Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 4 aprile 2019, n. 9402.

La massima estrapolata:

Deve ritenersi non consentita l’attività di ristorazione allorquando il regolamento condominiale contenga il divieto di destinare i negozi ad uso diverso da commercio regolarmente autorizzato dalle autorità competenti.

Sentenza 4 aprile 2019, n. 9402

Data udienza 30 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 7409-2015 proposto da:
(OMISSIS) SRL, (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7848/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/01/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, il quale ha concluso per il rigetto di ricorso;
uditi gli Avvocati (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

La (OMISSIS) s.r.l. (gia’ (OMISSIS) s.r.l.) e la (OMISSIS) s.r.l. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza n. 7848/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31 dicembre 2014, con cui, in riforma della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Roma n. 15572/2008, e’ stata rigettata l’impugnazione della deliberazione assembleare adottata dal Condominio (OMISSIS), in data 16 gennaio 2006. Resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS).
La Corte d’Appello di Roma ha ritenuto che il punto 4 dell’ordine del giorno della riunione del 16 gennaio 2006, relativo alle “delibere” da adottare in ordine alla “nuova attivita’” esercitata dalla (OMISSIS) s.r.l., conduttrice dei locali di proprieta’ della (OMISSIS) s.r.l., ben potesse comprendere le valutazioni da assumere con riguardo alle canne fumarie installate al fine dell’esercizio dell’attivita’ di ristorazione nella medesima unita’ immobiliare, installazione gia’ osteggiata in pregresse decisioni assembleari negli anni 2003 e 2004. Parimenti, la Corte di Roma escludeva l’illegittimita’ della inibizione dell’attivita’ di ristorazione, approvata dall’assemblea 16 gennaio 2006 in base all’articolo 9, comma 2, del regolamento condominiale, il quale vieta la destinazione dei negozi ad uso “diverso da… commercio regolarmente autorizzato dalle autorita’ competenti”, in quanto, a dire della sentenza impugnata, l’attivita’ di ristorazione e’ eterogenea rispetto all’attivita’ propriamente commerciale, giacche’ caratterizzata dalla creazione di un risultato economico nuovo rispetto alla materia prima trattata, e quindi piuttosto da intendersi come attivita’ industriale.
Le parti hanno presentato memorie ai sensi dell’articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, non va disposta la riunione tra il presente giudizio e quello, contraddistinto come R.G. 27162/2017, anch’esso pendente innanzi alla Corte di Cassazione, discusso alla stessa udienza ed avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza 6260/2017 della Corte d’Appello di Roma, trattandosi di ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi. Pur attenendo le cause connesse ad identiche questioni di diritto, la riunione non perseguirebbe alcun obbiettivo utile in termine di economia e minor costo dei due giudizi, ne’ favorirebbe la loro ragionevole durata.
I.Il primo motivo del ricorso della (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) s.r.l. denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1105, 1109, 1136 e 1139 c.c. e dell’articolo 66 disp. att. c.c., deducendo l’incompletezza dell’ordine del giorno dell’assemblea 16 gennaio 2006 e la non riferibilita’ dello stesso alla decisione poi adottata di rimozione delle canne fumarie.
Il secondo motivo del ricorso censura la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1138 e 1362 e ss. c.c. e articolo 2195 c.c., quanto all’interpretazione del divieto contenuto nell’articolo 9, comma 2, del regolamento condominiale ed alle nozioni di attivita’ commerciale ed attivita’ industriale riferite, in specie, all’attivita’ di ristorazione esercitata dalla (OMISSIS).
II.Sono da superare le eccezioni di inammissibilita’ sollevate dal controricorrente, in quanto i due motivi espongono gli elementi necessari ad evidenziare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed in particolare indicano il contenuto essenziale dei documenti su cui il ricorso e’ fondato.
III.I due motivi di censura sono comunque infondati.
III.1.Quanto al primo motivo di ricorso, circa la mancata previsione, nell’ordine del giorno della delibera assembleare impugnata, dell’argomento relativo alla rimozione delle canne fumarie, la Corte di Appello ha ritenuto tale argomento indicato nel punto 4 del medesimo ordine del giorno o comunque ad esso riconducibile (“delibere” da adottare in ordine alla “nuova attivita’” esercitata dalla (OMISSIS) s.r.l.). La decisione della questione di diritto operata dalla Corte d’Appello e’ conforme all’interpretazione costante della giurisprudenza, consolidatasi prima dell’entrata in vigore dell’articolo 66 disp. att. c.c., comma 3, (introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, e percio’ qui non applicabile ratione temporis), secondo cui, affinche’ la delibera di un’assemblea condominiale sia valida, e’ necessario che l’avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificamente gli argomenti da trattare si’ da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione alla deliberazione. In particolare, la disposizione dell’articolo 1105 c.c., comma 3, – che si riteneva applicabile anche in materia di condominio di edifici, in difetto di una analoga prescrizione quale quella ora contenuta nel richiamato articolo 66 disp. att. c.c., comma 3, -, la quale stabilisce che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta che nell’avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell’esame dei singoli punti da parte dell’assemblea. In ogni modo, l’accertamento della