Concorso nel reato di sostituzione di persona

Corte di Cassazione, sezione penale, Sentenza 24 ottobre 2019, n. 43569.

Massima estrapolata:

In tema di concorso nel reato di sostituzione di persona, non integra un comportamento inerte e non punibile il fatto che il concorrente sostituto non abbia direttamente dichiarato il falso nome e la falsa qualità parentale attribuitasi, ma abbia inequivocabilmente prestato acquiescenza alla dichiarazione falsa da altri proposta, tanto più se seguita dalla ripetuta utilizzazione da parte sua della falsa identità

Sentenza 24 ottobre 2019, n. 43569

Data udienza 21 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CATENA Rossella – Presidente

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrin – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matild – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/09/2018 della CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. BRANCACCIO MATILDE;
udito il Sostituto Procuratore Generale che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per il terzo motivo del ricorso ed il rigetto nel resto;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), quale tutore di (OMISSIS), e di (OMISSIS), il quale si riporta alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese e alla nuova nomina per (OMISSIS).
Udito l’avv. (OMISSIS), in difesa di (OMISSIS), il quale si riporta alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese;
Udito altresi’ l’avv. (OMISSIS), in difesa dell’imputato, che si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. La decisione in epigrafe ha confermato la sentenza del 8.7.2015 del Tribunale di Torino con la quale (OMISSIS) e’ stato condannato, a seguito di giudizio abbreviato, alla pena di venti giorni di reclusione convertita nella pena pecuniaria di Euro 5.000 di multa, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivati alle costituite parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultima in proprio e quale tutrice di (OMISSIS), in relazione al reato di concorso in sostituzione di persona aggravato ai sensi dell’articolo 112 c.p., comma 1, n. 1, (l’aggravante e’ stata ritenuta sub valente rispetto alle circostanze attenuanti generiche, pure riconosciute).
La vicenda, invero abbastanza complessa, attiene alla sostituzione di persona posta in essere dall’imputato, facente parte dello staff della trasmissione televisiva “(OMISSIS)”, per poter realizzare un servizio giornalistico sulle ragioni del ricovero in struttura medico-assistenziale di una donna affetta da oligofrenia grave e per questo interdetta ( (OMISSIS)), sottratta alla tutela della madre, (OMISSIS), che aveva esposto il suo caso alla redazione del programma, per passare sotto la tutela di altro familiare la sorella (OMISSIS) – al fine di garantirne, secondo gli accertamenti socio-sanitari, un migliore accudimento ed il contenimento della grave malattia psichiatrica.
Precisamente, l’imputato, in concorso con una donna rimasta non meglio identificata e con (OMISSIS), autore del servizio giornalistico intitolato “(OMISSIS)”, nonche’ con la citata (OMISSIS) ed un’altra delle sorelle di costei – (OMISSIS) induceva in errore la citata (OMISSIS), responsabile della Comunita’ Alloggio “(OMISSIS)”, e (OMISSIS), tutrice dell’interdetta, sulla sua identita’, fingendosi un parente (un cugino) di quest’ultima, in modo tale da poter riprendere e filmare le immagini dell’incontro e realizzare una indebita “intervista” alla responsabile della Comunita’, che, ignara, si lasciava andare a confidenze private sul rapporto tra la paziente e la sua famiglia, si’ da realizzare il vantaggio ingiusto costituito dal predetto servizio di giornalismo d’inchiesta.
2. Avverso il citato provvedimento propone ricorso l’imputato, tramite il suo difensore avv. (OMISSIS), deducendo tre motivi di ricorso.
