Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 7 agosto 2018, n. 20593.
La massima estrapolata:
In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 cod. civ.non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova.
Ordinanza 7 agosto 2018, n. 20593
Data udienza 16 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5215/2014 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso in forza di procura speciale rilasciata a margine del ricorso dall’avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa in forza di procura speciale rilasciata in calce al controricorso dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentato e difeso in forza di procura speciale rilasciata in calce al controricorso dagli avvocati (OMISSIS), elettivamente domiciliato presso il loro studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentati e difesi in forza di procura speciale rilasciata in calce al controricorso dall’avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS):
– intimati –
avverso la sentenza n. 4261/2013 della Corte d’appello di Napoli, depositata il 5 dicembre 2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 febbraio 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;
vista la memoria difensiva depositata dal ricorrente ex articolo 380 bis 1 c.p.c..
RITENUTO
che con atto di citazione notificato in data 20 maggio 1999 (OMISSIS), premesso di aver acquistato da (OMISSIS) un appartamento a piano terra con annesso terrazzo a livello sito in (OMISSIS) nel fabbricato di (OMISSIS), conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Torre Annunziata, la condomina (OMISSIS), proprietaria di altra unita’ immobiliare nello stesso stabile, al fine di sentire accertare il suo diritto di proprieta’ esclusiva sul terrazzo in questione per averlo acquistato a titolo derivativo dalla (OMISSIS) o, in subordine, a titolo originario in forza di usucapione;
che, costituitasi in giudizio, (OMISSIS) contestava le avverse pretese deducendo la natura condominiale ex articolo 1117 c.c. del vano in contestazione;
che veniva integrato il contraddittorio nei confronti degli altri condomini dello stabile, (OMISSIS), che restava contumace, e (OMISSIS), il quale chiedeva rigettarsi la domanda proposta dal (OMISSIS) e accertarsi la natura condominiale del locale in questione;
che, nelle more del giudizio, la (OMISSIS) proponeva domanda di reintegra, assumendo di essere stata spogliata del possesso del locale per averlo l’attore chiuso con una struttura in muratura;
che, accolto il provvedimento possessorio, l’attore chiamava in causa la dante causa (OMISSIS) al fine di ottenere, in caso di accoglimento della domanda riconvenzionale, la risoluzione del contratto con restituzione del prezzo pagato, il risarcimento del danno e per essere garantito in caso di accoglimento della domanda della (OMISSIS);
che (OMISSIS), costituitasi in giudizio, aderiva alla domanda proposta dall’attore nei confronti della (OMISSIS), chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi riguardi e di chiamare in causa la sua dante causa, (OMISSIS), al fine di esserne garantita in caso di accoglimento della domanda della (OMISSIS);
che, costituitasi in giudizio, (OMISSIS) deduceva difese analoghe a quelle di (OMISSIS) e chiamava in causa (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi della sua dante causa, (OMISSIS), al fine di esserne garantita in caso di accoglimento della domanda di (OMISSIS);
che il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza depositata il 29 settembre 2008, rigettava la domanda proposta dal (OMISSIS), accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dalla (OMISSIS) e, per l’effetto, dichiarava il terrazzo oggetto del contenzioso di proprieta’ comune. Confermava il provvedimento possessorio emesso in corso di causa, dichiarando inammissibili le domande proposte nei confronti dei terzi chiamati in causa, e compensava tra le parti le spese di lite, ponendo quelle di consulenza a carico di coloro che le avevano anticipate;
che avverso detta sentenza il (OMISSIS) proponeva appello chiedendo l’accoglimento delle domande proposte in primo grado;
che (OMISSIS) chiedeva il rigetto dell’appello, con conferma della sentenza impugnata;
che (OMISSIS) e (OMISSIS) spiegavano appello incidentale;
che (OMISSIS) e gli eredi (OMISSIS), costituitisi con atti separati, chiedevano il rigetto dell’appello;
che, con sentenza depositata il 5 dicembre 2013, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello principale, accoglieva l’appello incidentale spiegato da (OMISSIS) e, per l’effetto, condannava il (OMISSIS) a corrispondergli le spese del primo grado, nonche’ a rimborsare quanto corrisposto per spese di CTU. Rigettava l’appello incidentale proposto da (OMISSIS) e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado di appello in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS). Dichiarava, infine, interamente compensate le spese del grado di appello tra il (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e gli eredi (OMISSIS);
che avverso la suddetta sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi;
che (OMISSIS), (OMISSIS) nonche’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono costituiti con controricorso;
che (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non hanno svolto attivita’ difensiva.