completezza o meno dell’ordine del giorno di un’assemblea condominiale – nonche’ della pertinenza della deliberazione dell’assemblea al tema in discussione indicato nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione – rimane demandato all’apprezzamento del giudice del merito insindacabile in sede di legittimita’ se, come nel caso della sentenza impugnata, adeguatamente, per quanto succintamente, motivato (cfr. Cass. Sez. 2, 27/03/2000, n. 3634; Cass. Sez. 2, 22/07/2004, n. 13763; Cass. Sez. 2, 10/06/2014, n. 13047; Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27159). Ne’ si comprende, una volta accertato che la questione fosse comunque posta all’ordine del giorno, perche’ le ricorrenti lamentino la non unanimita’ della deliberazione di rimuovere le canne fumarie installate sulla facciata dell’edificio (essendo presenti nell’adunanza del 16 gennaio 2006 soltanto 19 condomini su 21 complessivi), in quanto l’assemblea dei condomini ha certamente il potere di decidere a maggioranza, nell’interesse collettivo, le modalita’ concrete di utilizzazione dei beni comuni, anche disponendo l’eliminazione di impianti ivi collocati da alcuni partecipanti se gli stessi arrechino pregiudizio alle parti condominiali.
III.2.Circa il secondo motivo, e’ invece da ribadire come l’interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale, contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi (al fine di tutelare l’interesse generale al decoro, alla tranquillita’ ed all’abitabilita’ dell’intero edificio, nonche’ ad incrementare il valore di scambio delle singole unita’ immobiliari) e’ sindacabile in sede di legittimita’ solo per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per l’omesso esame di fatto storico ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. 2, 30/06/2011, n. 14460; Cass. Sez. 2, 31/07/2009, n. 17893; Cass. Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406; Cass. Sez. 2, 14/07/2000, n. 9355; Cass. Sez. 2, 02/06/1999, n. 5393; piu’ di recente, non massimate, Cass. Sez. 6-2, 14/05/2018, n. 11609; Cass. Sez. 6-2, 21/06/2018, n. 16384).
Nella specie, l’interpretazione fatta dalla Corte d’Appello dell’articolo 9, comma 2, del regolamento del Condominio (OMISSIS), non rivela le denunciate violazioni dei canoni di ermeneutica.
La condivisa esigenza di chiarezza e di univocita’ che devono rivelare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facolta’ di godimento dei condomini sulle unita’ immobiliari in proprieta’ esclusiva, coerente con la loro natura di servitu’ reciproche, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate. L’articolo 1362 c.c., del resto, allorche’ nel comma 1 prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto, anzi intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocita’ la volonta’ dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non e’ ammissibile (Cass. Sez. 3, 27/07/2001, n. 10290).
In particolare, l’interpretazione di una clausola del regolamento di condominio, contenente il divieto di destinare i negozi ad uso diverso da “commercio regolarmente autorizzato dalle autorita’ competenti”, secondo cui collide con lo stesso divieto l’esercizio dell’attivita’ di ristorazione, non risulta ne’ contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, ne’ confliggente con l’intenzione comune dei condomini ricostruita dai giudici del merito, ne’ contraria a logica o incongrua, rimanendo comunque sottratta al sindacato di legittimita’ l’interpretazione degli atti di autonomia privata quando il ricorrente si limiti a criticare il risultato ermeneutico raggiunto dal giudice ed a lamentare che quella prescelta nella sentenza impugnata non sia l’unica interpretazione possibile, ne’ la migliore in astratto.
E’ invero plausibile concludere, come inteso dalla Corte di Roma, che esuli dalla mera attivita’ di commercio (la quale si risolve nella semplice intermediazione e distribuzione dei prodotti, di per se’ consentita dalla disposizione regolamentare) l’esercizio di un’attivita’ di ristorazione, in quanto comunque o connotata dalla trasformazione delle materie prime alimentari a fini di commercializzazione di un bene direttamente utilizzabile per il consumo con caratteristiche diverse da quelle del bene originario, e dunque volta alla creazione di un risultato economico nuovo, elemento questo distintivo delle imprese industriali ex articolo 2195 c.c.; oppure consistente, in ogni caso, nella produzione di beni per la somministrazione di alimenti e bevande avvalendosi di laboratori di carattere artigianale.
Non rileva decisivamente opporre in questa sede l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla dottrina in ordine alla nozione normativa di commercio, ai fini della riconducibilita’ ad essa dell’attivita’ di ristorazione, in quanto l’interpretazione delle disposizioni di legge (la cui erroneita’ e’ denunciabile per cassazione quale violazione o falsa applicazione di norme di diritto), regolata dall’articolo 12 preleggi assegnando un valore prioritario al dato letterale ed individuando, quale ulteriore elemento, l’intenzione del legislatore, costituisce un’operazione ontologicamente distinta dall’interpretazione contrattuale in senso stretto, avendo questa ad oggetto la determinazione della volonta’ dei contraenti ed essendo percio’ riservata al giudice del merito (la cui decisione resta censurabile in sede di legittimita’ solo per violazione delle regole di ermeneutica o per vizi di motivazione).
IV. Il ricorso va percio’ rigettato e le ricorrenti vanno condannate in solido a rimborsare al Condominio controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dall’articolo 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

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