Assunzione di sostanza stupefacente da parte di un appartenente ad un Corpo di polizia

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 16 marzo 2020, n. 1887.

La massima estrapolata:

L’assunzione di sostanza stupefacente da parte di un appartenente ad un Corpo di polizia, ad ordinamento sia civile sia militare, dello Stato, come tale preposto, tra l’altro, proprio alla repressione della diffusione e dello spaccio di sostanza stupefacente, costituisce in sé, a prescindere da ogni altra considerazione, una condotta frontalmente confliggente con i doveri del ruolo ed oggettivamente incompatibile con la prospettica prosecuzione nel servizio, anche in presenza di un episodio isolato di assunzione di sostanza stupefacente, posto che ciò che rileva è proprio il consumo di tale sostanza.

Sentenza 16 marzo 2020, n. 1887

Data udienza 30 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7681 del 2015, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. Sc., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Ministero della difesa, Comando generale dell’Arma dei carabinieri, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Roma, Sez. I-bis, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2020 il consigliere Luca Lamberti e udito per la parte ricorrente l’avvocato Fr. Ma. su delega dell’avvocato Fe. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Oggetto del presente giudizio è il decreto ministeriale del 1 aprile 2010, recante l’irrogazione della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione a carico del maresciallo capo dell’Arma dei carabinieri -OMISSIS-.
Il decreto è conseguito alla definizione del procedimento penale instaurato nei confronti dell’odierno ricorrente per il reato di cui all’art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990, originato dalla segnalazione operata dai Carabinieri del nucleo radiomobile di Napoli, i quali avevano riferito che, nel corso di un controllo effettuato in data 7 febbraio 2008 nei pressi dell’Oasi del Buon Pastore, “zona notoriamente conosciuta per la frequentazione di consumatori e spacciatori di sostanze stupefacenti”, avevano fermato l’odierno ricorrente e, in esito alla perquisizione personale, avevano rinvenuto, celati in uno stivale, quattro grammi di hashish.
Il procedimento era stato archiviato con decreto del G.i.p. del Tribunale di Napoli del 5 novembre 2008, emesso su richiesta conforme del P.M. perché i fatti contestati erano, in realtà, riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 75 d.p.r. n. 309 del 1990 (con conseguente segnalazione alla competente Prefettura).
2. Nel ricorso introduttivo del giudizio di prime cure sono state articolate censure sia procedimentali, sia sostanziali, che il T.a.r., con la sentenza indicata in epigrafe, ha integralmente rigettato.
3. L’interessato ha interposto appello, riproponendo criticamente le doglianze avanzate in primo grado.
Le Amministrazioni intimate, nonostante la ritualità della notifica, non si sono costituite.
Il ricorso è stato trattato alla pubblica udienza del 30 gennaio 2020, in vista della quale il ricorrente ha versato in atti documenti e difese scritte.
4. Il ricorso non è fondato.
4.1. Il Collegio premette che consolidata giurisprudenza ritiene ontologicamente incompatibile, per un appartenente alle Forze di polizia (ad ordinamento sia civile sia militare), il consumo di sostanza stupefacente, pur se occasionale, isolato e non inquadrato in una complessiva situazione di dipendenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2415; 12 maggio 2009, n. 2904; 13 maggio 2010, n. 2927; 30 giugno 2010, n. 4163; Sez. III, 6 giugno 2011, n. 3371; Sez. IV, 24 marzo 2016 n. 1120; 31 agosto 2016 n. 3736; 2 novembre 2016, n. 4581; 1 febbraio 2017, n. 413; 8 marzo 2017, n. 1086; 27 ottobre 2017, n. 4957; 30 agosto 2018, n. 5107; 15 gennaio 2020, n. 381; 21 gennaio 2020, n. 484, cui si fa integrale richiamo ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d] c.p.a.).
Invero, l’assunzione di sostanza stupefacente da parte di un appartenente ad un Corpo di polizia (ad ordinamento sia civile sia militare) dello Stato, come tale preposto, tra l’altro, proprio alla repressione della diffusione e dello spaccio di sostanza stupefacente, costituisce in sé, a prescindere da ogni altra considerazione, una condotta frontalmente confliggente con i doveri del ruolo ed oggettivamente incompatibile con la prospettica prosecuzione nel servizio.
Tali considerazioni valgono anche in presenza di un episodio isolato di assunzione di sostanza stupefacente, posto che ciò che rileva è proprio il consumo di tale sostanza.
