Assenza di completezza della domanda di sanatoria

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 29 novembre 2019, n. 8181.

La massima estrapolata:

L’assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo, potendosi esso formare per effetto del silenzio-assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi ed oggettivi per essere accolta, rappresentando, il mero decorso del tempo, soltanto un elemento costitutivo, tra gli altri, della fattispecie autorizzativa.

Sentenza 29 novembre 2019, n. 8181

Data udienza 3 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9250 del 2015, proposto da
Vi. Sg. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Ta., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di (omissis), non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Ottava n. 01455/2015, resa tra le parti, concernente richiesta della documentazione necessaria alla definizione della pratica di condono edilizio
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2019 il Cons. Francesco Mele; nessuno è comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 1455/2015 dell’11-3-2015 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Ottava rigettava il ricorso proposto dai signori Vi. Sg. ed altri, inteso ad ottenere l’annullamento dell’atto comunale n. 4732 del 18 luglio 2011, avente ad oggetto richiesta di documentazione necessaria alla definizione della pratica di condono edilizio del 27 marzo 1986 (prot. N. 1588), nonché la declaratoria di avvenuta prescrizione di eventuali crediti a conguaglio dell’oblazione come autodeterminata e degli oneri concessori.
La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“Con ricorso notificato il 2 novembre 2011 e depositato il successivo 30 novembre Vi. Sg. ed altri hanno impugnato l’atto prot. n. 4732 del 18.7.2011 (notificato ai soli Sg. Vi. e Sg. Mi.) con il quale il Comune di (omissis) ha richiesto ai ricorrenti la produzione della documentazione necessaria alla definizione della pratica di condono edilizio n. 1588 del 27.3.1986.
I ricorrenti hanno esposto che con istanza depositata il 27.3.1986 Sg. Do., loro dante causa, aveva inoltrato domanda di condono ai sensi della l. 47/85 per l’immobile realizzato in (omissis) alla via (omissis); all’istanza, a seguito dell’integrazione del 24.7.1986, era stata allegata la documentazione prescritta dall’art. 35, lett. a), b), e) e d) della legge citata, in particolare le copie del MOD 47/85-A, e del MOD 47/85-R, foto, grafici, perizia giurata, certificato di idoneità statica, copia del versamento dell’oblazione autodeterminata in lire 2.053.410.
Con rogito del 24.12.1986 Do. Sg. aveva venduto a Ce. Ma. una porzione del fabbricato, e precisamente “l’intero piano rialzato composto di due vani utili, vano cucina ed accessori, l’intero piano secondo composto di quattro vani utili, vano cucina ed accessori, nonché una sezione di metri quadrati novantasei e centimetri sessanta (mq. 96,60) del cortile…”, mentre con successivo rogito del 31.12.1986 aveva ceduto a Di Si. Te. l’altra porzione dell’edificio, ovvero “l’intero primo piano composto di quattro vani utili, vano cucina ed accessori, nonché una sezione di metri quadrati novantasei e centimetri sessanta (mq96,60) del cortile…”.
Il I agosto 1987 era stata depositata la richiesta di accatastamento presso il competente Ufficio Erariale.
Il 22 marzo 2011 il Comune di (omissis) aveva chiesto l’integrazione documentale per la pratica di condono, e Vi. Sg., quale rappresentante degli aventi causa del defunto Sg. Do., aveva riscontrato tale comunicazione chiedendo il rilascio della Concessione edilizia e rappresentando l’intervenuta formazione, in data 27 marzo 1988, del silenzio assenso ex art. 35 della legge n. 47/85; il Comune di (omissis) aveva ribadito la comunicazione di incompletezza della pratica.
Nonostante le successive diffide, con il provvedimento impugnato il Comune aveva nuovamente richiesto “tutta la documentazione richiesta al fine di consentire questo ufficio di definire la pratica entro e non oltre 30 (trenta) giorni dal ricevimento della presente”.
A sostegno del ricorso sono state formulate, in unico motivo, le censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 35, comma 18, l. n. 47 del 1985, formazione del silenzio-assenso, in quanto a seguito dell’integrazione effettuata nel luglio 1986 all’istanza risultava allegata la documentazione prescritta ex art. 35, comma 3, L. 47/1985…”
Il Tribunale Amministrativo riteneva che nella specie non si era formato il silenzio assenso, attesa l’incompletezza della pratica.
Rilevava, infatti, che mancava il titolo di proprietà, la ricevuta dell’avvenuto accatastamento con le planimetrie catastali e il rilievo del fabbricato con distinti calcoli delle superfici utili da condonare, necessari ai fini del calcolo dell’oblazione e degli oneri concessori dovuti; evidenziando, altresì, che tali documenti non risultavano presentati a corredo dell’istanza, né prodotti in giudizio.
Avverso la prefata sentenza di rigetto i signori Sg. ed altri hanno proposto appello, deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.
Essi hanno lamentato: Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della legge n. 47del 28 febbraio 1985. Eccesso di potere.
Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione alla pubblica udienza del 3 ottobre 2019.

