Azione di nullità di una delibera assembleare il Giudice ha sempre il potere di rilevare la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10233.

Azione di nullità di una delibera assembleare il Giudice ha sempre il potere di rilevare la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato

In tema di società, il giudice, se investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato; se, invece, la domanda ha per oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera, la rilevabilità d’ufficio della nullità di quest’ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall’altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata; nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, tale potere (e dovere) di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d’ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea.

Ordinanza|18 aprile 2023| n. 10233. Azione di nullità di una delibera assembleare il Giudice ha sempre il potere di rilevare la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato

Data udienza 24 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave Società per azioni – Delibera assembleare – Nullità e i termini di decadenza – Rilievo – Margini di manovra del giudice – Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere

Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 114-2019 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato (OMISSIS) per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. (gia’ (OMISSIS) s.p.a.), rappresentata e difesa dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per procura in calce al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la SENTENZA n. 2082-2018 della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, depositata il 17/9/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/3/2023 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

Azione di nullità di una delibera assembleare il Giudice ha sempre il potere di rilevare la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato

FATTI DI CAUSA

1.1. (OMISSIS), con atto di citazione notificato il 27.29/2/2012, nella dichiarata qualita’ di socio e di presidente del consiglio di amministrazione, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Pistoia, la (OMISSIS) – (OMISSIS) s.p.a. (poi (OMISSIS) s.p.a.) chiedendo: – l’annullamento della delibera con la quale, in data 4/2/2012, l’assemblea dei soci della societa’ convenuta, in violazione degli articoli 2380, 2380 bis, 2381 e 2384 c.c. e degli articoli 11, 16, 21, 22 e 28 dello statuto e con l’abuso della maggioranza ai suoi danni, aveva dato mandato ad una commissione, composta da tre amministratori e tre soci, facenti parte questi ultimi di un patto di sindacato, di ricercare l’accordo per l’ingresso di nuovi azionisti da sottoporre all’approvazione degli organi competenti; – la condanna della societa’ convenuta al risarcimento del pregiudizio non patrimoniale arrecato all’attore.
1.2. La societa’ convenuta ha resistito alla domanda chiedendone il rigetto.
1.3. Il tribunale, con sentenza del 16/6/2015, ha rigettato le domande proposte dall’attore.
1.4. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che: a) era fondata l’eccezione, sollevata dalla convenuta, di carenza, in capo all’attore, della legittimazione attiva, rilevando, per un verso, che il singolo amministratore non puo’ impugnare la delibera adottata dall’assemblea della societa’ per azioni poiche’ il relativo potere spetta, a norma dell’articolo 2377 c.c., all’organo amministrativo nella sua collegialita’, e, per altro verso, che la delibera non aveva leso in via diretta ed immediata alcun diritto del presidente del consiglio di amministrazione. La commissione, infatti, ha osservato il tribunale, non era stata delegata ad assumere alcuna decisione vincolante per la societa’ ma solo a svolgere un compito di verifica preliminare circa la possibilita’ di ingresso nel capitale sociale della stessa di un nuovo socio per cui, se la delibera avesse effettivamente leso le prerogative del consiglio di amministrazione avendo delegato i relativi poteri ad un organo illegittimamente costituito, solo il consiglio stesso e non il singolo componente avrebbe potuto proporre la relativa impugnazione; b) l’attore, inoltre, pur avendo allegato di essere socio della societa’ convenuta con una partecipazione al capitale sociale consistente in 500 azioni, non aveva, tuttavia, dedotto di avere una partecipazione al capitale sociale superiore a quella richiesta dall’articolo 2377 c.c. e di avere, quindi, titolo, quale socio, alla impugnazione della delibera; c) era, infine, infondato l’assunto dell’attore di aver subito un danno dall’impugnata delibera per non aver potuto esercitare i poteri di presidente del consiglio di amministrazione e per essere stato di fatto esautorato dalla carica: – la delibera, infatti, ha osservato il tribunale, non ha revocato il presidente del consiglio di amministrazione dall’incarico ne’ lo ha di fatto esautorato dall’incarico; – l’attore, in effetti, ha continuato ad esercitare i poteri connessi alla carica tant’e’ che, pur dopo la delibera impugnata, ha convocato il consiglio di amministrazione; – la mancata partecipazione alle sedute del consiglio di amministrazione costituisce, per contro, il frutto di una libera scelta dell’attore non dipendente dalla delibera impugnata; e cio’ induce a ritenere l’insussistenza sia dell’invocato danno patrimoniale da lucro cessante (in relazione ai compensi per le riunioni consiliari e assembleari alle quali avrebbe potuto presenziare fino alla scadenza del mandato), sia del dedotto danno non patrimoniale (in relazione alla lesione della reputazione e dell’immagine professionale), posto che, in realta’, l’assemblea non aveva emarginato o privato l’attore dei suoi poteri, avendo “semplicemente… deciso, per la soluzione della situazione di crisi della (OMISSIS) Spa, di perseguire una strada (quella indicata nella impugnata delibera) diversa da quella sostenuta dall’attore e non accolta dall’assemblea”.

