Confermata la possibilità di installare impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili anche in zona agricola

Consiglio di Stato, Sentenza|8 aprile 2021| n. 2848.

Confermata la possibilità di installare impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili anche in zona agricola, purché dopo appropriata verifica, in sede istruttoria, della compatibilità della localizzazione dell’impianto con le peculiari esigenze legate alla vocazione del territorio, all’annullamento del diniego regionale non consegue, in automatico, il diritto risarcimento del danno da lesione dell’interesse legittimo, laddove sia mancata una reale verifica di compatibilità della localizzazione dell’impianto.
Invero, l’Amministrazione gode ancora di una ampia discrezionalità sulla decisione finale, mancando peraltro gli atti istruttori e le determinazioni endo-procedimentali delle altre Amministrazioni coinvolte nel procedimento, venendo così a mancare un presupposto fondamentale per il riconoscimento della tutela risarcitoria, non potendo, neppure secondo la regola del «più probabile che non», affermarsi la concreta spettanza del bene della vita, nel caso deciso l’Autorizzazione alla realizzazione all’impianto da fonti rinnovabili, residuando in capo al richiedente nulla più che una mera aspettativa di fatto o delle generiche ed astratte aspirazioni di lucro, non risarcibili.

Sentenza|8 aprile 2021| n. 2848

Data udienza 25 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Diritto dell’energia – Impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Destinazione agricola dell’area – Verifica della compatibilità della localizzazione – Regione – Meccanismi preclusivi automatici – Predeterminazione di aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti – Art. 12 d.lgs. n. 387/2003

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9225 del 2020, proposto dalla Ed. En. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Di Lu. e Ca. Ma. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Regione Abruzzo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo Sezione Prima n. 363 del 19 ottobre 2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2021, svoltasi da remoto in video conferenza ai sensi dell’art. 25 d.l. 137 del 2020, il consigliere Michele Conforti, nessuno presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso ritualmente incardinato innanzi al T.a.r. per l’Abruzzo, la società Ed. En. s.r.l., (in prosieguo Edima), ha domandato l’annullamento del provvedimento di diniego al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione e alla gestione di un impianto di produzione di energia rinnovabile e il risarcimento del danno patrimoniale.
1.1. L’interessata ha premesso di aver presentato domanda per il rilascio dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs n. 387/2003, già in data 17 giugno 2010, e di aver ricevuto un primo diniego da parte della Regione, consistente nella nota del 4 febbraio 2011, con la quale si dichiarava che non si sarebbe dato avvio al procedimento amministrativo, in ragione del limite posto dalla misura “MD3” del Piano Regionale per la tutela della qualità dell’aria, con il quale, evidentemente, l’impianto andava a confliggere.
2. La nota è stata impugnata innanzi al T.a.r. per l’Abruzzo.
2.1. Con ordinanza n. 161 del 2011, il Tribunale amministrativo sospendeva l’atto gravato e ordinava alla Regione di intraprendere il procedimento.
3. Nelle more dello svolgimento del procedimento, con la sentenza irrevocabile n. 217 del 5 aprile 2012, il T.a.r. ha annullato la nota impugnata dall’interessata.
4. All’esito del procedimento intrapreso in ottemperanza dell’ordine impartito dal T.a.r. con l’ordinanza cautelare, la Regione ha emanato la determinazione regionale n. 1374 del 12 aprile 2012, con la quale, a conclusione del previsto iter procedimentale, ha respinto l’istanza della società .
5. Anche quest’atto è stato impugnato dalla società Edima innanzi al competente Tribunale amministrativo regionale, deducendosi varie censure di illegittimità del provvedimento, rimarcandosi che a causa dell’avvenuta risoluzione dei contratti di affitto la realizzazione della centrale era divenuta impossibile (pag. 4 del ricorso di primo grado) e proponendosi infine domanda di risarcimento del danno, in via principale, per quello patrimoniale inferto dalla mancata realizzazione dell’impianto (quantificato in euro 80.666,12, a titolo di danno emergente, e in euro 40.788.000,00, a titolo di lucro cessante); in via subordinata, a titolo di perdita di chance.