2.1. La prima eccezione difensiva si riferisce alla violazione di legge ed al vizio di manifesta illogicita’ della motivazione quanto alla ritenuta configurabilita’ di una condotta di concorso del ricorrente nel delitto di sostituzione di persona, poiche’, invece, la condotta del (OMISSIS) non avrebbe mai superato il confine della semplice omissione incolpevole, senza alcun coinvolgimento nel reato, che richiede necessariamente una condotta positiva o attiva dell’agente. La madre dell’interdetta, infatti, aveva provveduto di sua iniziativa, a porre in essere tutte le attivita’ che hanno poi dato luogo all’inganno per la sostituzione di persona, comunicando alla responsabile (OMISSIS) e, per il tramite suo, alla tutrice, che sarebbe andata in struttura con un cugino della assistita, chiamato (OMISSIS) (in realta’ davvero esistente, ma ovviamente solo omonimo dell’imputato). Alcun contegno attivo e’ stato posto in essere dall’imputato, che si e’ introdotto nella struttura per un equivoco, senza mai dar luogo ad esso con un comportamento proprio e positivo.
2.2. Con il secondo argomento difensivo si deduce violazione di legge e vizio di manifesta illogicita’ della motivazione quanto alla esclusione della scriminante dell’articolo 51 c.p..
Il giornalismo d’inchiesta richiede una quota di condotta che investiga le fonti e la notizia: il ricorso elenca tutte le attivita’ che hanno connotato l’azione dell’imputato, illustrando la sua attenzione per la verifica della attendibilita’ della segnalazione ricevuta dalla madre dell’interdetta, che lamentava le fosse stata tolta la tutela e le fossero state contingentate le visite ed i contatti con la figlia, nonche’ la particolare rilevanza della notizia, che effettivamente rivestiva un notevole interesse giornalistico, finalizzato a capire se le attivita’ socio-assistenziali avevano a mente il benessere effettivo della paziente psichiatrica-soggetto debole, viste le modalita’ che avevano connotato la modifica delle condizioni di tutela, sia soggettive che oggettive (alla madre era stato impedito per 40 giorni di vedere la figlia e poteva ora farle visita solo per un’ora a settimana).
Non rispondeva al vero, peraltro, che il ricorrente avesse filmato comportamenti isterici ed autolesionistici della interdetta, ma piuttosto la sua incontenibile felicita’ nel rivedere la madre, che costituiva proprio l’oggetto dell’inchiesta giornalistica, mentre l’aggressivita’ risultava collegata al timore di vederla riandare via (cosa che e’ documentata accadesse ogni volta); cosi’ come di interesse pubblico era la videoripresa del comportamento sconcertante della responsabile del centro – la sig.ra (OMISSIS) – che sgridava violentemente la paziente, minacciandola anche di far andar via la madre. Infine, anche l’intervista surrettiziamente carpita alla (OMISSIS) dal ricorrente andava nel segno di comprendere la reale situazione sottostante alla vicenda assistenziale e si mostrava di particolare interesse per le forti perplessita’ che la donna manifestava sulla correttezza socio-sanitaria di quanto era in atto, con la separazione forzata della madre dalla figlia ed il suo ricovero obbligato.
Emerge, pertanto, la necessita’ dell’attivita’ di accesso diretto alla fonte posta in essere dal ricorrente, utile e prodromica alla corretta informazione dell’opinione pubblica su un tema di rilevanza certamente generale.
Nello specifico, inoltre, la pubblicazione del servizio televisivo ha reso possibile un confronto tra gli operatori coinvolti e una modifica delle condizioni di visita della madre della interdetta, in uno alla rivalutazione piu’ approfondita della situazione sociosanitaria complessiva.
2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge in relazione all’applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014 in materia di liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi della L. n. 247 del 2012, articolo 13, comma 6, nonche’ del decreto n. 37 del 2018 in punto di liquidazione delle spese in favore delle parti civili. E’ stata liquidata a ciascuna parte civile la somma di 1800 Euro, in luogo dell’aumento del 30% dovuto nel caso un unico difensore che difenda piu’ parti civili, come per la posizione di (OMISSIS) e (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ nel complesso infondato e deve essere rigettato.
