Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 20 giugno 2018, n. 28492.
La massima estrapolata:
In materia ambientale e in riferimento al reato di abbandono incontrollato di rifiuti, il titolare e il responsabile dell’impresa o dell’ente rispondono non solo a titolo commissivo ma anche per omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono. Infatti il reato di cui all’art. 256 del d.lgs. 152 del 2006, anche se reato proprio dell’imprenditore o del responsabile, non è necessariamente un reato a condotta attiva. Tuttavia la culpa in vigilando del titolare o del responsabile aziendale postula sempre un accertamento pieno dell’eventuale contenuto attivo, partecipativo od omissivo della condotta incriminata; in altri termini occorre accertare che quest’ultima non sia frutto di un’autonoma iniziativa del dipendente contro le direttive e ad insaputa del titolare dell’impresa o del suo responsabile.
Sentenza 20 giugno 2018, n. 28492
Data udienza 9 novembre 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 24.4.2015 del Tribunale di Lucera;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. SPINACI Sante, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 24.4.2015 il Tribunale di Lucera ha condannato (OMISSIS), quale legale rappresentante della snc (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), dipendente con mansioni di autista della medesima societa’, alla pena di Euro 3.000 di ammenda ritenendola responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, all’articolo 256, comma 1, lettera a), e comma 2, per aver effettuato attivita’ di raccolta e di trasporto di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da acque di vegetazione provenienti dalla molitura delle olive, abbandonandoli in modo incontrollato su una strada di pubblico transito.
Avverso la suddetta sentenza la (OMISSIS) ha proposto, per il tramite del proprio difensore, atto di appello innanzi alla Corte di Appello di Bari, riconvertito in ragione dell’inappellabilita’ delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda ex articolo 593 c.p.p., comma 3, in ricorso per Cassazione, con trasmissione dei relativi atti a questa Corte. L’atto si compone di un unico motivo con il quale si contesta la penale responsabilita’ della ricorrente del reato ascrittole, la cui condotta era stata esclusivamente posta in essere dal dipendente della societa’ che, di propria iniziativa, aveva sversato le acque della molitura delle olive, contravvenendo alle disposizioni impartitegli dalla titolare che gli aveva ordinato di trasportarle nei terreni per lo spandimento. Si deduce che la scarna motivazione resa dal Tribunale, che fonda la colpevolezza dell’imputata sull’articolo 40 c.p. secondo il quale non impedire un reato che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, senza nulla aggiungere, non tiene conto dei presupposti applicativi della norma, costituiti nell’ipotesi di concorso omissivo in reato commissivo, dal fatto che l’omissione configuri violazione dell’obbligo di impedire l’evento e che sia condizione necessaria o agevolatrice della realizzazione della condotta illecita. Nessuna delle due condizioni sussiste, ad avviso della difesa, nel caso di specie posto che l’imputata era in regola con gli obblighi a suo carico avendo trasmesso al Comune nell’ottobre 2012 e, dunque prima della commissione del fatto, la comunicazione di esercizio per la utilizzazione delle acque di vegetazione del frantoio, onde nessuna responsabilita’ poteva esserle ascritta per la condotta del dipendente, da ritenersi del tutto imprevedibile, anche alla luce di quanto riportato nel rapporto redatto dagli agenti di PG, aveva agito “al fine di ridurre i tempi di lavoro che con il regolare spandimento nei terreni sarebbero stati di gran lunga superiori”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014 – dep. 01/10/2014, Mangone e altro, Rv. 261383 in relazione ad una fattispecie di scarico incontrollato di rifiuti bituminosi all’interno di un parco fluviale). Il reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 2, sebbene reato proprio dell’imprenditore o del responsabile di ente, non e’ infatti necessariamente un reato a condotta attiva, ravvisabile nel solo caso in cui questi si sia reso responsabile di comportamenti materiali o psicologici tali da determinare una compartecipazione, anche a livello di semplice facilitazione, negli illeciti commessi dai soggetti dediti alla gestione dei rifiuti, ben potendo concretarsi anche in una omissione, scaturente da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda (cfr. Cass. pen. sez. 3/11.12.2003, n. 47432 che ha ritenuto la responsabilita’ dei titolari di una impresa edile produttrice di rifiuti per il trasporto e lo smaltimento degli stessi, con automezzo di proprieta’ della societa’, in assenza delle prescritte autorizzazioni”, nonche’ Cass. pen. sez. 3, n. 24736 del 18.5.2007 in una fattispecie riguardante un autocarro adibito al trasporto di rifiuti abbandonati in modo incontrollato e condotto da un dipendente del titolare dell’impresa).
Cio’ nondimeno la culpa in vigilando da parte del titolare dell’impresa sul fatto dei propri dipendente che abbia posto in essere una condotta di abbandono dei rifiuti, cosi’ come viene ipotizzato nel capo di imputazione nei confronti dell’odierna ricorrente, postula pur sempre un accertamento pieno dell’eventuale contenuto attivo, partecipativo o omissivo, della condotta contestata alla legale rappresentante della societa’. Occorre in altri termini, affinche’ possa ritenersi la responsabilita’ concorrente del titolare dell’impresa, non costituente un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, accertare che la condotta incriminata non sia frutto di una autonoma iniziativa dei lavoratori contro le direttive e ad insaputa dei datori di lavoro, specie allorquando la condotta sia stata posta in essere, come nel caso di specie, dall’autista della societa’, di cui l’imputata era la legale rappresentante, nel mentre si trovava da solo alla guida del mezzo, su cui erano state caricate le acque provenienti dalla molitura delle olive, svernandole lungo il tragitto sulla pubblica via. La circostanza che il dipendente abbia affermato nell’immediatezza del fatto di aver contravvenuto, per ridurre i tempi di lavoro, agli ordini impartitigli dal datore di lavoro secondo cui avrebbe dovuto trasportare i reflui nei terreni deputati allo spandimento, cosi’ come riportato dai verbalizzanti, lascia di per se’ emergere un ragionevole dubbio sul concorso della ricorrente nel reato in contestazione, che il giudice di merito non risulta proprio essersi posto. Nessun accertamento risulta essere stato posto in essere dal Tribunale pugliese che ha, invece, ritenuto la responsabilita’ dell’imputata semplicemente menzionando l’articolo 40 c.p., come se dalla norma discendesse una responsabilita’ in automatico in capo alla titolare dell’impresa che peraltro risultava munita, circostanza di cui da atto la stessa sentenza, di autorizzazione allo spandimento delle acque e che pertanto non poteva avere un interesse concreto all’abbandono incontrollato di dette acque, non essendosi dimostrato che a cio’ corrispondesse un risparmio di spesa o di tempo per la necessita’ di impiegare il dipendente in altre mansioni.
In mancanza di risultanze istruttorie comprovanti il suo concorso nel reato in contestazione, si impone in conclusione, a norma dell’articolo 530 c.p.p., l’assoluzione dell’imputata per non aver commesso il fatto. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata senza rinvio limitatamente alla posizione di costei.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di (OMISSIS) per non aver commesso il fatto.
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