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1.5. Il tribunale, infine, ha condannato l’attore al pagamento delle spese di lite, in applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, con incremento del 50% dei valori medi, “in ragione della importanza della causa e del pregio dell’attivita’ defensionale svolta”, ed al risarcimento del danno previsto dall’articolo 96 c.p.c., sul rilievo che la domanda proposta dall’attore era connotata da colpa grave “poiche’ si basava su una interpretazione palesemente errata della delibera impugnata e trascurava il profilo della carenza di legittimazione del singolo amministratore ad impugnare la delibera”, senza, peraltro, prestare attenzione alla motivazione del decreto di rigetto dell’istanza di sospensiva ex articolo 2378 c.c. nella parte in cui il presidente del tribunale aveva “sottolineato l’assenza del fumus di un esautoramento del Consiglio di amministrazione o del Presidente di esso e aveva fornito una corretta interpretazione della delibera impugnata”.
2.1. (OMISSIS), con atto di citazione notificato il 15/1/2016, ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale deducendo, tra l’altro, che; – l’assemblea, con la delibera impugnata, aveva illecitamente attribuito a se’ stessa la competenza a deliberare su materie riservate per legge al consiglio di amministrazione, surrogando quest’ultimo con un organo non previsto ne’ dalla legge, ne’ dallo statuto; – nel sistema normativo previsto dagli articoli 2380 bis e 2364 n. 5 c.c., l’eventuale pronuncia dell’assemblea su materia estranea alle sue competenze legali, in quanto riservata all’organo gestorio, e’ sanzionata, a norma dell’articolo 2379 c.c., con la nullita’, avendo la stessa un oggetto giuridicamente impossibile o illecito; – tale disposizione non pone preclusioni all’impugnazione delle delibere nulla da parte di chiunque vi abbia interesse, a partire da ciascuno degli amministratori singolarmente considerati.
2.2. La (OMISSIS) s.p.a. ha resistito al gravame chiedendone il rigetto, deducendo, in particolare: – l’inammissibilita’ dell’appello per difetto delle condizioni dell’azione e dell’impugnazione a norma dell’articolo 2377, comma 3, c.c., sul rilievo che il (OMISSIS) era volontariamente receduto dalla societa’ convenuta con missiva dallo stesso inviata in data 22/12/2014 e pervenuta il 29/12/2014; – l’inammissibilita’ della domanda di nullita’ della delibera impugnata in quanto nuova.
2.3. La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato l’appello ed ha, per l’effetto, confermato integralmente la sentenza appellata.
2.4. La corte, in particolare, ha ritenuto che la domanda di nullita’ della delibera impugnata, proposta dall’attore per la prima volta in appello, doveva essere considerata, a norma dell’articolo 345 c.p.c., come nuova e, come tale, inammissibile, non potendo, per contro, invocarsi la rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ sul rilievo che tale principio dev’essere coordinato con quello del rispetto dei limiti della domanda previsto dall’articolo 112 c.p.c. e che, di conseguenza, la pronuncia d’ufficio della nullita’ puo’ essere in concreto giustificata solo nel caso, non ricorrente nella specie, in cui la pretesa dell’attore presupponga la validita’ e l’efficacia dell’atto che invece il giudice ritiene nullo e puo’ dichiarare d’ufficio come tale anche in appello a norma dell’articolo 345 c.p.c. trattandosi di eccezione in senso lato.