2. Il primo dei motivi di impugnazione e’ infondato, ai limiti dell’inammissibilita’, essendo in parte anche rivolto a chiedere una rivalutazione della piattaforma probatoria e una diversa decisione di merito quanto alla attribuzione di responsabilita’ dell’imputato per il concorso nel reato di sostituzione di persona, aspetti insindacabili in sede di legittimita’ in mancanza di evidenti vizi motivazionali che attengano alla manifesta illogicita’ dell’argomentare del provvedimento impugnato e di violazioni di legge sul punto (ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; nonche’ Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965). Peraltro, il motivo riproduce quasi del tutto fedelmente la ragione difensiva gia’ esaminata dal giudice di secondo grado.
2.1. Invero, la Corte di Appello di Torino ha spiegato le ragioni sulla base delle quali ritiene sussistente una condotta di concorso dell’imputato nel reato di sostituzione di persona realizzato unitamente all’autore del servizio giornalistico per la trasmissione televisiva “(OMISSIS)” ( (OMISSIS)) ed alla madre ed alla sorella di (OMISSIS), donna affetta da oligofrenia grave e per questo,interdetta e ricoverata nella struttura Comunita’ Alloggio “(OMISSIS)” di (OMISSIS), ripercorrendo meticolosamente la vicenda, a partire dalla sua genesi.
La madre dell’interdetta, e coimputata, (OMISSIS), si era rivolta alla redazione de “(OMISSIS)” per rappresentare la situazione di ingiustizia che pensava di aver subito unitamente alla figlia, sottratta alla sua tutela con provvedimento del Tribunale di Torino del 15.4.2011, perche’ ritenuta inidonea ad assicurare le necessarie cure e assistenze socio-sanitarie per il contenimento della malattia, ed affidata alla tutela della sorella (OMISSIS), che aveva deciso il ricovero in una struttura assistenziale specializzata, in cui erano stati previsti anche orari contingentati di frequentazione tra la paziente e la madre nell’interesse del recupero della prima da una situazione di scarso contenimento della malattia, causata proprio dalle inadeguate cure somministratele nella precedente fase di vita.
La (OMISSIS), infatti, si opponeva a contatti della paziente con persone estranee al nucleo familiare ed alle visite presso i servizi sociali deputati a favorirne il miglior inserimento sociale ed un percorso di integrazione cognitiva della paziente, ritenendole foriere di possibili pericoli per la figlia oligofrenica e, sostanzialmente, aveva costruito con costei un rapporto esclusivo e chiuso all’esterno; la paziente era stata trovata, al momento dell’ingresso nella struttura assistenziale, anche in precarie condizioni psicomotorie dovute ad una irregolare somministrazione dei necessari farmaci.
In tale contesto, le doglianze della madre circa l’interruzione forzata del rapporto con la figlia malata erano state prese in considerazione dalla redazione de (OMISSIS) e si era deciso di realizzare un servizio d’inchiesta per approfondire la vicenda.
2.2. Ebbene, le modalita’ con le quali doveva realizzarsi tale servizio giornalistico e si doveva fare ingresso nella clinica medica erano state architettate e realizzate secondo la logica e concorde ricostruzione dei giudici di merito di primo e secondo grado – sia da chi effettuo’ in concreto il servizio per conto de (OMISSIS), sia dalla madre della paziente che da un’altra sorella di costei ( (OMISSIS)): evidente l’apporto concorsuale di tutti ed il contributo morale e materiale indispensabili dell’imputato, il quale si e’ finto un parente della paziente oligofrenica (e precisamente un cugino di nome (OMISSIS)), realmente esistente, ed ha ottenuto l’autorizzazione della tutrice e della responsabile della struttura, sicche’ ha potuto far ingresso nella Comunita’ (OMISSIS) il giorno (OMISSIS) proprio grazie a questo stratagemma e fingendosi consapevolmente una persona diversa.
