Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 8 maggio 2019, n. 12153.
La massima estrapolata:
Il Comune è tenuto al pagamento della tassa di concessione governativa per fornire il servizio di telecomunicazione cellulare. Tale servizio rientra nella tipologia di servizio radioelettrico mobile.
La tassa in oggetto é dovuta da parte degli enti locali, in quanto non può ad essi estendersi l’esenzione prevista dal DPR. n. 641/72, articolo 13-bis, comma 1, a favore dell’Amministrazione dello Stato, considerato che In tema di tassa sulle concessioni governative, in favore di Onlus e di società ed associazioni sportive dilettantistiche, tali esenzioni non si applicano agli enti pubblici, territoriali e non territoriali.
Ordinanza 8 maggio 2019, n. 12153
Data udienza 28 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente
Dott. CATALDI Michele – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4416/15 R.G. proposto da:
COMUNE DI CITTADELLA, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso, giusta procura, dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, e’ elettivamente domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Veneto n. 1085/18/14 depositata in data 25 giugno 2014;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 marzo 2019 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.
RILEVATO
che:
Il Comune di Cittadella propone ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Veneto in epigrafe indicata, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria ad istanza del contribuente di rimborso delle tasse di concessione governativa sulla telefonia mobile in abbonamento versate negli anni 2006, 2007, 2008 e 2009, deducendo il contribuente la illegittimita’ della tassa, a seguito di intervenuta abrogazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, articolo 318, ad opera del Decreto Legislativo n. 259 del 2003 – e’ stata riformata la sentenza di primo grado, con conseguente accoglimento dell’appello dell’Ufficio e rigetto dell’istanza di rimborso.
In particolare, i giudici di appello, ritenendo manifestamente infondata la questione di costituzionalita’ del tributo sollevata dal contribuente, dopo avere richiamato i principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9560 del 25 febbraio 2014 e la norma di interpretazione autentica dettata dal Decreto Legge 28 gennaio 2014, n. 4, articolo 2, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2014, n. 50, hanno sostenuto sussistente, anche a carico dei Comuni, l’obbligo di versamento della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile in abbonamento ed infondata l’istanza di rimborso.
L’Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, il Comune ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e Tariffa allegata, articolo 21, del Decreto Legge n. 4 del 2014, articolo 2, comma 4, convertito in L. n. 50 del 2014, del Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 160, nonche’ violazioni di direttive comunitarie.
Sostiene che la sentenza impugnata appare illegittima poiche’ fondata su una normativa nazionale contraria alle direttive comunitarie di settore nn. 5/99, 20/02 e 22/02, in quanto la normativa nazionale (Decreto Legge n. 4 del 2014, Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 160 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, Tariffa allegata, articolo 21) ha previsto che per “stazioni radioelettriche” devono intendersi anche le “apparecchiature terminali di telecomunicazione” (ossia i telefoni cellulari), determinando di fatto una equiparazone dei due apparati, al fine di legittimare il pagamento della tassa di concessione governativa, con la conseguenza che per l’utilizzo e la messa in servizio dei cellulari deve essere conseguito il provvedimento amministrativo, denominato autorizzazione generale, senza pero’ tenere conto che le rispettive direttive comunitarie non sono ugualmente “armonizzabili”; infatti, le direttive nn. 5/99 e 20/02 prevedono la libera circolazione e la libera messa in servizio degli apparecchi terminali di telefonia mobile, mentre la normativa nazionale sottopone il telefono cellulare a preventiva autorizzazione e licenza, e la direttiva 22/2002 definisce il contenuto dell’atto stipulato tra il gestore del servizio e l’utente finale come “contratto” privatistico, anziche’ come “abbonamento”, a differenza della normativa nazionale che prevede, invece, l’obbligo di autorizzazione generale a carico solamente dei soggetti che hanno stipulato un contratto denominato “abbonamento”.
Evidenziando che la Corte UE non si e’ mai espressa sulla legittimita’ comunitaria della recente normativa di interpretazione autentica Decreto Legge n. 4 del 2014 ex, convertita in L. n. 50 del 2014, il ricorrente formula istanza di sospensione ex articolo 267 TFUE al fine di sottoporre alla Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee una domanda di pronuncia pregiudiziale in merito al contrasto tra la normativa comunitaria e la normativa nazionale.
