Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 17852.
Appalto la mancata determinazione del corrispettivo non è causa di nullità
In tema di appalto, l’art. 1657 cod. civ. deroga alla disposizione generale dell’art. 1346 cod. civ., nel senso che la mancata determinazione del corrispettivo non è causa di nullità del contratto, potendo la determinazione avvenire a posteriori in base alle tariffe esistenti, ovvero agli usi o da parte del giudice, quando non si controverta più sulle opere eseguite. Tale potere di determinazione si fonda allora proprio sulla mancata previsione di un corrispettivo e, per esercitarlo, ben può il giudice riferirsi ai prezzi di mercato perché costituiscono un parametro conoscibile preventivamente ed obiettivamente
Ordinanza|| n. 17852. Appalto la mancata determinazione del corrispettivo non è causa di nullità
Data udienza 11 ottobre 2022
Integrale
Tag/parola chiave: APPALTO PRIVATO – ESECUZIONE DELL’OPERA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25574-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avv. (OMISSIS), come da procura a margine del ricorso, con indicazione della pec.;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), come da procura in calce al controricorso, con indicazione della pec.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1154 del 2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 29/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/10/2022 dal consigliere PATRIZIA PAPA;
lette le memorie dei ricorrenti.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 24/11/2003, (OMISSIS) convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Bari, sez. di Acquaviva delle Fonti, i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) esponendo che, con scrittura privata del 2/5/2000, gli era stata da loro commissionata la sostituzione della copertura di un’unita’ immobiliare di proprieta’ della convenuta, per un corrispettivo complessivo di L..30.700.000, concordato a corpo; riferi’ che, secondo l’accordo, il prezzo di eventuali lavori aggiunti, non compresi nel capitolato, sarebbe stato quantificato prima della loro esecuzione, ma in realta’ egli aveva realizzato numerose opere extra contratto senza alcuna determinazione preventiva; a seguito di decreto di sospensione dei lavori del Comune di (OMISSIS) nel corso dell’appalto, egli era stato costretto ad interrompere l’esecuzione del contratto e, quindi, nell’impossibilita’ di proseguire, con nota del 5/3/03 aveva chiesto ai committenti di pagare il corrispettivo ancora dovuto per le opere svolte, quantificandolo in Euro 5.230,00 al netto degli acconti gia’ percepiti pari a complessivi Euro 9.296,22, di cui Euro 1.031,91 per opere extra contratto, ricevendo soltanto la somma di Euro 500,00.
Chiese, pertanto, di condannare (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.971,05 per le opere fuori contratto e fermo tecnico, oltre interessi legali maturati dalla costituzione in mora e il pagamento della somma di Euro 7.591,92 per mancato guadagno conseguente, a suo dire, al recesso esercitato dai committenti.
(OMISSIS) e (OMISSIS) sostennero di aver pagato tutte le opere realizzate e rappresentarono, per quel che qui rileva, che il valore delle opere asseritamente fuori contratto in realta’ era stato “per la quasi totalita’” gia’ calcolato nel capitolato e che queste opere extra differivano soltanto per consistenza o estensione da quelle appaltate; sostennero quindi che, seppure l’appalto era stato convenuto a corpo, poiche’ le opere in capitolato erano comunque indicate nella loro consistenza, fosse ricavabile un loro prezzo unitario, sia pure per approssimazione, utilizzabile per determinare anche il corrispettivo delle pretese opere fuori contratto, invece del criterio del prezzo di mercato preteso dall’attore in citazione; dall’utilizzo del parametro del prezzo unitario cosi’ calcolato risultava, quindi, che non fossero dovute altre somme.