5.1. Nel giudizio è intervenuto ad adiuvandum il Comune di (omissis), il quale ha altresì proposto domanda di risarcimento del danno per il mancato guadagno derivante dagli oneri che l’impresa si era impegnata a pagare, mediante una convenzione intercorsa con l’ente, ove fosse stata autorizzata la realizzazione dell’impianto, nonché per le ricadute positive che la sua realizzazione avrebbe avuto sull’economia locale.
6. Con la sentenza n. 363 del 19 ottobre 2020, il T.a.r. ha accolto la domanda di annullamento formulata dalla ricorrente, mentre ha respinto la domanda risarcitoria.
6.1. Il primo Giudice ha annullato il provvedimento gravato rilevando che la motivazione del diniego, ossia l’asserita incompatibilità dell’opera con il Piano regionale per la qualità dell’aria, era già stata scrutinata dalla sentenza n. 217 del 2012, pronunciata dal medesimo T.a.r., che ne aveva sancito l’illegittimità, evidenziando la necessità di valutare in concreto l’inserimento dell’impianto nel contesto paesaggistico e ambientale.
6.2. Conseguentemente, nel successivo procedimento l’amministrazione regionale avrebbe dovuto tenere conto di questa statuizione e non avrebbe dovuto reiterare un diniego basato sulla medesima ragione giustificatrice (capo non impugnato).
6.3. Il Tribunale amministrativo ha dichiarato assorbiti i cinque motivi di ricorso proposti dalla società (capo non impugnato).
6.4. Con riferimento alla domanda di risarcimento del danno proposta dall’interessata, il Tribunale amministrativo ha statuito che la domanda non può trovare accoglimento, non essendosi raggiunta la prova della spettanza del bene della vita.
Si è evidenziato, a tale riguardo, che:
a) l’illegittimità del provvedimento non comporta necessariamente illiceità della condotta dell’amministrazione e che, comunque, è sempre necessario provare che l’emanazione del provvedimento illegittimo abbia precluso il conseguimento del bene della vita auspicato;
b) a tale proposito, si evidenzia che il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione e alla gestione di un impianto di produzione di energia elettrica costituisce un procedimento amministrativo ampiamente discrezionale;
c) sussiste, dunque, la possibilità di una legittima diversa determinazione nella riedizione del potere amministrativo, rispetto al riconoscimento del bene.
6.5. Si è pertanto statuito che “I danni lamentati si connotano, infatti, come pregiudizi meramente eventuali ed ipotetici, non essendo sufficiente, ai fini risarcitori, la mera astratta probabilità di conseguimento di un risultato utile.
Ne consegue che le domande risarcitorie si appalesano del tutto carenti essendosi limitati la ricorrente e l’interveniente a far discendere la prova della spettanza del bene della vita preteso dalle argomentazioni contenute nella sentenza di questo Tribunale n. 217/2012”.
6.6. Il T.a.r., infine, ha compensato le spese del giudizio.
7. La società ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado.
7.1. Con un unico articolato motivo di appello, la società ha impugnato la sentenza di primo grado, relativamente al capo che ha respinto la domanda di risarcimento del danno.
L’appellante mette in risalto come, nella motivazione della sentenza, il T.a.r. avrebbe evidenziato che tutti gli enti partecipanti alla conferenza di servizi, convocata per decidere sull’istanza, avessero espresso un giudizio favorevole.
Rimarca, poi, come per quelli non intervenuti in sede di conferenza di servizi, dovesse valere la regola per la quale il loro assenso doveva darsi per acquisito.
7.2. In sintesi, l’appellante ritiene che sussistessero tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, poiché, quanto a quello ritenuto mancante, ben avrebbe potuto il T.a.r. formulare il giudizio prognostico di spettanza del bene della vita, considerato che il procedimento amministrativo aveva visto l’espressione di pareri favorevoli da parte degli enti intervenuti nella conferenza di servizi (o la mancata espressione di un motivato dissenso in quella sede), la Regione non aveva espresso una nuova valutazione negativa alla realizzazione dell’impianto, ma si era limitata a reiterare il precedente intendimento negativo, la finalità della normativa è quella di favorire l’iniziativa intrapresa e, infine, anche il potere discrezionale spettante all’amministrazione va, via via, riducendosi ogniqualvolta viene riesercitato.