2. Con il secondo motivo, si deduce “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e Tariffa allegata, articolo 21, e del Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 2, comma 2, lettera b), in combinato disposto all’articolo 97 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – campo di applicazione – il telefono cellulare e’ disciplinato dal Decreto Legislativo n. 269 del 2001”.
Il Comune ricorrente sostiene che la sentenza impugnata viola il principio di legalita’, attesa l’abrogazione della fonte normativa che prevedeva il pagamento del tributo, ossia del vecchio codice delle Poste e telecomunicazioni, articolo 318, e la mancanza di disciplina specifica per i telefoni cellulari nel nuovo codice delle Telecomunicazioni, sottolineando che il Decreto Legislativo n. 259 del 2003 ed il Decreto Legislativo n. 269 del 2001 hanno introdotto una netta separazione tra la disciplina delle stazioni radioelettriche e dei telefoni cellulari ed hanno implicitamente abrogato la disposizione di cui al Decreto Ministeriale n. 33 del 1990, articolo 3; la separazione tra le due discipline, ad avviso del Comune, e’ espressamente prevista dal Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 2, comma 2, lettera b), il quale prevede che le disposizioni del codice delle comunicazioni non si applicano alle “apparecchiature contemplate dal Decreto Legislativo 9 maggio 2001, n. 269, che attua la direttiva 1999/5/CE….” (ossia ai telefoni cellulari), con la conseguenza che il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche, articolo 160, comma 1, nel quale, anche secondo la sentenza delle Sezioni Unite n. 9560/2014, e’ stato trasfuso il contenuto dispositivo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, articolo 318, comma 1, rappresenta la fonte giuridica della licenza d’esercizio per le solo stazioni radioelettriche.
Rileva, pertanto, che sebbene l’articolo 318 citato (richiamato dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, tariffa allegata, voce 21) sia stato riprodotto nel Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 160, quest’ultimo non disciplina piu’ i telefoni cellulari, ma solo le stazioni radioelettriche; allo stesso modo la disposizione del Decreto Ministeriale n. 33 del 1990, articolo 3, comma 2, richiamata dalla voce 21 della tariffa, e’ stata abrogata da una disposizione di rango superiore, successiva nel tempo e con essa incompatibile, ossia dal Decreto Legislativo n. 269 del 2001, con il quale e’ stata recepita la direttiva 1999/5/CE.
Assume, pertanto, che il nuovo articolo 160, comma 1, riproduttivo dell’articolo 318 e riferibile alle sole stazioni radioelettriche, e l’abrogazione implicita del Decreto Ministeriale n. 33 del 1990, articolo 3, comma 2, avrebbero fatto venir meno il necessario riferimento alla licenza di esercizio e, conseguentemente, all’atto amministrativo (documento sostitutivo) quale presupposto impositivo, ai sensi e per gli effetti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1, della TCG per la telefonia mobile.
Il ricorrente chiede, pertanto, qualora non fosse accolta l’istanza formulata ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la rimessione della causa alle Sezioni Unite, non ritenendo condivisibile la decisione delle Sezioni Unite, alla quale fa espresso riferimento la sentenza d’appello impugnata.
3. Con il terzo motivo, si denuncia “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e Tariffa allegata, articolo 21, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – abrogazione espressa del Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, articolo 318 – abrogazione implicita del Decreto Legge n. 151 del 1991, articolo 3 e del Decreto Ministeriale n. 33 del 1990, articolo 3”.
Il Comune ricorrente ribadisce che l’unico presupposto normativo della tassa in esame era il Decreto del Presidente della Repubblica n. 156 del 1973, articolo 318, che e’ stato espressamente abrogato dal Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 218, comma 1, lettera s), e che il Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, tariffa allegata, articolo 21, e’ inapplicabile dal 2003.
4. Con il quarto motivo, il Comune ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e Tariffa allegata, articolo 21, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – illegittimita’ della sentenza impugnata perche’ si fonda su di una normativa abrogata: il Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, tariffa allegata, articolo 21, implicitamente abrogato ex articolo 15 preleggi.