La realizzazione di tale condotta, lungi dall’integrare un comportamento meramente omissivo ed incolpevole, accondiscendente alle azioni di (OMISSIS) che lo ha introdotto come parente, ha rappresentato, invece, una azione di partecipazione al reato molto concreta, attuata attraverso il presentarsi personalmente nella struttura e nell’assumere la veste di un cugino della paziente, sia pur con l’ausilio della madre di costei, poiche’ ai fini della configurabilita’ del concorso nel reato, non rileva se la sostituzione sia avvenuta con espressa dichiarazione verbale del sostituto ovvero con indiretta ma inequivoca acquiescenza di questi alla dichiarazione da altri proposta, tanto piu’ se seguita, come nel caso del ricorrente, dalla ripetuta utilizzazione da parte sua della falsa qualita’ parentale.
Ed infatti, la sussistenza del contributo consapevole e necessario del ricorrente e’ stata correttamente evidenziata dalla Corte d’Appello proprio facendo leva sul fatto che secondo la ricostruzione dei giudici di merito, sul punto incontestata – il ricorrente si e’ finto il “cugino (OMISSIS)” non soltanto al momento dell’ingresso in struttura, ma anche successivamente, nelle fasi piu’ concitate della visita, quandoicioe’, (OMISSIS) ha mostrato gravi segni di scompenso emotivo, che hanno richiesto l’intervento della responsabile, con modalita’ tutte filmate e registrate dall’imputato grazie a microfoni e telecamere nascoste, nonche’ al momento del colloquio su dati sensibili della paziente, avuto con la citata direttrice responsabile della Comunita’ assistenziale.
I contributi causali alla sostituzione di persona, svolti da entrambi i principali protagonisti dell’azione delittuosa, dunque, sono allo stesso modo indispensabili, l’uno sorreggendo quello dell’altro, con l’obiettivo di consentire al ricorrente di entrare nella struttura e realizzare le riprese utili al servizio giornalistico.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha, infatti, da tempo individuato le condizioni per la configurabilita’ del concorso di persone nel reato, ritenendo necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilita’ della produzione del reato (Sez. 6, n. 1986 del 6/12/2016, dep. 2017, Salamone, Rv. 268972; Sez. 6, n. 7621 del 30/10/2014, Pappalardo, Rv. 262492; Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, Merola, Rv. 258185; Sez. 6, n. 2297 del 13/11/2013, dep. 2014, Paladini, Rv. 258244).
Sono state escluse dall’area di punibilita’ soltanto quelle condotte effettivamente di contenuto del tutto passivo, nelle quali coloro che erano stati meramente presenti al reato senza che vi fosse alcuna prova di un loro atteggiamento partecipativo (in qualunque momento realizzato), non sono stati ritenuti concorrenti nel delitto: e’ il caso di chi viaggi come passeggero in una autovettura appartenente ad altri e nella quale venga rinvenuta sostanza stupefacente occultata all’interno del cruscotto (Sez. 6, n. 1986 del 6/12/2016, dep. 2017, Salamone, Rv. 268972; Sez. 6, n. 7621 del 30/10/2014, dep. 2015, Pappalardo, Rv. 262492; Sez. 4, n. 4383 del 10/12/2013, dep. 2014, Merola, Rv. 258185; Sez. 6, n. 36818 del 22/5/2012, Amato, Rv. 253347; pronunce tutte rese sul tema del concorso nel reato di detenzione illecita di stupefacenti).
Non confortano la tesi difensiva neppure gli elementi differenziali tra la connivenza non punibile ed il concorso nel delitto, poiche’ la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (da ultimo v. Sez. 4, n. 4055 del 12/12/2013, dep. 2014, Benocci, Rv. 258186; Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rapushi, Rv. 265167; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Caradonna, Rv. 264454; piu’ risalenti: Sez. 2, n. 3274 del 20/11/1973, dep. 1974, Gianmarco, Rv. 126801; Sez. 1, n. 8193 del 06/07/1987, dep. 1988, Mango, Rv. 178884).
E’ evidente che nel caso in esame fondatamente la Corte d’Appello ha ritenuto che non si sia in presenza di un comportamento meramente inerte e passivo del ricorrente, ma di una condotta che, scientemente, non soltanto agevola ma rende possibile, con un indispensabile contributo, la commissione del reato di sostituzione di persona) unitamente alla complice che lo introduce nella struttura assistenziale per l’incontro con la paziente e l’intervista, presentandolo come un parente.
