Nella truffa contrattuale l’elemento che imprime al fatto della inadempienza il carattere di reato e’ costituito dal dolo iniziale

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 2 maggio 2018, n. 18738

La massima estrapolata

La truffa contrattuale che e’ configurabile allorche’ l’agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato. La successiva inadempienza, pertanto, non costituisce illecito civile, ma la conclusione dell’attivita’ criminosa.
Nella truffa contrattuale, poi, l’elemento che imprime al fatto della inadempienza il carattere di reato e’ costituito dal dolo iniziale, quello cioe’ che, influendo sulla volonta’ negoziale di uno dei contraenti (falsandone, quindi, il processo volitivo avendolo determinato alla stipulazione del negozio in virtu’ dell’errore in lui generato mediante artifici o raggiri) rivela nel contratto la sua intima natura di finalita’ ingannatoria.

Sentenza 2 maggio 2018, n. 18738

Data udienza 22 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. DI PISA Fabio – rel. Consigliere

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere

Dott. MONACO Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/09/2016 della CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. FABIO DI PISA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. BALDI FULVIO che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con sentenza del 27/09/2016 la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vicenza in data 28/09/2015, assolveva (OMISSIS) dal reato di ricettazione (capo a), confermava l’affermazione di responsabilita’ in ordine agli ulteriori reati contestati di tentata truffa (capo b.), truffa (capo d.) e sostituzione di persona (capi c. ed e.), rideterminando la pena.
2. Avverso la suddetta sentenza l’imputato, a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per deducendo due motivi:
– primo motivo: violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’ eccessivo aumento di pena ex articolo 81 c.p..
Assume che la corte territoriale, nel rideterminare la pena, individuando quale reato piu’ grave quello di cui al capo d (truffa consumata), aveva stabilito un aumento di pena per il reato di cui al capo b) (truffa tentata) ben maggiore di quello fissato dal primo giudice, cosi’ incorrendo nella violazione del divieto di reformatio in peius di cui all’articolo 597 c.p.p.;
– secondo motivo: difetto di motivazione in ordine alla conferma della affermazione della penale responsabilita’ quanto agli altri reati contestati.
Assume che difettava ogni dimostrazione della condotta truffaldina contestata in quanto mancava la prova degli artifici e raggiri non risultando che il (OMISSIS) fosse consapevole della chiusura del conto corrente sul quale erano stati tratti gli assegni consegnati in occasione della condotta contestata e non era stato dimostrato in alcun modo che egli fosse, comunque, a conoscenza della “non solvibilita’” dei titoli consegnati.
Lamenta che, del pari, mancava la prova dei reati di cui all’articolo 494 c.p. dovendosi ritenere che il denunziante era incorso in errore allorquando aveva riferito che l’odierno imputato si era presentato falsamente come il signor ” (OMISSIS)” non considerando che, peraltro, lo (OMISSIS) aveva rilasciato al ricorrente un’ ampia procura per contrarre a suo nome.
3. Il ricorso e’ inammissibile.
Il primo motivo e’ manifestamente infondato atteso che, secondo quanto statuito dalle S.U., non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’articolo 597 c.p.p. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella piu’ grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identita’ del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014 – dep. 14/04/2014, C, Rv. 25865301).,
Dal momento che e’ solo “la pena finale” che “non deve essere superata” dal giudice del gravame, la sentenza appare immune da censure avendo la corte territoriale, determinato la pena nella misura indicata, comunque inferiore a quella irrogata in primo grado.
4. Osserva il collegio, quanto al secondo motivo, che il ricorrente ha riproposto censure gia’ sostanzialmente prospettate con i motivi di appello e sulle quali la Corte territoriale ha esaurientemente risposto. E questa Corte non puo’ sindacare il contenuto del convincimento dei giudici di merito ma solo la correttezza delle affermazioni, la logicita’ dei passaggi tra premesse e conseguenze nonche’ la rispondenza degli enunciati alle doglianze proposte dalla parte. In tema di sindacato del vizio di motivazione non e’ certo compito del giudice di legittimita’ quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito ne’ quello di “rileggere” gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione e’ compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l’obbligo di motivazione e’ stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali e’ stato tratto il proprio convincimento, la decisione non e’ censurabile in sede di legittimita’.
5.1. Orbene la Corte territoriale ha dato conto, con motivazione logica, congrua e adeguata, non censurabile in questa sede, delle ragioni per le quali ha affermato la responsabilita’ dell’imputato ritenendo che le modalita’ delle vicende confermavano la sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi del reati contestati, apparendo evidente la condotta truffaldina dell’imputato il quale ebbe a spacciarsi per altro soggetto ( (OMISSIS), titolare di una gioielleria e, quindi, soggetto maggiormente affidabile quanto all’acquisto di preziosi oggetto della trattativa con la persona offesa) ed ad offrire alla vittima del raggiro rassicurazioni quanto al buon fine dei titoli dati in pagamento, facendosi consegnare una partita di gioielli di ingente valore (pari ad Euro 24.000,00) a fronte del pagamento di bonifico di modesto importo e successivamente si reco’ dalla persona offesa per ottenere altra partita di gioielli, tentativo rimasto infruttuoso per la reazione della vittima, condotte riconosciute, con motivazione congrua in fatto e corretta in diritto, idonee a comprovare univocamente le condotte contestate al ricorrente.
Risulta, ancora, acclarato sulla scorta di quanto chiaramente riferito dalla persona offesa che l’imputato si e’ spacciato per altro soggetto, rientrando tale condotta – certamente inquadrabile nell’ipotesi di cui all’articolo 494 c.p. – nel suo complessivo intento
fraudolento.
5.2. Va, infine, evidenziato che non e’ sindacabile in sede di legittimita’, salvo il controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 – dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
6. In punto di diritto va, quindi, rilevato che la condotta posta in essere dall’imputato rientra, anche sotto il profilo psicologico, nell’ipotesi della truffa contrattuale che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, e’ configurabile allorche’ l’agente pone in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo che viene indotto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato. La successiva inadempienza, pertanto, non costituisce illecito civile, ma la conclusione dell’attivita’ criminosa: ex plurimis Cass. /1980 Rv. 148455 – Cass. /2008 Rv. 242296. Nella truffa contrattuale, poi, l’elemento che imprime al fatto della inadempienza il carattere di reato e’ costituito dal dolo iniziale, quello cioe’ che, influendo sulla volonta’ negoziale di uno dei contraenti (falsandone, quindi, il processo volitivo avendolo determinato alla stipulazione del negozio in virtu’ dell’errore in lui generato mediante artifici o raggiri) rivela nel contratto la sua intima natura di finalita’ ingannatoria: (Cass. /1981 Rv. 149803 – Cass. /1983 Rv. 164164), apparendo, quindi, pienamente integrate in relazione agli artifici e raggiri posti in essere dal (OMISSIS) le condotte di tentata truffa e truffa consumata contestatigli.
Pertanto, non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilita’ in ordine al reato di cui sopra, le censure, essendo incentrate tutta su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono del tutto infondate.
6. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilita’ consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.

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