7.3. In via subordinata, per l’ipotesi in cui “non dovessero ritenersi sussistenti i presupposti per l’accoglimento della domanda di risarcimento per equivalente”, l’appellante ha poi domandato il risarcimento da perdita di chance, “determinato in proporzione alla probabilità dei relativi ricavi, utilizzando come unico criterio impiegabile quello equitativo, ovvero con un giudizio che dovrà tenere conto del criterio prognostico sulle concrete e ragionevoli possibilità di risultati utili e del vantaggio economico complessivamente realizzabile dal danneggiato…”.
8. In data 15, dicembre 2020, si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo, resistendo all’appello, mentre non si è costituito il Comune.
9. Con memoria del 8 febbraio 2021, la Regione ha articolato compiute difese sulle deduzioni avversarie, argomentando per il rigetto della domanda risarcitoria.
10. Anche l’appellante ha ulteriormente argomentato le sue deduzioni, con memoria del 9 febbraio 2021.
11. Ambedue le parti hanno replicato agli scritti di controparte, con apposite memorie, depositate in data 12 febbraio 2021.
12. La società ha infine depositato note d’udienza in data 19 febbraio 2021, ai sensi del D.L. n. 28 del 2020 e del D.L. n. 137 del 2020.
13. All’udienza del 25 febbraio 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
14. In limine litis, il Collegio ritiene che possa prescindersi dall’esaminare l’istanza con la quale la Regione ha domandato la concessione di un termine a difesa, considerata l’infondatezza dell’appello.
15. La sentenza gravata merita infatti di essere confermata, per aver correttamente applicato i principi più volte affermati da questo Consiglio sulla risarcibilità del danno da lesione dell’interesse legittimo (vedi infra, al § 16.5.).
16. In particolare, va ribadito che non può dirsi raggiunta la prova della spettanza del bene della vita, auspicato dall’impresa appellante.
16.1. Invero, il motivo di diniego opposto dall’amministrazione procedente all’odierna appellante è stato ritenuto illegittimo dal T.a.r., per due volte, in quanto la Regione non avrebbe valutato in concreto la compatibilità del progetto presentato ai luoghi in cui avrebbe dovuto essere ubicato l’impianto, tenendo conto dello stato di quei luoghi e della loro attuale destinazione. Si assume, cioè, da parte del T.a.r., sia nella sentenza del 2012 che in quella del 2020, che la risposta negativa opposta dall’amministrazione regionale fosse errata perché formulata sulla scorta di un’asserita antitesi fra la normativa di riferimento e la pianificazione settoriale del territorio, da un lato, e il progetto, dall’altro, che però non sussisterebbe in astratto, così come invece ritenuto dalla Regione, ma avrebbe dovuto essere riscontrata in concreto.
16.2. Precisamente, nella sentenza n. 217 del 2012, si afferma che: “Ovviamente ciò non postula che gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili possano sempre essere ubicati in zona agricola, dovendosi nella appropriata sede istruttoria verificare (tra le altre questioni) la compatibilità della localizzazione dell’impianto con le peculiari esigenze legate alla vocazione del territorio; ciò non di meno risulta inibito alla Regione procedere ad automatici meccanismi preclusivi invocando una destinazione urbanistica comunque non incompatibile con la realizzazione di opere che -una volta debitamente autorizzate – comunque si caratterizzano per essere di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti (art. 12 comma 1 d. leg.vo 387/03).”.
16.3. La sentenza n. 363 del 19 ottobre 2020, riafferma tale principio, statuendo che: “L’autorizzazione, infatti, può essere negata solo al ricorrere dei presupposti prescritti dalla disciplina speciale di cui al comma 10 dell’art. 12 D.Lgs n. 387/2003, ovvero previa determinazione nel territorio regionale di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti (in tali termini, T.A.R. Molise, Sez. I, 23/06/2016, n. 281).
Ebbene, nella fattispecie che ci occupa, tale valenza ostativa all’installazione dell’impianto non può discendere dall’esito dell’istruttoria compiuta in sede di conferenza di servizio che prende a supporto del diniego le medesime argomentazioni già oggetto di puntuale accertamento incontrovertibile di questo organo giudicante.”.
16.4. In definitiva, quindi, avuto riguardo allo svolgimento dei procedimenti che hanno interessato questa vicenda, non può in alcun modo affermarsi che vi sia stata una reale verifica di compatibilità della localizzazione dell’impianto.
La ratio decidendi delle due sentenze suindicate è infatti incentrata proprio sull’assenza di una simile ponderazione, che, dunque, al momento, risulta inespressa, non risultando quindi fondatamente affermabile che il bene della vita sarebbe stato riconosciuto come spettante.