In conclusione, in tema di concorso nel reato di sostituzione di persona, non integra un comportamento inerte e non punibile il fatto che il concorrente sostituto non abbia direttamente dichiarato il falso nome e la falsa qualita’ parentale attribuitasi, ma abbia inequivocabilmente prestato acquiescenza alla dichiarazione falsa da altri proposta, tanto piu’ se seguita dalla ripetuta utilizzazione da parte sua della falsa identita’.
2.3. Egualmente corrette appaiono le conclusioni e le argomentazioni della sentenza impugnata quanto alla qualificazione giuridica della condotta concorsuale sopra descritta quale reato di sostituzione di persona, motivo, peraltro, solo alquanto genericamente evincibile dalla prima argomentazione difensiva, che prospetta, ancora una volta, in tal senso, la necessita’ di una condotta fattiva e non del mero giovarsi dell’errore altrui generato da terzi.
Partendo dalla lettera normativa dell’articolo 494 c.p., il reato si configura quando taluno, al fine di procurare a se’ o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a se’ o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualita’ a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Si tratta di un reato a forma libera (Sez. 5, n. 11406 del 12/6/2014, Resta, Rv. 263057), in cui il vantaggio rappresenta il dolo specifico di fattispecie (Sez. 5, n. 11087 del 15/12/2014, Volpicelli, Rv. 263103; Sez. 5, n. 2543 del 21/12/1984, dep. 1985, Barbieri, Rv. 168349) e puo’ essere patrimoniale o non patrimoniale (Sez. 5, n. 41012 del 26/5/2014, Cimadomo, Rv. 260493, in una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il reato del calciatore che si sia sostituito ad altro con la finalita’ di giocare una partita; Sez. 5, n. 3207 del 23/01/1981, Bertolucci, Rv. 148355).
La giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ ha tracciato, infatti, in fattispecie spesso molto differenti tra loro, i caratteri fondamentali di sussistenza del reato: si e’ escluso, in primo luogo, che la fattispecie incriminatrice richieda necessariamente la falsa attribuzione al soggetto agente di una qualifica pubblicistica, essendo sufficiente l’esposizione di una qualita’ personale a cui la legge ricolleghi specifici effetti giuridici (Sez. 5, n. 11406 del 12/06/2014, dep. 2015, Resta, Rv. 263057; Sez. 6, n. 4394 del 08/01/2014, Spinelli, Rv. 258281; cfr. anche Sez. 5, n. 35027 del 17/5/2016, Bonora, Rv. 267550, in motivazione).
Si e’ poi individuato l’ambito applicativo della nozione di “effetto giuridico” indicata dal legislatore in un’accezione molto ampia.
In tal senso, si e’ condivisibilmente affermato che la formulazione della norma conferisce alla nozione di effetto giuridico, a tal fine rilevante, un ampio contenuto, comprensivo di conseguenze attinenti ai piu’ vari aspetti dei rapporti sociali, purche’ determinate; fra le quali, esemplificativamente, le facolta’ connesse all’esercizio di una professione (Sez. 2, n. 30229 del 05/06/2014, Martini, Rv. 260034); il diritto alla retribuzione derivante da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (Sez. 2, n. 44955 del 01/12/2010, Losi, Rv. 248731); gli aspetti civili ed amministrativi della qualita’ di ministro di culto (Sez. 5, n. 41142 del 19/06/2008, Prencipe, Rv. 241590); la legittimazione del proprietario di un terreno ad ottenere un certificato di destinazione urbanistica dello stesso (Sez. 5, n. 19472 del 20/12/2006, dep. 2007, De Gregorio, Rv. 236632); l’abilitazione alla richiesta di informazioni presso privati cittadini, connessa all’attribuzione della qualita’ di dipendente di un’associazione di servizio ed al conseguente affidamento che la stessa crea nel privato interlocutore (Sez. 5, n. 8670 del 11/12/2003, dep. 2004, Barcella, Rv. 228743); la falsa attribuzione della qualita’ di incaricata di una associazione di quartiere per la redazione di un questionario, che produce l’effetto giuridico di attribuire la facolta’ di contattare i cittadini, anche mediante accesso alle private abitazioni, per acquisire informazioni (Sez. 5, n. 35027 del 17/5/2016, Bonora, Rv. 267550).