DIRITTO

Con unico ed articolato motivo di appello i signori Sg. ed altri lamentano: error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della legge n. 47/85-Eccesso di potere.
Deducono l’erroneità della gravata sentenza laddove ha ritenuto sussistente la carenza documentale indicata dal Comune.
Rilevano, invero, che il Tribunale non aveva considerato che il signor Sg. Do. aveva depositato agli atti del Comune di (omissis), in data 24 luglio 1986, in uno alla domanda di concessione in sanatoria integrandola il 24 luglio 1986, la documentazione richiesta dall’articolo 35, terzo comma, della legge n. 47/85.
Evidenziano, in particolare, che il signor Sg. Do., loro dante causa:
– aveva prodotto al Comune non solo la planimetria generale in scala catastale della superficie oggetto di condono edilizio, ma anche una perizia giurata dell’ing. Pi. Fe. “sulle dimensioni e sullo stato delle opere”, ossia atti idonei a far comprendere, in maniera sufficientemente chiara, la natura e consistenza delle opere da condonare e la congruenza della determinazione degli importi versati a titolo di oblazione;
– aveva presentato la domanda di condono nella asserita qualità di proprietario del bene da sanare;
– aveva depositato il 1° agosto 1987 agli atti dell’ente (con protocollo n. 10957) la richiesta di accatastamento del proprio fabbricato.
Dunque, la pratica doveva ritenersi completa, evidenziando, inoltre, che il titolo di proprietà non era affatto necessario e prescritto ad substantiam per la valutazione della domanda medesima.
Pertanto, si era formato il silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione della documentazione integrativa, decorrente dal 24 luglio 1986, ed era pure maturato il termine di prescrizione breve per il conguaglio dell’oblazione versata.
L’appello è infondato.
L’articolo 35 della legge n. 47/1985, rubricato “Procedimento per la sanatoria”, prevede, al comma 18, che “…decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l’eventuale diritto al conguaglio a la rimborso spettanti”.
La disposizione, in un’ottica di semplificazione e di favor nei confronti del privato, collega la formazione del titolo abilitativo tacito all’inerzia dell’amministrazione comunale nel definire con provvedimento espresso la domanda di condono edilizio.
Risulta, peraltro, evidente che, affinchè possa configurarsi un comportamento inerte del Comune, ci si deve trovare di fronte ad una situazione nella quale l’ente ha a disposizione tutti gli elementi per la definizione della domanda, richiedendosi, in particolare, la completezza della documentazione, utile non solo a verificare la condonabilità dell’opera ma anche a determinare le conseguenti somme dovute dal privato.
Il costante orientamento giurisprudenziale in materia (cfr. Cons. Stato, VI, 21-2-2019, n. 1210; VI, 5-12-2018, n. 6899; IV, 11-10-2017, n. 4703; IV, 26-4-2018, n, 2517) è, invero, nel senso che, per la formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono edilizio, è necessario che ricorrano i requisiti sia dell’avvenuto pagamento dell’oblazione dovuta e degli oneri di concessione, che dell’avvenuto deposito di tutta la documentazione prevista per l’istanza di condono, affinchè possano essere utilmente esercitati tutti i poteri di verifica da parte dell’amministrazione comunale. Pertanto, l’assenza di completezza della domanda di sanatoria osta alla formazione tacita del titolo abilitativo, potendosi esso formare per effetto del silenzio-assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi ed oggettivi per essere accolta, rappresentando, il mero decorso del tempo, soltanto un elemento costitutivo, tra gli altri, della fattispecie autorizzativa.
Ciò posto, ritiene il Collegio che, dovendo il Comune avere a disposizione tutti gli elementi per determinarsi, non risulta sufficiente, ai fini della formazione del silenzio-assenso, la mera presentazione dei documenti previsti dall’articolo 35 della legge n. 47/85, ma occorre, altresì, che gli stessi siano completi, nel senso che abbiano un contenuto tale da rappresentare compiutamente tutti gli elementi utili e necessari a valutare la domanda ed a determinare gli importi dovuti in base all’entità ed alle caratteristiche delle opere da sanare.
In particolare, deve essere osservato che, laddove la domanda di condono riguardi ampliamenti abusivi ovvero maggiori superfici dell’opera originariamente assentita, non basta la rappresentazione del solo stato finale del manufatto, occorrendo, altresì, la rappresentazione grafica dell’opera come in origine autorizzata, al fine di consentire la concreta verifica dell’effettiva entità della superficie da condonare.
Rileva il Collegio che nella fattispecie in esame il rilievo grafico prodotto si limita a rappresentare, al primo ed al secondo piano, lo stato finale del manufatto con la sola precisazione “da condonare la maggiore profond. di ml. 2,80”.
La mancata rappresentazione dell’opera, così come originariamente assentita, impedisce di verificare se effettivamente la superficie da condonare risulti essere stata correttamente indicata, così potendo trovare conferma le indicazioni rese dal progettista nella perizia giurata sulle dimensioni e sullo stato delle opere.
Né il Comune era posto in condizioni di effettuare aliunde tale accertamento ricercando di ufficio presso i propri archivi la documentazione concernente l’originario titolo abilitativo, considerandosi che di questo alcuna indicazione era stata data nella suddetta perizia giurata.