Rileva che il nuovo Codice delle Telecomunicazioni (Decreto Legislativo n. 259 del 2003) detta una disciplina incompatibile con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, Tariffa allegata, articolo 21, poiche’ liberalizza la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettronica, sottaendola alla proprieta’ esclusiva dello Stato, e che l’attivita’ di fornitura di servizi di telecomunicazione, per effetto dell’innovazione apportata dal Codice delle Telecomunicazioni, non e’ assoggettata ad alcun provvedimento amministrativo di autorizzazione.
5. Con il quinto motivo, il Comune ricorrente censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e tariffa allegata, articolo 21, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, illegittimita’ della sentenza impugnata perche’ fondata su una tassa priva di presupposto di fatto. Il contratto di abbonamento telefonico non e’ un documento sostitutivo della licenza di esercizio”.
Deduce che la sentenza impugnata va cassata poiche’ la tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile in abbonamento e’ priva del presupposto impositivo, che e’ ricondotto (Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1) all’esistenza di un provvedimento amministrativo, ossia la licenza di esercizio ovvero il suo documento sostitutivo; detta licenza, disciplinata dal combinato disposto dell’articolo 318, comma 1, e dal Decreto Ministeriale n. 33 del 1990, articolo 3, la cui applicazione era stata estesa anche alle apparecchiature cellulari, collegava la richiesta di una tassa ad una attivita’ amministrativa di controllo tecnico preventivo da parte del Ministero che, a norma del Decreto Ministeriale n. 33 del 1990, articolo 3, era riferita alla verifica tecnica dell’apparecchiatura terminale ed alla sua omologazione. Il sistema delineato dal Decreto Legislativo n. 269 del 2001 non prevede piu’ un controllo preventivo da parte dello Stato per l’immissione nel mercato dei telefoni cellulari ed e’ previsto il libero uso degli apparecchi cellulari inteso come “la facolta’ di utilizzo di dispositivi o di apparecchiature terminali di comunicazione elettronica senza necessita’ di autorizzazione generale”.
Evidenzia, quindi, che non vi e’ alcuna identita’ tra il potere autorizzatorio (rilascio della licenza di esercizio) di cui all’articolo 160 per le stazioni radioelettriche ed i poteri di mero controllo postumi attribuiti allo Stato dalla direttiva comunitaria 1999/5/CE e che la disciplina dettata dal Decreto Legislativo n. 269 del 2001 e dalla direttiva 1999/5/CE si pongono in rapporto di specialita’ con quella di cui al Decreto Legislativo n. 259 del 2003; l’articolo 160 trova applicazione solo per le stazioni radioelettriche escluse dall’ambito di applicazione del Decreto Legislativo n. 269 del 2001 e per le quali e’ ancora prevista la licenza di esercizio e l’attivita’ amministrativa da parte dell’Amministrazione pubblica, mentre i telefoni cellulari sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’articolo 160 del codice.
6. Con il sesto motivo, deduce “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e tariffa allegata, articolo 21, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – illegittimita’ della sentenza impugnata perche’ fondata su una tassa priva di presupposto – violazione dei principi generali dell’ordinamento”.
Il ricorrente rappresenta che con l’entrata in vigore del Codice delle Telecomunicazioni (Decreto Legislativo n. 259 del 2003) il servizio di gestione di telefonia non e’ piu’ un servizo reso dallo Stato, per cui manca quella “controprestazione” che giustificherebbe la tassa di concessione governativa; infatti, l’assenza di attivita’ amministrativa preventiva da parte dell’Amministrazione pubblica comporta il venir meno di un elemento essenziale delle tasse di concessione governativa Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, ex articolo 1, ossia il collegamento tra l’insorgenza del tributo e l’adozione dell’atto amministrativo.
7. Con il settimo motivo, si deduce “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e Tariffa allegata, articolo 21, del Decreto Legge n. 4 del 2014, articolo 2, comma 4, convertito in L. n. 50 del 2014, del Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 160, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – irretroattivita’ della normativa”.