2.5. In ogni caso, ha aggiunto la corte, anche a voler opinare diversamente, “non si vede come potrebbe essere superato il limite triennale, pacificamente trascorso al momento della proposizione dell’appello, espressamente dettato, per il rilievo officioso della nullita’” dall’articolo 2379, comma 2, c.c.: “tutto cio’ a prescindere, poi, dal merito dell’asserita nullita’ di cui trattasi e dalla ricorrenza dell’effettiva legittimazione dell’attuale appellante a richiedere la pronuncia di tale, asserita nullita’”.
2.6. La corte, quindi, ha esaminato le censure relative alla ritenuta carenza di legittimazione attiva dell’attore a proporre la domanda di annullamento della delibera impugnata: e le ha ritenute infondate, sul rilievo che: – “i fatti esposti dall’attore potevano sorreggere l’ipotesi di una lesione della posizione e del ruolo del consiglio di amministrazione ma non, direttamente, del presidente di quest’ultimo, la posizione e il ruolo del quale potevano, in astratto, ritenersi lesi solo quale effetto della ipotetica lesione riguardante l’intero organo collegiale” per cui “la legittimazione all’azione di annullamento sarebbe… spettata, in ipotesi, al consiglio di amministrazione, quale organo collegiale, e non all’attore singolarmente”; – il tribunale aveva correttamente rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione dell’attore quale socio non avendo lo stesso dimostrato o dedotto di avere una partecipazione superiore a quella richiesta dall’articolo 2377 c.c. posto che, come risulta dall’articolo 2377, comma 2, c.c., il giudice deve accertare d’ufficio il possesso da parte del socio o dei soci opponenti del numero di azioni previste dall’articolo 2377, comma 3, c.c..
2.7. La corte, peraltro, al di la’ del difetto di legittimazione attiva dell’attore, ha ritenuto “ad abundantiam… l’infondatezza”, nel merito, “dell’appello”, sul rilievo che: – l’argomento relativo a un “possibile aumento di capitale sociale riservato a nuovi soci”, “che era in discussione quando l’assemblea emise la delibera impugnata”, non e’ relativo alla gestione dell’impresa, trattandosi, al contrario, di “materia tipica e propria dell’assemblea” e “non implica una lesione delle prerogative dell’organo amministrativo, nemmeno se riguardato nel suo complesso”; – l’assemblea, del resto, non aveva creato un nuovo e atipico organo sociale, conferendo allo stesso il potere di concludere accordi con soggetti terzi, emergendo dal testo della delibera impugnata che, al contrario, “nessun potere di concludere accordi con terzi era stato conferito alla istituenda commissione, posto che gli accordi previsti dalla delibera avrebbero potuto essere, poi, conclusi solo dagli organi normativamente previsti quali titolari dello jus disponendi”; – la delibera impugnata non aveva determinato alcuna “revoca implicita dell’attore dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione”, che, di fatto, ha continuato a presiedere, per cui anche la domanda di risarcimento del danno conseguente a tale asserita revoca implicita doveva ritenersi era infondata.
2.8. La corte, infine, ha rilevato che: – l’atto d’appello non conteneva alcuna conclusione in ordine ai capi della sentenza impugnata riguardanti le spese di lite e la condanna a norma dell’articolo 96 c.p.c., avendo l’appellante precisato le conclusioni all’udienza del 13/2/2018 con espresso richiamo a quelle dell’appello; – in ogni caso, ove le doglianze espresse dovessero essere qualificate (“in contrasto con quanto emerge dalle conclusioni dell’appellante”) come veri e propri motivi d’appello “diretti a ottenere la correlativa riforma della sentenza impugnata”, le stesse sarebbero comunque infondate a fronte sia della manifesta infondatezza della domanda proposta, “se non altro per le ragioni subito messe in luce dal presidente del tribunale nell’iniziale provvedimento di rigetto dell’istanza cautelare”, sia della complessita’ della