In alcuni casi, la sostituzione ha riguardato proprio la attribuzione dello status personale di parentela con taluno, in realta’ inesistente (Sez. 5, n. 11087 del 15/12/2014, Volpicelli, Rv. 263103).
Il reato in esame, poi, si configura nel caso di attribuzione di un falso nome, sia quando questo sia immaginario sia quando appartenga ad altra persona (Sez. 2, n. 4250 del 21/12/2011, dep. 2012, Pinci, Rv. 252203; Sez. 5, n. 36094 del 27/9/2006, Fantone, Rv. 235489; Sez. 2, n. 2224 del 14/11/1969, dep. 1970, Petrocchi, Rv. 114114).
La condotta del ricorrente rientra senza dubbio nei canoni di configurabilita’ della fattispecie ora delineati, da un lato perche’ egli si e’ attribuito un falso nome riferibile a soggetto esistente e, dall’altro, perche’ la sostituzione ha riguardato oltre che il nomen soprattutto la qualita’ di parente della paziente, indispensabile ad ottenere l’autorizzazione all’incontro ed al colloquio con costei e che ha dato luogo allo specifico effetto giuridico, costituito dalla facolta’ di trattenersi con la paziente (le cui reazioni sono state filmate, videoregistrate e diffuse) e di instaurare una conversazione (poi tramutata in intervista con videoripresa nascosta) con la direttrice responsabile della struttura di accoglienza, la quale, credendolo un cugino della persona sottoposta alle sue cure, gli forniva informazioni riservate.
Evidente il vantaggio derivato al ricorrente dallo sfruttamento della relazione familiare falsamente spesa e costituito, appunto, dall’aver acquisito videoriprese e registrazioni audio, con le quali ha, poi, contribuito a formare il servizio televisivo dal titolo “(OMISSIS)” diffuso dalla trasmissione (OMISSIS), nell’ambito del cui staff di lavoro egli era inserito.
3. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato.
Il tema e’ quello dei confini della scriminante del diritto di cronaca giornalistica, prevista dall’articolo 51 c.p., in particolare con riferimento al cd. giornalismo d’inchiesta, formula sempre piu’ presente nel linguaggio moderno per definire una particolare modalita’ di esposizione di notizie di interesse pubblico, ricercate e poi diffuse attraverso un percorso di emersione di testimonianze dirette e accertamenti veri e propri compiuti dalle redazioni, ovvero dalle trasmissioni televisive dedicate al genere. Secondo la prospettazione difensiva, il giornalismo d’inchiesta richiede una quota di necessaria investigazione sulla notizia, prodromica alla sua definizione e, ovviamente, alla sua diffusione pubblica; sempre sorretta dall’attenzione alla attendibilita’ delle fonti della segnalazione iniziale; rispettosa della sfera privata delle persone coinvolte e, soprattutto, indispensabilmente collegata all’interesse pubblico rilevante della notizia che si intende diffondere.
In presenza di tali requisiti, sarebbe scriminata l’azione del giornalista utile e, anzi, necessaria alla acquisizione della notizia nei suoi contenuti di verita’ e dettaglio, funzionale alla corretta informazione dell’opinione pubblica su un tema di rilevanza generale.