16.5. Manca dunque quello che, per costante giurisprudenza, costituisce un presupposto fondamentale per potersi riconoscere l’invocata tutela risarcitoria (tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. II, 13 gennaio 2021, n. 421; Sez. II, 4 gennaio 2021, n. 90; Sez. IV, 1 dicembre 2020, n. 7622).
17. Va evidenziato che il Collegio non ritiene neppure fondato l’assunto di parte appellante, secondo cui le altre autorità amministrative, intervenute nelle due conferenze di servizi, avrebbe espresso pareri favorevoli alla realizzazione dell’opera.
17.1. In particolare, una simile affermazione non trova riscontro nel verbale della conferenza del 22 marzo 2012, non dandosi atto, in questo verbale, delle posizioni espresse in detta sede dagli altri partecipanti.
17.2. L’affermazione non trova conforto neppure nel verbale della conferenza precedente, svoltasi il 19 settembre 2011, poiché, in quella sede, alcune amministrazioni si espressero in modo meramente interlocutorio o domandando approfondimenti (cfr. la posizione del rappresentante dell’Agricoltura del SIPA di Teramo, il quale ha fatto verbalizzare che “Il rappresentante dell’Agricoltura del SIPA di Teramo comunica che l’amministrazione ha ricevuto la documentazione soltanto il 15 settembre, pertanto non può esprimersi in merito, in ogni caso evidenzia che il progetto deve essere dotato di relazione tecnico-agronomica”; quella della Provincia, che ha concluso affermando che “Solo dopo tale studio la Provincia potrà esprimersi definitivamente sull’ubicazione dell’impianto”; quella dell’Arta, che ha posto una serie di richieste alla società ).
17.3. Invero, non può tacersi che l’impresa, in primo grado, ha affermato che “tutte le integrazioni e chiarimenti richiesti nella precedente seduta sono stati forniti”, ma di tale affermazione – contestata dal Ministero con la memoria di primo grado del 12 agosto 2020 (cfr., in particolare, pag. 9 e pag. 15) – non v’è prova in atti.
17.4. In ogni caso, tale integrazione non supplirebbe comunque alla valutazione in concreto rimessa alla Regione Abruzzo e non ancora effettuata.
17.5. Per le medesime motivazioni, neppure può procedersi al risarcimento dei danni asseritamente scaturenti dai costi sostenuti per la presentazione della domanda di autorizzazione unica.
17.6. Relativamente a questa voce di danno, può specificarsi, ulteriormente, rispetto alla deduzione di cui al paragrafo precedente, che i costi sostenuti per la presentazione di una domanda, un’istanza o una richiesta all’amministrazione costituiscono un costo rientrante nel c.d. “rischio di impresa”, che non può essere traslato sull’amministrazione.
17.6.1. Deve ritenersi, infatti, che tale costo non sarebbe stato rimborsabile anche in caso di conseguimento del bene della vita e che esso, dunque, costituisce, al contempo, un investimento e anche un rischio dell’impresa, funzionale alla previsione di guadagno in astratto quantificata (Cons. Stato, sez. VI, 17 febbraio 2017, n. 731; sez. V, 12 aprile 2016, n. 1904; sez. V, 28 luglio 2015, n. 3716; sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2384, in materia di appalti pubblici, ma con principi chiaramente congruenti nel caso di specie).
18. Le considerazioni suesposte inducono a rigettare la domanda di risarcimento del danno, proposta in via principale dall’appellante.
19. Può procedersi all’esame della domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, formulata dall’appellante, in via subordinata.
19.1. La domanda è infondata.
19.2. In base all’evoluzione giurisprudenziale, può affermarsi che il danno da perdita di chance si configura allorché si verifica “la perdita della sola possibilità di conseguire un risultato vantaggioso (ovvero di evitarne uno sfavorevole)”.
Come è stato acutamente osservato, si tratta di una figura che assume una fisionomia cangiante a seconda che venga declinata nell’ambito della responsabilità extracontrattuale o in quella contrattuale, nonchè con riferimento al danno patrimoniale o non patrimoniale.
Essa registra, inoltre, significative differenze sul versante applicativo, come ad esempio quelle derivanti dall’adesione all’una o all’altre delle due concezioni – quella ontologica e quella eziologica -, che ne influenza chiaramente i profili relativi all’accertamento, alla liquidazione e ai poteri del giudice.