Invero, in essa (pag. 1) vi è contraddittorio riferimento dapprima alla circostanza che il signor Sg. “ha costruito, senza la prescritta licenza edilizia, un fabbricato destinato a civile abitazione e commercio…” e, poi, al fatto che “l’opera abusiva è stata realizzata in difformità dalla concessione edilizia”; omettendo comunque qualsiasi specifico riferimento agli estremi del titolo edilizio originario.
Va, inoltre, evidenziato che l’elaborato grafico presentato non reca alcuna indicazione della concreta destinazione dei locali di cui si compone il manufatto, impedendo in tal modo una compiuta verifica, rispetto a quanto dichiarato nelle istanze di condono e nella perizia giurata, della esattezza delle dichiarazioni rese in ordine alla diversa natura delle superfici da condonare (superfici utili e superfici non residenziali), elemento questo rilevante ai fini del corretto calcolo dell’oblazione e degli oneri concessori.
La situazione di incertezza risulta vieppiù avvalorata dalla circostanza che viene chiesto il condono dell’intero piano terra, mentre del primo e secondo piano solo una parte, onde in assenza di specifiche indicazioni sulla situazione di fatto e di diritto dell’immobile, non risultano comprensibili le ragioni per le quali il piano sottostante sia integralmente abusivo mentre non lo siano i piani superiori.
Sulla base delle argomentazioni sopra esposte, deve, dunque, ritenersi che la documentazione presentata dal signor Sg. non fosse sufficiente al fine di consentire al Comune una compiuta verifica della domanda di condono presentata e, dunque, di determinarsi in ordine alla stessa ed agli oneri dovuti.
Non è, pertanto, configurabile, in relazione alle richiamate carenze documentali, una ingiustificata inerzia del Comune, utile alla formazione del silenzio assenso, difettando elementi necessari per la compiuta definizione della domanda del privato.
Non essendosi, dunque, formato il silenzio assenso, la richiesta di integrazione documentale formulata dal Comune con atto n. 4732 del 18-7-2011, impugnata con il ricorso di primo grado, risulta legittima.
Rileva, inoltre, ai fini della ritenuta carenza documentale, la mancata dimostrazione della presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento.
Se è pur vero che l’articolo 4 del d.l. n. 2 del 12 gennaio 1998 ha eliminato la necessità di produrre, in allegato alla domanda di condono, l’accatastamento, è, altresì, vero che la presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento costituisce requisito indispensabile per la formazione del silenzio assenso.
Invero, il comma 18 dell’articolo 35 prescrive che “…decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intende accolta ove l’interessato provveda…alla presentazione all’ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all’accatastamento”.
Nella specie, come si evince dalla nota prot. n. 2202 del 31-3-2011 dell’Ufficio Tecnico del Comune di (omissis) – recante l’elencazione della documentazione presente nella pratica edilizia di condono del signor Sg. – non vi è traccia di atti che comprovino tale presentazione.
Né in giudizio la stessa è stata depositata, essendosi parte ricorrente limitata unicamente a citare gli estremi di una nota (1-8-1987 prot. 10957) con la quale sarebbe stata presentata la pratica di accatastamento, senza, peraltro, in assenza di produzione documentale, potersene verificare la veridicità .
Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, pertanto, ritenersi che sulla domanda di condono edilizio del 27-3-1986 non si sia formato il preteso silenzio-assenso.
A tanto consegue in primo luogo la mancata prescrizione dell’eventuale diritto a conguaglio delle somme dovute.
Invero, la giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, 10-8-2018, n. 4900) ritiene che, in caso di presentazione di una domanda di condono edilizio, il termine triennale di prescrizione dell’eventuale diritto a conguaglio o al rimborso spettanti decorre dalla presentazione dell’istanza, la quale tuttavia deve essere completa in ogni sua parte.
Nella vicenda in esame, l’incompletezza della documentazione – nei termini più sopra rilevati- impedisce la decorrenza del termine prescrizionale invocato, il quale, in assenza di adempimento alla richiesta integrazione documentale, non risulta maturato.
Deve, infine, ritenersi che neppure si sia prescritto il diritto del Comune ad esigere gli oneri concessori dovuti.
Invero, il termine per far valere il diritto alle somme dovute a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione è quello di prescrizione decennale, il quale decorre dal momento in cui tale diritto poteva essere fatto valere, ossia dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria ovvero dall’avvenuta formazione del titolo abilitativo silenzioso ai sensi del richiamato articolo 35 della legge n. 47/1985.
Nella fattispecie oggetto del presente giudizio, alcuna prescrizione si è verificata, non risultando rilasciato un provvedimento espresso di condono, né risultando – per le ragioni sopra esposte – in proposito formatosi il silenzio assenso.
Le argomentazioni tutte sopra rese evidenziano l’infondatezza dell’appello, il quale deve essere, per l’effetto, rigettato, con la conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Nulla è dovuto per le spese del grado, in considerazione della mancata costituzione in giudizio del Comune di (omissis).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *