L’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 impone la sospensione del procedimento disciplinare

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 15 luglio 2019, n. 4940.

La massima estrapolata:

L’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 impone la sospensione del procedimento disciplinare nel caso di contestualità con il procedimento penale, il che si verifica quando il dipendente ha formalmente assunto la qualità di imputato nelle ipotesi tipizzate dal c.p.p.

Sentenza 15 luglio 2019, n. 4940

Data udienza 4 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8659 del 2018, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Pi. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del dottor Al. Pl. in Roma, via (…);
contro
il Ministero dell’interno, la Questura di Livorno e la Questura di Lucca, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione I, -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, della Questura di Livorno e della Questura di Lucca;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti l’avvocato Fr. Ca., su delega dichiarata dell’avvocato Pi. Gu., e l’avvocato dello Stato An. Co.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Nel 2006 il signor -OMISSIS-, assistente della Polizia di Stato, è stato rinviato a giudizio perché coinvolto nel rilascio di falsi permessi di soggiorno a cittadini stranieri.
2. Con la sentenza del 28 settembre 2012, il Tribunale di Lucca lo assolto da alcuni dei reati ascrittigli, lo ha prosciolto da altri, lo ha condannato per il reato di cui all’art. 476, secondo comma, c.p.
3. Con la sentenza 21 novembre 2014, n. 3821, la Corte d’appello di Firenze ha assolto l’imputato.
4. Con la sentenza 2 febbraio 2016, n. 8048, la Corte di cassazione, sez. VI, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione per tutti i capi di imputazione salvo uno, per il quale ha annullato con rinvio la sentenza di appello.
5. Con la sentenza del 23 settembre 2016, n. 3047, emessa all’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’appello di Firenze ha prosciolto l’imputato dal reato di cui all’art. 476 c.p. per intervenuta prescrizione.
6. Con atto di contestazione degli addebiti notificato il 13 giugno 2017, l’Amministrazione dell’interno ha avviato un procedimento disciplinare che si è concluso, su conforme delibera del Consiglio provinciale di disciplina, con l’irrogazione della sanzione della destituzione con contestuale dichiarazione di interruzione della procedura di passaggio nei ruoli dell’Amministrazione civile del Ministero degli interni o di altra Amministrazione dello Stato (decreto del Capo della Polizia del 6 dicembre 2017).
7. Nel frattempo, infatti, l’interessato era stato dichiarato permanentemente inidoneo al servizio per motivi di salute e aveva presentato richiesta di passaggio ad altra Amministrazione.
8. Il signor -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento proponendo un ricorso che il Tribunale amministrativo per la Toscana, sez. I, ha respinto con sentenza -OMISSIS-, condannando il soccombente al pagamento delle spese processuali.
9. Il signor -OMISSIS- ha interposto appello avverso la sentenza di primo grado sostenendone l’erroneità sotto diversi profili e in particolare perché :
a) in data 19 agosto 2017, e dunque prima della conclusione del procedimento disciplinare, egli – a norma dell’art. 8 del d.P.R. n. 339/1982 – avrebbe ottenuto il passaggio alle qualifiche civili del Ministero dell’interno per formazione del silenzio-assenso, a seguito del decorso del termine di 150 giorni dalla protocollazione della relativa istanza; lo stesso Dipartimento per la pubblica sicurezza, nelle proprie note, pur calcolando il decorso del termine in modo non condivisibile, avrebbe ammesso il significato provvedimentale del silenzio sull’istanza. Di conseguenza, l’Amministrazione dell’interno, e in particolare il Capo della Polizia, non avrebbe potuto adottare il provvedimento impugnato; ciò, anche alla luce del disposto dell’art. 55 bis, comma 8, del decreto legislativo m. 165/2001 – norma di orientamento per la PA, destinata a valere in mancanza di una specifica disciplina difforme – secondo cui la conclusione del procedimento disciplinare spetterebbe all’Amministrazione di destinazione; se il decreto impugnato fosse da intendersi come atto di autotutela avverso il provvedimento di accoglimento tacito dell’istanza di passaggio ad altra Amministrazione, sarebbe illegittimo per difetto di motivazione e violazione delle garanzie procedimentali;
b) risulterebbero violati svariati termini processuali in quanto il procedimento disciplinare avrebbe dovuto essere avviato:
– tempestivamente (ai sensi del combinato disposto dell’art. 31 del d.P.R. n. 737/1981 e dell’art. 103 del d.P.R. n. 3/1957), posto che alla data del 20 aprile 2004 la Questura di Lucca avrebbe trasmesso alla competente Procura della Repubblica la notizia di reato e i relativi accertamenti potenzialmente rilevanti sul piano disciplinare;
– in subordine, nel termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, previsto dall’art. 9 del d.P.R. n. 737/1981, poiché risulterebbe dagli atti che la Questura di Livorno avrebbe avuto piena conoscenza dell’intervenuta pubblicazione delle motivazioni della sentenza n. 3047/2016 già alla data del 24 gennaio 2017;
c) l’Amministrazione non avrebbe valutato l’incompatibilità della condotta tenuta dal dipendente con la permanenza in servizio (ex art. 7 del d.P.R. n. 737/1981) e la rilevanza dei fatti posti a fondamento della proposta di destituzione, mentre l’accertamento del merito si arresterebbe alla sentenza di assoluzione del 2014. La mancata specificazione dei comportamenti addebitabili non consentirebbe di valutare il rispetto del principio di proporzionalità, né sarebbero stati considerati i precedenti di carriera o l’interesse pubblico a coltivare l’azione disciplinare o la comparazione con i superiori in grado coinvolti nella medesima vicenda giudiziaria.