Con sentenza n. 34/2011 il Tribunale di Bari, sez. di Acquaviva delle Fonti, ritenendo che, a fronte di somme certamente corrisposte dai committenti per Euro 10.329,31, comprensive di E.1.031,91 imputate a lavori fuori contratto, oltre Euro 500,00 corrisposti con lettera del 18/10/20013, (OMISSIS) non aveva provato quali opere tra le pattuite in contratto fossero state in effetti realizzate e quale ne fosse il loro importo; ritenne quindi che il conteggio dei convenuti fosse corretto e nient’altro fosse dovuto per i lavori eseguiti, perche’ determino’ il prezzo delle opere fuori contratto, non contestate tra le parti quanto all’effettiva esecuzione e “del medesimo tipo” (cosi’ in sentenza) di quelle appaltate, applicando, come preteso dai convenuti, un parametro unitario determinato dal rapporto tra costo dell’opera prevista in contratto e sua superficie e cubatura.
2. In accoglimento dell’appello di (OMISSIS), con sentenza n. 1154/2017, la Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza impugnata e in parziale accoglimento della domanda, condanno’ i convenuti (OMISSIS) e (OMISSIS) alla minor somma di Euro 1.436,29, oltre interessi legali dalla costituzione in mora al soddisfo.
La Corte territoriale preciso’ che, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimita’, il principio di non contestazione operava comunque nella fattispecie, seppure ratione temporis non fosse applicabile il nuovo testo dell’articolo 115 c.p.c., in virtu’ degli oneri imposti al convenuto dall’articolo 167 c.p.c.; ritenne, per quel che ancora qui rileva, che i lavori eseguiti secondo contratto non fossero stati oggetto di alcuna pretesa e che risultasse pacifico – perche’ non contestato – che, degli Euro 10.329,31 gia’ corrisposti, Euro 1.032,91 fossero stati pagati per le opere extra; escluse allora che, per determinare il valore dei lavori fuori contratto fosse utilizzabile, come invece ritenuto dal primo giudice, la misura del prezzo stabilito per le opere appaltate, ricavato dal rapporto tra costo dell’opera prevista a corpo in contratto e sua superficie e cubatura e liquido’ il corrispettivo delle opere che riconobbe come aggiuntive in riferimento al prezzo di mercato, come calcolato dal c.t.u., in Euro 2.969,20, condannando, i convenuti in solido, previa detrazione dei versamenti effettuati (Euro 1.032,91 ed Euro 500,00, pagato dopo la costituzione in mora), al pagamento del residuo di Euro 1.436,29, oltre gli interessi legali dalla costituzione in mora.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS) FRANCESCO, affidato a tre motivi. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, i ricorrenti hanno lamentato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. nel testo novellato dalla l. n. 69 del 2009, in riferimento al n. 3 del comma I dell’articolo 360 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente applicato il principio di non contestazione ad un procedimento a cui quest’articolo nella sua nuova formulazione non risultava applicabile ratione temporis.
1.1. Il primo motivo e’ in parte inammissibile, in parte infondato.
Innanzitutto, e’ infondato perche’ la Corte d’appello ha correttamente affermato che il principio di non contestazione e’ stato elaborato dalla giurisprudenza, anche di legittimita’ (a partire da Cass. sez. U. n. 761 del 2002), prima della riforma del 2009, in riferimento all’onere del convenuto di “prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda” come imposto dall’articolo 167 c.p.c. nella formulazione immutata dal 1990: e’ percio’ irrilevante, come precisato dalla Corte territoriale, che non fosse applicabile ratione temporis l’articolo 115, comma 2, nella sua ultima formulazione (Cass. Sez. 6 – 3, n. 26908 del 26/11/2020).
Per altro verso, inoltre, il motivo e’ inammissibile perche’ non censura efficacemente la ratio decidendi: la Corte d’appello ha ritenuto non contestato soltanto il fatto che la somma pagata “ingloba(sse) due addendi” (cosi’ in sentenza) e, cioe’, Euro 9.296,22 a titolo di acconto sul maggior prezzo concordato per l’appalto ed Euro 1.032,91 in acconto sui lavori extra. L’imputazione delle somme versate era stato ritenuto gia’ dal Tribunale non contestato, seppure ne era conseguita una decisione differente.
