Appalto e le condotte illecite poste in violazione della normativa edilizia

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 maggio 2024| n. 13157.

Appalto e le condotte illecite poste in violazione della normativa edilizia

In relazione alle condotte illecite poste in essere in violazione della normativa edilizia, mentre sul piano amministrativo, cioè nei rapporti con la pubblica amministrazione, la responsabilità per gli abusi incombe sia sul committente, sia sul direttore dei lavori, sia sull’appaltatore, ai fini della responsabilità nei rapporti interni rilevano il rapporto contrattuale e le obbligazioni da esso derivanti. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che ha affermato la responsabilità per inadempimento del progettista-direttore dei lavori che, omettendo di segnalare alla committente la necessità di richiedere ed ottenere l’assenso alle varianti alle opere già autorizzate, ne aveva determinato la responsabilità sul piano amministrativo).

 

Ordinanza|13 maggio 2024| n. 13157. Appalto e le condotte illecite poste in violazione della normativa edilizia

Data udienza 8 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Appalto (contratto di) – Direttore e direzione dei lavori condotte illecite in violazione della normativa edilizia – Responsabilità per gli abusi – Soggetti gravati – Sul piano amministrativo – Nei rapporti interni – Rapporto contrattuale – Obbligazioni relative – Rilevanza – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

composta dai signori magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 19299 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto

da

Co.Gi. (C.F.: (Omissis))

Ma.Lu. (C.F.: (Omissis))

Ma.An. (C.F.: (Omissis))

Ma.Ca. (C.F.: (Omissis))

rappresentati e difesi dall’avvocato Fr.Mo. (C.F.: (Omissis))

– ricorrenti –

nei confronti di

La.Ma. (C.F.: (Omissis))

rappresentata e difesa dall’avvocato Al.Mi. (C.F.: (Omissis))

– controricorrente –

nonché

Be.Pr. (C.F.: (Omissis))

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2745/2020, pubblicata in data 21 ottobre 2020;

udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio dell’8 aprile 2024 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatti di causa

La.Ma. ha agito in giudizio nei confronti di Ma.Lu., Ma.Ca. ed Ma.An., nonché Co.Gi., quali eredi di Ma.Vi., per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del preteso inadempimento alle obbligazioni professionali assunte da quest’ultimo nei suoi confronti, quale progettista e direttore dei lavori di costruzione di un fabbricato ad uso abitativo con annesso rustico, che era risultato realizzato in difformità dalla concessione edilizia.

La La.Ma. ha, inoltre, proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti da Be.Pr., appaltatore dei lavori in questione, per il pagamento del relativo corrispettivo, per un importo pari ad Euro 50.045,90, assumendo la responsabilità dello stesso per l’abuso edilizio realizzato.

I due giudizi sono stati riuniti.

Il Tribunale di Rovigo, in parziale accoglimento delle domande della La.Ma.: ha condannato gli eredi di Ma.Vi., in solido tra loro e con il Be.Pr., a corrisponderle, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 9.428,20; ha, inoltre, revocato il decreto ingiuntivo ottenuto dal Be.Pr., condannando peraltro l’opponente al pagamento del medesimo importo oggetto di ingiunzione, da cui detrarre la somma riconosciutale a titolo risarcitorio.

La Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della decisione di primo grado, che ha confermato per il resto: a) ha determinato il debito residuo della La.Ma. nei confronti del Be.Pr., per il corrispettivo dell’appalto, in Euro 39.716,77; b) ha riconosciuto la responsabilità parziaria degli eredi di Ma.Vi. per l’obbligazione risarcitoria del de cuius, in proporzione alle rispettive quote ereditarie; c) ha rideterminato il carico delle spese processuali, condannando gli eredi Ma.Vi. a pagare alla La.Ma. i quattro quinti delle stesse e quest’ultima a pagarne al Be.Pr. un terzo, con compensazione per il residuo.

Ricorrono Ma.Lu., Ma.Ca. ed Ma.An., nonché Co.Gi., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la La.Ma.

Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro intimato.

È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c.

I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.

Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c.) per violazione dell’art. 112 c.p.c., (extra-ultrapetizione) ovvero per aver attribuito all’attrice un credito risarcitorio per tutt’altra ragione rispetto a quella richiesta in causa”.

I ricorrenti fanno presente che la La.Ma. aveva chiesto il risarcimento del danno costituito dalla prospettata perdita del proprio fabbricato, a causa della dedotta insanabilità degli abusi edilizi posti in essere in sede di realizzazione dello stesso, che avrebbero inevitabilmente condotto alla sua integrale demolizione, mentre i giudici di merito, intervenuta nelle more la sanatoria degli abusi, le hanno riconosciuto il diverso danno costituito dalle somme di danaro pagate per gli oneri di urbanizzazione, nonché per le sanzioni e le sovratasse dovute per la sanatoria stessa.