10. Il Ministero dell’interno, la Questura di Livorno e la Questura di Lucca si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello.
11. L’appellante ha replicato con memorie.
12. All’udienza pubblica del 4 luglio 2019, l’appello è stato chiamato ed è stato trattenuto in decisione.
13. Con il primo motivo dell’appello, la parte privata sostiene l’illegittimità del provvedimento di destinazione perché l’autorità che lo ha emanato (il Capo della Polizia) avrebbe perso il relativo potere disciplinare a seguito dell’avvenuto passaggio dell’interessato ad altra Amministrazione.
13.1. Il motivo è infondato.
13.2. Con verbale del Dipartimento militare di medicina legale di La Spezia in data 22 febbraio 2017, l’appellante è stato dichiarato “permanentemente non idoneo al S.I. in modo assoluto a decorrere dal 22/02/2017. Non idoneo al transito nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli della P.S. Idoneo al transito in altre amministrazioni dello Stato (D.P.R. 339/82)”.
13.3. Su questo presupposto, il successivo 18 marzo egli ha chiesto di essere assunto nei ruoli dell’Amministrazione civile del Ministero dell’interno o di altra Amministrazione dello Stato.
13.4. Il secondo e il terzo comma dell’art. 8 del d.P.R. n. 339/1982 stabiliscono:
“L’Amministrazione alla quale è stata inoltrata la istanza da parte del personale di cui all’art. 1 si dovrà pronunciare entro il termine di 150 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza stessa.
Qualora nel termine sopra indicato l’Amministrazione non si sia pronunciata, l’istanza si intende accolta”.
13.5. Questa seconda disposizione ha una evidente funzione acceleratoria ed è volta a evitare il protrarsi di una situazione di incertezza nell’ambito della PA. Essa è il frutto di una scelta del tutto discrezionale del legislatore, alla quale non risulta siano mai state mosse censure di irragionevolezza o di contrasto con la regola fondamentale del buon andamento.
13.6. L’appellante, non contestato, sostiene che il procedimento di transito sarebbe iniziato il 22 marzo e che egli sarebbe stato sottoposto a visita medica ai sensi del primo comma, secondo periodo, dell’art. 8 citato.
13.7. In punto di fatto, neppure è contestato che nessun provvedimento sia stato adottato nel termine di 150 giorni dall’avvio del procedimento. L’appellante sostiene perciò l’avvenuto tacito accoglimento della propria istanza.
13.8. Fermo restando che il decorso del termine impedisce alla PA di adottare successivi provvedimenti di diniego (Cons. Stato, sez. IV, 20 dicembre 2017, n. 5986) o di dispensa dal servizio (Cons. Stato, sez. IV, 20 dicembre 1996, n. 1318) e che, per altro verso, il transito non interrompe il procedimento disciplinare, il quesito riguarda la titolarità del relativo potere, se cioè rimanga in capo all’Autorità di polizia o passi all’Amministrazione di destinazione.
13.9. A questo proposito, il Collegio ritiene di condividere la tesi del TAR secondo cui il transito non determina l’incompetenza del Capo della Polizia ad adottare il provvedimento disciplinare in quanto:
– la norma richiamata (art. 55 bis, comma 8, del d.lgs. n. 165/2001), per testuale disposto del comma 1 dell’art. 55, vale solo per il personale pubblico non contrattualizzato;
– anche il disparte il rilievo che, nella specie, l’Amministrazione di destinazione non è stata ancora concretamente identificata, l’esercizio del potere disciplinare implica valutazioni sul disvalore del comportamento e sul mantenimento del vincolo fiduciario che sono esclusive della Polizia, cosicché risulta convincente la conclusione che la sostituzione dell’organo competente all’azione disciplinare contraddirebbe la specificità della normativa di settore e si porrebbe in insanabile contrasto con l’impianto normativo del d.P.R. n. 737/1981;
– la retrodatazione della destituzione alla data dell’inizio della sospensione cautelare dal servizio (4 novembre 2004), non specificamente contestata dal privato, rende irrilevante il transito, mentre è solo una imprecisione tecnica il riferimento all’interruzione di quest’ultima procedura che si legge nel provvedimento impugnato.
