveva espressamente accettato e condiviso l’attività edilizia che si basava sulla concessione edilizia rilasciata il 6 maggio 2005 (seguita da successivi titoli in variante);

– il predetto era l’unico soggetto legittimato a contestare i titoli edilizi;

– non era configurabile una successione a titolo particolare delle odierne appellanti nel diritto al risarcimento dei danni subiti dagli immobili in oggetto allorquando gli stessi erano ancora di proprietà del venditore, a meno che la cessione della pretesa risarcitoria da lesione dei beni alienati fosse stata espressamente pattuita fra le parti, nel caso di specie da escludere, mancando qualsiasi correlativa pattuizione nei contratti di compravendita.

4. Si costituiva, altresì, in giudizio l’originaria controinteressata Cassa Raiffeisen di Tures Aurina, contestando la fondatezza dell’appello e riproponendo nella memoria del 20 ottobre 2017 l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione passiva in capo alla stessa controinteressata, sotto il profilo che soltanto la pubblica amministrazione che abbia emanato l’atto censurato poteva essere convenuta dinanzi al giudice amministrativo per il risarcimento dei danni da attività provvedimentale illegittima.

5. La difesa delle parti appellanti, nella memoria di replica del 9 novembre 2017, eccepiva che sulla questione della titolarità della pretesa risarcitoria azionata in primo grado si era formato il giudicato interno, con conseguente preclusione della relativa eccezione per la prima volta formulata dalle controparti nelle memorie prodotte in vista dell’udienza di discussione in appello.

6. All’udienza pubblica del 30 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Premesso che le odierne appellanti hanno formulato «richiesta di risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 30 ss. del D.Lgs. 02.07.2010 n. 104 conseguente all’illegittimo esercizio del potere amministrativo; violazione dell’art. 2043 Cod. Civ. e dell’art. 832 Cod. Civ. e dell’art. 97 Cost.» (v. così, testualmente, a p. 13 del ricorso in appello, dove viene riproposta l’originaria domanda risarcitoria come formulata a pp. 5 ss. del ricorso di primo grado), sotto il profilo che il rilascio della concessione edilizia risalente al 2005 violerebbe le previsioni del piano di recupero vigente per la zona di ubicazione degli immobili de quibus, ritiene il Collegio che sia assorbente l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, rispettivamente di difetto della titolarità della pretesa risarcitoria in capo alle odierne appellanti, quale sollevata dal Comune appellato nelle memorie depositate in vista dell’udienza di discussione.

Sotto un profilo processuale, anche a voler inquadrare l’eccezione in esame esclusivamente sub specie di difetto della titolarità della pretesa (al risarcimento dei danni) azionata in giudizio – e non anche quale carenza di legittimazione attiva, la quale comunque sarebbe rilevabile d’ufficio -, la relativa questione ha trovato rituale ingresso nel presente grado, in quanto:

– per un verso, il TRGA nulla ha deciso sul punto in conseguenza dell’assorbente declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado, sicché deve escludersi la formazione di un giudicato esplicito o implicito interno su tale questione;

– per altro verso, la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto dedotto in giudizio è rilevabile d’ufficio dal giudice, qualora la mancanza di tale fatto costitutivo della pretesa fatta valere in giudizio emerga dagli atti di causa (v. in tal senso, per tutte, Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2016, n. 2951), con la conseguenza che, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio, la relativa questione si sottrae all’onere della tempestiva riproposizione di cui all’art. 101, comma 2, cod. proc. amm., entro il termine per la costituzione in giudizio.

In linea di fatto, si rileva che dal materiale istruttorio acquisito al giudizio emerge che i titoli edilizi (compresi i tioli in variante), asseritamente lesivi degli interessi delle odierne appellanti, erano stati rilasciati il 28 aprile 2005 – 1° agosto 2006, e che i lavori relativi all’edificio della controinteressati erano stati ultimati il 10 novembre 2006 (v. licenza d’uso del 28 dicembre 2006), mentre le odierne appellanti hanno acquistato gli immobili confinanti a quelli oggetto degli interventi in questione con contratti di compravendita del 12 aprile 2007 (seguiti da correlativa intavolazione della proprietà in favore delle stesse appellanti), con conseguente perfezionamento della fattispecie, da cui scaturisce la pretesa risarcitoria, in data anteriore all’acquisto degli immobili da parte delle odierne appellanti.

Risulta, altresì, dagli atti di causa che nei contratti di compravendita le pretese risarcitorie facenti capo al venditore non avevano formato oggetto di cessione in favore delle parti acquirenti, né risulta agli atti un separato atto di cessione.

Orbene, osserva il Collegio, in linea di diritto, che il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta a chi ne sia proprietario al momento del verificarsi dell’evento dannoso e si configura come diritto autonomo rispetto a quello di proprietà, non seguendo quest’ultimo in caso di alienazione inter vivos a titolo particolare, salvo che nell’atto di alienazione vi sia espressamente prevista la cessione (v. Cass. Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2951).

Ne deriva la fondatezza dell’eccezione di carenza della titolarità del diritto al risarcimento dei danni in capo alle originarie ricorrenti, con conseguente manifesta infondatezza del ricorso di primo grado, assorbente di ogni altra questione (anche di decadenza o di prescrizione, inconfigurabili rispetto a un diritto mai acquisito).

7. Per le esposte ragioni, di natura assorbente, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma delle statuizioni reiettive di primo grado, seppure con una motivazione diversa da quella sviluppata nell’impugnata sentenza.

In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste in solido a carico delle parti appellanti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 9203 del 2011), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza nei sensi di cui in motivazione; condanna le parti appellanti, in solido tra di loro, a rifondere alle parti appellate le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano, in favore di ciascuna delle stesse (Comune di (omissis) e, rispettivamente, Ca. Ra. Tu. Au.), nell’importo di euro 5.000,00 (cinquemila/00), per un totale di euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2017, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti – Presidente

Bernhard Lageder – Consigliere, Estensore

Francesco Mele – Consigliere

Oreste Mario Caputo – Consigliere

Francesco Gambato Spisani – Consigliere

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