Gli elementi di configurabilita’ della scriminante del diritto di cronaca d’inchiesta cosi’ come individuati, sarebbero tutti ritrovabili nella condotta dell’imputato: la verifica sulla fonte iniziale (la madre della paziente oligofrenica) e’ stata accuratamente svolta; non sono stati mai travalicati i limiti di una corretta condotta professionale, poiche’ non risponderebbe al vero quanto affermato in sentenza circa l’invasivita’ dei filmati rispetto alla sfera personale della paziente ricoverata ed alle reazioni avute alla vista della madre; anche le videoriprese carpite alla responsabile della Comunita’, (OMISSIS), e la sua intervista mostravano indispensabili aspetti della ricostruzione della vicenda; sussistono, infine, innegabilmente i caratteri della rilevanza e dell’interesse pubblici alla notizia, volta a mostrare eventuali deficit ed illegittimita’ operative dell’assistenza sociosanitaria in un caso paradigmatico.
3.1. La tesi difensiva non puo’ essere accolta.
Invero, deve premettersi come, senza dubbio, la condotta del giornalista possa legittimamente consistere nella acquisizione della notizia non soltanto ricevuta passivamente dalla fonte, ma anche ricercata attivamente attraverso un’attivita’ di contatto con la fonte stessa ovvero di verifica documentale e di riscontro attraverso l’individuazione di ulteriori soggetti che ricostruiscano a tutto tondo la notizia, al fine di informare l’opinione pubblica nel modo piu’ corretto ed ampio possibile su vicende di rilievo generale.
Fermi i requisiti di operativita’ della scriminante, costituiti dalla rilevanza pubblica della notizia, dalla continenza espressiva e dalla veridicita’ della notizia, la cifra distintiva che caratterizza il cd. giornalismo d’inchiesta nella valutazione di bilanciamento tra i diritti costituzionali in gioco (in estrema sintesi, quello alla liberta’ di manifestazione del pensiero ed all’informazione e – di contro – quello alla tutela della dignita’ e riservatezza personali), sta principalmente nel fatto che e’ possibile, in tale ambito, una meno rigorosa verifica di attendibilita’ delle fonti, direttamente contattate dal giornalista, sebbene sia sempre richiesta la correttezza nella acquisizione del dato notiziale, nel rispetto dei criteri deontologici previsti per l’attivita’ professionale giornalistica dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, articolo 3 e della liceita’, secondo le regole dell’ordinamento giuridico di riferimento (cfr. in tema Sez. 5, n. 14513 del 2/3/2011, Mauro).
Alla stregua della giurisprudenza della Cassazione civile citata dal ricorrente, infatti, al cosiddetto giornalismo d’inchiesta, quale species piu’ rilevante della attivita’ di informazione, connotata (come riconosciuto anche dalla Corte di Strasburgo) dalla ricerca ed acquisizione autonoma, diretta ed attiva, della notizia da parte del professionista, va riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare, in relazione ai limiti regolatori dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica gia’ individuati dalla giurisprudenza di legittimita’, una meno rigorosa, e comunque diversa, applicazione della condizione di attendibilita’ della fonte della notizia; venendo meno, in tal caso, l’esigenza di valutare la veridicita’ della provenienza della notizia, che non e’ mediata dalla ricezione “passiva” di informazioni esterne, ma ricercata, appunto, direttamente dal giornalista, il quale, nell’attingerla, deve pur sempre ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attivita’ professionale, quali, tra l’altro, quelli menzionati nella L. 3 febbraio 1963, n. 69 e nella Carta dei doveri del giornalista (Cass. civ., Sez. 3, n. 16236 del 9/7/2010, Rv. 614076).
Tuttavia, al giornalismo di inchiesta, che ricerca “attivamente” ed “autonomamente” la notizia, deve essere si’ riconosciuta ampia tutela ordinamentale ed una peculiare soglia di verifica di attendibilita’ delle fonti, ma devono applicarsi pur sempre le ordinarie regole previste dall’ordinamento penale in materia di operativita’ delle scriminanti, tanto piu’ che, tra i principi ispiratori deontologici dettati dal Testo Unico dei doveri del giornalista (approvato dal Consiglio Nazionale nella riunione del 27/1/2016), si possono ritrovare il rispetto dei diritti fondamentali delle persone e delle norme di legge poste a loro salvaguardia e l’osservanza dei doveri imposti dalla lealta’ e dalla buona fede.
