Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 2 luglio 2018, n. 17278.
La massima estrapolata:
In tema di consenso al trattamento dei dati personali, la previsione dell’art. 23 del Codice della privacy, nello stabilire che il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, consente al gestore di un sito Internet, il quale somministri un servizio fungibile, cui l’utente possa rinunciare senza gravoso sacrificio (nella specie servizio di newsletter su tematiche legate alla finanza, al fisco, al diritto e al lavoro), di condizionare la fornitura del servizio al trattamento dei dati per finalità pubblicitarie, sempre che il consenso sia singolarmente ed inequivocabilmente prestato in riferimento a tale effetto, il che comporta altresì la necessità, almeno, dell’indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti.
Sentenza 2 luglio 2018, n. 17278
Data udienza 11 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8194/2017 proposto da:
Autorita’ Garante per la Protezione dei Dati Personali, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 522/2016 del TRIBUNALE di ARMO, depositata il 20/09/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/05/2018 dal cons. DI MARZIO MAURO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale FEDERICO SORRENTINO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza del 29 aprile 2016 il Tribunale di Arezzo ha accolto l’opposizione proposta ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 152 (c.d. Codice della privacy) da (OMISSIS) S.r.l. nei confronti dell’Autorita’ garante per la protezione di dati personali contro il provvedimento n. 427 del 25 settembre 2014 con qui quest’ultima:
a) aveva dichiarato illecito il trattamento dei dati personali posto in essere da (OMISSIS) S.r.l. per finalita’ promozionali, effettuato dalla medesima senza aver ottenuto un consenso libero e specifico degli interessati ex articoli 23 e 130 Codice della privacy;
b) aveva vietato ad (OMISSIS) S.r.l., ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera c), articolo 144 e articolo 154, comma 1, lettera d), dello cit. Codice, il trattamento dei dati personali di cui alla precedente lettera a), gia’ raccolti, degli utenti registrati al servizio di newsletter per le finalita’ di invio di messaggi promozionali, ferma restando l’utilizzabilita’ degli stessi per la fornitura dei servizi;
c) aveva prescritto ad (OMISSIS) S.r.l., ai sensi dell’articolo 143, comma 1, lettera b), articolo 144 e articolo 154, comma 1, lettera c) Codice, qualora quest’ultima avesse inteso continuare ad utilizzare lo strumento della posta elettronica per l’invio di comunicazioni promozionali, di adottare le misure necessarie e opportune, atte a garantire la completa ottemperanza a quanto stabilito dagli articoli 23 e 130 medesimo Codice, prevedendo la possibilita’ per gli interessati di esprimere uno specifico consenso e fornendone adeguata documentazione al Garante entro sessanta giorni dalla ricezione del provvedimento.
2. – Nel contraddittorio con il Garante, che ha resistito all’opposizione, l’adito Tribunale, per quanto rileva, ha osservato: -) che non erano condivisibili le argomentazioni del Garante, il quale aveva sostenuto che il trattamento dei dati personali fossa stato effettuato in mancanza di un consenso prestato in conformita’ all’articolo 23 del Codice della privacy, dal momento che detta norma non era suscettibile di essere integrata con la previsione di obblighi, da essa non previsti, bensi’ introdotti da provvedimenti del Garante medesimo, quali le linee guida adottate in data 4 luglio 2013;
-) che, in particolare, doveva escludersi che il consenso espresso dall’utente nell’accedere alle prestazioni offerte da (OMISSIS) S.r.l. non potesse considerarsi “libero”, giacche’ la norma non individua un obbligo tout court per il gestore del portale di offrire comunque le proprie prestazioni, a prescindere dal consenso al trattamento dei dati personali da parte dell’utente;
-) che, in definitiva, si era in presenza di un servizio prestato ad utenti che del tutto liberamente e volontariamente avevano optato per l’adesione allo stesso.
3. – Per la cassazione della sentenza l’Autorita’ garante per la protezione dei dati personali ha proposto ricorso per un motivo. (OMISSIS) S.r.l. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 23 e 130 Codice della privacy, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Secondo il Garante, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che le Linee guida da esso elaborate costituissero un’integrazione del precetto posto dall’articolo 23 del Codice della privacy, giacche’ esse recavano invece soltanto la corretta interpretazione del dato normativo, alla luce del quale occorreva che il consenso al trattamento dei dati personali fosse espresso liberamente e specificamente, mancando nel caso di specie una specifica manifestazione di volonta’ volta alla ricezione di messaggi promozionali via mail, essendo obbligatorio prestare il consenso alla loro ricezione per potersi iscrivere al servizio di newsletter offerto dalla societa’.
