In materia di atti amministrativi deve pregiudizialmente esistere una manifestazione espressa di volontà

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 3 aprile 2019, n. 2207.

La massima estrapolata:

In materia di atti amministrativi deve pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell’azione amministrativa.

Sentenza 3 aprile 2019, n. 2207

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7994 del 2017, proposto da Da. Ri., rappresentata e difesa dall’avvocato Ca. Ma. Ia., con domicilio eletto presso lo studio Ca. Ia. in Roma, Studio Va.-Ca., Lungotevere (…);
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Fa. Ma. Fe., Br. Cr., con domicilio eletto presso lo studio Ni. La. in Roma, Via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE IV, n. 3473/2017, resa tra le parti, in materia di demolizione di opere e conseguente ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2019 il Cons. Italo Volpe e uditi per le parti gli avvocati Ma. Po., in dichiarata delega dell’avv. Ca. Ma. Ia., e Ga. Pa., per delega dell’avv. Br. Cr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe la persona fisica ivi pure indicata ha impugnato la sentenza del Tar della Campania, Napoli, n. 3473/2017, pubblicata il 26.6.2017, che – con l’onere delle spese – le ha respinto l’originario ricorso volto all’annullamento della dirigenziale del Comune di Napoli (di seguito “Comune”) n. 18 del 17 gennaio 2008 adottata per la demolizione, e conseguente ripristino dello stato dei luoghi, di opere ritenute abusive ed eseguite in immobile sito nel territorio comunale.
1.1. Premette la sentenza di primo grado che, a seguito di sopralluogo, s’era appurato che di due manufatti di 30 mq ciascuno (realizzati nella proprietà della ricorrente ed annessi a un edificio principale, del quale avrebbero costituito pertinenze), per i quali – giacchè asseritamente abusivi – era stata presentata domanda di condono (prot. n. 8846 del 31.3.1995, non ancora definita) e successiva autocertificazione (prot. n. 106585 del 18.9.2008), uno risultava invece “completo e rifinito in ogni sua parte ed adibito a camera da letto e studiolo”.
Pertanto il contestato provvedimento era stato giustificato dall’ente locale quale conseguenza della falsità della rappresentazione effettuata dalla parte privata.
1.2. Nel merito, la sentenza ha deciso ritenendo, in sostanza, che:
– l’area interessata dall’edificazione era vincolata ai sensi del d.m. 7.11.1956 e quindi sostanzialmente inedificabile, salvo deroghe legali peraltro neppure prospettate dalla ricorrente;
– la falsità della rappresentazione, nella quale era incorsa la parte, “rende de facto incondonabili i volumi de quo, che restano sine titulo”;
– diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, gli interventi realizzati non potevano ascriversi alla categoria della ristrutturazione. In ogni caso, tale prospettazione era irrilevante “a fronte della circostanza della constatata difformità tra quanto dichiarato nella istanza di condono, sulla non residenzialità dell’opera (descritta come locale di sgombero, con conseguente pagamento di una oblazione ridotta) e quanto rilevato nel sopralluogo. Stante l’insanabilità dei manufatti, pertanto, è stato correttamente applicato l’art. 27 TUED.”;
– era infondato l’ultimo motivo (secondo il quale, stando l’abuso in zona soggetta a vincolo paesaggistico, il regime sanzionatorio doveva essere quello di cui al d.lgs. n. 490/1999, con possibilità di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione) in quanto esso non aveva “pregio atteso che il trattamento sanzionatorio relativo agli abusi edilizi concorre con quello relativo alle violazioni paesaggistiche senza che fra i due regimi si instauri un rapporto di assorbimento dell’uno nell’altro”.
2. L’appello è affidato a censure di violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 327/2001, della l.n. 724/1994 (art. 39), della l.n. 47/1985 (art. 31, 32, 38, 40 e 44), della l.n. 241/1990 (art. 3), dell’art. 34, co. 2, c.p.a., nonché dei principi generali in materia di repressione dei pretesi abusi edilizi, nonché di difetto di istruttoria e di carenza, vizio e difetto nella motivazione.
2.1. Ad avviso dell’appellante la sentenza impugnata è erronea per avere, in sintesi:
– pretermesso l’esame del primo motivo dell’originario ricorso, relativo al fatto che il provvedimento impugnato era stato adottato quando non era stata ancora definita la domanda di condono, peraltro ancora pendente;
– dato rilievo ad una presunta ‘falsità ‘ nelle dichiarazioni di parte che, invece, non emergevano (qualificate come tali) né nel provvedimento contestato né dagli atti relativi al precedente sopralluogo;
– attribuito al provvedimento censurato (integrandone irritualmente, così, la motivazione ed anticipando, anzi, l’esercizio di un potere riservato al Comune) anche il valore di una reiezione implicita della condonabilità dei manufatti in questione;