A questi doveri deve improntarsi sempre l’attivita’ del giornalista, dunque, anche dal punto di vista deontologico, fatta salva, pare ovvio, la scriminante della cronaca o della critica giornalistica in presenza della contestazione del reato “proprio”, confliggente con il diritto all’informazione rappresentato dalla diffamazione.
La scriminante suddetta, infatti, anche con riferimento al cd. giornalismo d’inchiesta, e’ stata correlata pur sempre al reato di diffamazione (cfr. Sez. 5, n. 2092 del 30/11/2018, dep. 2019, Di Mambro, Rv. 275409; Sez. 5, n. 38096 del 7/10/2010, Patruno, Rv. 248902), fattispecie speculare alla condotta di libero esercizio del diritto di cronaca garantita dall’articolo 21 Cost., in cui il collegamento con il diritto fondamentale in bilanciamento e’ diretto.
Nel parametrare, invece, la scriminante al reato di sostituzione di persona, si coglie immediatamente che il diritto d’informazione rileva soltanto indirettamente. con una forma di bilanciamento mediato che non e’ quella tradizionalmente corrispondente alla verifica della contrapposta tutela dei valori in gioco; in altre parole, la condotta che si chiede di scriminare e’ solo strumentale all’esercizio del diritto di informazione e non ne rappresenta la sua espressione, come nel reato di diffamazione, mentre si realizza attraverso la violazione delle leggi penali, non consentita ne’ scriminata poiche’ non rappresenta il contraltare inevitabile dell’esercizio del diritto.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi suddetti, sottolineando come il giornalista non possa realizzare un inganno tale da sostituirsi ad altra persona per carpire informazioni alla fonte, ne’, in generale, deve ritenersi che egli possa commettere reati strumentali, prodromici e funzionali alla acquisizione della notizia, sia pur di interesse pubblico, contando sull’effetto “salvifico” della scriminante dell’esercizio del diritto ad informare, che verra’ eventualmente in rilievo soltanto all’esito dell’acquisizione di tale notizia, con riferimento alla sua diffusione ed al rispetto dei valori in gioco direttamente attinti da una prospettazione di essa eventualmente lesiva della dignita’ e dell’onore altrui.
A ritenere altrimenti, non soltanto la sostituzione di persona, ma anche il furto o la rapina (ad esempio di documentazione rilevante da pubblicare) ovvero persino reati che siano diretti alla lesione dell’integrita’ fisica altrui potrebbero essere scriminati: e’ evidente, dunque, che nel caso di specie, come in quelli esemplificativi citati, il diritto all’informazione rappresenta nient’altro che il movente della condotta di reato e non costituisce la realizzazione concreta di esso, come accade nel delitto di diffamazione.
4. Il terzo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. Risulta al Collegio, per quel che consta dagli atti in suo possesso, che in appello gli avvocati fossero due e non uno solo: (OMISSIS) per (OMISSIS), rappresentata dal tutore p.t., e (OMISSIS) per (OMISSIS).
La liquidazione e’ stata effettuata sulla base di tale dato, dunque, verosimilmente e, in ogni caso, l’argomento difensivo parte da un presupposto errato.
5. La complessiva infondatezza dei motivi proposti determina il rigetto del ricorso (deve notarsi brevemente che il reato non risulta prescritto dovendosi registrare un rinvio per legittimo impedimento del difensore della durata di quaranta giorni, con relativa sospensione dei termini atti a prescrivere), sicche’ possono essere accolte le richieste delle parti civili costituite e presenti in udienza di vedersi rifuse le spese sostenute nel grado di giudizio, che si ritiene equo determinare in Euro tremila in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ in Euro 2000 per (OMISSIS), oltre accessori di legge.
Deve essere disposto, altresi’, che, in caso di diffusione del provvedimento, siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3.000,00, ed in Euro 2000,00 per la parte civile (OMISSIS), oltre ad accessori di legge.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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