In effetti, nella citazione introduttiva, a pag. 2, lett.f), (OMISSIS) aveva esplicitamente imputato la somma ricevuta in acconto alle due distinte voci di Euro 9.296,22 a titolo di acconto sul maggior prezzo concordato per l’appalto ed Euro 1.032,91 in acconto sui lavori extra e sul punto non c’e’ stata alcuna specifica contestazione da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Il contrasto tra le parti e’ stato invece focalizzato sulla natura dei lavori extra e sull’utilizzabilita’, per la loro remunerazione, del criterio indicato in computo metrico dai convenuti invece del prezzo di mercato preteso.
Per altro verso, il principio di non contestazione e’ stato utilizzato per dare rilievo al fatto che l’accoglimento della domanda non poteva essere precluso – come accaduto in primo grado – dalla mancata prova dei lavori contrattuali, perche’ questi ultimi erano stati gia’ definiti dal computo metrico estimativo e non erano stati ne’ oggetto di domanda, ne’ di contestazione.
Cosi’ ricostruita, la motivazione della Corte territoriale non e’ stata in alcun modo censurata.
Nel motivo, i ricorrenti si sono limitati ad affermare genericamente (pag.7 del ricorso) che “sin dalla comparsa di costituzione” avevano riconosciuto la parziale esecuzione dei lavori e l’esecuzione di alcuni lavori aggiuntivi, ma i criteri di calcolo proposti dall’attore erano stati sin da subito contestati, “riaffermando la correttezza e vincolativita’ del solo computo metrico estimativo eseguito dal direttore dei lavori in data 16/9/03, nel quale erano state descritte tutte le opere realizzate (in ed extra contratto) per un totale di Euro 10.765,03”.
Proprio questa somma, come detto, e’ stata tenuta a base di calcolo nella sentenza qui impugnata e il principio di non contestazione non e’ stato certamente applicato per individuare il parametro di calcolo del prezzo.
2. Con il secondo motivo, (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno prospettato la violazione e falsa applicazione degli articoli 61 e 116 c.p.c., in riferimento al n. 3 del comma I dell’articolo 360 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto utilizzabili gli importi dei lavori extra contratto come quantificati dal c.t.u. in riferimento ai prezzi di mercato, nonostante l’indeterminatezza della domanda, cosi’ attribuendo alla indagine svolta funzione suppletiva delle carenze di allegazione e prova; correttamente, invece, il primo Giudice aveva condiviso il criterio adottato dal direttore dei lavori per la redazione del computo metrico e, cioe’, il prezzo unitario di tutte le opere realizzate ricavato comunque dal prezzo dell’appalto.
3. Con il terzo motivo, riportato di seguito perche’ da esaminare congiuntamente per continuita’ di argomentazione, i ricorrenti hanno sostenuto la violazione e falsa applicazione degli articoli 1659 comma III e 1661 c.c., in riferimento al n. 3 del comma I dell’articolo 360 c.p.c., per avere la Corte d’appello ignorato che l’appalto era stato pattuito a corpo e che, in conseguenza, i lavori fuori contratto avrebbero potuto essere retribuiti unicamente se costituenti variazioni al contratto d’appalto; correttamente, invece, il primo giudice avrebbe ritenuto che le opere extra contratto non fossero in realta’ dissimili da quelle pattuite, ritenendo percio’ interamente pagato il loro prezzo.
3.1. Entrambi i motivi sono infondati.
Innanzitutto, la terza censura, seppure prospettata in riferimento ad una violazione di legge, in realta’ mira ad una diversa valutazione in merito dei fatti processuali, in particolare ad una diversa ricostruzione della natura dei lavori aggiuntivi come riscontrati dal c.t.u. e di cui non ne e’ mai stata in discussione l’effettuazione.
Come infatti risulta dallo stesso ricorso, in comparsa di risposta gli stessi attuali ricorrenti hanno proprio riconosciuto la parziale esecuzione dei lavori in contratto e l’esecuzione di alcuni lavori aggiuntivi, tanto da averli conteggiati nel computo metrico estimativo eseguito dal direttore dei lavori in data 16/9/03 e da aver corrisposto a titolo del loro pagamento Euro 1.032,91.