2. – Il ricorso e’ fondato.
2.1. – Come emerge dalla sentenza impugnata, e come e’ d’altronde incontroverso, (OMISSIS) S.r.l. offriva per il tramite del portale (OMISSIS) un servizio di newsletter su tematiche legate alla finanza, al fisco, al diritto e al lavoro. Per accedere alla newsletter era richiesto l’inserimento, da parte dell’utente, del proprio indirizzo e-mail e, in calce al form di raccolta dati, era presente una casella di spunta (c.d. checkbox) con la quale il contraente poteva esprimere il consenso “al trattamento dei dati personali”; inviando la rich esta di iscrizione senza validare la casella del consenso non era passibile accedere al servizio e appariva il messaggio “e’ richiesta la selezione della casella”. Non era evidenziato direttamente dalla pagina in cosa consistesse il “trattamento dei dati personali” e quali effetti producesse: e’ la stessa controricorrente a riferire, a pagina 2 del controricorso, che l’utente poteva visionare la normativa sulla privacy attraverso un apposito link ipertestuale che, una volta cliccato, specificava che i dati personali acquisiti attraverso l’iscrizione alla newsletter sarebbero stati utilizzati non solo per la fornitura di tale servizio, ma anche per l’invio di comunicazioni promozionali nonche’ di informazioni commerciali da parte di terzi.
2.2. – Cio’ detto, occorre rammentare che il Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 23 stabilisce nei suoi tre commi che:
-) il trattamento di dati personali e’ ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato;
-) il consenso puo’ riguardare l’intero trattamento ovvero una o piu’ operazioni dello stesso;
-) il consenso e’ validamente prestato solo se e’ espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se e’ documentato per iscritto, e se sono state rese all’interessato le informazioni di cui all’articolo 13.
Tale ultima disposizione, poi, contiene una dettagliata elencazione delle informazioni che devono essere somministrate all’interessato.
Il citato articolo 23 reca cosi’ uno dei principi fondanti della materia giacche’, anche per la collocazione sistematica della disposizione nel Titolo 3 del Codice, che pone le regole generali per il trattamento dei dati, sta a significare che il consenso e’ condizione – fatti salvi casi eccettuati che qui non rilevano – della liceita’ del trattamento.
Il principio cosi’ posto si armonizza con il dettato dall’articolo 2, lettera h) della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, che definisce il consenso come “qualsiasi manifestazione di volonta’ libera, specifica e informata con la quale la persona interessata accetta che i dati personali che la riguardano siano oggetto di un trattamento”, direttiva in cui si chiarisce ulteriormente, all’articolo 7, che il trattamento dei dati personali puo’ essere effettuato soltanto quando “la persona interessata ha manifestato il proprio consenso in maniera inequivocabile”.
Ed in una prospettiva di ulteriore specificazione del concetto, utile ad intendere anche la portata dal menzionato articolo 23, il “consenso dell’interessato”, all’undicesima delle definizioni date in apertura del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del consiglio del 27 aprile 2016 (c.d. GDPR, General Data Protection Regulation), e’ inteso come: “qualsiasi manifestazione di volonta’ libera, specifica, informata e inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva
inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento”. Dopodiche’ il trentaduesimo considerando dello stesso testo aggiunge che: “Il consenso dovrebbe essere espresso mediante un atto positivo inequivocabile con il quale l’interessato manifesta l’intenzione libera, specifica, informata e inequivocabile di accettare il trattamento…”).
2.4. – Sorge dunque il problema dell’identificazione e delimitazione della nozione di consenso adottata dal legislatore con il richiamato articolo 23.
Orbene, e’ anzitutto da escludere che il consenso considerato da tale disposizione sia semplicemente il medesimo consenso in generale richiesto a fini negoziali, ossia il consenso prestato da un soggetto capace di intendere e volere e non viziato da errore, violenza o dolo, ovvero, in determinati frangenti, da pericolo o da bisogno: consenso, quello cosi’ previsto, che pur sussiste quantunque perturbato, al di sotto di una determinata soglia, in ragione dei vizi indicati, secondo quanto risulta dagli articoli 1428, 1435 e 1439 c.c..