Il Comune ricorrente contesta ai giudici di appello di avere ritenuto dovuto il tributo sul presupposto errato che il Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 160, come interpretato dal Decreto Legge n. 4 del 2014, articolo 2, comma 4, convertito in L. n. 50 del 2014, ne costituisca il presupposto normativo, non considerando che la norma interpretativa non puo’ spiegare effetti retroattivi; sostiene, altresi’, che la norma interpretativa amplia l’ambito di applicazione della disposizione di cui all’articolo 160 del Codice, ritenendo che il termine “stazioni radioelettriche” debba essere riferito anche alle “apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre di comunicazione”, che sono, invece, mezzi di comunicazione diversi soggetti a diversa disciplina, con la conseguenza che, avendo contenuto innovativo, non ha efficacia retroattiva e si pone in netto contrasto con l’articolo 2, lettera b) del Codice delle Telecomunicazioni che dispone che “Non formano oggetto del Codice le disposizioni in materia di….apparecchiature contemplate dal Decreto Legislativo 9 maggio 2001, n. 269, che attua la direttiva 1999/5/CE….”.
8. Le censure dedotte con i sette motivi sopra esposti, che possono essere trattate unitariamente, in quanto strettamente connesse, sono infondate.
8.1. La questione proposta e’ gia’ stata esaminata dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 9560 del 2014, con la quale si e’ affermato che, in tema di radiofonia mobile, l’abrogazione del Decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1973, n. 156, articolo 318, ad opera del Decreto Legislativo 1 agosto 2003, n. 259, articolo 218, non ha fatto venire meno l’assoggettabilita’ dell’uso del “telefono cellulare” alla tassa governativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, tariffa allegata, articolo 21, in quanto la relativa previsione e’ riprodotta nel Decreto Legislativo n. 259 citato, articolo 160.
Va, infatti, esclusa – come anche desumibile dalla norma interpretativa introdotta con il Decreto Legge 24 gennaio 2014, n. 4, articolo 2, comma 4, convertito, con modificazioni, in L. 28 marzo 2014, n. 50, che ha inteso la nozione di stazioni radioelettriche come inclusiva del servizio radiomobile terrestre di comunicazione – una differenziazione di regolamentazione tra “telefoni cellulari” e “radio-trasmittenti”, risultando entrambi soggetti, quanto alle condizioni di accesso, al Decreto Legislativo n. 259 citato (attuativo, in particolare, della direttiva 2002/20/CE, cosiddetta direttiva autorizzazioni), e, quanto ai requisiti tecnici per la messa in commercio, al Decreto Legislativo 5 settembre 2001, n. 269 (attuativo della direttiva 1999/5/CE), sicche’ il rinvio, di carattere non recettizio, operato dalla regola tariffaria deve intendersi riferito attualmente all’articolo 160 della nuova normativa, tanto piu’ che, ai sensi del medesimo D.Lgs., articolo 219, dalla liberalizzazione del sistema delle comunicazioni non possono derivare “nuovi o maggiori oneri per lo Stato” e, dunque, neppure una riduzione degli introiti anteriormente percepiti.
8.2. Le Sezioni Unite hanno escluso che l’applicabilita’ di siffatta tassa si ponga in contrasto con le direttive Europee in materia – la Direttiva 1999/5/CE, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazione e il reciproco riconoscimento della loro conformita’ (attuata nell’ordinamento giuridico italiano con il Decreto Legislativo 9 maggio 2001, n. 269); la Direttiva 2002/19/CE, riguardante l’accesso alle reti di comunicazione elettronica e le risorse correlate, e l’interconnessione delle medesime (c.d. “direttiva accesso”); la Direttiva 2002/20/CE, riguardante le autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (c.d. “direttiva autorizzazioni”); la Direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (c.d. “direttiva quadro”); la Direttiva 2002/22/CE, riguardante il servizio universale e i diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (c.d. “direttiva servizio universale”); la Direttiva 2002/77/CE, riguardante la concorrenza nei mercati delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, (direttive queste tutte attuate nell’ordinamento giuridico italiano con il Decreto Legislativo 1 agosto 2003, n. 259, come poi modificato con Decreto Legislativo 28 maggio 2012, n. 70, che ha dato esecuzione alla Direttiva 2009/140/CE, che ha modificato in parte le precedenti direttive) – atteso che, secondo la Corte di Lussemburgo, il quadro normativo comunitario emergente dalle ricordate direttive non osta ad una norma nazionale che preveda un tributo come la tassa di concessione governativa (Corte giustizia 15 dicembre 2010, in causa C-492/09; Corte giustizia 27 giugno 2013, in causa C-71/12; Corte Giustizia 12 dicembre 2013, in causa C-335/13).