Affermano che si tratterebbe di una ragione di credito non solo affatto diversa, ma, addirittura, specularmente inversa a quella domandata.

Il motivo è infondato.

1.1. La decisione impugnata, sul punto in contestazione, contiene la seguente motivazione: “l’evento dannoso, in cui si è concretizzato l’inadempimento dell’appaltatore e del direttore dei lavori, permane il medesimo ed è esattamente indicato nell’atto di citazione di La.Ma. (l’edificazione in difformità al titolo autorizzativo). Sono invece mutate le conseguenze dannose, giacché solo in corso di giudizio l’attrice ha ottenuto il provvedimento amministrativo di sanatoria. Il ridimensionamento della pretesa risarcitoria, dipendente dalla conseguita possibilità di sanare l’abuso edilizio, non elimina l’inadempimento dei convenuti, ma riduce il pregiudizio economico sofferto dall’appaltante. Ciò legittima la rideterminazione del petitum della domanda, con riduzione della pretesa risarcitoria”.

1.2. La corte d’appello ha, in altri termini, ritenuto che non vi fosse stata alcuna modifica della causa petendi della domanda risarcitoria avanzata in origine, consistente nel dedotto inadempimento del progettista e direttore dei lavori alle proprie obbligazioni professionali, che gli avrebbero imposto di segnalare alla committente la necessità di chiedere ed ottenere le autorizzazioni necessarie per la variante da apportare alle opere già assentite, prima di realizzarle in difformità del titolo abilitativo, e che la sopravvenuta sanatoria degli abusi avesse semplicemente determinato una riduzione del danno conseguente al suddetto inadempimento, non riconoscibile, quindi, nell’intero valore delle opere edificate, in quanto da demolire integralmente (come in origine prospettato, essendo stato emesso dal comune l’ordine di demolizione), ma esclusivamente nei limiti degli importi sborsati per le sanzioni amministrative, nonché per ottenere la revoca dell’ordine di demolizione, previo rilascio della concessione in sanatoria e, più precisamente, nella differenza tra i costi che la committente avrebbe dovuto sostenere per ottenere l’approvazione delle varianti alle opere assentite, prima della realizzazione degli abusi, e quelli pagati per ottenere il titolo abilitativo per le medesime varianti, in sanatoria.

La decisione è certamente conforme a diritto, sul piano processuale, essendo stati correttamente individuati titolo e oggetto della originaria domanda risarcitoria ed essendo stato altrettanto correttamente escluso che vi sia stato mutamento degli stessi in corso di causa.

L’inadempimento del progettista e direttore dei lavori alle proprie obbligazioni professionali (titolo della domanda originariamente proposta) è stato, infatti, correttamente individuato, nei termini sopra esposti e, altrettanto correttamente, è stato individuato il conseguente danno (il cui risarcimento è l’oggetto della domanda stessa), a seguito dell’intervenuta sanatoria degli abusi.

Il danno è stato, ovviamente (e del tutto correttamente), liquidato, proprio a causa dell’intervenuta sanatoria degli abusi in corso di causa, in misura inferiore a quanto inizialmente richiesto, essendo venuto meno l’ordine di demolizione inizialmente emesso dal comune, peraltro in conformità alla stessa richiesta di parte attrice, che aveva in tal senso legittimamente ridotto la propria stessa pretesa.

Non vi è stata, pertanto, alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. e, tanto meno, vizio di ultra o extra petizione: la domanda è stata pienamente accolta nell’an e, per quanto riguarda il quantum, lo è stata nei limiti del danno di cui risultava fornita la prova effettiva, in virtù di quanto accertato nel corso dell’istruttoria.

1.3. Del tutto infondato è l’assunto dei ricorrenti secondo il quale, poiché essi avevano sostenuto la possibilità di conseguire la concessione in sanatoria già nella comparsa di risposta, l’attrice avrebbe dovuto immediatamente modificare la propria domanda, chiedendo, almeno in via subordinata, i danni costituiti dai relativi costi, per l’eventualità che la sanatoria fosse intervenuta.

La richiesta di risarcimento, nell’atto introduttivo del giudizio, era stata ricollegata dall’attrice alle conseguenze amministrative dell’abuso realizzato, che, come è pacifico, aveva dato luogo ad un ordine di integrale demolizione del manufatto: la differenza tra la richiesta di un risarcimento pari al valore integrale dell’opera, conseguente all’ordine di demolizione della stessa in origine emesso dal comune, e la richiesta di una somma pari alle sanzioni e ai costi per la sanatoria degli abusi, sopravvenuta in corso di causa, è, dunque, solo quantitativa, dal momento che l’importo oggetto della condanna finale costituisce pur sempre la corretta determinazione e liquidazione dei danni costituiti dalle conseguenze dell’abuso edilizio oggetto dell’inadempimento contrattuale.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione all’art. 2236 c.c. Erronea affermazione di responsabilità del Progettista e Direttore dei lavori, nonostante il raggiunto risultato come desiderato dalla Committente. Incidentalmente, insussistenza di particolari necessità di accortezza dello stesso circa l’accoglibilità della domanda 2001 della variante in sanatoria”.