– recepito in tal modo l’altrettanto erronea difesa comunale di primo grado (che pure aveva affermato l’esistenza di una ‘falsa dichiarazionè della parte privata);
– obliterato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il rinvenimento di interventi ulteriori, in un immobile abusivo per il quale pende domanda di condono, non preclude di per sé la condonabilità del manufatto, onde neppure una eventuale ‘falsità ‘ in dichiarazione (quod non) sarebbe ostativa alla sanabilità delle opere denunciate come sine titulo;
– non dato rilievo al fatto che, nella specie, ricorreva – atteso il regime dell’area interessata – “un’inedificabilità relativa, per cui il chiesto condono potrà essere rilasciato, sia pure previa formulazione del nulla osta soprintendentizio, come, peraltro, già avvenuto in sede di rilascio del precedente condono di cui alla disposizione dirigenziale n. 4/04, che, appunto, dà atto dell’intervento del decreto sindacale n. 508/97, di autorizzazione paesistica, sul quale il Soprintendente BB.AA.AA. di Napoli aveva espresso il proprio nulla osta con provvedimento n. 41644/97”;
– non considerato che nella specie poteva, in effetti, essere applicata solo la sanzione pecuniaria.
3. Costituitosi, con memoria del 30.11.2017 il Comune ha controdedotto partitamente alle tesi avversarie, in particolare soffermandosi sul fatto che la diversità “per oggetto” delle consistenze edilizie, tra quelle indicate nella domanda di condono e quelle rilevate con gli atti di sopralluogo, varrebbe a far reputare legittimo il provvedimento impugnato.
4. Con memoria dell’1.12.2017 l’appellante ha replicato partitamente alle deduzioni del Comune.
5. Poi, con memoria del 12.2.2019 il Comune ha riepilogato i propri argomenti, soffermandosi sulle due questioni oggetto di giudizio, a suo avviso infondate, ossia:
– quella relativa al fatto che l’Amministrazione avrebbe sanzionato l’abuso prima di definire la pratica di condono edilizio pendente;
– quella, processuale, secondo la quale i primi Giudici non avrebbero pronunciato sulla censurata condotta dell’ente locale (e cioè l’irrogazione di una sanzione prima della definizione della domanda di condono).
6. Con memoria del 21.2.2019 l’appellante ha analogamente riepilogato le proprie tesi.
7. Con memoria del 22.2.2019 il Comune ha replicato.
8. La causa quindi, chiamata alla pubblica udienza di discussione del 14.3.2019, è stata ivi trattenuta in decisione.
9. L’appello è fondato, e come tale va accolto, impregiudicata ogni successiva attività riservata alla sfera d’azione amministrativa del Comune.
10. Non è controverso il fatto che le due edificazioni per cui è causa siano state realizzate sine titulo.
Non è controverso che, per esse, sia stata presentata domanda di condono e che essa non sia stata definita.
Neppure è controverso che vi sia un disallineamento tra la rappresentazione fattuale emergente dalla domanda di condono e la situazione fattuale constata dal Comune, quanto meno in relazione ad uno dei due manufatti.
Tantomeno è controverso il fatto che il Comune, non chiudendo il procedimento di condono con un provvedimento formale ed esplicito, ha – nel caso in questione – piuttosto adottato direttamente un ordine di demolizione e di ripristino della stato dei luoghi riguardante entrambe le edificazioni sopra dette.
10.1. Nel giudizio di primo grado – per come emerge dalla rappresentazione dei fatti esposta nella sentenza impugnata – le contrapposte posizioni dialogiche sono state, in sostanza, le seguenti:
– ad avviso del ricorrente, il Comune, con l’atto censurato, ha compiuto una “violazione della normativa sul condono (trattandosi di opere terminate nel termine di legge per la condonabilità )” ed in subordine ha frainteso la natura dell’intervento edilizio, che consisterebbe “in una ristrutturazione edilizia in quanto opere che, accedendo ad altro edificio, non possono essere demolite senza danno per l’intero edificio”;
– ad avviso del Comune, invece, ricorrerebbe la “residenzialità dei beni e quindi la falsa dichiarazione resa all’Ufficio al momento della presentazione della domanda di condono”.
10.2. A cospetto di tanto, i primi Giudici hanno tratto – in sostanza – la conclusione che bene avrebbe fatto il Comune a ritenere ‘implicitamentè non esaminabile la domanda di condono, superflua pertanto la chiusura del procedimento apertosi con tale domanda e conseguentemente possibile e legittimo procedere direttamente alla fase degli atti sanzionatori.
10.3. Il Consiglio di Stato, di recente (sentenza n. 589/2019, pubblicata il 24.1.2019), ha avuto modo di riepilogare che:
– da un punto di vista generale, “la configurabilità di un provvedimento amministrativo implicito” è stata generatrice “nel complessivo quadro delle regole imposte all’azione amministrativa dalla l. n. 241/1990, di dubbi interpretativi”;
