Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 5 marzo 2019, n. 9744.
La massima estrapolata:
La connessione probatoria di cui all’articolo 371 c.p.p., comma 2 lettera b), tale da determinare l’incompatibilita’ con l’ufficio di testimone di cui all’articolo 197 c.p.p., comma 1, lettera b), deve riferirsi ad elementi oggettivi di modo che l’accertamento di un reato sia destinato ad influire su quello degli altri; essa, pertanto, non puo’ discendere dal solo stato d’imputato di un reato in danno della persona nei confronti della quale si procede, essendo ravvisabile soltanto in costanza di un diretto e concreto rapporto di connessione probatoria tra il processo in trattazione e il procedimento in cui il dichiarante e’ stato o e’ sottoposto, ossia allorquando il collegamento probatorio tra i procedimenti sia oggettivamente fondato sull’identita’ del fatto ovvero sull’identita’ o sulla diretta rilevanza di uno egli elementi di prova dei reati oggetto dei procedimenti stessi
Sentenza 5 marzo 2019, n. 9744
Data udienza 4 ottobre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. MOGINI Stefano – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli il 19/02/2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ORSI Luigi, che ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili;
udito per la costituita parte civile il difensore, avv. (OMISSIS) – in sostituzione dell’Avv. (OMISSIS) – che si e’ riportato alla conclusioni scritte depositate.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Napoli ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui (OMISSIS) e’ stato condannato per il delitto di maltrattamenti in famiglia e (OMISSIS) per il delitto di minaccia grave.
A (OMISSIS) e’ contestato di avere sottoposto la moglie, (OMISSIS), a continue umiliazioni, vessazioni e soprusi, consistiti nel maltrattarla, nell’ingiuriarla e nel percuoterla, rendendola la vita impossibile (cosi testualmente la imputazione) (capo a).
A (OMISSIS) e’ contestato di avere in un’occasione minacciato (OMISSIS), dicendole “se non ti uccide mio marito o mio figlio, ti uccido lo e non vado nemmeno in carcere perche’ sono malata di mente”.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati articolando due motivi comuni con cui deduce violazione di norme processuali previste a pena di inutilizzabilita’ e vizio di motivazione.
Si sostiene che vi sarebbe un collegamento probatorio tra i fatti oggetto di un procedimento penale pendente nei confronti di (OMISSIS), nel quale persona offesa sarebbe stata (OMISSIS) – originaria imputata del presente processo e poi assolta dalla Corte di appello – e i fatti oggetto delle imputazioni in esame; la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso il collegamento tra i fatti in questione facendo generici riferimenti alle circostanze di tempo e di luogo in cui i diversi fatti si sarebbero verificati e sul punto la motivazione sarebbe viziata.
2.1. Con il terzo motivo, formulato solo nell’interesse di (OMISSIS), si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione; la Corte si sarebbe limitata a richiamare la decisione di primo grado ovvero avrebbe fornito risposte apparenti senza esaminare il contenuto dei motivi di impugnazione, ne’ spiegare in cosa sarebbero consistiti i comportamenti riconducibili all’articolo 572 c.p..
Sotto altro profilo, la sentenza non avrebbe adeguatamente valutato le dichiarazioni della persona offesa, con particolare riguardo alla causale della crisi coniugale, ai rapporti fra le parti, al silenzio tenuto dalla stessa persona in ordine alla somma di 1000 Euro che le sarebbe stata corrisposta mensilmente dall’imputato e dal tentativo di questi di “salvare il matrimonio”, rivolgendosi agli assistenti sociali.
2.2. Nell’interesse di (OMISSIS), suocera di (OMISSIS), e’ stato formulato un ulteriore motivo di ricorso con cui si lamenta vizio di motivazione; anche in questo caso la Corte di appello si sarebbe limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza esaminare le doglianze formulate con l’atto di impugnazione,con particolare riguardo al mancato rinvenimento del coltello con il quale la minaccia sarebbe stata proferita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. I primi due motivi sono inammissibili per genericita’ per manifesta infondatezza.
2.1. Quanto al dedotto vizio di motivazione, la Corte di Cassazione ha in molteplici occasioni chiarito che non sono denunciabili, con il ricorso per cassazione, dei “vizi della motivazione nelle questioni di diritto affrontate dal giudice di merito in relazione alle argomentazioni giuridiche delle parti” (Sez. 5, n. 4173 del 22/02/1994, Marzola, Rv. 197993), in quanto o le medesime “sono fondate, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) da’ luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge, ovvero sono infondate, ed in tal caso il provvedimento con cui il giudice le abbia disattese non puo’ dar luogo ad alcun vizio di legittimita’ della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’articolo 619 c.p.p., che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta” (Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016, dep. 2017, Emanuele, Rv. 271451).
