Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 11 maggio 2018, n. 21102.
La massima estrapolata:
In caso di condanna o decreto irrevocabili, relativi ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’esecuzione revoca il provvedimento perche’ il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili, atteso che il venir meno della condanna non puo’ incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza.
Sentenza 11 maggio 2018, n. 21102
Data udienza 13 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONITO F. Maria Silv – Presidente
Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere
Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere
Dott. APRILE Stefano – Consigliere
Dott. DI GIURO Gaetano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 08/09/2017 del TRIBUNALE di CATANIA;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. APRILE STEFANO;
lette le conclusioni del PG Dott. LOY Maria Francesca, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catania, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata nell’interesse di (OMISSIS) volta a ottenere la revoca ex articolo 673 c.p.p., delle statuizioni civili contenute nella sentenza pronunciata da quel Tribunale il 29 marzo 2016 n. 1778/2016, divenuta irrevocabile, con la quale lo stesso e’ stato assolto dalla contestazione di cui all’articolo 485 c.p., perche’ il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato, con contestuale condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita.
2. Ricorre (OMISSIS), a mezzo del difensore avv. (OMISSIS), che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando la violazione di legge, in relazione agli articoli 593 e 667 c.p. e Decreto Legislativo n. 7 del 2016, poiche’, essendo intervenuta nel corso del giudizio di primo grado la abrogazione della condotta contestata, non poteva essere pronunciata la condanna al risarcimento del danno da reato in favore della parte civile, mancandone il presupposto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato.
1.1. Il giudice dell’esecuzione ha rigettato l’istanza ex articolo 673 c.p.p., evidenziando che la sentenza di assoluzione, che conteneva la condanna al risarcimento del danno, non era stata impugnata dall’imputato, sicche’ il giudicato formatosi sul punto non poteva essere vanificato.
2. E’ opportuno ricordare brevemente i principali elementi di novita’ introdotti dal Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, recante disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma della L. 28 aprile 2014, n. 67, articolo 2, comma 3.
Il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 1, ha disposto l’abrogazione dell’articolo 485 c.p., fattispecie contestata a (OMISSIS) nel giudizio di merito.
L’articolo 4, comma 4, del decreto citato, stabilisce che “soggiace alla sanzione pecuniaria civile da Euro duecento a Euro dodicimila: a) chi, facendo uso o lasciando che altri faccia uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno. Si considerano alterazioni anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fu definitivamente formata; b) chi, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l’obbligo o la facolta’ di riempirlo, vi scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, se dal fatto di farne uso o di lasciare che se ne faccia uso, deriva un danno ad altri; c) chi, limitatamente alle scritture private, commettendo falsita’ su un foglio firmato in bianco diverse da quelle previste dalla lettera b), arreca ad altri un danno; d) chi, senza essere concorso nella falsita’, facendo uso di una scrittura privata falsa, arreca ad altri un danno; e) chi, distruggendo, sopprimendo od occultando in tutto o in parte una scrittura privata vera, arreca ad altri un danno; f) chi commette il fatto di cui al comma 1, lettera a), del articolo presente, nel caso in cui l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di piu’ persone”.
A norma del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 9, l’azione e’ esercitata davanti al giudice civile dalla persona che ha subito il danno e vanta il diritto al risarcimento; il medesimo giudice e’ competente ad applicare le sanzioni civili sopra ricordate.
3. Cio’ premesso, e’ opportuno evidenziare che il caso oggetto del giudizio presenta una peculiarita’ della quale e’ necessario tenere conto: il giudizio di primo grado si e’ concluso con l’assoluzione per abolitio criminis e con la condanna al risarcimento del danno derivante dall’abrogato reato.
3.1. E’ bene evidenziare che tale esito processuale non e’ contemplato dal Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7: il giudice di merito, in presenza della abrogazione in discorso deve limitarsi a prosciogliere l’imputato, senza assumere determinazioni sui danni civili che conseguono alla condotta non piu’ prevista dalla legge come reato, perche’ difetta della possibilita’ di conoscere di tale domanda a causa del venire meno della giurisdizione a conoscere del reato.
Infatti, in mancanza di una disciplina transitoria relativa ai processi pendenti (articolo 12 del decreto), deve escludersi che il giudice penale, investito del procedimento per uno dei reati abrogati, possa procedere all’applicazione delle sanzioni civili introdotte dal decreto legislativo in discorso (si veda, in proposito, il paragrafo n. 9 della sentenza Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru, che evidenzia, tra l’altro, la diversa regolamentazione introdotta dal Decreto Legislativo n. 8 del 2016, articolo 8, relativa alla trasformazione in illecito amministrativo di alcune norme i ncri mi natrici).
La sentenza SU Schirru ha, in effetti, stabilito che “in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire ex novo nella sede naturale, per il risarcimento del danno e l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile” (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru e altro, Rv. 267884).
In applicazione dei principi espressi dalle SU Schirru, deve concludersi che non e’ ammissibile una pronuncia di proscioglimento per abolitio criminis che rechi, altresi’, la condanna al risarcimento del danno per detta condotta.
4. In considerazione della particolare situazione venutasi a creare, deve essere attentamente valutata la diretta applicabilita’ degli altri principi espressi dalle SU Schirru.
