L’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 3 ottobre 2018, n. 5686.

La massima estrapolata:

L’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell’ordine pubblico e l’efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall’altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall’ordinamento.

Sentenza 3 ottobre 2018, n. 5686

Data udienza 7 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9149 del 2017, proposto dal Ministero dell’interno – Questura di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. De. Gr. e Bi. Ma. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. De. Gr. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, sezione II, 5 maggio 2017, n. 306.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 giugno 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti l’avvocato Bi. Ma. Me. e l’avvocato dello Stato An. Gr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il signor -OMISSIS-, agente scelto di P.S., ha chiesto di potere usufruire dei periodi di riposo accordati dall’art. 40, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la nascita del proprio figlio, specificando di essere coniugato con moglie casalinga.
2. Con provvedimento del Questore di Cagliari notificato il 7 gennaio 2017, la domanda è stata respinta.
3. Il signor Ca. ha impugnato il diniego mediante un ricorso che il T.A.R. per la Sardegna, sezione II, ha accolto con sentenza in forma semplificata 5 maggio 2017, n. 306, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite. Nel motivare, il Tribunale territoriale ha richiamato la propria precedente decisione 21 ottobre 2015, n. 1078, a sua volta basata sulla sentenza del Consiglio di Stato 10 settembre 2014, n. 4618.
4. L’Amministrazione dell’interno ha impugnato la sentenza n. 306/2017, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva, ricordando il più recente orientamento di questo Consiglio di Stato.
5. Il signor Ca. si è costituito in giudizio per resistere all’appello.
6. Con ordinanza 2 febbraio 2018, n. 450, la Sezione ha accolto la domanda cautelare, sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, fissato l’udienza per la discussione della causa nel merito, compensato fra le parti le spese della fase processuale.
7. Con memoria depositata il 23 maggio 2018, la parte privata:
– ha ricordato le oscillazioni della giurisprudenza sulle condizioni di applicabilità della disposizione della citata lett. c) dell’art. 40 del decreto legislativo n. 151/2011 e sostenuto il carattere non pertinente del recentissimo precedente della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, che non avrebbe inteso apportare una effettiva inversione di tendenza rispetto al precedente orientamento ma solo una deroga specifica limitata ai militari con funzioni operative (egli non sarebbe in servizio operativo, ma addetto a ordinarie mansioni d’ufficio);
– ha sollecitato il deferimento della questione all’Adunanza plenaria;
– ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 40 del decreto legislativo citato per contrasto con gli artt. 3, 4, 29, 30, 31, 36 e 37 Cost.
8. L’Amministrazione non ha replicato.
9. All’udienza pubblica del 7 giugno 2018, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
10. Pur dovendosi dando atto dei diversi orientamenti giurisprudenziali in materia, succedutisi nel tempo, l’appello dell’Amministrazione è fondato.
11. La recentissima sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993 (in seguito, si veda anche sez. IV, 30 gennaio 2018, n. 628), valorizzata anche dalla ricordata ordinanza cautelare, ha riesaminato in termini dettagliati ed esaustivi la questione controversa per concludere che nessun congedo parentale spetta, in linea di principio, al padre dipendente delle Forze armate o di polizia coniugato con una casalinga. Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra – ad esempio – il solo mancato possesso della patente di guida.
11.1. A tali precedenti il Collegio stima di conformarsi integralmente pure ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., anche perché non corrisponde al vero che – come invece sostiene l’appellato – tali decisioni abbiano strettamente connesso la dimensione dei principi enunciati alle esigenze della “difesa militare dello Stato propriamente detta”, trattandosi invece in entrambi i casi di ricorsi originariamente proposti da soprintendenti di P.S., come l’originario ricorrente appartenenti a un Corpo di polizia a ordinamento non militare.
11.2. E’ ben vero che – come osserva il privato – la sentenza n. 4993/2017 ha affermato che “l’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell’ordine pubblico e l’efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall’altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall’ordinamento” (§ 11.17). Ne seguirebbe l’obbligo di una ponderata e specifica valutazione riferita al singolo caso, che in concreto sarebbe stata omessa.
11.3. Così facendo, tuttavia, egli tenta abilmente di rovesciare il senso dell’affermazione precedente, la quale va letta in un contesto in cui la Sezione aveva già sottolineato che “se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione” (§ 11.14). Posto che egli non ha “dimostrato, a suo tempo, un serio, concreto, effettivo ed insuperabile impedimento della madre ad esercitare l’assistenza domestica alla prole” (§ 11.14; così anche Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 20 dicembre 2012, n. 1241), il rilievo non ha pregio.
12. Quanto alla richiesta di rinvio della questione all’Adunanza plenaria, il Collegio considera che non vi è motivo per non ritenere esaustiva e del tutto condivisibile l’analisi svolta dalla sentenza n. 4993/2017 la quale, proprio al fine di ricondurre a unità un orientamento esegetico di entrambi i gradi della giurisprudenza amministrativa reputato “ondivago” (§ 10), non solo ha definitivamente chiarito presupposti, portata applicativa e limiti della normativa di riferimento, ma ha inteso valorizzare espressamente, come elemento caratterizzante la controversia decisa (peraltro del tutto analoga a quella oggetto del presente contenzioso) il “rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall’Amministrazione della pubblica sicurezza” (§ 11.17).