19.3. Ritiene il Collegio che si debba aderire a quella giurisprudenza, largamente maggioritaria, che à ncora il risarcimento della chance all’esistenza di una possibilità connotata da un serio e concreto margine circa il conseguimento del bene della vita (o dell’utilità finale), seppure con le puntualizzazioni che si vanno ad esporre.
19.3.1. A dispetto di ogni disputa nominalistica circa una simile opzione, va evidenziato che il sistema della responsabilità civile non indulge nel risarcimento di mere aspettative di fatto, aspirazioni di lucro oppure implausibili o infondati desiderata dei consociati – è impossibile citare le innumerevoli sentenze che hanno posto le coordinate ermeneutiche della responsabilità civile. Per quel che qui interessa, in relazione alle linee essenziali del sistema, ci si limita a richiamare, Cass. civ., sez. un., n. 174 del 26 gennaio 1971; nn. 500 e 501 del 22 luglio 1999; n. 26975 dell’11 novembre 2008, (quest’ultima, specialmente, per i “limiti” all’espansione della risarcibilità del danno, sia pure in ambito non patrimoniale, ma con chiare indicazioni di sistema) – ma riconosce il diritto alla reintegrazione della propria sfera giuridica, mediante il riconoscimento di una somma di denaro quale equivalente patrimoniale di un determinato bene, che si sarebbe dovuto conseguire o che non si sarebbe dovuto perdere a causa dell’illecito subito, soltanto laddove questo bene (o la sua “proiezione” come interesse giuridicamente rilevante, variamente articolata quale diritto soggettivo, interesse legittimo, aspettativa di diritto, possesso, etc.) effettivamente sussista nella sfera giuridica o sussista la certezza della sua spettanza (comprovata con i noti criteri in materia di causalità materiale e giuridica).
19.3.2. In ragione di questa premessa, il concetto di “possibilità ” che permette il risarcimento della chance non può essere individuato in qualsiasi ipotetica eventualità di conseguimento del risultato, ma, come più volte statuito, nella “probabilità seria e concreta” o anche “elevata probabilità ” di conseguire il bene della vita sperato (Cons. Stato, Sez. V, 15 novembre 2019, n. 7845; di recente, con riferimento alla chance non patrimoniale, Cass. civ., Sez. III, 11 novembre 2019 n. 28993).
La richiamata “probabilità ” deve correlarsi a dati reali, senza i quali risulta impossibile valutare quanto fosse verosimile (id est, giuridicamente fondata), seppure in via meramente ipotetica, l’occasione di conseguire un determinato bene (Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 2019, n. 697).
19.3.3. In base a quanto osservato, dunque, la chance non comprende, a parere del Collegio, quel bene giuridico che ha consistenza di mera possibilità di conseguimento del risultato, ma quel bene giuridico (rispetto al quale può tanto configurarsi un diritto soggettivo, quanto un interesse legittimo, quanto, ipoteticamente, altra situazione giuridica di vantaggio) che ha consistenza di “probabilità seria e concreta” di conseguire un risultato favorevole.
19.4. A tale proposito, va evidenziato che non si deve confondere, con riferimento alla fattispecie de qua, la questione relativa alla consistenza (ove l’illecito fosse mancato) dell’eventualità del conseguimento del risultato finale, con i profili e gli aspetti problematici del nesso di causalità .
19.4.1. Il primo aspetto, infatti, è estraneo rispetto al giudizio sull’accertamento dell’elemento costitutivo della fattispecie consistente nel nesso di causalità, ma riguarda, invece, la verifica dell’effettiva sussistenza di una situazione giuridica soggettiva che si assume violata e a cui dare tutela.
La valutazione relativa al “grado di consistenza” della chance rileva, dunque, sotto il profilo dell’accertamento dell’ingiustizia del danno e non del nesso di causalità, e deve essere compiuta dal giudice secondo le evidenze del caso concreto, per verificare che il fatto lesivo è effettivamente illecito, perché ha inciso, in maniera ingiustificata, su una situazione giuridicamente meritevole di tutela e non rispetto ad una mera aspirazione, ad un interesse di fatto o a circostanze che non assurgono al rango di “bene della vita”.