CONSIDERATO
che con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il giudice del gravame, secondo quanto dedotto, avrebbe errato nel qualificare l’azione del (OMISSIS) come rivendica benche’ non vi fosse domanda di restituzione. La Corte d’appello avrebbe inoltre erroneamente ritenuto il (OMISSIS) privato del possesso, a vantaggio della (OMISSIS), benche’ lo stesso si fosse dichiarato pieno proprietario e le parti in causa avessero chiesto di accertare la proprieta’. La Corte d’appello, infirie, avrebbe omesso di pronunciarsi sul capo di domanda tendente ad accertare l’infondatezza della domanda riconvenzionale della (OMISSIS) e a dimostrare che questa aveva utilizzato il terrazzo soltanto quale conduttrice dell’appartamento di cui il terrazzo costituisce pertinenza e non quale proprietaria del diverso appartamento sito al primo piano;
che con il secondo motivo si deduce la violazione degli articoli 948, 1117 e 2907 c.c., articoli 99 e 113 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Secondo quanto prospettato dal ricorrente, non sarebbe dato comprendere le argomentazioni logico-giuridiche sottese alla qualificazione del terrazzo come “condominiale” posto che lo stesso non rientra tra i beni elencati nell’articolo 1117 c.c., ne’ siffatta qualificazione trova conforto nei titoli allegati;
che con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 948, 1168 e 1117 c.c., articoli 113, 704 e 705 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 parte ricorrente sostiene che essendo stato introdotto in giudizio possessorio, la sua concessione avrebbe “esautorato” l’azione petitoria, dal momento che il giudice non avrebbe mai potuto annullare il suo stesso provvedimento, sicche’ ogni successiva azione sarebbe risultata viziata da tale provvedimento, mentre la decisione finale sarebbe stata adattata alla tutela del possessorio;
che i primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati;
che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non e’ tenuto a uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante (Cass. 7 gennaio 2016, n. 118; Cass. 19 ottobre 2015, n. 21087);
che l’interpretazione della domanda rientra nella valutazione del giudice di merito e non e’ censurabile in sede di legittimita’ ove motivata in modo sufficiente e non contraddittorio (Cass. 24 luglio 2012, n. 12944);
che, nel caso di specie, la Corte d’appello, sulla base degli atti processuali, ha motivatamente qualificato la domanda principale proposta dall’attore come rivendica, riconducendo quella riconvenzionale all’accertamento della natura condominiale del bene, per cui nessuna censura puo’ essere formulata in questa sede;
che in tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprieta’ di un bene appartenente a quelli indicati dall’articolo 1117 c.c. non e’ necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprieta’ del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioe’ sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprieta’ esclusiva darne la prova (Cass. 7 maggio 2010, n. 11195);
che non vi e’ stata alcuna omessa pronuncia con riferimento alla domanda tendente ad accertare l’infondatezza della domanda riconvenzionale, avendo la Corte d’appello confermato le valutazioni compiute dal giudice di prime cure con riferimento alla natura condominiale del terrazzo, dedotta dall’esame degli atti di vendita e della consulenza tecnica d’ufficio, che hanno evidenziato la natura comune dell’area coperta oggetto del giudizio;
che, per contro, la Corte d’appello ha ritenuto che l’attore non ha prova’to di aver posseduto in via esclusiva del bene’, escludendo gli altri condomino dal godimento per il tempo necessario per la usucapione;
che, ai sensi dell’articolo 704 c.p.c., il provvedimento possessorio emesso nel corso del giudizio petitorio ha natura esclusivamente interinale ed e’ destinato ad essere assorbito dalla pronuncia che conclude il procedimento a cognizione piena nel quale e’ stato emesso (Cass. 16 giugno 2008, n. 16220), per cui nessuna violazione risulta essere stata commessa sotto tale profilo;
che con il quarto motivo parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli articoli 113, 115 e 116 c.p.c., articolo 2697 c.c. in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo quanto evidenziato, in mancanza di una eccezione o deduzione sul punto, con riferimento alle risultanze istruttorie, il giudice del gravame non poteva attribuire al bene controverso una definizione tecnica diversa e, comunque, fuori dal senso comune, qualificando il terrazzo a livello come portico. Il giudice, infatti, non avrebbe spiegato per quale motivo un terrazzo a livello non possa essere ubicato al piano terra, prevalendo il carattere della pertinenza rispetto all’unita’ immobiliare. Sotto altro profilo si deduce che l’insieme delle prove legali dedotte avrebbe evidenziato che la piena proprieta’ del terrazzo a livello si era gia’ consolidata in capo all’originaria dante causa ( (OMISSIS)), che l’aveva trasferita ai successivi proprietari. Le risultanze istruttorie e la consulenza d’ufficio avrebbero comunque dimostrato la fondatezza della domanda di accertamento dell’usucapione proposta in via subordinata, richiamando un periodo di possesso qualificato e ininterrotto a far data dal 1986, data in cui l’appartamento in oggetto si era configurato nella sua consistenza attuale per effetto del frazionamento effettuato dalla proprietaria dell’epoca, (OMISSIS), che aveva esercitato un legittimo possesso anche tramite l’inquilina, (OMISSIS);