4.2. Nella specie, le giustificazioni addotte dal ricorrente circa il possesso di stupefacente – in tesi non destinato all’uso personale – sono state ritenute dall’Amministrazione non credibili.
Siffatta conclusione non si palesa affetta da illogicità né, prima ancora, da difetto istruttorio, atteso che:
– i militari operanti attestarono, nella cennata segnalazione del 7 febbraio 2008, che il ricorrente, nell’immediatezza dei fatti, si era dichiarato “assuntore occasionale” di sostanza stupefacente ed aveva richiesto loro di non procedere al compimento degli atti dovuti: non consta che il ricorrente abbia mai contestato, nelle opportune sedi, la verbalizzazione di affermazioni da lui asseritamente mai rese;
– condotto in caserma, il ricorrente ebbe poi a rendere spontanee dichiarazioni, in sostanza asserendo che, trovatosi nella zona a seguito di un blocco stradale che lo aveva costretto a cambiare il previsto percorso, aveva deciso di contattare “una sua vecchia fonte confidenziale al fine di acquisire notizie di carattere operativo” da trasmettere, poi, agli organi competenti; avrebbe, tuttavia, reperito un congiunto di tale “fonte”, il quale, all’esito del colloquio, gli avrebbe consegnato i quattro grammi di hashish “al fine di giustificare la sua presenza” in quel luogo;
– i dati forniti dal ricorrente non hanno consentito ai militari, pur prontamente attivatisi, di individuare né siffatto interlocutore, né il di lui prossimo congiunto che sarebbe stato la “fonte” di cui il ricorrente avrebbe inteso avvalersi;
– nel corso del procedimento penale il ricorrente ebbe, quindi, a sostenere (con dichiarazioni poi riproposte nel procedimento disciplinare) che si sarebbe recato in zona su richiesta del presidente di un’associazione di volontariato, con cui all’epoca avrebbe saltuariamente collaborato, al fine di rintracciare una ragazza allontanatasi dalla comunità ;
– il ricorrente, all’epoca dei fatti, prestava servizio in Roma, presso il “Servizio Reparto Magistrature – 2^ Sezione Tribunale”, del tutto privo di competenza con riferimento al territorio di Napoli.
Siffatta serie di giustificazioni avanzate dal ricorrente, non supportate da prova liquida, ha convinto l’Amministrazione che fosse decisamente più verosimile che egli, residente a Roma ed assegnato a reparto ivi operante, si fosse recato in quella nota piazza di spaccio del napoletano (da lui ben conosciuta, avendo ivi in passato prestato servizio) al fine di reperire sostanza stupefacente per consumo personale.
La conclusione raggiunta dall’Amministrazione non è, alla luce del complessivo contesto, affetta da macroscopica illogicità (cfr., del resto, l’ordinanza n. -OMISSIS-, emessa da questa Sezione in sede di appello cautelare) e, pertanto, supera indenne lo scrutinio giurisdizionale, connotato da carattere meramente estrinseco.
4.3. Quanto, poi, all’asserita sproporzione della sanzione, il Collegio osserva che l’Amministrazione militare ha ampia discrezionalità in punto di individuazione e, eventualmente, dosimetria della sanzione, sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà, evidente travisamento del fatto, circostanze che, nella specie, non ricorrono.
Il Giudice, come visto supra, svolge infatti in tali casi un sindacato estrinseco di mera legittimità e, dunque, non ha titolo per sostituire le proprie valutazioni di opportunità a quelle operate dall’Amministrazione, impingendo altrimenti indebitamente in un’area funditus sottratta alla giurisdizione.
4.4. Non hanno, di converso, rilievo in senso contrario:
– né l’accertata esclusione di uno stato di tossicodipendenza, posto che è la condotta in sé del consumo (anche episodico) di sostanza stupefacente (che, peraltro, nel nostro ordinamento costituisce un illecito amministrativo, non già una manifestazione di libertà personale) ad essere stata stigmatizzata dall’Amministrazione;
– né le buone valutazioni sino ad allora conseguite, posto che il consumo di sostanza stupefacente è stato stimato dall’Amministrazione in sé e per sé incompatibile con il mantenimento dello status di militare, a prescindere da ogni altra considerazione;
– né la qualità di studente allora rivestita dal ricorrente, posto che, nella specie, è oggetto di valutazione una specifica condotta in relazione alla quale è del tutto ininfluente la dedizione agli studi.
4.5. Quanto alle censure di carattere procedimentale, il Collegio premette che la vicenda è governata ratione temporis dal d.p.r. n. 3 del 1957 (in particolare, dall’art. 97, comma 3, e dall’art. 120).