19.4.2. I profili di causalità, rispetto alla fattispecie di danno di cui si discorre, andranno accertati, invece, come segue:
– la causalità materiale dovrà intercorrere in termini di certezza, seppure accertata secondo la regola del “più probabile che non”, tra la condotta illecita e asseritamente lesiva (nel caso in esame, in ipotesi, l’emanazione di un provvedimento illegittimo) e la lesione, per l’appunto, della situazione di vantaggio (nel caso di specie, la compromissione definitiva dell’asserita probabile occasione di conseguire l’autorizzazione alla realizzazione e alla gestione dell’impianto);
– la causalità giuridica dovrà intercorrere fra questa lesione (la compromissione definitiva dell’asserita probabile occasione di conseguire l’autorizzazione alla realizzazione e alla gestione dell’impianto) e il tipo di pregiudizio patrimoniale che si assume essersi prodotto (ossia, il non avere potuto gestire con profitto l’impianto e non avere, conseguentemente, fruito dei vantaggi patrimoniali da ciò discendenti).
19.4.3. Dunque, senza che assuma rilievo, rispetto a questo specifico presupposto costitutivo della fattispecie, il grado di possibilità, probabilità o certezza del conseguimento del risultato finale.
19.5. Ebbene, muovendosi lungo queste coordinate ermeneutiche, il Collegio rileva l’insussistenza della chance per come sopra individuata.
19.5.1. Le evidenze del procedimento, come prima enucleate e messe in risalto, comprovano che non vi è alcuna ragionevole evidenza della sussistenza del bene giuridico che si assume violato, ossia alcun elemento o prova che convinca questo Collegio che la società avrebbe conseguito o avrebbe ragionevolmente potuto conseguire l’autorizzazione, ove non si fosse verificata l’illegittimità dichiarata dalla sentenza del T.a.r..
L’ampia discrezionalità di cui ancora gode l’amministrazione regionale, competente alla decisione finale, e l’assenza di atti istruttori e determinazioni endo procedimentali positive da parte delle altre autorità amministrative intervenute nel procedimento – che questo Collegio, come rilevato ai § § 17 e ss., non ha ravvisato – inducono a ritenere che, rispetto al conseguimento dell’autorizzazione, la società non vantasse nulla più di una “mera aspettativa di fatto o generiche ed astratte aspirazioni di lucro”, non suffragate da alcun elemento concreto, idoneo a configurarle come qualcosa di più consistente ai fini di un eventuale risarcimento del danno.
19.5.2. Inoltre, da un punto di vista causale, non è stata l’illegittimità del provvedimento a far scaturire l’impossibilità di conseguire il bene della vita agognato (cioè l’autorizzazione alla realizzazione e alla gestione dello stabilimento), bensì, come dedotto dalla medesima appellante, nel ricorso di primo grado, la circostanza che “i proprietari dei terreni hanno deciso di risolvere i contratti d’affitto con patto di futura vendita rendendo impossibile la realizzazione della centrale” (cfr. pag. 4 del ricorso introduttivo).
19.6. In definitiva, dunque, non sussistendo alcuna chance, per come definita, anche la domanda proposta in via subordinata va respinta.
20. Nondimeno, è opportuno puntualizzare che, qualora la società lo richieda, ritenendolo comunque vantaggioso, la Regione dovrà riattivare il procedimento, a partire dalla data di svolgimento della conferenza di servizi del 19 settembre 2011, esaminando tutte le criticità ivi riscontrate e acquisendo le soluzioni offerte dalla ditta, in tempi certi e stringenti, pari al massimo a 60 giorni.
Ove ciò avvenga, il procedimento dovrà essere condotto nel rispetto dei principi stabiliti da questo Consiglio, in materia di sopravvenienze (cfr., specialmente, Cons. Stato, Ad. plen. 9 giugno 2016, n. 11), ovvero dovranno considerare irrilevanti le sopravvenienze successive alla formazione del giudicato cassatorio (formatosi decorsi 60 gg dalla notifica dell’appello da parte della ditta Edima), mentre saranno rilevanti le sopravvenienze precedenti a questa data.
21. In conclusione, dunque, l’appello va respinto.
22. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. r.g. 9225 del 2020, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado.
Condanna l’appellante alla rifusione, in favore della Regione Abruzzo, delle spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 febbraio 2021, svoltasi da remoto in video conferenza ai sensi dell’art. 25 D.L. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Michele Conforti – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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