che il motivo e’ infondato;
che la valutazione delle risultanze istruttorie e’ riservata al giudice del merito e la Corte d’appello ha dato conto delle ragioni in base alle quali ha ritenuto di dover confermare la decisione di prime cure alla luce della consulenza tecnica d’ufficio disposta e delle ulteriori risultanze documentali;
che la parte invero prospetta una inammissibile rivalutazione degli esiti dell’istruttoria compiuta, non potendo le deduzioni svolte – sotto altro profilo – essere ricondotte al vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella sua attuale formulazione che contempla, unicamente, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e nella specie non dedotto;
che con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli articoli 180 e 183 c.p.c. e articolo 269 c.p.c., comma 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Parte ricorrente si lamenta del fatto che il giudice del primo grado ha dichiarato l’inammissibilita’ della chiamata in causa di (OMISSIS), dante causa del (OMISSIS), dopo averla autorizzata, li’ dove la relativa eccezione era stata sollevata tardivamente soltanto dopo la concessione dei termini di cui all’articolo 190 c.p.c. La sentenza, pertanto, sarebbe illegittima non avendo valutato siffatti elementi di diritto, mentre la dichiarazione di inammissibilita’ delle chiamate in causa avrebbe determinato la violazione del principio di tutela dell’ordine pubblico alla celerita’ dei processi. Essendosi tutte le parti tempestivamente costituite senza alcuna preclusione, l’ingiustificato annullamento di tale attivita’ contrasterebbe con la regola del giusto processo e col principio del diritto alla difesa dell’attore che, chiamando in causa la venditrice, ha dichiarato di volersi avvalere della norma di cui all’articolo 1485 c.c. la quale prevede che, in mancanza di tempestivo esercizio della facolta’, il compratore perde la dedotta garanzia. I chiamati in causa, quindi, hanno partecipato all’attivita’ istruttoria, ampliandola, sicche’ la loro presenza non poteva correttamente essere eliminata con una pronuncia di inammissibilita’;
che il motivo e’ infondato;
che la chiamata in causa di un terzo, a differenza dell’ordine di integrazione del contraddittorio ex articolo 102 c.p.c., involge valutazioni circa l’opportunita’ di estendere il contraddittorio ad altro soggetto ed e’ sempre rimessa alla discrezionalita’ del giudice di primo grado, onde il relativo potere, comunque esercitato, in senso positivo o negativo, non puo’ essere oggetto di censura con il mezzo dell’appello o del ricorso per cassazione (ex plurimis Cass. 28 marzo 2014, n. 7406; Cass. 22 maggio 1997, n. 4568);
che improprio e’ il richiamo ai principi del giusto processo e della celerita’ dei tempi di trattazione, nonche’ del diritto di difesa, giacche’ nella specie non si configura alcuna loro lesione;
che con il sesto motivo si denuncia la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La sentenza impugnata sarebbe illegittima nella parte in cui ha accolto l’appello incidentale, proposto dal convenuto (OMISSIS), avente ad oggetto la parte della sentenza di primo grado in cui erano state compensate interamente tra le parti le spese di giudizio, ivi comprese quelle della CTU, ritenendo che, sul punto, non fosse comprensibile in che modo “la natura della controversia” e la “qualita’ delle parti” avessero potuto incidere sulla decisione. La motivazione della corte d’appello avrebbe violato gli articoli 91 e 92 c.p.c. nella formulazione vigente alla data del primo grado, ossia al 1999, allorche’ l’articolo 92 c.p.c., comma 2, stabiliva che “se vi e’ soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice puo’ compensare parzialmente o per l’intero le spese tra le parti”. Il giudice di prime cure, invece, avrebbe fatto corretta applicazione di tale norma, riferendosi implicitamente alla complessita’ della vicenda e al comportamento processuale delle parti;
che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi, pur nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera a) deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non e’ necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purche’, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal complesso della motivazione adottata, e fermo restando che la valutazione operata dal giudice di merito puo’ essere censurata in cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneita’, il processo decisionale (Cass. 2 dicembre 2010, n. 24531; Cass. 31 luglio 2009, n. 17868);
che, nel caso di specie, la Corte d’appello ha riformato la decisione di compensazione delle spese in primo grado tra l’attore e (OMISSIS) ritenendo non comprensibile il riferimento del tutto generico alla “natura della controversia” e alla “qualita’ delle parti”, regolando il governo delle spese sulla base della soccombenza;
che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
che poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di Stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.a
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali, che si liquidano in Euro 4.200,00 per ciascuna parte controricorrente, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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