disciplina giuridica applicabile, della quale risultava comunque necessaria una “ricostruzione” “che, in concreto, si presentava assai piu’ impregnativa e faticosa rispetto a quanto comporta, in media, lo studio e la trattazione di cause di uguale valore”, per cui del tutto giustificata era la decisione del giudice di prime cure di liquidare le spese a carico del soccombente con l’incremento del 50% rispetto ai valori medi e (per la colpa grave o, quanto meno, per il difetto di normale prudenza consistito nella proposizione e nella prosecuzione di “una causa che sin dall’inizio appariva priva di fumus boni iuris gia’, solo, in riferimento alla carenza di legittimazione… del singolo amministratore”) di condannare l’attore al risarcimento dei danni per responsabilita’ aggravata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c..
3.1. (OMISSIS), con ricorso notificato il 17/12/2018, ha chiesto, per sedici motivi, la cassazione della sentenza dichiarando di aver ricevuto la notifica, come da relazione in atti, il 18/10/2018.
3.2. La (OMISSIS) s.p.a. ha resistito con controricorso notificato il 26/1/2019 con il quale ha proposto, per due motivi, ricorso incidentale condizionato, cui il ricorrente ha resistito con controricorso.
3.3. Le parti hanno depositato memorie.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la
violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 1421, 2364, 2379, 2380, 2380-bis e 2381 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte distrettuale ha ritenuto che, a fronte di una domanda di annullamento proposta in primo grado, il giudice d’appello puo’ rilevare d’ufficio la nullita’ della deliberazione assemblea impugnata solo nel caso, non ricorrente nella specie, in cui la pretesa dell’attore presupponga la validita’ e l’efficacia dell’atto nullo e che, in ogni caso, risultava trascorso, al momento della proposizione dell’appello, il limite triennale previsto dall’articolo 2379, comma 2, c.c. per il rilievo d’ufficio della nullita’ della delibera impugnata. Cosi’ facendo, tuttavia, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che: – la nullita’ delle delibere assembleari, ove emerga dagli atti ritualmente acquisiti al processo, puo’ essere rilevata d’ufficio e pronunciata dal giudice anche in grado d’appello, anche se la parte aveva proposto la domanda di annullamento; – il rispetto del termine di decadenza triennale previsto dall’articolo 2379 c.c. dev’essere verificato in relazione al momento in cui la domanda di nullita’ e’ proposta con l’allegazione delle circostanze di fatto che la fondano, a prescindere dalla qualificazione dell’azione operatane dalla parte con la richiesta di annullamento della delibera impugnata.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la domanda di nullita’ proposta dall’appellante era nuova e come tale inammissibile senza, tuttavia, considerare che la rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ che affliggeva la deliberazione assembleare impugnata legittimava l’appellante a domandarne la declaratoria per la prima volta in appello.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione degli articoli 101, 112 e 345 c.p.c., in comb.disp. con gli articoli 1421, 2364, 2379, 2380, 2380-bis e 2381 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la domanda di nullita’ della delibera impugnata, proposta dall’attore per la prima volta in appello, doveva essere considerata, a norma dell’articolo 345 c.p.c., come nuova e, come tale, inammissibile, senza, tuttavia, considerare che, ove mai fosse cosi’, la domanda di nullita’ inammissibile perche’ tardiva dev’essere convertita a norma dell’articolo 345 c.p.c. in eccezione rilevabile d’ufficio.

