Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 12 giugno 2018, n. 26905.
La massima estrapolata:
La unicita’ di disegno criminoso, richiesta dall’articolo 81 c.p., comma 2, non puo’ identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a porre in essere determinati reati.
Al contempo la nozione di continuazione neppure puo’ ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalita’ delle condotte, giacche’ siffatta definizione di dettaglio oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di “disegno” porrebbe l’istituto fuori dalla realta’ concreta, data la variabilita’ delle situazioni di fatto e la loro prevedibilita’, quindi e normalmente, solo in via approssimativa.
Quello che occorre, invece, e’ che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralita’ di condotte in vista di un unico fine.
La programmazione puo’ essere percio’ ab origine anche di massima, purche’ i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale, con riserva di “adattamento” alle eventualita’ del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico scopo o intento, prefissato e sufficientemente specifico.
In altri termine, il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneita’ delle violazioni e del bene protetto, la contiguita’ spazio-temporale, le singole causali, le modalita’ della condotta, la sistematicita’ e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea.
Sentenza 12 giugno 2018, n. 26905
Data udienza 7 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOVIK Adet Toni – Presidente
Dott. TARDIO Angela – Consigliere
Dott. BINENTI Roberto – Consigliere
Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 21/12/2016 del TRIBUNALE di ROMA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MAGI RAFFAELLO;
lette le conclusioni del P.G. Dott. MOLINO P., che ha chiesto il rigetto del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ordinanza resa in data 21 dicembre 2016 il Tribunale di Roma – in procedura esecutiva – ha respinto l’istanza proposta da (OMISSIS), tesa ad ottenere il riconoscimento della continuazione tra i fatti oggetto di distinte decisioni irrevocabili.
In motivazione si evidenzia che nonostante il ridotto arco temporale di consumazione (circa due mesi tra la prima e la seconda violazione) e l’inerenza delle condotte agli stupefacenti, la seconda violazione e’ stata posta in essere dopo l’arresto avvenuto per la prima.
Tale circostanza viene ritenuta indicativa di abitualita’, il che conduce al diniego della domanda.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – con personale sottoscrizione – (OMISSIS), deducendo erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione.
Si afferma che il Tribunale ha sottovalutato la contiguita’ temporale e la sostanziale omogeneita’ delle condotte’led ha valorizzato un aspetto che non sarebbe decisivo, ben potendo la seconda cessione derivare da un approvvigionamento di stanza avvenuto prima dell’arresto.
3. Il ricorso e’ infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1 Ed invero va premesso che in tema di riconoscimento della continuazione il giudice di merito – attraverso un concreto esame dei tempi e delle modalita’ di realizzazione delle diverse violazioni commesse – deve apprezzare l’esistenza o meno di indici rivelatori tali da consentire – ove rinvenuti – la qualificazione delle condotte in termini di unicita’ del disegno criminoso.
Per tale va intesa la rappresentazione unitaria sin dal momento ideativo delle diverse condotte violatrici – almeno nelle loro linee essenziali – da parte del soggetto agente, si’ da potersi escludere una successione di autonome risoluzioni criminose ed in tal modo giustificandosi la valutazione di ridotta pericolosita’ sociale che giustifica il trattamento sanzionatorio piu’ mite rispetto al cumulo materiale (ex multis Sez. 1, n. 40123 del 22.10.2010, rv 248862).
Cio’ perche’ la ricaduta nel reato e l’abitualita’ a delinquere non integrano di per se’ il caratteristico elemento intellettivo (unita’ di ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato.
3.2 La ricostruzione del processo ideativo di una serie di episodi e’ – per natura indiziaria, atteso che trattandosi di accertamento relativo ad atteggiamento psicologico lo stesso puo’ alimentarsi esclusivamente dall’apprezzamento di nessi esteriori – tra le diverse condotte poste in essere -, che non siano pero’ espressivi di una indefinita adesione ad un sistema di vita.
Va riaffermato dunque che la unicita’ di disegno criminoso, richiesta dall’articolo 81 c.p., comma 2, non puo’ identificarsi con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose o comunque con una generale tendenza a porre in essere determinati reati.
Al contempo la nozione di continuazione neppure puo’ ridursi all’ipotesi che tutti i singoli reati siano stati dettagliatamente progettati e previsti, in relazione al loro graduale svolgimento, nelle occasioni, nei tempi, nelle modalita’ delle condotte, giacche’ siffatta definizione di dettaglio oltre a non apparire conforme al dettato normativo, che parla soltanto di “disegno” porrebbe l’istituto fuori dalla realta’ concreta, data la variabilita’ delle situazioni di fatto e la loro prevedibilita’, quindi e normalmente, solo in via approssimativa.
Quello che occorre, invece, e’ che si abbia una visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralita’ di condotte in vista di un unico fine.
La programmazione puo’ essere percio’ ab origine anche di massima, purche’ i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale, con riserva di “adattamento” alle eventualita’ del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico scopo o intento, prefissato e sufficientemente specifico (in tal senso Sez. 1, n. 12905 del 17.3.2010, rv 246838).
Tali principi sono stati di recente ribaditi, con specifico riferimento ai contenuti della valutazione da compiersi in sede esecutiva, da Sez. Un. n. 28659 del 18.5.2017, rv 270074, che si e’ espressa nel modo che segue: il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneita’ delle violazioni e del bene protetto, la contiguita’ spazio-temporale, le singole causali, le modalita’ della condotta, la sistematicita’ e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea.
3.3 Nel caso in esame la valutazione operata dal Tribunale appare rispondente a tali considerazioni in diritto e non appare inficiata da evidenti vizi logici, dato che l’aver commesso il secondo episodio in stato di sottoposizione a misura cautelare (momento che induce ad una riflessione di maggior consapevolezza del disvalore della condotta) risulta significativo della rinnovata ideazione criminosa; in tal senso, il ragionamento espresso in sede di merito appare il logico dispiegarsi di valutazioni in fatto, non sindacabili nella presente sede di legittimita’. Le considerazioni difensive, infatti, introducono una variabile in fatto, peraltro ininfluente posto che la remora a vincere l’obbligo di astenersi dal ripetere la condotta criminosa (data la condizione di soggetto in cautela) rappresenta un preciso indicatore di nuova ideazione, incompatibile con la continuazione invocata.
Al rigetto del ricorso segue, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Motivazione semplificata.
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