Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 28 novembre 2019, n. 8127.
La massima estrapolata:
L’art. 18 comma 1 D.L. n. 67/1997 non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio o sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e in occasione dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione, ad esempio, quando la contestazione si sia riferita a una condotta che riguardi la propria vita di relazione, ancorché nell’ambiente di lavoro, o che non sia riconducibile strettamente alla attività istituzionale, quale l’accettazione di un regalo o il coinvolgimento in un alterco con colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato.
Sentenza 28 novembre 2019, n. 8127
Data udienza 21 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 6488 del 2016, proposto dal signor-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Va., An. Ti. e Pi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fr. Va. in Roma, via (…);
contro
Il Ministero dell’economia e delle finanze ed il Comando generale della Guardia di Finanza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, alla via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale regionale della giustizia amministrativa della provincia di Trento, n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze e del Comando Generale della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti l’avvocato Fr. Va. e l’avvocato dello Stato Gi. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’appellante, dipendente del Corpo della Guardia di finanza, è stato sottoposto ad un processo penale, nel quale è stato imputato per il reato di concussione (perché in occasione di una verifica fiscale svolta nel gennaio 2011 presso un esercizio commerciale ha indotto il titolare a consegnargli gratuitamente uno zaino trolley, rappresentandogli la sussistenza di una violazione amministrativa che poteva non segnalare) e per il reato di omissione di atto d’ufficio (perché ometteva di verbalizzare l’avvenuto accertamento di una violazione).
Con la sentenza n. 485/12 del 25 giugno 2013, il Tribunale di Trento ha modificato la prima imputazione ed ha condannato il dipendente per corruzione, mentre lo ha assolto quanto al delitto di omissione di atto d’ufficio.
In parziale riforma della sentenza del Tribunale, la Corte d’appello di Trento ha assolto il dipendente dal reato di corruzione, rilevando che tale delitto non sussiste per il solo fatto che vi sia una “regalià in favore di un dipendente, dovendosi applicare il’principio di proporzione tra l’atto d’ufficio ed il compenso ricevuto” .
All’esito del procedimento penale, al dipendente è stata irrogata la sanzione disciplinare del rimprovero, con un atto non impugnato.
Dopo la conclusione del giudizio penale, in data 10 dicembre 2014 il dipendente ha chiesto alla Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997, convertito nella legge n. 135 del 1997.
Con l’atto n. 150514 del 22 maggio 2015, il Comando generale della guardia di finanza ha respinto l’istanza, rilevando che i fatti valutati in sede penale non erano connessi all’espletamento del servizio o con l’assolvimento di compiti istituzionali.
2. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS-(proposto al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento), l’interessato ha impugnato il diniego e ne ha chiesto l’annullamento.
3. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha accolto in parte il ricorso (ed ha annullato il diniego quanto alle spese riguardanti l’imputazione di omissione di atto d’ufficio) ed ha condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio, rilevando che:
– l’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997 non si applica quando l’interessato non abbia “agito nell’interesse dell’Amministrazione” e la condotta oggetto della contestazione non sia strumentale alla prestazione del servizio, sicché l’atto impugnato è legittimo, quanto alla richiesta di rimborso riguardante il proscioglimento per la percezione della regalia;
– sussistono invece i presupposti del rimborso, quanto al proscioglimento per il reato di omissione d’atti d’ufficio.
4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in parziale riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado integramente sia accolto.
L’appellante – dopo aver richiamato i precedenti giurisprudenziali in materia – ha dedotto che i fatti contestati riguardanti la regalia sarebbero “connessi al servizio svolto” .
L’interessato ha rimarcato come la vicenda sia stata valutata unitariamente in sede penale, poiché nel corso della verifica fiscale egli ha dato una corretta interpretazione della normativa tributaria, segnalando che per la sentenza del Tribunale penale la mancata verbalizzazione – riguardando la conservazione della documentazione presso un contabile di fiducia – non ha dato luogo ad alcun illecito.
Avrebbe pertanto errato il TAR a ritenere sussistenti due fatti e ad attribuire rilevanza alla “accettazione della regalia”: nella specie, l’appellante avrebbe perseguito i fini dell’Amministrazione, gestendo correttamente la visita ispettiva ed interpretando correttamente la normativa sulla conservazione della contabilità .
5. Il Ministero dell’economia non ha impugnato in via incidentale la sentenza del TAR.
L’appellante ha depositato una memoria difensiva, con cui ha insistito nelle già formulate conclusioni.
Con una memoria di data 30 settembre 2019, il Ministero ha articolato le proprie difese e ha ribadito la domanda di reiezione dell’appello.
In data 30 ottobre 2019, l’appellante ha depositato una memoria di replica.
6. Ritiene la Sezione che l’appello vada respinto, perché infondato.
7. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997.
“Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità “.
Per i casi in cui sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo (pur se è stata talvolta definita come di ‘diritto condizionatò all’accertamento dei relativi presupposti: Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6194; Sez. VI, 21 gennaio 2011, n. 1713).
L’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti – se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).
Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736; Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).
Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.
8. Per quanto riguarda i presupposti indefettibili per l’applicazione dell’art. 18, si è formata una univoca e convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato.
Tali presupposti sono due:
a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente;
b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
9. Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 – sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Ad. Gen., 29 novembre 2012, n. 20/13; Sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713, cit.).
L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. VI, 2005, n. 2041).
10. Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il’nesso di immedesimazione organicà ).
10.1. Tale connessione sussiste – sia pure in modo peculiare – qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).
Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro – col rimborso delle spese sostenute – il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non solo per l’aver posto in essere specifici atti – sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato.
Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui.
10.2. A parte l’ipotesi del coinvolgimento del dipendente estraneo ai fatti, ma vittima di una illecita condotta altrui, quanto alla ‘connessionè tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all’Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l’imputazione dei relativi effetti (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427; Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190): la condotta oggetto della contestazione deve essere espressione della volontà della Amministrazione di appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali.
L’art. 18 è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasionè dell’attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2; Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154; Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190; Sez. IV, 14 aprile 2000, n. 2242) o quando sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).
Invece, esso non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che:
a) di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427);
b) sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e ‘in occasionè dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026; Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874; Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297; Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379; Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718; Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1816; Sez. III, 2013, n. 4849; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190), ad esempio, quando la contestazione si sia riferita a una condotta che riguardi la propria vita di relazione, ancorché nell’ambiente di lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 2014, n. 6389; Sez. II, 15 maggio 2013, n. 3938/13), o che non sia riconducibile strettamente alla attività istituzionale, quale l’accettazione di un regalo o il coinvolgimento in un alterco con colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato.
c) sia potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione (ad esempio quando, malgrado l’assenza di una responsabilità penale, sussistano i presupposti per ravvisare un illecito disciplinare e per attivare il relativo procedimento: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055; Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. IV, 2013, n. 1190; Sez. IV, 2012, n. 423).
Infatti, la ratio della regola del rimborso delle spese – per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al servizio – è quella di ‘evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio doverè : occorre uno specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 21 novembre 2018, n. 2735; Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681) e il rimborso non spetta per il solo fatto che in sede penale vi sia il proscioglimento per un reato proprio (commesso per la qualità di dipendente dello Stato).
10.3. In materia non rilevano di per sé le disposizioni del codice civile sul contratto di mandato, proprio perché l’art. 18 sopra riportato ha indicato i presupposti – sostanziali e procedimentali – indefettibili per la spettanza del rimborso.
12. Tenuto conto dei principi sopra evidenziati, risultano infondate le articolate deduzioni, sintetizzate al precedente § 4.
Dalla lettura delle sentenze del Tribunale penale e della Corte d’appello, si desume con chiarezza che sono state formulate al dipendente due contestazioni: in primo grado, vi è stato il proscioglimento dal reato previsto dall’art. 328 e la condanna per il delitto di corruzione (a seguito della derubricazione del reato di concussione), mentre in secondo grado vi è stato il proscioglimento anche per il reato di corruzione.
E’ ben vero che, come ha dedotto l’appellante, i fatti contestati in sede penale hanno riguardato una vicenda unitaria, ma è altrettanto vero che vi è stata una duplice contestazione in sede penale.
L’impugnata sentenza del TAR (con una statuizione non contestata con appello incidentale) ha ritenuto che la mancata verbalizzazione della circostanza emersa durante la verifica fiscale non solo non costituiva reato (come già affermato dal Tribunale penale), ma andava considerata come un atto legittimo, di per sé imputabile all’Amministrazione.
Senza incorrere in alcuna contraddizione, la sentenza del TAR ha invece ritenuto che l’accettazione della regalia abbia dato luogo ad un comportamento non’connesso al servizio svoltò .
La distinzione tra i due comportamenti è stata rimarcata già nel corso del processo penale, tanto che solo in sede d’appello è stato escluso il delitto di corruzione.
Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, non rileva nel presente giudizio il fatto che egli abbia gestito ‘correttamente la visita ispettivà ed abbia interpretato correttamente la normativa sulla conservazione della contabilità : pur se il giudice penale ha escluso che l’accettazione della regalia abbia configurato un reato, va condivisa la valutazione dell’Amministrazione, che ha rilevato come tale comportamento oggetto della contestazione non possa essere considerato connesso “con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionala” .
11. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
La condanna al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta respinge l’appello n. 6488 del 2016 e condanna l’appellante al pagamento di euro cinquemila in favore delle Amministrazioni appellate, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellante.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Oberdan Forlenza – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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