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4.4. I motivi, da trattare congiuntamente, sono infondati.
4.5. In effetti, come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, il principio per cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullita’ contrattuale deve rilevare in via ufficiosa, ove emergente dagli atti, l’esistenza di un diverso vizio di nullita’, e’ suscettibile di applicazione estensiva anche nel sottosistema societario, e, precisamente, nell’ambito delle azioni di impugnazione delle deliberazioni assembleari, benche’ non assimilabili ai contratti, trattandosi, tanto nell’uno, quanto nell’altro caso, di domanda pertinente ad un diritto autodeterminato (cfr., sul primo punto, Cass. SU n. 26242 del 2014, in motiv., punti 6.13.3. e ss. e, in particolare, 6.13.6., li’ dove di evidenzia che “il giudizio di nullita’/non nullita’ del negozio… sara’, cosi’, definit(iv)o e a tutto campo indipendentemente da quali e quanti titoli di nullita’ siano stati fatti valere dall’attore”, e, sul secondo punto, Cass. n. 8795 del 2016), e cioe’ individuata a prescindere dallo specifico vizio (rectius, titolo) dedotto in giudizio: come, in effetti, accade per la proprieta’ e gli altri diritti reali di godimento, individuati, appunto, sulla base della sola indicazione del relativo contenuto, con la conseguenza che, per un verso, la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo (contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc.) che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, e, per altro verso, non viola il divieto dello ius novorum in appello la deduzione da parte dell’attore ovvero il rilievo ex officio iudicis di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio (Cass. n. 23565 del 2019).
4.6. Il giudice, pertanto, ove sia stato investito da un’azione di nullita’ di una delibera assunta dall’assemblea di una societa’ per azioni (articolo 2379 c.c.), ha, come previsto dall’articolo 2379, comma 2, c.c., il potere (e il dovere) di rilevare, in via ufficiosa, la nullita’ della delibera impugnata, anche in difetto di un’espressa deduzione di parte, per vizi di nullita’ diversi da quelli denunciati nella domanda introduttiva del giudizio, purche’ desumibili dagli atti ritualmente acquisiti al processo e (come stabilito dagli articoli 183, comma 4, e 101, comma 2, c.p.c.) previa provocazione del contraddittorio tra le parti sulla diversa causa di nullita’ rilevata dal giudice, e di dichiarare (anche in appello: Cass. n. 20170 del 2022, che ha confermato la decisione impugnata nella parte in cui ha esaminato nel merito la domanda di accertamento della nullita’ di un contratto quadro di intermediazione mobiliare, contenuta nell’atto di appello e fondata su un motivo di nullita’ diverso da quello dedotto in primo grado, escludendone l’inammissibilita’), in dispositivo, la nullita’ della delibera stessa.
4.7. Viceversa, nel caso in cui il giudice sia stato investito non da una domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullita’ di un contratto o di una delibera ma da una domanda (avente ad oggetto un petitum, come l’esecuzione o l’annullamento del contratto o della delibera) che ne presuppone, al contrario, la non-nullita’ (e che puo’ essere, come tale, oggetto di pronuncia da parte del giudice solo se non sussistono ragioni di nullita’ dell’atto impugnato), la rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ da parte del giudice (articoli 1421 e 2378, comma 2, c.c.) nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni (Cass. SU n. 26242 del 2014, in motiv.) dev’essere coordinata con il principio della domanda (articoli 99 e 112 c.p.c.), per cui, se da un lato il giudice (salvo che sulla validita’ dell’atto si sia formato il giudicato) puo’ sempre rilevare la nullita’ del contratto o della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato (articolo 345, comma 2, c.p.c.), in funzione del rigetto della domanda (Cass. SU n. 7294 del 2017), non puo’, dall’altra parte, dichiarare in dispositivo la nullita’ del contratto o della delibera in mancanza di una domanda ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio a seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata (Cass. SU n. 26242 del 2014, secondo cui il giudice dichiara la nullita’ del contratto solo il motivazione ovvero anche in dispositivo a seconda, appunto, che la parte interessata, a dispetto del rilievo della nullita’ da parte del giudice, non abbia proposto domanda di nullita’ dello stesso, ovvero, a seguito del rilievo officioso del giudice, abbia ritualmente chiesto di dichiarare la nullita’ del contratto): esclusa, in ogni caso, per il divieto previsto dall’articolo 345, comma 1, c.p.c., la proponibilita’ di tale domanda per la prima volta in appello (Cass. SU n. 26243 del 2014; Cass. n. 5249 del 2016; Cass. n. 22678 del 2017, in materia di impugnazione di delibere condominiali; Cass. n. 22457 del 2019; Cass. n. 28377 del 2022).
4.8. Cio’ comporta che, se una delibera e’ stata impugnata con la domanda di annullamento (che ne presuppone, evidentemente, la non-nullita’), la domanda di nullita’ della stessa delibera, formulata per la prima volta con l’atto d’appello, non puo’ essere esaminata, potendo solo convertirsi nella corrispondente eccezione, ne’, in tale ipotesi, il giudice d’appello puo’ dichiarare d’ufficio la nullita’ della delibera traducendosi tale pronuncia nell’inammissibile accoglimento di una domanda nuova (Cass. SU n. 26243 del 2014; in senso conforme, Cass. n. 28377 del 2022, in motiv.; Cass. n. 5249 del 2016).
4.9. Nel caso in esame, a fronte della proposizione in primo grado della sola domanda di annullamento della delibera impugnata, l’attore non poteva, quindi, proporre per la prima volta in appello la domanda di nullita’ di tale delibera, nello stesso modo in cui il giudice d’appello non poteva dichiarare la nullita’ di tale delibera in mancanza di una domanda di nullita’ ritualmente e tempestivamente proposta.