– “la problematica del provvedimento amministrativo implicito si riduce (…) alla prefigurazione delle sue condizioni di ammissibilità (ovvero dei presupposti di fatto idonei alla ricostruzione, in via inferenziale, della volontà tacita dell’amministrazione)”;
– la giurisprudenza “pretende, sul punto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, n. 2456/2018 cit.):
a) che debba pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell’azione amministrativa;
b) che, per un verso, la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo competente e nell’esercizio delle sue attribuzioni e, per altro verso, nella stessa sfera di competenza rientri l’atto implicito a valle (non palesandosi, in difetto, lecita la valorizzazione del nesso di presupposizione);
c) che non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme (arg. ex art. 21 septies cit.);
d) che dal comportamento deve desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile di quello espresso (non potendo attivarsi, in difetto, il meccanismo inferenziale di necessaria implicazione);
e) che, in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell’iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018 cit.) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato.”.
10.4. Dati i requisiti sopra posti e condivisibili – i quali, incidentalmente, devono concorrere -, nella fattispecie il Collegio reputa (non ponendosi questione in ordine ai requisiti sub b) e c) che, ove pure si possa dare per assodato quello sub a), di certo non possono dirsi univocamente assodati, almeno, quelli sub d) ed e).
10.5. Non si può invero sottacere che, per come rappresentate le circostanze del caso, i manufatti abusivi sono due e solo uno di essi è risultato attrezzato per la sua abitabilità, quando invece – per come esposto nella domanda di condono – non sarebbe dovuto esserlo.
Non sono chiare quindi le ragioni per le quali il Comune non ha inteso esaminare la domanda di condono almeno relativamente al manufatto non in tal modo attrezzato e, quanto meno, per verificare in quella sede se ed in quale misura l’allestimento (per l’abitabilità ) di tale manufatto precedesse o meno – sul piano temporale – la presentazione della domanda di condono.
Non istruendo né definendo la domanda di condono, poi, il Comune ha altresì omesso di valutare se l’allestimento (per l’abitabilità ) avesse implicato anche interventi edilizi (ulteriori e diversi rispetto a quelli denunciati in sede di condono) ovvero si fosse limitato al posizionamento di arredi.
Così facendo, poi, il Comune non ha esercitato poteri valutativi adeguati per ricavare (ex post) l’appropriatezza della misura sanzionatoria in concreto (poi) effettivamente adottata.
10.6. Ma in aggiunta a quanto precede non si può fare a meno di osservare che il percorso argomentativo scelto dai primi Giudici, da un lato, cui adesso s’è correlato l’iter argomentativo del Comune (che evidentemente difende il contenuto della sentenza impugnata), dall’altro lato, hanno nel loro complesso – e congiuntamente – finito anche per ‘costruirè una sostanziale enunciazione motivazionale postuma del perché il Comune non abbia formalmente chiuso, con un provvedimento espresso (anche in ipotesi negativo), il procedimento aperto con la domanda di condono della parte privata.
In pratica, con la sentenza impugnata si è effettivamente finito per ‘spostarè il focus della causa di primo grado dal mero tema della legittimità o meno della precedenza di una procedura di condono non definito (rispetto alla fase sanzionatoria, di demolizione e ripristino) a quello della ‘validità ‘ o meno della stessa domanda di condono (per presunta falsità di quanto con essa rappresentato), che però non era questione oggetto dell’originario ricorso. Senza poi contare che, ragionevolmente, la teorizzata falsità avrebbe inciso la domanda di condono solo per una sua parte.
11. In conclusione, in accoglimento dell’appello, la sentenza di primo grado merita di essere riformata e la dirigenziale censurata annullata, in accoglimento dell’originario ricorso.
Come detto, resta integro il potere del Comune di riprendere l’esame della domanda di condono e di chiuderlo con un provvedimento espresso e motivato, sulla base del quale – ove effettivamente necessario – adottare ragionatamente la misura sanzionatoria appropriata.
12. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, in favore della parte appellante, in complessivi euro 4.000,00 per entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla l’atto originariamente impugnato.
Condanna il Comune resistente al pagamento in favore della parte appellante delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate in complessivi euro 4.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Italo Volpe – Consigliere, Estensore

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