La Corte, preso atto di queste difese, ha quindi esplicitamente affermato la natura “autonoma” di tutti i lavori riscontrati dal c.t.u. come aggiuntivi, condividendone sul punto, (pag. 6 e 7 della sentenza) l’individuazione di queste opere come del tutto “nuove” rispetto all’oggetto dell’appalto; ha contestato, invece, analiticamente, che fossero da ritenere effettivamente “contrattuali” quei lavori cosi’ ritenuti dal primo giudice perche’ non “tali da stravolgere l’oggetto iniziale del contratto”; infine, ha concluso che le opere per cui e’ giudizio “non sono di poco conto, ma rilevanti, se rapportate al complesso dei lavori convenuti, nonche’ diverse e ulteriori rispetto a questi ultimi”.
Risulta evidente, allora, che la Corte non ha violato alcun principio in materia di appalto a corpo laddove ha riconosciuto un autonomo diritto al corrispettivo per le opere aggiuntive perche’ ne ha dapprima affermato l’estraneita’ all’oggetto del contratto.
I ricorrenti, invero, non hanno adeguatamente censurato, nei limiti consentiti dal n. 5 del comma I dell’articolo 360 c.p.c., la motivazione in fatto a fondamento di questo giudizio di “estraneita’”, ma si sono limitati a richiedere una nuova valutazione in fatto della natura dei lavori invece ormai preclusa in questa sede di legittimita’.
Quanto alla misura del prezzo, la Corte ha ritenuto che le parti contraenti, convenendo in contratto che eventuali lavori aggiuntivi “sarebbero stati quantificati in termini economici prima della loro esecuzione” hanno “stabilito una specifica diversa modalita’ di quantificazione del corrispettivo (pattuizione preventiva, opera per opera)”, escludendo percio’ la possibilita’ di utilizzare il prezzo indicato in contratto.
Cio’ precisato, nel contratto d’appalto, l’articolo 1657 c.c. deroga alla disposizione generale dell’articolo 1346 c.c., nel senso che la mancata determinazione del corrispettivo non e’ causa di nullita’ del contratto, potendo la determinazione avvenire a posteriori in base alle tariffe esistenti, ovvero agli usi o da parte del giudice (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9129 del 28/08/1993; Sez. 2, Sentenza n. 17959 del 13/09/2016), quando, come nella specie, non si controverta piu’ sulle opere eseguite.
Questo potere di determinazione si fonda allora proprio sulla mancata previsione di un corrispettivo e, per esercitarlo, ben puo’ il giudice riferirsi ai prezzi di mercato perche’ costituiscono un parametro conoscibile preventivamente e obiettivamente (cfr., in materia di integrazione del prezzo ex articolo 1660 c.c., Sez. 2, Sentenza n. 10891 del 2017).
Anche la seconda censura e’ percio’ infondata.
3. Per questi motivi il ricorso e’ respinto, con conseguente condanna delle parti ricorrenti, risultate soccombenti, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente (OMISSIS), delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida complessivamente in Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
Benchè le linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica non richiedano espressamente l’anonimizzazione sistematica di tutti i provvedimenti, e solo quando espressamente le sentenze lo prevedono, si possono segnalare anomalie, richiedere oscuramenti e rimozioni, suggerire nuove funzionalità tramite l’indirizzo e-mail info@studiodisa.it, e, si provvederà immediatamente alla rimozione dei dati sensibili se per mero errore non sono stati automaticamente oscurati.
Il presente blog non è, non vuole essere, né potrà mai essere un’alternativa alle soluzioni professionali presenti sul mercato. Essendo aperta alla contribuzione di tutti, non si può garantire l’esattezza dei dati ottenuti che l’utente è sempre tenuto a verificare.
Leave a Reply