Assistenza legale del dipendente sottoposto a procedimento penale

Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 16 agosto 2019, n. 21439.

Massima estrapolata:

In tema di spese per l’assistenza legale del dipendente sottoposto a procedimento penale, l’art. 23, comma 3, del c.c.n.l. del personale dirigente del settore terziario del 31 luglio 2013 si interpreta nel senso di riconoscere il diritto al rimborso nell’ipotesi di procedimenti penali promossi per fatti attinenti all’esercizio delle ordinarie attività e funzioni proprie della posizione lavorativa del dirigente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva correttamente escluso il rimborso delle spese di assistenza legale perché i fatti di rilievo penale si erano rivelati estranei e contrari alle funzioni e responsabilità del dirigente il quale, invece di agire a favore dell’impresa, aveva agito a favore di se stesso e di terzi).

Sentenza 16 agosto 2019, n. 21439

Data udienza 4 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. LORITO Matilde – Consigliere

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere

Dott. DE MARINI Nicola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17964-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4949/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 18/12/2017 R.G.N. 4313/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2019 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 4949 depositata il 18.12.2017 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Modena, ha confermato la illegittimita’ del licenziamento intimato in data 30.9.2013 a (OMISSIS), dirigente della societa’ (OMISSIS) s.p.a. con funzioni di direttore Marketing, per aver favorito l’affidamento di incarichi professionali alla sua compagna ed alle aziende nelle quali erano interessati lei ed il fratello, con conseguente rigetto della domanda di pagamento dell’indennita’ supplementare di cui all’articolo 31 del contratto collettivo dirigenti aziende commerciali nonche’ di ulteriori emolumenti retributivi richiesti e del rimborso delle spese legali sostenute in relazione al processo penale incardinato per i medesimi fatti.
2. La Corte, per quel che interessa, confermata la tempestivita’ e la specificita’ della lettera di contestazione degli addebiti disciplinari, ha ritenuto che sulla materialita’ dei fatti contestati non vi fosse adeguata censura da parte del lavoratore appellante e, al contempo, fosse stata raccolta prova sufficiente in ordine alla responsabilita’ del (OMISSIS) e che, al contrario, nessun elemento probatorio suffragasse il dedotto demansionamento, il vantato diritto ai premi di produttivita’ e, infine, che l’interpretazione dell’articolo 23 del CCNL applicato non consentisse al lavoratore di richiedere il rimborso delle spese legali affrontate per il giudizio penale ove le condotte fossero, come nel caso di specie, estranee e contrarie alle funzioni e alle responsabilita’ del dirigente, il cui scopo era quello di agire a favore dell’impresa e non per se’ stesso o per terzi soggetti.
3. Per la cassazione della sentenza il (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato a sette motivi, illustrati da memoria. La societa’ ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi del ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2729 c.c., articolo 115 c.p.c., L. n. 604 del 1966, articolo 5, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il (OMISSIS) aveva chiesto di provare che gli incarichi – affidati alla compagna ed a societa’ a lei riconducibili – erano stati conferiti direttamente dal Presidente del consiglio di amministrazione e che i fatti oggetto delle contestazioni disciplinari mosse dalla societa’ ed emersi in sede penale, nel corso delle indagini preliminari, erano stati oggetto di puntuale replica e di richiesta di prova testimoniale.
2. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’articolo 111 Cost. nonche’ omesso esame di un fatto decisivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, avendo, la Corte distrettuale, fondato esclusivamente la decisione sugli elementi acquisiti in sede di indagini preliminari violando il principio del contraddittorio.
3. Con il quarto motivo si denuncia nullita’ della sentenza per error in procedendo in relazione all’articolo 115 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo, la mancata ammissione delle prove dedotte dal (OMISSIS), condizionato il regolare svolgimento del processo.
4. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia violazione, falsa interpretazione ed applicazione dell’articolo 23 del CCNL 31.7.2013 dirigenti del settore Terziario, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, trascurando, la Corte distrettuale, che la clausola contrattuale concerne la responsabilita’ civile, penale, erariale per l’attivita’ svolga dal dirigente nell’esercizio delle sue funzioni e che in caso di responsabilita’ penale non viene operata alcuna distinzione tra esercizio conforme o non alle norme di legge o di regolamento, salvo il caso di dolo o colpa grave accertati con sentenza passata in giudicato.
5. Con il sesto ed il settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1350 e 2077 c.c. nonche’ nullita’ della sentenza per error in procedendo in relazione all’articolo 115 c.p.c., ex articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, trascurando, la Corte distrettuale, che il premio di produttivita’ aveva carattere continuativo e che la societa’ non aveva contestato la formazione di una prassi e non essendo stata ammessa la prova articolata dal (OMISSIS).
6. I primi quattro motivi di ricorso sono inammissibili.
6.1. Va osservato che, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella rubrica dei motivi di ricorso, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimita’ il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensi’ la sola facolta’ di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicche’ le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. n. 21486 del 2011; Cass. n. 9043 del 2011; Cass. n. 313 del 2011; Cass. n. 20731 del 2007; Cass. n. 18214 del 2006).
La sentenza in esame (pubblicata dopo l’11.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134). L’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimita’, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorieta’ e dell’illogicita’ manifesta).
Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non e’ assente o meramente apparente, ne’ gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
La Corte distrettuale, conformemente al giudice di primo grado, rilevato che “e’ del tutto pacifico che egli ( (OMISSIS)) non avesse potere di firma degli atti presidenziali”, ha sottolineato che la contestazione disciplinare aveva ad oggetto non l’abuso di firma bensi’ condotte di natura diversa (“volte a favorire l’attribuzione degli incarichi alla (OMISSIS) ed alle societa’ facenti riferimento a lei ed a suo fratello (OMISSIS)”), ritenute correttamente provate dal Tribunale alla luce delle “dettagliate dichiarazioni rese dalle persone escusse nel corso delle indagini preliminari”, dichiarazioni contestate solo genericamente dal (OMISSIS). La Corte ha, poi, riportato il nucleo determinante di dette dichiarazioni concernenti campagne pubblicitarie effettuate per conto della societa’ (OMISSIS) ovvero gare bandite per l’affidamento dell’organizzazione di fiere dalle quali ha ritenuto emergere “prova adeguata della responsabilita’ disciplinare del (OMISSIS)” e in ordine alle quali non ha ritenuto di rinvenire “adeguata censura” (pag. 12 della sentenza impugnata).
6.2. La citata sentenza n. 8053 del 2014 delle S.0 di questa Corte ha chiarito, riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una questio facti, che il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
In proposito, e’ stato altresi’ chiarito che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sent. cit.). Nessuna di tali prescrizioni e’ stata osservata dal ricorrente, con conseguente inammissibilita’ del motivo di ricorso prospettato ex articolo 360, comma 1, n. 5.
6.3. In ordine alle doglianze di mancata ammissione della prova testimoniale, si tratta di questione che non risulta affatto affrontata nella sentenza impugnata e il ricorrente non indica in quale atto difensivo e in quale momento processuale la questione sarebbe stata introdotta, le ragioni del suo rigetto ed i motivi con i quali e’ stata riproposta al giudice del gravame, con cio’ violando gli oneri di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass., n. 23675 del 2013; Cass. n. 23073 del 2015). Esse sono, pertanto, inammissibili.
6.4. Infine, quale ulteriore profilo di inammissibilita’, va altresi’ rilevato che nel caso di specie opera la modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia “doppia conforme”.
Invero, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’articolo 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal Decreto Legge n. 83 cit., articolo 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. nn. 26774 del 2016, Cass. n. 5528 del 2014). Tale disamina non e’ stata svolta dal ricorrente.
7. Il quinto motivo di ricorso non e’ fondato.
L’articolo 23 del CCNL dirigenti aziende commerciali del 2013, recante rubrica “Responsabilita’ civili e penali”, recita:
“1. Nei casi in cui le norme di legge o di regolamento attribuiscano al dirigente specifiche responsabilita’ civili, o penali e erariali, egli deve disporre dei poteri effettivi e dell’autonomia decisionale necessari per agire secondo le prescrizioni di tali norme.
2. Le responsabilita’ e le conseguenze di natura civile verso terzi, causate da violazioni delle norme suddette, commesse dal dirigente nell’esercizio delle sue funzioni, sono a carico del datore di lavoro.
3. In caso di procedimento penale – di ogni grado – a carico di un dirigente, per fatti relativi alle sue funzioni e responsabilita’, tutte le spese e gli eventuali oneri sono a carico del datore di lavoro, comprese quelle di assistenza legale.
4. La scelta del difensore, ove non sia concordata tra le parti, spetta al datore di lavoro, ma il dirigente avra’ sempre facolta’ di farsi altresi’ assistere da un legale di propria fiducia con onere a carico del datore di lavoro stesso.
5. Il rinvio a giudizio del dirigente per fatti attinenti all’esercizio delle funzioni attribuitegli non giustifica, di per se’, il licenziamento.
6. Le garanzie e le tutele di cui sopra si applicano anche posteriormente alla cessazione del rapporto di lavoro e possono essere assicurate anche attraverso la stipula di apposita polizza, con onere a totale carico dell’azienda.
7. In caso di privazione della liberta’ personale il dirigente avra’ diritto alla conservazione del posto con corresponsione della retribuzione di fatto.
8. Le garanzie e le tutele di cui ai commi precedenti sono escluse nei casi di dolo o colpa grave del dirigente, accertati con sentenza passata in giudicato.”.
7.1. Tanto premesso, va osservato che la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 2 e’ parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicche’, anch’essa comporta, in sede di legittimita’, la riconducibilita’ del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza che sia necessario indicare, a pena di inammissibilita’, il criterio ermeneutico violato (Cass. n. 19507 del 2014, nonche’ Cass. n. 6335 del 2014, 18946 del 2014).
7.2. Il ricorso si incentra sull’interpretazione delle espressioni recate al comma 3, ove si prevede che le spese dei procedimenti a carico dei dirigenti per fatti relativi alle sue funzioni e responsabilita’ sono poste a carico del datore di lavoro.
7.3. Al riguardo va osservato che l’interpretazione complessiva delle clausole contenute nell’articolo 23 consente di ritenere che la comune intenzione delle parti sociali – in sede di enucleazione dei criteri per l’assunzione, a carico del datore di lavoro, delle spese affrontate dal dirigente in caso di responsabilita’ civili e penali – ha considerato, innanzitutto, la correlazione tra l’esercizio di poteri e autonomia decisionale con l’assunzione di specifiche responsabilita’ previste da norme di legge o di regolamento ed ha, poi, differenziato la tutela a seconda che si tratti di responsabilita’ civile verso terzi (ove la manleva del datore di lavoro e’ prevista anche in caso di violazione, da parte del dirigente, delle norme che disciplinano tali funzioni e responsabilita’) ovvero di responsabilita’ penale (ove la manleva e’ circoscritta all’operato tenuto dal dirigente in conformita’ delle norme che prevedono funzioni e responsabilita’).
7.4. Invero, come correttamente sottolineato dalla sentenza impugnata, opera il criterio dell’attinenza con l’esercizio delle funzioni attribuite e l’espressione usata dalle parti sociali nel comma 1 (“Nei casi in cui le norme di legge o di regolamento attribuiscano al dirigente specifiche responsabilita’ civili, o penali e erariali, egli deve disporre dei poteri effettivi e dell’autonomia decisionale necessari per agire secondo le prescrizioni di tali norme”) e ripresa nel comma 3 (“fatti relativi alle sue funzioni e responsabilita’”) impone di indagare sul grado di connessione tra il comportamento del dirigente ed i fatti oggetto del procedimento cui si riferisce la richiesta di rimborso spese. Interpretando le une per mezzo delle altre le diverse espressioni contenute nell’articolo 23 del CCNL emerge chiaramente che le parti hanno fatto riferimento al criterio dell’attinenza dei fatti alle esercizio delle funzioni per stabilire il diritto del dipendente di ricevere il ristoro delle spese di difesa dei relativi procedimenti civili e penali.