Hanno inoltre affermato che: 1) il riferimento contenuto nel citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, tariffa allegata, articolo 21, al Codice postale, articolo 318, deve intendersi attualmente riferito al Decreto Legislativo n. 259 del 2003, articolo 160, stante il carattere “formale” e non “recettizio” del rinvio operato dalla regola tariffaria (par. 8.1.1.); 2) attraverso un continuum normativo – Decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, articolo 318, Decreto Ministeriale 3 agosto 1985 (regolamento concernente il servizio radiomobile terrestre pubblico veicolare), Decreto Ministeriale 13 febbraio 1990, n. 33 (Regolamento concernente il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione), articolo 3, Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 151 – la disciplina dei “telefoni cellulari”, con riferimento all’applicabilita’ della tassa di concessione governativa, emerge come necessitato sviluppo della disciplina delle “stazioni radiolelettriche” (par. 8.3.); 3) “una interpretazione delle norme del Decreto Legislativo n. 259 del 2003 da cui si facesse discendere un’attuale inapplicabilita’ della tassa di concessione governativa sui telefonini sarebbe incompatibile con la disposizione di cui al codice delle comunicazioni, articolo 219”; 4) avuto riguardo alla disciplina comunitaria (Direttive 5/1999 e 21/2002), “tra radio e telefoni non c’e’ una distinzione in relazione alla fonte regolatrice, bensi’ solo in relazione all’attivita’: nel senso che la direttiva n. 5/99 ed il Decreto Legislativo n. 269 del 2001 si occupano delle specifiche tecniche sia della radio che dei telefoni; mentre la direttiva n. 21/02 ed il Decreto Legislativo n. 259 del 2003 si occupano delle reti e delle relative autorizzazioni di esercizio sia per le radio, sia per i telefoni”.
Hanno, quindi, rilevato come “Nel difficile quadro di contrastanti posizioni esegetiche che si e’ determinato in ordine alla questione qui in esame, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per un definitivo e rassicurante chiarimento con il Decreto Legge 24 gennaio 2014, n. 4, articolo 2, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2014, n. 50. La richiamata disposizione stabilisce: “Per gli effetti del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, Tariffa annessa, articolo 21, le disposizioni del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al Decreto Legislativo 1 agosto 2003, n. 259, articolo 160, richiamate nel predetto articolo 21, si interpretano nel senso che per stazioni radiolelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio terrestre di comunicazione”. Si tratta, come ha affermato il relatore al disegno di legge di conversione in sede di discussione alla Camera dei deputati, di una norma interpretativa, che “prevede espressamente l’applicabilita’ della tassa di concessione governativa (Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, tariffa annessa, articolo 21, sulle concessioni governative) ai contratti di abbonamento per la telefonia cellulare”.
Questa Corte ha, pure, affermato che la tassa in questione e’ dovuta da parte degli enti locali, in quanto non puo’ ad essi estendersi l’esenzione prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 13-bis, comma 1, a favore dell’Amministrazione dello Stato, atteso che “In tema di tassa sulle concessioni governative, le esenzioni previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, articolo 13-bis, comma 1, in favore delle organizzazioni non lucrative di utilita’ sociale (Onlus) e delle societa’ ed associazioni sportive dilettantistiche non si applicano agli enti pubblici, territoriali e non territoriali, atteso l’espresso disposto del Decreto Legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, articolo 1, comma 10, e l’insuscettibilita’ di applicazione analogica delle norme di esenzione ed agevolazione fiscale” (Cass. n. 8825 del 1/6/2012).
8.3. L’assenza di contrasto tra la normativa nazionale e le direttive comunitarie trova ulteriore conforto nella sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 settembre 2015, in causa C-416/14, che ha ritenuto che la disciplina UE va interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale relativa all’applicazione di una tassa, quale la tassa di concessione governativa, in forza della quale l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, nel contesto di un contratto di abbonamento, e’ assoggettato a un’autorizzazione generale o a una licenza nonche’ al pagamento di detta tassa, in quanto il contratto di abbonamento sostituisce di per se’ la licenza o l’autorizzazione generale e, pertanto, non occorre alcun intervento dell’amministrazione al riguardo.
