Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 30 maggio 2018, n. 24451.

La massima estrapolata:

E’ utilizzabile l’intercettazione del colloquio con l’avvocato se è considerata di carattere “amicale” e non professionale, in virtù dell’assenza di un mandato e del fatto che il ricorrente non era ancora iscritto nel registro degli indagati.

Sentenza 30 maggio 2018, n. 24451

Data udienza 22 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – rel. Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/06/2016 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore BALDI Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
il difensore presente avv. (OMISSIS) concludeva per l’accoglimento del ricorso riportandosi ai motivi.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano confermava la responsabilita’ dei ricorrenti per il reato di estorsione, rideterminando la pena inflitta in primo grado al (OMISSIS) tenuto conto dell’estinzione per decorso del termine di prescrizione di alcuni reati satellite.
2.Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore degli imputati che deduceva:
2.1. vizio di legge: si deduceva l’inutilizzabilita’ dei contenuti della intercettazione intercorsa tra il (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS); tale conversazione, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non avrebbe contenuto amicale, ma professionale, non rilevando il fatto che il mandato defensionale non fosse stato conferito e che l’imputato non fosse all’epoca iscritto nel registro degli indagati;
2.2. vizio di legge e di motivazione: si deduceva che il fatto contestato era stato erroneamente qualificato come estorsione, laddove in ragione dell’esistenza di un credito esigibile vantato da (OMISSIS) nei confronti della persona offesa e delle modalita’ delle minacce avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie prevista dall’articolo 393 c.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
1.1. Con riferimento al primo motivo che invoca il riconoscimento dell1inutilizzabilita’ dei contenuti della intercettazione tra il (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS) il collegio ribadisce che il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla, ma solo le conversazioni che attengono alla funzione esercitata, in quanto la “ratio” della regola posta dall’articolo 103 c.p.p., va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa. Con specifico riguardo alla intercettazione di un colloquio tra l’indagato ed un avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, per la cui utilizzabilita’ la Corte ha ritenuto necessario che il giudice del merito dovesse valutare: a) se quanto detto dall’indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all’amico; b) se quanto detto dall’avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute (Cass. sez. 2, n. 26323 del 29/05/2014 – dep. 18/06/2014, P.M. in proc. Canestrale, Rv. 259585).
Nel caso di specie i giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio hanno valutato che la conversazione censurata non avesse un contenuto professionale ma amicale (cosi la sentenza impugnata a pag. 12).
La valutazione conforme di merito espressa sul punto dai giudici di entrambi i gradi di giudizio non risulta scalfita dalle doglianze difensive orientate a qualificare il contenuto della conversazione come professionale nonostante la stessa si fosse risolta per stessa ammissione difensiva nella apprensione del problema e nella indicazione di un professionista competente per gestire la situazione processuale del (OMISSIS).
1.2. Anche il secondo motivo di ricorso che invoca la qualificazione del fatto contestato nella fattispecie prevista dall’articolo 393 c.p., e’ manifestamente infondato in quanto non si confronta con la consolidata giurisprudenza che definisce i confini delle fattispecie previste dagli articoli 629 e 393 c.p..
Sul punto il collegio ribadisce che e’ configurabile il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone, in presenza di una delle seguenti condizioni relative alla condotta di esazione violenta o minacciosa di un credito: a) la sussistenza di una finalita’ costrittiva dell’agente, volta non gia’ a persuadere ma a costringere la vittima, annullandone le capacita’ volitive; b) l’estraneita’ al rapporto contrattuale di colui che esige il credito, il quale agisca anche solo al fine di confermare ed accrescere il proprio prestigio criminale attraverso l’esazione con violenza e minaccia del credito altrui; c) la condotta minacciosa e violenta finalizzata al recupero del credito sia diretta nei confronti non soltanto del debitore ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale (Cass. sez. 2 n. 11453 del 17/02/2016, Rv. 267123; Cass. Sez. 2 n. 5092 del 20/12/2017dep. 2018, Rv. 272017).
Nel caso di specie le modalita’ dell’azione ricostruite dalle due sentenze conformi di merito sono all’evidenza “costrittive”, cioe’ mirate all’annichilimento delle capacita’ di reazione della persona offesa la cui volonta’ risulta annientata, e di fatto eterodiretta, dalla violenza esercitata dall’agente. Tale caratteristica dell’azione e’ immediatamente riconducibile alla fattispecie prevista dall’articolo 629 c.p., la cui condotta-tipo e’ decritta proprio dal verbo “costringere”; a cio’ si aggiunge sia il fatto che il (OMISSIS) non risultava titolare di alcun credito tutelabile in sede giudiziaria (sul punto pag. 7 della sentenza di primo grado; sulla ostativita’ di tale condizione all’invocato inquadramento: Cass. Sez. 2, n. 24478 del 08/05/2017 – dep. 17/05/2017, Salute e altri, Rv. 269967), sia la circostanza che per porre in essere l’azione intimidatoria il (OMISSIS) aveva fatto ricorso al pregiudicato (OMISSIS), ovvero ad una persona estranea al rapporto contrattuale “che risolveva in modo professionale questioni di questo genere” (pag. 13 della sentenza impugnata).
Gli elementi segnalati ostano, come ritenuto correttamente dalla Corte territoriale, alla qualificazione del fatto contestato nella piu’ lieve fattispecie prevista dall’articolo 393 c.p..
2. Alla dichiarata inammissibilita’ del ricorso consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in Euro 1500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000 ciascuno a favore della Cassa delle ammende.

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