Una simile lettura minimale dell’articolo 23 – che e’ in definitiva quella che pare emergere, sia pur senza adeguata consapevolezza, dal provvedimento impugnato – non ha fondamento, almeno per due ragioni:
-) in primo luogo, se il consenso dovesse essere inteso nella medesima accezione in cui esso e’ di regola richiesto a fini negoziali, la norma del Codice della privacy sarebbe superflua, non potendosi dubitare che, anche senza di essa, un trattamento dei dati senza consenso non sia ipotizzabile, dal momento che i dati personali costituiscono beni attinenti alla persona;
-) in secondo luogo il legislatore non discorre qui di un generico consenso, bensi’ di un consenso manifestato, oltre che espressamente, liberamente e specificamente, a condizione che all’interessato siano state previamente offerte le informazioni elencate dall’articolo 13 del Codice della privacy.
Non v’e’ dubbio, allora, che, nel suo complesso la previsione di un consenso in tal modo “rafforzato” sia dettato dall’esigenza di rimediare alla intrinseca situazione di debolezza dell’interessato, sia sotto il profilo della evidente “asimmetria informativa “, sia dal versante della tutela contro possibili tecniche commerciali aggressive o suggestive. La normativa in questione, dunque, sorge dall’esigenza di affrontare i rischi per la persona posti dal trattamento in massa dei dati personali, cosi’ come reso possibile dall’evoluzione tecnologica. Puo’ dunque dirsi che il consenso in questione debba essere ricondotto alla nozione di “consenso informato”, nozione ampiamente impiegata in taluni settori – basti menzionare il campo delle prestazioni sanitarie – in cui e’ particolarmente avvertita l’esigenza di tutelare la pienezza del consenso, in vista dell’esplicazione del diritto di autodeterminazione dell’interessato, attraverso la previsione di obblighi di informazione contemplati in favore della parte ritenuta piu’ debole.
Tale lettura trova conferma nel rinvio al gia’ citato articolo 13, il quale enumera le informazioni che devono essere fornite all’interessato prima che questi esprima il suo consenso, ed altresi’ nella previsione dell’articolo 11, comma 1, lettera b e d, del Codice della privacy, il quale consente l’utilizzo dei dati solo per gli scopi per cui sono stati raccolti e che devono essere comunicati all’interessato prima che egli manifesti il suo consenso.
Ne discende che il consenso in discorso, alla luce del dato normativo, e’ tale da non ammettere compressioni di alcun genere e non sopporta di essere sia pure marginalmente perturbato non solo per effetto di errore, violenza o dolo, ma anche per effetto de l’intero ventaglio di possibili disorientamenti, stratagemmi, opacita’, sotterfugi, slealta’, doppiezze o malizie comunque adottate dal titolare del trattamento.
In tal senso va inteso il dato normativo alla luce del quale deve trattarsi di un consenso libero, ossia pienamente consapevole ed informato e non gia’ frutto di alcun condizionamento, e specifico, ossia inequivocabilmente riferito a ciascun particolare effetto del trattamento.
2.5. – Piu’ in specifico, con riguardo all’aspetto della liberta’, occorre esaminare, in relazione al caso in esame, la questione se il condizionamento di cui si e’ detto, tale da far si’ che il consenso non sia conforme al dettato normativo, possa essere ravvisato nell’ipotesi in cui l’offerta di un determinato servizio da parte del gestore di un sito Internet sia – per l’appunto – condizionato al Nasi del consenso all’utilizzo dei dati personali per il successivo invio, da parte di terzi, di messaggi pubblicitari: quesito al quale si riferisce, oggi, il comma 4 dell’articolo 7 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, secondo cui:
“Nel valutare se il consenso sia stato liberamente prestato, tiene nella massima considerazione l’eventualita’, tra le altre, che l’esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di dati personali non necessario all’esecuzione di tale contratto”.
Ritiene la Corte, nel quadro di applicazione del citato articolo 23, che la risposta al quesito non possa essere univoca e, cioe’, che il condizionamento non possa sempre e comunque essere dato per scontato e debba invece essere tanto piu’ ritenuto sussistente, quanto piu’ la prestazione offerta dal gestore del sito Internet sia ad un tempo infungibile ed irrinunciabile per l’interessato, il che non puo’ certo dirsi accada nell’ipotesi di offerta di un generico servizio informativo del tipo di quello in discorso, giacche’ all’evidenza si tratta di informazioni agevolmente acquisibili per altra via, eventualmente attraverso siti a pagamento, se non attraverso il ricorso all’editoria cartacea, con la conseguenza che ben puo’ rinunciarsi a detto servizio senza gravoso sacrificio.