Il caso, infatti, risulta apparentemente estraneo ai confini della decisione delle SU Schirru che avevano ad oggetto, invece, una sentenza di condanna per uno dei reati abrogati dal citato decreto.
Da cio’ ad avviso del Collegio, discende l’inapplicabilita’ del principio di diritto espresso dalla citata sentenza secondo il quale “in caso di condanna o decreto irrevocabili, relativi ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’esecuzione revoca il provvedimento perche’ il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili, atteso che il venir meno della condanna non puo’ incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza” (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru e altro, Rv. 267885).
4.1. D’altra parte, il caso in esame e’ caratterizzato dall’assenza del potere giurisdizionale del giudice che ha pronunciato la sentenza in ragione dell’abolitio criminis intervenuta nel corso del giudizio di primo grado.
5. Cio’ premesso, il quadro normativo di riferimento deve essere arricchito da ulteriori elementi di confronto.
5.1. L’articolo 673 c.p.p., comma 2, concerne l’ipotesi del proscioglimento dell’imputato cui, non di meno, consegue la revoca della sentenza in caso di abolitio criminis.
Tale disposizione, che risulta di fatto applicata molto raramente nella giurisprudenza di legittimita’ (Sez. 1, n. 23852 del 17/02/2004, Bianchino, Rv. 228992, esclude l’applicabilita’ della disposizione con riguardo alle sanzioni processuali), fa riferimento alla revoca per abolitio criminis della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o per mancanza di imputabilita’.
La revoca della sentenza di proscioglimento trova fondamento, in questi casi, nell’esistenza di pronunce accessorie pregiudizievoli per l’imputato al quale puo’, ad esempio essere stata applicata una misura di sicurezza proprio in considerazione della rilevanza penale della condotta successivamente abrogata.
In effetti, secondo la giurisprudenza di legittimita’ al proscioglimento per estinzione del reato puo’ conseguire la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, quando il giudice penale abbia accertato la responsabilita’ (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273), sicche’ anche in questo caso la successiva abolitio criminis giustifica la revoca della sentenza.
In tutti i casi, l’articolo 673 c.p.p., comma 2, e’ destinato a regolare la sorte della decisione di proscioglimento che abbia accertato la responsabilita’ per il reato, prevedendone la revoca.
Si tratta, cioe’, di una previsione di ampio respiro che consente all’ordinamento di adeguarsi agli interventi abrogativi destinati ad incidere su decisioni irrevocabili che, ancorche’ di proscioglimento, contengono pero’ statuizioni pregiudizievoli.
5.2. Piu’ in generale, il giudice dell’esecuzione e’ chiamato ad affrontare, con lo strumento di cui all’articolo 673 c.p.p., il caso della manifesta illegalita’ della pronuncia.
La giurisprudenza di legittimita’ ha, infatti, affermato che “l’applicazione di una pena accessoria extra o contra legem dal parte del giudice della cognizione puo’ essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione purche’ essa sia determinata per legge ovvero determinabile, senza alcuna discrezionalita’, nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione” (Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014 dep. 2015, B., Rv. 262327).
6. Cio’ premesso, il caso oggetto del giudizio deve essere inscritto tra le ipotesi di assoluta illegalita’ della pronuncia, non solo perche’ la condanna al risarcimento del danno e’ stata assunta in violazione di legge, ma soprattutto perche’ la decisione e’ stata emessa in totale assenza di potere giurisdizionale.
5.1. Il giudice di primo grado non poteva, ostando il disposto del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 12, pronunciarsi sul danno da reato, non foss’altro perche’ il “reato” non esisteva piu’ a seguito dell’abolitio criminis dallo stesso giudice dichiarata.
5.2. D’altra parte, essendo intervenuta nel corso del giudizio di primo grado l’abrogazione del reato, della quale il giudice ha preso atto, era venuto meno il potere giurisdizionale del giudice penale di conoscere la domanda risarcitoria introdotta nel processo penale soltanto a causa della sussistenza del detto reato.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimita’ ha affermato che il giudice penale non puo’ procedere al necessario accertamento del reato, anche se ai soli effetti civili, in considerazione dell’intervenuta espunzione della relativa fattispecie dall’ordinamento penale (in motivazione: Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru e altro, Rv. 267886).
Inoltre, tenuto presente che la giurisprudenza di legittimita’ ha stabilito che “il giudice dell’esecuzione puo’ revocare, ai sensi dell’articolo 673 c.p.p., una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorche’ l’evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal giudice della cognizione” (Sez. U, n. 26259 del 29/10/2015 dep. 2016, P.M. in proc. Mraidi, Rv. 266872), ne consegue che, a maggior ragione, la sentenza va revocata, con riguardo ai capi civili, quando il giudice, pur resosi conto dell’abrogazione, ha cio’ nonostante erroneamente pronunciato sugli interessi civili.
7. In conclusione, l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, deve essere revocata, limitatamente alle statuizioni civili, la sentenza del Tribunale di Catania.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e revoca la sentenza del Tribunale di Catania del 29 marzo 2016 n. 1778/2016, limitatamente alle statuizioni civili che elimina.
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