Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 10 maggio 2018, n. 11259.
La massima estrapolata:
In tema di impugnazioni, la mancata rilevazione officiosa di una nullita’ di protezione da parte del giudice di merito integra il vizio di omessa pronuncia qualora la relativa questione abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione; conseguentemente, in assenza di puntuale impugnazione, tale nullita’ non puo’ essere rilevata nel giudizio di appello o di cassazione, ostandovi il giudicato interno, che il giudice dei gradi successivi deve rilevare.
Sentenza 10 maggio 2018, n. 11259
Data udienza 24 gennaio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12690/2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione, nonche’ legale rappresentante pro tempore Dr. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1903/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 17/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con citazione 15-12-2011 (OMISSIS) convenne dinanzi al Tribunale di Bologna (OMISSIS) SpA (ora (OMISSIS) SpA) al fine di far dichiarare la nullita’ di alcune clausole, ritenute vessatorie, relative a contratto di leasing stipulato tra le parti in data 29-9-2009 ed avente ad oggetto un’autovettura BMW; ovvero far dichiarare la risoluzione del detto contratto per inadempimento della societa’ concedente (OMISSIS), e condannare quest’ultima al risarcimento dei conseguenti danni, ivi compresi quelli subiti a causa dell’avvenuta segnalazione ai sistemi informativi creditizi.
La detta autovettura, in uso a terza persona, era stata fermata in un porto spagnolo in procinto di imbarco per un Paese extra CEE senza autorizzazione all’espatrio, ed era stata dapprima sequestrata in data 7-11-2009 e poi, in seguito al dissequestro richiesto dalla concedente, ricondotta in Italia l’8-32010 e restituita a quest’ultima; in seguito a tanto, il (OMISSIS) aveva sospeso il pagamento dei canoni, e la concedente, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, aveva ritenuto risolto di diritto il contratto, alienato l’autovettura a terzi e preteso il pagamento di quanto dovuto, operando anche la segnalazione negativa ai sistemi informativi creditizi.
Le clausole in questione (di cui il (OMISSIS) ha chiesto dichiararsi la nullita’ per vessatorieta’) erano: la clausola contenente il divieto di espatrio e di circolazione nei Paesi extraeuropei (clausola n. 3 delle condizioni generali di contratto riportate all’interno del detto contratto di leasing); la clausola contenente il divieto di far fare uso della macchina a terzi senza previa autorizzazione della societa’ (clausola 4); la clausola di risoluzione di diritto (articolo 8).
Il Tribunale rigetto’ la domanda.
Con sentenza ex articolo 281 sexies c.p.c. del 17-11-2015 la Corte d’Appello di Bologna ha confermato la statuizione di primo grado; in particolare la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha affermato: 1) che la dedotta nullita’ delle su riportate clausole, invocata ai sensi dell’articolo 33, comma 2, lettera l) e articolo 36, comma 2, lettera c) del codice del consumo, era inconferente, in quanto siffatta nullita’ riguardava solo clausole che ne richiamavano altre, a loro volta non conosciute perche’ non presenti nel testo contrattuale sottoscritto, e non poteva quindi riferirsi alle clausole in questione, di contenuto diverso; 2) che la censura, concernente la invocata nullita’ della clausola risolutiva espressa ex articolo 32, comma 2, lettera f) codice consumo in quanto la stessa imponeva una penale manifestamente eccessiva ed aveva un oggetto indeterminabile, era tardiva, e comunque infondata, sia in quanto l’appellante non aveva spiegato perche’ e in che misura la penale fosse eccessiva sia perche’ l’oggetto era determinabile.
Avverso detta sentenza propone ricorso per Cassazione (OMISSIS), affidato a tre motivi.
Resiste (OMISSIS) SpA con controricorso.
Nella pubblica udienza del 24 gennaio 2018 il Collegio, al fine di sollecitare le parti al contradditorio in ordine alla procedibilita’ o meno del ricorso, ha posto la questione della eventuale mancanza agli atti della attestazione di conformita’ della relata di notifica della sentenza impugnata eseguita con modalita’ telematiche.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso e’, in primo luogo, procedibile, essendo stata rinvenuta agli atti la documentazione comprovante sia l’effettuazione della ordinaria notifica cartacea sia la su menzionata attestazione di conformita’.
Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 4 – nullita’ della sentenza per carente motivazione, nonche’ – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, si duole che la Corte non abbia proceduto alla ricostruzione del fatto nella sua interezza, basandosi sulla ricostruzione operata dal primo Giudice, e non abbia indicato le ragioni di condivisione del ragionamento seguito dal Tribunale.
Il motivo e’ infondato.
La Corte, nella sentenza impugnata, emessa ex articolo 281 sexies c.p.c., come appare evidente anche dalla su riportata sintesi della detta decisione, ha concisamente ma compiutamente esposto le ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione, che appare comprensibile ed intellegibile, con conseguente infondatezza delle denunziate violazioni.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli articoli 33 e 36 codice consumo con riferimento alle clausole 3 e 4 delle condizioni generali di contratto, nonche’ – ex articolo 360 c.p.c., n. 4 – nullita’ della sentenza per avere omesso di rilevare d’ufficio la nullita’ delle clausole per vessatorieta’, si duole che la Corte si sia limitata ad accertare che le dette clausole 3 e 4 non erano nulle Decreto Legislativo n. 206 del 2005, ex articoli 33 e 36 (codice consumo), senza verificare d’ufficio se le stesse potevano essere qualificate come vessatorie sotto altri aspetti; al riguardo precisa che le dette clausole, prevedendo il divieto di circolazione nei Paesi extraeuropei (clausola 3) ed il divieto dell’uso del bene da parte di terzi (clausola 4) erano da ritenersi vessatorie in quanto determinavano una chiara esclusione di responsabilita’ della societa’ concedente (OMISSIS) a tutto svantaggio dell’utilizzatore (OMISSIS) ed una restrizione della liberta’ contrattuale del consumatore in danno di terzi.