13.10. In sintesi, il primo motivo dell’appello è infondato e va respinto.
14. Con il secondo motivo del ricorso, l’appellante sostiene l’avvenuta violazione di termini perentori del procedimento disciplinare.
14.1. La censura è declinata sotto un duplice profilo, nessuno dei quali è fondato.
14.2. In primo luogo, sarebbe stata violata la regola della tempestività della contestazione degli addebiti, sancita dall’art. 103 del d.P.R. n. 3/1957, in quanto l’azione disciplinare sarebbe stata avviata a distanza di molti anni dalla intervenuta conoscenza dei fatti da parte dell’Amministrazione, da considerarsi acquisita alla data del 20 aprile 2004.
14.2.1. A questo proposito, il Tribunale regionale ha ritenuto che:
– non può considerarsi utile ai fini della contestazione degli addebiti il periodo in cui il procedimento disciplinare avrebbe dovuto restare sospeso a causa della pendenza del processo penale;
– nella fase delle indagini preliminari, l’Amministrazione avrebbe avuto facoltà, e non obbligo, di dare corso al procedimento disciplinare.
14.2.2. Si tratta di considerazioni che il Collegio condivide in quanto:
– l’art. 11 del d.P.R. n. 737/1981 impone la sospensione del procedimento disciplinare nel caso di contestualità con il procedimento penale, il che si verifica quando il dipendente ha formalmente assunto la qualità di imputato nelle ipotesi tipizzate dal c.p.p. (Cons. Stato, ad. plen., 29 gennaio 2009, n. 1, e più di recente, nel solco di questa decisione, sez. III, 24 marzo 2015, n. 1574);
– per costante giurisprudenza, l’art. 103 del d.P.R. n. 3/1957 va essere interpretato nel senso che il legislatore non ha inteso vincolare la PA all’osservanza di un termine fisso, ma ha indicato una regola di ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari nonché allo svolgimento effettivo dell’iter procedurale, e preordinata a un equo contemperamento delle esigenze sia dell’Amministrazione pubblica di procedere agli accertamenti preliminari dei fatti disciplinari con ponderata valutazione della gravità e complessità degli stessi, sia della parte privata, in ordine all’esercizio del diritto di difesa sul piano disciplinare (Cons. Stato, sez. III, 2 novembre 2015, n. 4992; sez. III, 20 giugno 2018, n. 3779);
– nel caso di specie la complessità degli accertamenti da svolgere in merito allo svolgimento di una complessa vicenda è dimostrata dall’alternarsi di sentenze penali di segno diverso, cosicché la prudenza dell’Amministrazione nel contestare gli addebiti disciplinari risulta giustificata.
14.3. Sotto altro aspetto, il privato lamenta la violazione dell’art. 9, sesto comma, del d.P.R. n. 737/1981, in quanto con il deposito delle motivazioni della sentenza della Corte d’appello in sede di rinvio l’amministrazione ne avrebbe avuto piena e qualificata conoscenza, come anche emergerebbe dagli atti del procedimento disciplinare.
14.3.1. Neppure questa censura è fondata.
14.3.2. Da un lato, quella che rileva ai fini della conoscenza dell’Amministrazione non può che essere la sentenza passata in giudicato (Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2011, n. 3414).
Nella specie, la sentenza della Corte d’appello di Firenze è divenuta irrevocabile il 5 marzo 2017, di modo che resta irrilevante la conoscenza di fatto della decisione in un momento antecedente, valorizzata invece dalla parte appellante.