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4.10. Resta, d’altra parte, il fatto (rilevante con riguardo tanto all’una quanto all’altra ipotesi) che: – l’articolo 2379, comma 1, c.c. prevede che “nei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilita’ o illiceita’ dell’oggetto la deliberazione puo’ essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi e` soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non e` soggetta ne´ a iscrizione ne´ a deposito”; – l’articolo 2379, comma 2, c.c. estende il medesimo termine (di decadenza: la cui decorrenza e’, pertanto, rilevabile, a norma dell’articolo 2969 c.c., d’ufficio, come ha fatto la corte d’appello, e puo’ essere, per la stessa ragione, impedita, a norma dell’articolo 2966 c.c., solo dalla formale rilevazione del vizio di nullita’ ad opera del giudice o della parte, a nulla, per contro, rilevando la mera deduzione in giudizio dei fatti che potrebbero costituirne il fondamento) anche al rilievo ex officio della nullita’, statuendo che “nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l’invalidita’ puo’ essere rilevata d’ufficio dal giudice”; – il termine di decadenza triennale e`, pertanto, “previsto non solo in relazione all’impugnazione da parte degli aventi diritto ma anche”, onde “evitare che chi abbia omesso di azionare la nullita’ nel periodo assegnato dalla legge possa poi riuscire ad aggirare il precetto normativo sollecitando tardivamente il rilievo ufficioso, in altro giudizio”, “al rilievo officioso dell’invalidita’” (Cass. n. 11224 del 2021, in motiv., che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto che il giudice di merito non potesse rilevare d’ufficio la nullita’ di una delibera adottata dal consiglio di amministrazione di una societa’ cooperativa, essendo decorso il termine triennale di decadenza), nella specie, tuttavia, incontestatamente omesso (ne’ piu’ operabile attesa l’intervenuta scadenza del termine) tanto dal tribunale, quanto dalla corte d’appello.
4.11. Vanno, dunque, affermati i seguenti principi: – il giudice, se investito dell’azione di nullita’ di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullita’ della stessa per un vizio diverso da quello denunciato; – se, invece, la domanda ha per oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera, la rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ di quest’ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, puo’ sempre rilevare la nullita’ della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall’altra parte, non puo’ dichiarare la nullita’ della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata; – nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, tale potere (e dovere) di rilevazione non puo’ essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza e’ rilevabile d’ufficio e puo’ essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullita’ ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea.
5. Il rigetto dei primi tre motivi comporta l’assorbimento del quarto, del quinto, del sesto, del settimo, dell’ottavo e del nono motivo in quanto tutti dichiaratamente volti, come si evince dal decimo (“i motivi che precedono assumono carattere prevalente ed assorbente, considera la nullita’ della deliberazione”), a sostenere l’invocata nullita’ della delibera.
6.1. Con il decimo e l’undicesimo motivo (articolati, come il dodicesimo e il tredicesimo, per fondare gli “ulteriori profili d’illegittimita’” che la sentenza presenta “nella subordinata ipotesi che la deliberazione invalida fosse ritenuta solo annullabile”), il ricorrente, lamentando, rispettivamente, la violazione e/o la falsa applicazione degli articoli 2377 e 2378 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, e la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il tribunale aveva correttamente rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione dell’attore quale socio non avendo lo stesso dimostrato o dedotto di avere una partecipazione superiore a quella richiesta dall’articolo 2377 c.c., senza, tuttavia, considerare che tale preclusione, avendo natura sostanziale, non puo’ essere rilevata d’ufficio ma solo su eccezione di parte, che la banca convenuta, tuttavia, non ha sollevato.
6.2. Con il dodicesimo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di un fatto decisione per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il tribunale aveva correttamente rilevato d’ufficio il difetto di legittimazione dell’attore quale socio senza, tuttavia, considerare il fatto che l’attore, avendo prodotto il titolo certificativo del possesso delle azioni, aveva non solo dedotto ma anche dimostrato di avere una partecipazione superiore a quella richiesta dall’articolo 2377 c.c..
6.3. Con il tredicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la nullita’ della sentenza e del procedimento per violazione dell’articolo 75 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’attore fosse privo della legittimazione a proporre la domanda di annullamento della delibera assembleare senza, tuttavia, considerare che l’attore, quale amministratore e come socio della societa’ convenuta, aveva radicato il giudizio per tutelare la propria posizione giuridica soggettiva e che l’effettivo fondamento del diritto fatto valere in giudizio non incide sulla legittimazione ad agire.