Il motivo e’ infondato.
Non vi e’ dubbio che al contratto di leasing in questione si applichi la invocata disciplina di tutela del consumatore di cui al Decreto Legislativo n. 206 del 2005, articoli 33 e ssg (c.d. codice del consumo); siffatta applicazione prescinde, come e’ noto, dal tipo contrattuale dalle parti posto in essere e dalla natura delle prestazione oggetto del contratto, essendo rilevante il mero fatto che risulti concluso tra un professionista ed un consumatore (da intendersi secondo le definizioni di cui alDecreto Legislativo n. 206 del 2005, articolo 3, comma 1, lettera a) e c)); a fronte di siffatta invocazione, e in particolare a fronte della deduzione della vessatorieta’ di alcune clausole contenute nel contratto, il professionista, che intenda escludere l’applicazione della menzionata disciplina di tutela, ha l’onere di provare che le dette clausole siano state oggetto di specifica trattativa caratterizzata dagli indefettibili requisiti della individualita’, serieta’ ed effettivita’ (Cass. 6802/2010); onere della prova non soddisfatto nel caso di specie, non essendo a tal fine sufficiente la mera sottoscrizione delle clausole in questione (in tal senso va, quindi, corretta ex articolo 384 c.p.c., u.c., la motivazione della sentenza impugnata).
Cio’ posto, va evidenziato che il ricorrente, sin dal primo grado del giudizio (v. pagg 22 e 23 ricorso per Cassazione), ha posto a base della sua domanda di nullita’ delle dette clausole la vessatorieta’ delle stesse con riferimento al disposto dell’articolo 33, comma 2, lettera l) e articolo 36, comma 2, lettera c) del cit. D.Lgs., in base ai quali si presumono vessatorie le clausole che prevedano “l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilita’ di conoscere prima della conclusione del contratto” (articolo 33 comma 2, lettera l)), e quelle che, quantunque oggetto di trattativa, prevedano “l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilita’ di conoscere prima della conclusione del contratto” (articolo 36, comma 2, lettera c); secondo il ricorrente, pertanto, come esposto nel relativo motivo di appello (v. pag. 3 sentenza impugnata), le dette clausole erano da ritenersi nulle – ex articolo 33, comma 2, lettera l) e articolo 36, comma 2, lettera c) codice del consumo – per non avere avuto la “possibilita’ di conoscerle prima della conclusione”.
La Corte d’Appello, decidendo sul detto motivo, ha osservato che le clausole in questione (contenenti il divieto di espatrio e di circolazione nei Paesi extraeuropei ed il divieto di far fare uso della macchina a terzi senza previa autorizzazione della societa’) non prevedevano “l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilita’ di conoscere prima della conclusione del contratto” o “l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilita’ di conoscere prima della conclusione del contratto”, ed ha quindi ritenuto inconferenti i richiami al codice del consumo sui quali il ricorrente aveva fondato la sua pretesa.
Detta ratio non e’ stata oggetto di ricorso per Cassazione, con il quale, invero il ricorrente si lamenta solo che la Corte si sia limitata a verificare la ricorrenza tali ipotesi di nullita’ (ex articolo 33 comma 2, lettera l) e articolo 36, comma 2, lettera c) codice del consumo), senza verificare d’ufficio se le clausole in questione potevano essere qualificate come vessatorie sotto altri aspetti, e, in particolare, se potevano presumersi vessatorie ai sensi dell’articolo 33, comma 2, lettera t) codice consumo, in quanto determinanti una restrizione della liberta’ contrattuale del consumatore utilizzatore nei confronti dei terzi.
Siffatta nullita’ per ragioni diverse da quelle esposte sin dal primo grado del giudizio non e’ stata, tuttavia, neanche dedotta in appello, con il quale (come detto) il ricorrente ha ribadito la vessatorieta’ delle clausole esclusivamente con riferimento all’articolo 33, comma 2, lettera l) e articolo 36, comma 2, lettera c) codice del consumo, sicche’ correttamente il giudice del gravame non ha proceduto al rilievo d’ufficio di nullita’ per motivi diversi da quelli denunciati; ed invero “in tema di impugnazioni, la mancata rilevazione officiosa di una nullita’ di protezione da parte del giudice di merito integra il vizio di omessa pronuncia qualora la relativa questione abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione; conseguentemente, in assenza di puntuale impugnazione, tale nullita’ non puo’ essere rilevata nel giudizio di appello o di cassazione, ostandovi il giudicato interno, che il giudice dei gradi successivi deve rilevare” (Cass. 923/2017).
Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli articoli 33 e 36 codice consumo con riferimento alla clausola 8 delle condizioni generali di contratto, si duole che la Corte non abbia accertato, anche d’ufficio, la natura vessatoria di detta clausola, che lasciava alla discrezionalita’ del concedente la possibilita’ di chiedere, nell’ipotesi di risoluzione, una penale manifestamente eccessiva, in quanto corrispondente, nei fatti, al versamento dell’intero importo dei canoni del contratto di leasing pur in assenza della prosecuzione dello stesso.
Il motivo e’ inammissibile per mancanza di interesse del ricorrente.
La domanda riconvenzionale, avente ad oggetto il pagamento della penale, e’ stata dichiarata, invero, inammissibile dal primo Giudice, e non v’e’ stata censura sul punto.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, poiche’ il ricorso e’ stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed e’ stato rigettato, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis del cit. articolo 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano in Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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