Non puo’ allora essere condiviso l’argomento svolto dal giudice di merito secondo cui, dando credito alla tesi sostenuta dal Garante, si finirebbe per “delineare una sorta di obbligo tout court, per il gestore del portale, di offrire comunque le proprie prestazioni, a prescindere dalla prestazione del consenso al trattamento dei dati personali da parte dell’utente”: e, in buona sostanza, per obbligare cosi’ il gestore del portale a rinunciare al tornaconto economico dell’operazione che egli compie, proveniente dall’attivita’ pubblicitaria realizzata tramite l’impiego dei dati personali acquisiti.
Nulla, infatti, impedisce al gestore del sito – beninteso, si ripete, in un caso come quello in questione, concernente un servizio ne’ infungibile, ne’ irrinunciabile -, di negare il servizio offerto a chi non si presti a ricevere messaggi promozionali, mentre cio’ che gli e’ interdetto e’ utilizzare i dati personali per somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che non abbia effettivamente manifestato la volonta’ di riceverli. Insomma, l’ordinamento non vieta lo scambio di dati personali, ma esige tuttavia che tale scambio sia frutto di un consenso pieno ed in nessun modo coartato.
2.6. – Oltre che libero, il consenso, come si diceva, deve essere specifico: ed e’ manifesto che il requisito della specificita’ si pone, nel disegno normativo, in stretto collegamento con quello della liberta’ del consenso, cosi’ da risolversi in un’endiadi, giacche’ la liberta’ della determinazione volitiva in ordine al trattamento dei dati personali non sarebbe neppure astrattamente configurabile, nel suo atteggiarsi quale consenso informato, se non fosse univocamente indirizzata alla produzione di effetti che l’utente abbia preventivamente avuto modo di rappresentarsi, singolarmente, con esattezza.
L’interessato deve essere allora con certezza posto in condizione di raffigurarsi, in maniera inequivocabile, gli effetti del consenso prestato al trattamento dei suoi dati: di guisa che, se detto consenso comporta una pluralita’ di effetti – come nel caso di specie, in cui esso si estende alla ricezione di messaggi promozionali anche da parte di terzi -, lo stesso va singolarmente prestato in riferimento a ciascuno di essi, di modo che, con totale trasparenza, risulti palese che proprio ciascuno di tali effetti egli ha voluto.
E’ dunque senz’altro da escludere che il consenso possa dirsi specificamente, e dunque anche liberamente, prestato in un’ipotesi in cui, ove gli effetti del consenso non siano indicati con completezza accanto ad una specifica “spunta” apposta sulla relativa cartella di una pagina Web, ma siano invece descritti in altra pagina Web linkata alla prima, non vi sia contezza che l’interessato abbia consultato detta altra pagina, apponendo nuovamente una diversa “spunta” finalizzata a manifestare il suo consenso.
Inoltre, ritiene il Collegio, perche’ il consenso possa essere detto specifico, che esso, per la contraddizione che non lo consente, non possa essere genericamente riferito a non meglio identificati messaggi pubblicitari, sicche’ colui il quale abbia chiesto di fruire di un servizio di informazioni giuridico-fiscali, si debba vedere poi raggiunto da pubblicita’ di servizi o prodotti non attinenti alle ricerche effettuate. E’ allora specifico, per questo aspetto, il consenso se riferito “ad un trattamento chiaramente individuato”, il che comporta la necessita’, almeno, dell’indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti.
2.7. – La sentenza impugnata, in definitiva, adottando una nozione generica ed onnicomprensiva di consenso, non conforme al dato normativo, non si e’ attenuta ai principi fin qui illustrati, che possono cosi’ riassumersi: “In tema di consenso al trattamento dei dati personali, la previsione dell’articolo 23 del Codice della privacy, nello stabilire che il consenso e’ validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, consente al gestore di un sito Internet, il quale somministri un servizio fungibile, cui l’utente possa rinunciare senza gravoso sacrificio (nella specie servizio di newsletter su tematiche legate alla finanza, al fisco, al diritto e al lavoro), di condizionare la fornitura del servizio al trattamento dei dati per finalita’ pubblicitarie, sempre che il consenso sia singolarmente ed inequivocabilmente prestato in riferimento a tale effetto, il che comporta altresi’ la necessita’, almeno, dell’indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti”. La sentenza va dunque cassata senza rinvio e, decidendo nel merito, va rigettata l’opposizione originariamente spiegata da (OMISSIS) S.r.l..
3. – Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione proposta da (OMISSIS) S.r.l. nei confronti dell’Autorita’ Garante per la Protezione dei Dati Personali, condannando la controricorrente al rimborso, in favore della ricorrente, delle spese sostenute per il giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 4.800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, nonche’ delle spese sostenute per questo giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
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