In particolare, con riferimento alla Direttiva 1999/5/CE, riguardante le apparecchiature radio e le apparecchiature terminali di telecomunicazioni (volta a garantire la libera circolazione segnatamente delle apparecchiature terminali di telecomunicazione conformi a determinati requisiti essenziali definiti dalla direttiva medesima), ed al suo articolo 8 (secondo il quale gli Stati membri non vietano, limitano o impediscono l’immissione sul mercato e la messa in servizio sul loro territorio di apparecchi recanti la marcatura CE), la Corte UE ha chiarito, sulla base di quanto emerso dagli atti e dalle stesse osservazioni delle parti ricorrenti (e salva diversa verifica ad opera del giudice nazionale), che la normativa nazionale, che prevede l’applicazione della tassa sulle concessioni governative, non si pone in contrasto con il principio comunitario della libera circolazione delle apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, “non essendo richiesto alcun intervento, attivita’ o controllo da parte dell’amministrazione”, valendo il contratto di abbonamento “di per se stesso” quale documento sostitutivo dell’autorizzazione generale e/o della licenza stazione radio ed incidendo la stessa tassa “non sulle apparecchiature terminali per servizio radiomobile terrestre”, bensi’ sui contratti di abbonamento sottoscritti per l’uso di tali apparecchiature, senza alcuna interferenza con la vendita di dette apparecchiature terminali.
In tale contesto, e’ stato poi aggiunto, nella medesima pronuncia della Corte UE, che l’articolo 20 della direttiva 2002/22/CE (c.d. Direttiva Reti, disciplinante la fornitura di reti e di servizi di comunicazione elettronica agli utenti finali), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE, (e l’articolo 8 della direttiva 1999/5/CEE di cui sopra) e le altre Direttive Reti (Direttive nn. 2002/21, 2002/19 e 2002/22) vanno interpretati nel senso che non ostano, ai fini dell’applicazione di una tassa quale la tassa di concessione governativa, all’equiparazione a un’autorizzazione generale o a una licenza di stazione radioelettrica di un contratto di abbonamento a un servizio di telefonia mobile, che deve peraltro precisare il tipo di apparato terminale di cui si tratta e l’omologazione di cui e’ stato oggetto.
Ad avviso della Corte UE, invero, la disposizione in esame non ricade nell’ambito applicativo delle Direttive stesse, essendo la tassa in oggetto collegata all’uso privato dei servizi di telefonia mobile e non essendone “il fatto generatore” collegato ad una “procedura di autorizzazione generale che consenta di accedere al mercato dei servizi di comunicazioni elettroniche” (in sostanza il contratto di abbonamento, equiparato ad “una autorizzazione generale”, “non ha lo scopo di autorizzare la fornitura di servizi di reti”, essendo inteso “unicamente come fatto generatore della TCG”).
Inoltre, secondo la Corte, il quadro comunitario, unitamente all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, va interpretato nel senso che non osta ad un trattamento differenziato degli utenti di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre, a seconda che essi sottoscrivano un contratto di abbonamento a servizi di telefonia mobile o acquistino tali servizi in forma di carte prepagate eventualmente ricaricabili, in base al quale solo i primi sono assoggettati a una normativa nazionale come quella che istituisce la tassa di concessione governativa.
Cio’ in quanto, da un lato, “le direttive reti e la direttiva 1999/5 non disciplinano l’applicazione di una tassa, quale quella in esame, e le disposizioni della Carta “si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione” e, dall’altro lato, come gia’ sopra esposto, non vi e’ trattamento differenziato non essendo richiesto alcun intervento effettivo di “autorizzazione dell’amministrazione”, “visto che il contratto di abbonamento sostituisce di per se’ l’autorizzazione”.
La Corte di Giustizia ha, dunque, ulteriormente ribadito l’esclusione di ogni incompatibilita’ tra diritto comunitario e diritto nazionale, circa la legittima prevedibilita’ di una tassa di concessione governativa applicabile ai c.d. “telefoni cellulari”, sicche’ non si ravvisano argomentazioni idonee a superare le motivazioni espresse della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9560 del 2014 sull’interpretazione della normativa nazionale.
A seguito dell’intervento della Corte di Giustizia, non puo’ pertanto piu’ essere messa in discussione la compatibilita’ della tassa di concessione governativa con l’ordinamento UE, per cui deve escludersi la sussistenza dei presupposti per una nuova rimessione del ricorso alla Corte di Giustizia UE.