12.1. Sarà dunque onere di diversa Sezione, ove in dissenso con la linea interpretativa riferita con riguardo a fattispecie segnate dalla compresenza di interessi di segno diverso, rilevare il contrasto e sottoporre la questione, se del caso, all’Adunanza plenaria.
13. Infine, il signor Ca. deduce la questione di legittimità costituzionale delle norme in questione che assoggetterebbero a differente trattamento situazioni uguali sia sotto il profilo della protezione della famiglia, della paternità e della maternità, sia sotto il profilo della tutela della lavoratrice casalinga, sia per evidente irragionevolezza.
13.1. A dire manifestamente infondata la questione sollevata basterà riportare alcuni passaggi della sentenza n. 4993/2017, che si è data carico anche della questione specifica.
“11.1. Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona.
11.2. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.
11.3. Del resto, benché l’istituto in questione – de jure condito scisso dalle necessità dell’allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la concessione dei riposi – non sia volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità ma si estenda, invero, a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre), cionondimeno è evidente, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l’interprete non può mai del tutto prescindere, che, nel primo anno di vita, la madre rivesta un ruolo centrale e, per tanti aspetti, assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del neonato.
11.4. Purtuttavia, la legge, ponendo al centro l’interesse del minore, si cura comunque di assicurare la presenza di almeno un genitore: ove, dunque, la madre non possa o non voglia fruire dei riposi o, comunque, non sia materialmente in grado di assistere il bambino, il diritto ai riposi si cristallizza in capo al padre.
11.5. Ciò, in particolare, ricorre: quando la madre sia deceduta o gravemente inferma (impossibilità materiale), quando i figli siano affidati al solo padre (impossibilità giuridica, perché, in tali casi, l’inidoneità della madre ad attendere alla cura del minore è stata già vagliata ed acclarata da un Giudice), quando la madre abbia scelto di non fruirne (i riposi restano comunque una facoltà, non un dovere pubblicistico, giacché la cura materiale e morale della prole di cui all’art. 147 c.c., doverosa nell’an, è comunque rimessa, in concreto, all’articolazione modale che ogni genitore prescelga), ovvero quando la madre non possa in radice fruirne, in quanto non assunta quale lavoratrice dipendente.
11.6. Tale ultima evenienza è evidentemente riferita allo svolgimento, da parte della madre, di un’attività lavorativa autonoma (artigianale, libero professionale, commerciale), cui strutturalmente è estranea la materia dei permessi e dei riposi e la cui organizzazione quotidiana può non consentire la necessaria attenzione alle esigenze del neonato.
11.7. L’attività di casalinga, per quanto di interesse ai fini della presente questione, consente viceversa fisiologicamente una presenza domestica (recte, si caratterizza proprio per una dimensione domestica) e, dunque, rende di per sé possibile l’attenzione ai bisogni del neonato.
11.8. In altre parole, lo scopo cui la legge mira con la concessione del riposo giornaliero, ossia assicurare la presenza domestica di almeno uno dei genitori, è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa.
11.9. Sono, pertanto, fuori asse le argomentazioni in ordine alla (indiscussa ed indiscutibile) pari dignità del lavoro domestico od alla (altrettanto indiscussa ed indiscutibile) pari dignità e responsabilità dei genitori: l’istituto in questione, infatti, è volto a tutelare in via immediata e diretta l’interesse del neonato ad avere accanto durante la giornata, sia pure nei limiti orari precisati dalla norma, almeno un genitore.
11.10. Ebbene, se la madre è casalinga, un genitore strutturalmente è presente in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni cui l’istituto dei riposi, quale misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino, è preordinato.
11.11. Né ha rilievo il fatto che la casalinga è contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia: invero, pure il genitore che, in assenza dell’altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell’affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche.
11.12. Del resto, non solo il Legislatore, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, ha espressamente circoscritto la fruizione del riposo da parte del padre ai soli casi di mancata fruizione, per le specifiche condizioni e situazioni previste dalla norma, da parte della madre (ovvero, in altra prospettiva, ha plasmato il diritto del padre come alternativo e succedaneo a quello della madre), ma, a ragionare diversamente, si creerebbe per via interpretativa un vulnus a carico delle famiglie composte da due lavoratori dipendenti: in tali casi, infatti, solo uno dei due potrebbe, fruendo dei riposi, stare a casa e, quindi, esplicare, nei limiti orari previsti dalla norma, le funzioni genitoriali, mentre un nucleo familiare in cui uno dei genitori non svolga attività lavorativa e l’altro sia lavoratore dipendente potrebbe garantire, nei richiamati limiti orari, la contestuale presenza domestica di ambedue le figure genitoriali, con un’inammissibile (ed ingiustificabile) situazione di privilegio.
11.13. A fortiori, abnorme sarebbe la differenza di trattamento rispetto ai nuclei familiari composti da lavoratori autonomi o liberi professionisti, che possono fruire della sola misura indennitaria prevista rispettivamente dagli articoli 66 – 69 e 70 – 73 del d.lgs. n. 151″.
14. Dalle considerazioni che precedono discende che – come anticipato – l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
15. Tenuto conto delle ricordate incertezze della giurisprudenza, solo di recente stabilizzatasi, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità dell’interessato, incarica la segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte privata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Luca Lamberti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere

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