Secondo i ricorrenti, le difformità delle opere realizzate rispetto al progetto originariamente assentito sarebbero state richieste dalla stessa committente e, comunque, il danno subito dalla La.Ma. sarebbe stato determinato dall’erroneo rigetto della richiesta di sanatoria della variante rivolta al comune e non dalla condotta del direttore dei lavori.

La corte d’appello ha osservato, sul punto, che “il fatto che le varianti fossero volute da La.Ma. non dispensava il progettista e direttore dei lavori dall’accertarsi della loro regolarità urbanistica” e che “la domanda di sanatoria non elide l’inadempimento del professionista, ma – in quanto è stata poi accolta – ne limita esclusivamente le conseguenze dannose”.

Il motivo è inammissibile.

Si premette che non risulta adeguatamente censurata la effettiva ratio decidendi della statuizione della corte d’appello sul punto, peraltro certamente conforme a diritto, costituita dal rilievo che l’inadempimento del professionista era consistito nel non segnalare alla committente la necessità di richiedere l’autorizzazione per le opere da realizzare in variante rispetto alla originaria concessione, prima che fossero realizzate in difformità dal titolo assentito.

Ciò esclude che possa avere rilevanza, ai fini della decisione, la circostanza che vi fossero, in astratto, i presupposti per l’autorizzazione di tali varianti, e ciò anche considerando che, per quanto emerge dalla decisione impugnata, il danno è stato liquidato proprio nei limiti dei maggiori costi sopportati dalla committente per non avere richiesto la variante tempestivamente, avendola ottenuta solo successivamente, in sanatoria (con le relative sanzioni e i maggiori costi).

Il fatto che le varianti al progetto iniziale fossero state richieste dalla committente e che vi fossero i presupposti perché le stesse fossero assentite (sia in sanatoria che anteriormente, se fosse stata avanzata tempestivamente la necessaria istanza amministrativa), sono, in definitiva, circostanze che non hanno rilievo ai fini dell’esito del giudizio: di conseguenza, le censure di cui al motivo di ricorso in esame non colgono adeguatamente la effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, sui punti in contestazione.

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c.) e in particolare per violazione dell’art. 1227 c.c. in relazione all’art. 29 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nel non aver considerato (decurtando l’addebito ai ricorrenti) il concorso causale della La.Ma. al fatto e alla responsabilità derivatene”.

Il motivo è infondato.

La corte d’appello ha osservato, sul punto oggetto delle censure, che “non deve confondersi la responsabilità amministrativa con la responsabilità per inadempimento contrattuale, si che è irrilevante il disposto dell’art. 29 del D.P.R. n. 380/2001 …… Neppure può invocarsi il concorso colposo di La.Ma. nella causazione dell’evento (art. 1227 cc), giacché non risulta che il geom. Ma.Vi. o Be.Pr. informarono la committente della necessità di munirsi di un nuovo titolo abilitativo prima di proseguire con l’edificazione”.

Secondo i ricorrenti tale affermazione sarebbe “criptica”.

Al contrario, il Collegio la ritiene chiarissima e del tutto conforme a diritto: sul piano amministrativo, cioè nei rapporti con la pubblica amministrazione, in relazione alle condotte illecite poste in essere rispetto alla normativa edilizia, la responsabilità per gli abusi incombe, in effetti, sia sul committente, sia sul direttore dei lavori, sia sull’appaltatore, in virtù della disposizione richiamata dai ricorrenti; ma, nei rapporti interni e, in particolare, nei rapporti tra committente e progettista e direttore dei lavori, ha rilievo il relativo rapporto contrattuale e le obbligazioni dallo stesso derivanti.

Di conseguenza, una volta accertato, come avvenuto nella specie, che il progettista e direttore dei lavori non aveva provveduto a segnalare alla committente la necessità di richiedere ed ottenere l’assenso alle varianti alle opere già autorizzate, prima di realizzarle in difformità dal titolo abilitativo esistente, come avrebbe dovuto fare, in virtù delle obbligazioni assunte in base al rapporto professionale, egli è senz’altro tenuto a rispondere del suo inadempimento contrattuale nei confronti dell’altro contraente (cioè la stessa committente), anche per aver causato la sua responsabilità sul piano amministrativo, con tutte le conseguenze del caso.

4. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 1.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.

Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 8 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2024.

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