In base alla prevalente giurisprudenza relativa a tale assetto normativo (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452; n. 5013 del 2002), in caso di proscioglimento in sede penale (cui è funzionalmente equiparabile, ai fini de quibus, il decreto di archiviazione), ove l’Amministrazione aveva intenzione di applicare la sanzione espulsiva, il termine di inizio del procedimento era pari a 180 giorni decorrenti dalla conoscenza integrale ed ufficiale (a mezzo, in primis, di acquisizione di copia conforme) del provvedimento giurisdizionale irrevocabile.
Peraltro, l’inizio del procedimento è rappresentato dall’emanazione dell’ordine di inchiesta formale, non dalla successiva comunicazione all’interessato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484).
Per la conclusione del procedimento, poi, non era allora previsto un termine finale specifico, bensì il termine per così dire “dinamico” di 90 giorni stabilito dall’art. 120 cit., interrotto da qualsiasi atto proveniente dall’Amministrazione che dimostrasse factis il perdurante interesse alla definizione del procedimento.
Orbene, nella specie risulta che:
– l’Amministrazione ha acquisito copia conforme all’originale del decreto di archiviazione in data 13 luglio 2009;
– con nota prot. 96/13 del 3 settembre 2009 (comunicata all’incolpato il 26 settembre 2009) il Comando interregionale ha ordinato l’inchiesta formale;
– la contestazione degli addebiti da parte dell’ufficiale inquirente sarebbe del 3 settembre 2009 (così lo stesso ricorrente nel ricorso d’appello, pag. 17);
– la relazione finale dell’ufficiale inquirente è del 3 novembre 2009;
– la commissione di disciplina si è riunita in data 15 gennaio 2010, esprimendo il verdetto di non meritevolezza;
– il provvedimento recante l’irrogazione della sanzione è stato emanato in data 1 aprile 2010.
Non consta, dunque, in alcuna ipotesi il superamento del cennato termine “dinamico” di 90 giorni; di converso, il procedimento risulta tempestivamente instaurato.
Il ricorrente, in proposito, sostiene di avere consegnato all’Amministrazione copia del decreto di archiviazione già in data 23 giugno 2009: difetta, tuttavia, la prova documentale di quanto asserito (non è certo idonea, in merito, la prova per testi, la cui richiesta, peraltro, non è stata riproposta nel presente grado di giudizio), anche al fine di verificare che il ricorrente abbia consegnato una copia conforme e non una mera copia semplice, inidonea a determinare il decorso del termine.
Di converso, non consta che il ricorrente abbia notificato all’Amministrazione il decreto di archiviazione, ai sensi e per gli effetti del decorso del termine di 40 giorni previsto dall’art. 97, comma 3, d.p.r. n. 3 del 1957.
Infine, non è applicabile ratione temporis l’art. 154-ter disp. att. c.p.p., che, oltretutto, è riferito alla comunicazione officiosa del solo dispositivo, non anche della copia integrale del provvedimento, la cui acquisizione da parte dell’Amministrazione rimane subordinata ad un’esplicita richiesta.
Il Collegio, incidentalmente, rileva che dal 13 luglio 2009 al 1 aprile 2010 sono passati 262 giorni, per cui le censure del ricorrente, che assume applicabile, nella specie, il termine fisso di 270 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare, sono comunque infondate.
5. Per gli esposti motivi, dunque, il ricorso in appello deve essere integralmente rigettato.
6. Nulla sulle spese, non essendosi costituite le Amministrazioni.
7. Poiché il rigetto del ricorso si fonda su ragioni manifeste, sono integrati i presupposti per applicare, nella misura di cui al dispositivo, la sanzione di cui all’art. 26, comma 2, c.p.a., così come interpretato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 18 febbraio 2020 n. 1234 e 28 dicembre 2016 n. 5497), cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d], c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione, in conformità ai principi di massima elaborati, in termini generali, dalla Corte di cassazione (ex multis, Sez. VI, 12 maggio 2017 n. 11939 e 2 novembre 2016 n. 22150).
8. La condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Nulla sulle spese.
Condanna il ricorrente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 26, comma 2, c.p.a., alla sanzione pecuniaria di Euro 2.000,00, da versare secondo le modalità di cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i relativi adempimenti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere
Roberto Proietti – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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