La questione di diritto proposta, dunque, deve essere valutata al fine di verificare se i giudizi di merito abbiano fatto corretta applicazione della legge.
2.2. Quanto alla dedotta violazione di legge, la giurisprudenza della Corte di cassazione e’ assolutamente consolidata nel ritenere che la connessione probatoria di cui all’articolo 371 c.p.p., comma 2 lettera b), tale da determinare l’incompatibilita’ con l’ufficio di testimone di cui all’articolo 197 c.p.p., comma 1, lettera b), deve riferirsi ad elementi oggettivi di modo che l’accertamento di un reato sia destinato ad influire su quello degli altri; essa, pertanto, non puo’ discendere dal solo stato d’imputato di un reato in danno della persona nei confronti della quale si procede, essendo ravvisabile soltanto in costanza di un diretto e concreto rapporto di connessione probatoria tra il processo in trattazione e il procedimento in cui il dichiarante e’ stato o e’ sottoposto, ossia allorquando il collegamento probatorio tra i procedimenti sia oggettivamente fondato sull’identita’ del fatto ovvero sull’identita’ o sulla diretta rilevanza di uno egli elementi di prova dei reati oggetto dei procedimenti stessi (Sez. 2, n. 24570 del 14/05/2015, Torcasio, Rv. 264397; Sez. 5, n. 31170 del 20/05/2009, Spanzerla, RV. 244491; Sez. 5, n. 37321 del 08/07/2008, Sailis, Rv. 241636).
A fronte di tale quadro di riferimento e della spiegazione fornita dalla Corte di appello, il motivo e’ obiettivamente generico, non essendo stato chiarito in cosa sarebbe consistito il collegamento probatorio tra i reati per i quali si procede e quello, peraltro nemmeno compiutamente descritto, che sarebbe stato oggetto del diverso procedimento.
3. Non diversamente, sono inammissibili gli altri due motivi di ricorso.
La Corte di appello ha spiegato, con motivazione non manifestamente illogica e scevra da contraddizioni, perche’ gli elementi specifici indicati dalla difesa non inficino il giudizio di attendibilita’ delle dichiarazioni della persona offesa ed ha chiarito come le stesse dichiarazioni siano, diversamente dagli assunti difensivi, riscontrate.
3. Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non puo’ essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perche’ considerati maggiormente plausibili, o perche’ assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacita’ esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si e’ in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, rv. 234148).
Gli odierni ricorrenti hanno riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimita’ nel sindacato sui vizi della motivazione non e’ tuttavia quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
E’ possibile che nella valutazione sulla “tenuta” del ragionamento probatorio, la struttura motivazionale della sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito possono concordare nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, rv. 209145).
Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorche’ i giudici di secondo grado, come nel caso in esame, esaminino le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con riferimenti alle determinazioni ed ai passaggi logico-giuridici della decisione di primo grado e, a maggior ragione, cio’ e’ legittimo quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze gia’ esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione del primo giudice (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116).
4. Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell’impugnazione di appello, di talche’ la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.
Le censure dedotte si sviluppano sul piano della ricostruzione fattuale e sono sostanzialmente volte a sovrapporre un’interpretazione delle risultanze probatorie diversa da quella recepita dai giudici di merito, piuttosto che a far emergere un vizio della motivazione rilevante ai sensi dell’articolo 606 c.p.p..
La Corte di cassazione ha chiarito che sono censure di merito, inammissibili nel giudizio di legittimita’, tutte quelle che attengono a “vizi” diversi dalla mancanza di motivazione, dalla sua “manifesta illogicita’”, dalla sua contraddittorieta’ su aspetti essenziali perche’ idonei a condurre ad una diversa conclusione del processo.
Inammissibili, in particolare, sono le doglianze che “sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento” (cosi’, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., rv. 262965).
7. Alla dichiarazione d’inammissibilita’ dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, delle spese sostenute nel grado di giudizio dalla costituita pare civile, che si liquidano come da dispositivo, e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che si stima equo determinare nella misura di duemila Euro per ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna inoltre gli stessi ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro tremilacinquecento oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
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