8.4. Le argomentazioni difensive sviluppate dal Comune ricorrente volte a sollecitare una rimeditazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9560 del 2014 non sono condivisibili, proprio alla luce dell’intervento legislativo del Decreto Legge n. 4 del 2014, articolo 2, comma 4, cui va riconosciuta, come gia’ precisato dalle Sezioni Unite, natura interpretativa e conseguente retroattivita’.
Infatti, “il legislatore puo’ adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio’ vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore” (Corte Cost. n. 209 del 2010, punto 5.1 della motivazione) e, nella specie, il Decreto Legge n. 4 del 2014 e’ intervenuto in presenza di un contrasto interpretativo; tale considerazione e’ di per se’ sufficiente a ritenere infondato l’assunto di parte ricorrente secondo cui la disposizione di cui al Decreto Legge n. 4 del 2014, articolo 2, comma 4, avrebbe portata innovativa e non interpretativa.
9. Con l’ottavo motivo, il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972, articolo 1 e tariffa allegata, articolo 21, dell’articolo 114 Cost., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – illegittimita’ della sentenza impugnata per difetto di legittimazione passiva dei Comuni rispetto alla tassa de qua”.
Il Comune ricorrente, deducendo che i giudici di secondo grado hanno erroneamente ritenuto non applicabili i principi costituzionali di equiordinazione (articolo 114 Cost.) e di sussidiarieta’ verticale (articolo 118 Cost.), sottolinea che le Pubbliche Amministrazioni svolgono un ruolo centrale nell’attuazione dei principi e della disciplina del codice delle comunicazioni elettroniche che giustifica, al pari dello Stato, l’esonero del pagamento della Tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile.
9.1. La censura e’ infondata.
9.2. Come gia’ chiarito da questa Corte (Cass. n. 17386 del 30 luglio 2014), “quanto alla pretesa violazione dell’articolo 114 Cost., e’ sufficiente rilevare che lo Stato e’ esente dalla tassa sulle concessioni governative, a differenza dai Comuni, non perche’ a questi ultimi sovraordinato, ma perche’, essendo il percettore delle entrate derivanti dalla tassa, il suo assoggettamento alla tassa darebbe luogo ad una mera partita di giro, priva di significato finanziario. Quanto alla pretesa violazione dell’articolo 118 Cost. e del principio di sussidiarieta’ verticale ivi sancito, e’ sufficiente rilevare che il fatto che i Comuni debbano versare – al pari di tutti gli altri utenti dei servizi di telefonia mobile che non beneficino di specifiche norme di esenzione – la tassa di concessione governativa sugli abbonamenti stipulati per la fruizione di detti servizi e’ palesemente ininfluente ai fini della loro possibilita’ di svolgere, nell’esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, le funzioni amministrative di loro competeza in materia di installazione di infrastrutture di reti di telefonia mobile”.
10. Con il nono motivo di ricorso, infine, il Comune ricorrente solleva questione di illegittimita’ costituzionale della tariffa allegata, articolo 21, sia singolarmente considerato, sia in combinato disposto con il codice delle comunicazioni, articolo 160, ove si consideri ancora vigente la tassa di concessione governativa per i contratti di abbonamento, nonche’ presunta illegittimita’ costituzionale per violazione dell’articolo 3 Cost.
10.1. Il motivo e’ infondato.
Questa Corte, con sentenza n. 25522 del 2/12/2014, ha ritenuto manifestamente infondati tali rilievi, osservando, con motivazione a cui questo Collegio intende aderire, che “la fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento col gestore presenta caratteristiche giuridiche e fattuali non sovrapponibili all’acquisto di un certo tempo di conservazione telefonica mediante la ricarica di una carta prepagata”, considerato che “l’utente nel primo caso gode del servizio continuativamente e si obbliga al pagamento di un canone periodico, mentre nel secondo caso acquista un pacchetto di minuti di conversazione telefonica”, cosicche’ “la differenza obbiettiva tra le due situazioni esclude l’irragionevolezza della diversita’ del relativo trattamento tributario, con riferimento al parametro di cui all’articolo 3 Cost.”.
In conclusione, la sentenza impugnata, essendosi uniformata ai principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite, si sottrae alle censure che le sono state rivolte.
11. Il ricorso va, quindi, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono i criteri della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
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