Azione di nullità di una delibera assembleare il Giudice ha sempre il potere di rilevare la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato

6.4. I motivi sono inammissibili. Il ricorrente, in effetti, deducendo di essere stato socio all'”epoca dei fatti”, non ha negato di aver efficacemente dichiarato nel corso del giudizio (come emerge dalla stessa sentenza impugnata e dal doc. 5 a tal fine depositato dalla banca nel giudizio d’appello), e precisamente con atto del 22/12/2014 e ricevuto il 29/12/2014, il suo recesso dalla societa’ convenuta, cosi’ perdendo (per ragioni diverse dal trasferimento a terzi delle azioni gia’ possedute) la titolarita’ della quota di partecipazione dichiaratamente posseduta al momento dell’introduzione del giudizio e, di conseguenza, a norma dell’articolo 2378, comma 2, c.c., la legittimazione quale socio alla prosecuzione dell’azione di annullamento in precedenza introdotta: cosi’ come non ha censurato le statuizioni con le quale la sentenza impugnata aveva ritenuto che “i fatti esposti dall’attore potevano sorreggere l’ipotesi di una lesione della posizione e del ruolo del consiglio di amministrazione ma non, direttamente, del presidente di quest’ultimo” e che, pertanto, “la legittimazione all’azione di annullamento sarebbe… spettata, in ipotesi, al consiglio di amministrazione, quale organo collegiale, e non all’attore singolarmente”, con la conseguenza che la stessa (corretta o meno che sia) e’ diventata in parte qua definitiva.
7.1. Con il quattordicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2043, 2056 e 2059 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’attore non aveva subito alcun danno dalla delibera impugnata perche’ non fu revocato dalla carica ma continuo’ di fatto a presiedere il consiglio di amministrazione senza, tuttavia, considerare che l’attore continuo’ a presiedere il consiglio perche’ non fu revocato di diritto ma, in relazione agli accordi con gli investitori interessati dalla ricapitalizzazione della banca, esautorato di fatto dalla carica e che tale deliberazione ha inciso negativamente sulla sua persona, mettendone in cattiva luce l’immagine professionale e la sua capacita’ e serieta’ imprenditoriale arrecandogli un danno non patrimoniale suscettibile di risarcimento.
7.2. Il motivo, nella misura in cui lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, che lo stesso avrebbe patito in conseguenza della revoca implicita dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione che la delibera impugnata avrebbe e’ determinato, risulta, evidentemente, assorbito.
8.1. Con il quindicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la statuizione con la quale il tribunale l’aveva condannato al pagamento delle spese legali incrementando i valori medi nella misura del 50%, senza, tuttavia, considerare, innanzitutto, che l’appellante aveva specificamente impugnato il relativo capo della pronuncia di primo grado, concludendo per l’accoglimento delle relative censure, ed, in secondo luogo, che motivazione fornita, e cioe’ l’impegnativa e difficoltosa attivita’ defensionale svolta dalla banca convenuta, non tiene conto dei parametri previsti dal Decreto Ministeriale n. 55 cit., articolo 4, comma 1, tanto piu’ a fronte dell’affermata manifesta infondatezza dell’iniziativa giudiziale svolta per carenza di legittimazione attiva.