Ne’ la previsione che il nesso causale viene interrotto in caso di dolo o colpa grave (comma 8) puo’ avere diretto rilievo nella individuazione dell’area dei procedimenti connessi con le funzioni del dirigente, restando da chiarire prima quali siano i procedimenti per i quali opera la garanzia, per poi eventualmente applicarvi la clausola limitativa.
7.5. Si tratta di interpretazione che enuclea il significato della clausola proprio mediante l’utilizzo di tutti i canoni interpretativi e alla quale il ricorrente oppone la propria, senza, pero’, dare reale contezza di errori nell’applicazione dei canoni ermeneutici da parte della Corte territoriale.
7.6. Invero, questa Corte ha gia’ affermato che i presupposti per invocare la tutela di cui all’articolo 23 del CCNL dirigenti settore Terziario sono l’accertamento della diretta specifica riconducibilita’ delle azioni del dirigente (oggetto del procedimento penale) alle ordinarie attivita’ e funzioni proprie della sua posizione lavorativa, oltre alla esclusione dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, sul quale solo il giudice penale puo’ esprimersi, con sentenza della quale e’ richiesto il passaggio in giudicato (cfr. Cass. n. 22774 del 2016).
7.7. Ebbene, nel caso di specie la Corte distrettuale, con apprezzamento di merito insindacabile presso questa sede, ha ritenuto che “i fatti di rilievo penale per i quali si sono svolte le indagini preliminari (e che hanno dato luogo ad autonoma responsabilita’ disciplinare, come sopra detto) sono estranei e contrari alle funzioni e responsabilita’ del dirigente il cui scopo deve essere quello di agire a favore dell’impresa e non per se’ stesso e per terzi soggetti (come sopra gia’ ampiamente individuati nella sua compagna e nelle aziende a lei facenti capo, per le ragioni gia’ tutte sopra esposte)”. Muovendo da una corretta ricostruzione esegetica dell’articolo 23 CCNL, la Corte distrettuale ha, dunque, escluso l’operativita’ nel caso di specie della tutela a favore del dirigente.
8. Va, dunque, espresso il seguente principio di diritto: l’articolo 23, comma 3, del CCNL personale dirigente settore Terziario 31.7.2013 va interpretato nel senso che il diritto del dipendente di ricevere il ristoro delle spese di difesa nell’ambito dei procedimenti penali sorge in caso di attinenza dei fatti all’esercizio delle ordinarie attivita’ e funzioni proprie della posizione lavorativa dello stesso.
9. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso sono inammissibili.
Si tratta, a ben vedere, di censure rivolte direttamente contro la sentenza di primo grado e non contro la sentenza di appello in quanto – come illustrato dalla sentenza impugnata – il (OMISSIS) reitera la doglianza relativa alla natura continuativa e stabile dell’emolumento preteso senza misurarsi con la puntuale motivazione esposta dal giudice di appello (sulla inammissibilita’ di siffatte censure v. Cass. n. 5637 del 2006, Cass. nn. 11026 e 15952 del 2007, Cass. n. 6733 del 2014).
Invero, la Corte distrettuale ha precisato che, come risultava dal contratto individuale stipulato tra le parti, i presupposti per l’erogazione del premio di produttivita’ erano la fissazione annuale degli obiettivi da raggiungere e la valenza positiva del margine operativo netto del bilancio di esercizio annuale, condizioni non risultate provate; ha, inoltre, precisato che non era sufficiente la deduzione della continuita’, nel tempo, dell’erogazione del suddetto emolumento, in quanto mancava la prova della ricorrenza dei presupposti per integrare il c.d. uso aziendale, ossia l’erogazione generalizzata del premio (“non avendo, il (OMISSIS), documentato se non quello che egli stesso ha ricevuto e non essendovi deduzioni specifiche in merito agli altri dipendenti o dirigenti”, v. pag. 15 della sentenza impugnata). Tali argomentazioni non sono state confutate dal ricorrente.
10. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il principio della soccombenza dettato dall’articolo 91 c.p.c.
11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (legge di stabilita’ 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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