Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 5 luglio 2019, n. 18192.

La massima estrapolata:

L’assunzione di lavoratori disabili con contratto a tempo determinato è legittima allorché rientri nelle previsioni di cui alle convenzioni disciplinate dall’art. 11 della l. n. 68 del 1999, volte a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili e a disciplinare le modalità di assunzione che il datore di lavoro si impegna ad effettuare.

Sentenza 5 luglio 2019, n. 18192

Data udienza 9 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente

Dott. CURCIO Laura – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 27860/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4129/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/10/2017 R.G.N. 3854/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA CIRIELLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4129/2017, depositata il 2.10.2017, in conferma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di (OMISSIS) con la quale quest’ultima, sui rilievi: – della incompatibilita’ del contratto di lavoro a termine con l’avviamento obbligatorio di persone disabili, -della carenza delle ragioni giustificative dell’apposizione della clausola del termine nel caso concreto, – del mancato svolgimento delle mansioni dedotte nel contratto individuale, – della discriminazione perpetuata nei sui confronti quale appartenente a categoria protetta, aveva chiesto l’accertamento della illegittima apposizione del termine al rapporto di lavoro, con tutte le conseguenze ripristinatorie di legge.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, disciplinante il contratto a tempo determinato, dovesse ritenersi applicabile anche ai lavoratori disabili, in ragione della interpretazione letterale e sistematica della normativa; che, nel caso concreto, le ragioni giustificative dell’apposizione del termine (sostanzialmente attivita’ di smaltimento di arretrato dell’archivio) fossero sufficientemente specifiche, e che dalla attivita’ istruttoria svolta in primo grado fosse emerso come la (OMISSIS) fosse stata effettivamente utilizzata per svolgere prevalentemente attivita’ connesse all’oggetto del contratto a termine, escludendo pure la sussistenza di alcuna discriminazione, non avendo la interessata fornito allegazioni e prove su tale aspetto.
3. Per la cassazione di tale sentenza, ha proposto ricorso (OMISSIS), affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS) s.p.a

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Col primo motivo di ricorso, la ricorrente ha censurato la sentenza deducendo la violazione della L. n. 68 del 1999, articolo 3, e del Decreto Legislativo n. 368 del 2001, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La Corte di merito avrebbe errato nel ritenere applicabile il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, in ipotesi di lavoratori disabili sulla scorta di una mera interpretazione letterale della norma, tuttavia confliggente con la ratio della L. n. 68 del 1999, nonche’ della direttiva Europea n. 2000/78, volte a garantire al lavoratore disabile un quanto piu’ stabile inserimento nel mondo del lavoro, a fini non solo economici ma di integrazione sociale.
Avrebbe errato la corte nel valorizzare il riferimento letterale contenuto nella L. n. 68 del 1999, articolo 11, alla possibilita’ della stipula del contratto a tempo determinato, prevista nell’ambito di un’articolata e complessa procedura di “convenzione”, ossia di regolamento di interessi tra datore di lavoro ed ente deputato all’inserimento lavorativo, finalizzato a programmare nel tempo l’inserimento nel mondo del lavoro.
3. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti emessi dalle risultanze istruttorie, nonche’ la violazione della L. n. 368 del 2001, articolo 1, sul rilievo che la ricorrente nel secondo e terzo anno di impiego sarebbe stata prevalentemente impiegata in compiti diversi da quelli giustificativi della apposizione del termine provvedendo in via continuativa a consegnare la posta ed i giornali ai vari dipendenti ed uffici.
4. Il ricorso e’ infondato.
4.1. Il primo motivo e’ infondato.
La corte di appello, nell’affermare la compatibilita’ della figura del contratto a tempo determinato con la posizione del lavoratore disabile, sulla scorta di una interpretazione sia letterale che sistematica della normativa coinvolta (il Decreto Legislativo n. 368 del 2001, e la L. n. 68 del 1999, articolo 11) ha correttamente interpretato il dato normativo.
La giurisprudenza di questa corte di legittimita’, affrontando la questione sotto diverso profilo (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 17867 del 09/09/2016), aveva gia’ recentemente chiarito come, in caso di assunzione di un lavoratore disabile L. n. 68 del 1999, ex articolo 11, sia necessaria comunque l’indicazione nel contratto di lavoro delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificano l’apposizione del termine.
La indicazione di tali ragioni, non e’ in discussione nel caso di specie, ove, peraltro, e’ posta in rilievo dalla corte territoriale la conformita’ alla disciplina positiva, che consente la stipula di contratti a termine nell’ambito di convenzioni, come pacificamente appare quella stipulata tra la societa’ resistente ed il Comune di Roma (cfr. sent. impugnata pag. 5, penultimo capoverso).
Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto: la stipula di contratti a tempo determinato con lavoratori disabili e’ legittima allorche’ rientrante nelle previsioni di cui alle convenzioni disciplinate dalla L. n. 68 del 1999, articolo 11, volte a favorire l’inserimento lavorativo dei disabili ed a disciplinare le modalita’ di assunzione che il datore di lavoro si impegna ad effettuare.
4.2. Il secondo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente deduce tanto la violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la violazione e falsa applicazione di norma di legge e’ inammissibile per molteplici ragioni.
In primo luogo il motivo contiene promiscuamente, in un’unica censura, la contemporanea deduzione di vizi eterogenei, riferibili a diverse ipotesi tra quelle tipicamente previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, e tra loro incompatibili.
Questa Corte ha piu’ volte evidenziato come, in tema di ricorso per cassazione, la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione intrinsecamente eterogenei mostra di non tener conto dell’impossibilita’ della prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili e rimette alla Corte decidente il compito di isolare le singole censure teoricamente suscettibili di valutazione in sede di legittimita’, onde ricondurle poi ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati in rubrica, nonche’, una volta fatto cio’, di ricercare – nel caso della violazione di norme quale o quali disposizioni tra quelle del codice civile richiamate (con l’indicazione di un articolo e dei “seguenti”) sarebbero utilizzabili allo scopo e, nel caso di vizio di motivazione, di quale vizio si tratterebbe. Una tale impostazione, che assegna al giudice di legittimita’ il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse, e’ inammissibile, perche’ sovverte i ruoli dei diversi soggetti del processo, e rende il contraddittorio aperto a conclusioni imprevedibili, gravando l’altra parte del compito di farsi interprete congetturale delle ragioni che il giudice potrebbe discrezionalmente enucleare dal conglomerato dell’esposizione avversaria (cfr. Cass. n. 19443 del 2011).
Inoltre, nel caso di specie, la ricorrente, deduce genericamente la omessa/insufficiente e contraddittoria motivazione, per mancata o errata valutazione di risultanze processuali, riportando letteralmente il tenore della previgente norma contenuta nell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (senza tenere conto che la sentenza impugnata, relativa a procedimento iscritto nell’anno 2014 e’ soggetta alla nuova disciplina, nella versione di testo introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), conv. con modificazioni in L. n. 134 del 2012, la quale consente il ricorso per cassazione solo per “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti” per le sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012); per tal via la ricorrente sollecita una inammissibile rivalutazione del giudizio affidato all’apprezzamento del giudice di merito, travalicando i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
Anche quanto alla generica doglianza di violazione di legge (in relazione al Decreto Legislativo n. 368 del 2001, articolo 1), la ricorrente, che neppure formula una precisa indicazione della denunciata violazione, tende semplicemente a proporre una valutazione alternativa dei fatti di causa e delle risultanze istruttorie inammissibile in questo grado di legittimita’.
5. In conclusione il ricorso va rigettato; le spese si liquidano come in dispositivo.
6. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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