8.2. Il motivo e’ infondato. Premesso che: – in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non e’ soggetto al controllo di legittimita’, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente; – la motivazione e’, invece, doverosa allorquando il giudice decida, come ha fatto il tribunale, di aumentare (o diminuire) ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 14198 del 2022), rileva la Corte che la sentenza impugnata ha correttamente confermato la decisione del giudice di prime cure di liquidare le spese a carico dell’attore soccombente con l’incremento del 50% rispetto ai valori medi in ragione della ritenuta complessita’ della disciplina giuridica applicabile e della conseguente necessita’ di operare, in ordine alla stessa, una “ricostruzione” “che, in concreto, si presentava assai piu’ impregnativa e faticosa rispetto a quanto comporta, in media, lo studio e la trattazione di cause di uguale valore”. Il Decreto Ministeriale n. 55 cit., articolo 4, comma 1, in effetti, dispone che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto, tra l’altro, “della natura, della difficolta’ e del valore dell’affare” nonche’ “del numero e della complessita’ delle questioni giuridiche e di fatto trattate”.
9.1. Con il sedicesimo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha confermato la statuizione con la quale il tribunale l’aveva condannato al risarcimento dei danni per responsabilita’ aggravata in ragione dell’affermata carenza della normale prudenza con la quale lo stesso avrebbe agito, senza tuttavia, considerare che, al contrario, l’attore aveva analiticamente spigato le plurime ragioni per le quali la delibera impugnata, oltre ad avere un oggetto giuridicamente impossibile, aveva leso un interesse proprio dello stesso quale presidente del consiglio di amministrazione e socio della societa’ convenuta.
9.2. Il motivo e’ inammissibile. In materia di responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., infatti, ai fini della condanna al risarcimento dei danni, l’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero dal difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto che, come tale, e’ censurabile in sede di legittimita’ solo per i vizi, nel caso in esame neppure invocati e comunque insussistenti, di mancanza, apparenza o contraddittorieta’ della motivazione (escluso, invece, ogni rilievo alla sua sufficienza) ovvero d’omesso esame di un fatto decisivo risultante dalla sentenza impugnata o dagli atti del giudizio (cfr. Cass. n. 19298 del 2016; Cass. n. 327 del 2010).
10. Il ricorso principale, per l’infondatezza o l’inammissibilita’ di tutti i suoi motivi, dev’essere, dunque, rigettato.
11. I motivi del ricorso incidentale, dichiaratamente proposti solo alla condizione che i motivi articolati dal ricorrente principale fossero ritenuti fondati, sono, di conseguenza, assorbiti.
12. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
13. La Corte da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla l. n. 228/2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte cosi’ provvede: rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna il ricorrente principale a rimborsare alla societa’ controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro. 10.200,00, di cui Euro. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla l. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

 

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