14.3.3. Dall’altro, come ha definitamente chiarito la Sezione, “la regola… è quella per cui il termine “pubblicazione” contenuto nella lettera del citato articolo debba farsi coincidere con quello di “conoscenza qualificata”: si è affermato infatti in proposito che (Consiglio di Stato, sez. IV, 25 marzo 2014, n. 1458, Cons. Stato Sez. IV, n. 2942 del 2011) “in riferimento alla decorrenza del termine, tale norma deve necessariamente essere interpretata in modo tale da garantire che l’azione amministrativa si svolga secondo i canoni del giusto procedimento e del buon andamento, che suggeriscono di individuare il dies a quo del termine in questione dalla data di conoscenza della pronunzia penale. Diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione, illogica e contraddittoria, di sottoporre l’esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l’Amministrazione competente abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio.”; … detti approdi appaiono coerenti con le affermazioni contenute nella decisione della Corte Costituzionale n. 186 del 2004, che ha ritenuto “irragionevole e contraria al buon andamento” la disposizione transitoria dell’art. 10, comma 3, l. 27 marzo 2001 n. 97, nella parte in cui fa decorrere il termine per l’instaurazione del procedimento disciplinare dal momento della conclusione del giudizio penale, anziché dalla comunicazione della relativa sentenza all’amministrazione; pertanto il dies a quo per il computo dei termini che decorrono dalla sentenza penale, da qualunque norma siano previsti, non può che coincidere con la comunicazione della stessa alla amministrazione, essendo una diversa interpretazione del tutto irragionevole e contraria al buon andamento” (sentenza 29 dicembre 2017, n. 6171; e vedi anche, nell’ambito del parallelo ordinamento militare, con riguardo ad appartenenti al Corpo della Guardia di finanza o all’Arma dei carabinieri, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3652; sez. IV, 7 luglio 2018, n. 4349; sez. IV, 26 febbraio 2019, n. 1344).
14.3.4. Nella specie, non è contestato che la Questura di Livorno sia venuta formalmente a conoscenza della sentenza di rinvio il 18 maggio 2017, cosicché è tempestivo l’avvio del procedimento disciplinare.
15. Con il terzo e ultimo motivo dell’appello, il privato censura la destituzione in sé, ma ciò fa con argomenti che non possono essere condivisi in quanto:
– il provvedimento impugnato sanziona l’appellante per avere formato “atti contraffatti con i quali favoriva l’ingresso e la permanenza di cittadine extracomunitarie sul territorio nazionale”, ritenendo tale condotta con i principi deontologici dei dipendenti pubblici e, in particolare, degli appartenenti alla PS;
– per costante giurisprudenza, al cui indirizzo occorre dare continuità, specie nell’ambito delle Forze militari e di polizia il ricorso alla misura espulsiva è espressione di una discrezionalità amministrativa particolarmente lata, nell’esercizio della quale spetta all’Amministrazione valutare se – indipendentemente dai precedenti di carriera e dalla condotta successiva dell’interessato come pure dalla risonanza pubblica del fatto – gli addebiti accertati consentano o no la prosecuzione del rapporto fiduciario con il dipendente sanzionato. Questo giudizio può essere sindacato dal GA solo per manifesta irragionevolezza, travisamento dei fatti, violazione delle regole procedurali; circostanze queste che nella fattispecie non è dato riscontrare, anche perché la condotta contestata e descritta nel provvedimento impugnato è particolarmente qualificata per essere stata posta in essere in immediato contrasto con le funzioni di operatore di polizia, rivestite dall’appellante, e in spregio del giuramento prestato (Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6096 e n. 6099; sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452; sez. IV, 20 gennaio 2015, n. 123; sez. IV, 31 agosto 2016, n. 3736; sez. IV, 31 luglio 2017, n. 3813; sez. IV, 9 novembre 2017, n. 5173);
– per tali ragioni, nemmeno si riscontra nella destituzione una violazione del canone della proporzionalità che, ammesso pure abbia autonomo rilievo, non può risolversi in un giudizio di stretto merito;
– l’Amministrazione ha correttamente rivalutato in autonomia i fatti oggetto del procedimento penale; d’altronde la sentenza di rinvio ha ritenuto di non potere addivenire a una pronuncia pienamente assolutoria in base degli elementi di fatto a disposizione, laddove l’appellante enfatizza esclusivamente la sentenza assolutoria del 2014;
– il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento è stato dedotto genericamente in primo grado, come ha osservato in modo condivisibile il TAR dichiarando il motivo inammissibile; non è consentito superare l’inammissibilità della censura – come l’appellante invece prospetta – ampliandone e dettagliandone i contorni in questa sede, in violazione del divieto dei nova in appello; inoltre esso può sussistere solo quando le situazioni prese a raffronto siano del tutto identiche e il relativo onere della prova grava sull’interessato (Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 28; sez. IV, ord. 8 febbraio 2019, n. 608); infine, l’Amministrazione ha replicato efficacemente sul punto.
15.1. Il terzo motivo dell’appello è perciò da respingere.
16. In conclusione – come anticipato – l’appello è infondato e va dunque respinto, con conferma della sentenza impugnata.
17. Le spese del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 8659 del 2018, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nell’importo di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità dell’interessato, incarica la segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità, nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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