Appalti pubblici ed i costi di gestione delle piattaforme telematiche

Consiglio di Stato, Sentenza|14 marzo 2022| n. 1782.

Appalti pubblici ed i costi di gestione delle piattaforme telematiche.

È vietato porre a carico dei concorrenti e dell’aggiudicatario i costi di gestione delle piattaforme telematiche ed eventuali altri costi connessi alla procedura, sia che si interpreti la disposizione come riferita in generale a qualunque piattaforma telematica di gestione delle procedure di gara (come comunemente fa la giurisprudenza – cfr. Consiglio di Stato n.3173/2020, n. 6787/2020; Tar Puglia – Lecce n. 1664/2019; Tar Lombardia -Milano n. 240/2020), sia che si interpreti la stessa come riferita alle sole e specifiche piattaforme di cui all’art. 58 del medesimo d.lgs. n. 50/2016. Individuata la ratio del divieto nell’obiettivo di sterilizzare i costi relativi all’utilizzo di tali strumenti in capo ai concorrenti e all’aggiudicatario sia che ne risultino gli unici utilizzatori, sia che si tratti di piattaforme telematiche utilizzate anche dalla stazione appaltante per la gestione della procedura, la giurisprudenza esclude che sia possibile ricavare la facoltà della stazione appaltante di porre a carico del concorrente o dell’aggiudicatario il costo degli altri servizi di committenza ausiliari; piuttosto dalla ratio predetta si trarrebbe il divieto di addossare ai concorrenti o all’aggiudicatario il costo dei servizi di committenza ausiliari in quanto fruiti esclusivamente dalla stazione appaltante e acquisiti a vantaggio della stessa sulla base di una sua specifica scelta. Sicché mancando una disposizione di legge che consenta alla stazione appaltante di imporre all’aggiudicatario il costo dei servizi di committenza ausiliari prestati in suo favore, la clausola relativa sarebbe anche in contrasto con l’art. 83, comma 8, ultimo inciso del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto introdurrebbe una prescrizione a pena di esclusione non contemplata né dal Codice dei contratti pubblici né da altra legge.

Sentenza|14 marzo 2022| n. 1782. Appalti pubblici ed i costi di gestione delle piattaforme telematiche

Data udienza 17 febbraio 2022

Integrale

Tag- parola chiave: Appalti pubblici – Procedure di affidamento – Bando di gara – Impugnazione – Legittimazione dell’ANAC – Ipotesi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3423 del 2021, proposto da
As. Co. Soc. Cons. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lo. Le., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
nei confronti
Fr. En. Sa. S.r.l., Fr. En. Spa, non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima n. 00001/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 febbraio 2022 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e udito per la parte appellante l’avvocato Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Appalti pubblici ed i costi di gestione delle piattaforme telematiche

FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, ha respinto il primo ed accolto il secondo motivo del ricorso proposto dall’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione avverso gli atti della procedura di gara per l’affidamento in concessione del servizio di illuminazione pubblica sul territorio comunale indetta dal Comune di (omissis), con affidamento ad As. Co. s.c. a r.l. dei servizi di committenza ausiliari, previo rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalle parti resistenti per asserita insussistenza dei presupposti per la legittimazione straordinaria dell’Autorità all’impugnazione del bando di gara.
1.1. In particolare, è stato respinto il motivo – non più rilevante in appello – col quale l’Autorità aveva lamentato il difetto della qualità di centrale di committenza in capo all’As. Co..
Il tribunale ha ritenuto che quest’ultima non avesse svolto alcuna attività di centralizzazione della committenza ma soltanto attività di committenza ausiliarie, distinte dalle prime, perciò prestate legittimamente.
1.2. E’ stato invece accolto il motivo col quale era stata denunciata la violazione dell’art. 23 della Costituzione, dell’art. 41, comma 2 bis, e dell’art. 83, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, per la previsione contenuta nella documentazione di gara dell’obbligo dell’aggiudicatario di corrispondere la somma di Euro 29.056,10, oltre IVA, quale corrispettivo dei servizi di committenza ausiliari prestati, nonché di rimborsare le spese di pubblicità .
1.3. La delibera a contrarre e la documentazione di gara sono state annullate limitatamente alla previsione degli obblighi di pagamento anzidetti.
Le spese processuali sono state poste a carico del Comune di (omissis) e dell’As. Co. e liquidate, per ciascuno, nell’importo di Euro 1.500,00, oltre accessori, in favore dell’Autorità ricorrente.
2. Avverso la sentenza As. Co. soc. cons. a r.l. ha proposto appello con due motivi.
2.1. L’amministrazione comunale non si è costituita.

 

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2.2. L’Anac – Autorità Nazionale Anticorruzione si è costituita per resistere all’appello, prestando acquiescenza al capo della sentenza di rigetto del primo motivo del suo ricorso, nonché alla statuizione di annullamento solo parziale degli atti di gara.
2.3. All’udienza pubblica del 17 febbraio 2022 la causa è stata discussa e assegnata a sentenza, previo deposito di documenti da parte dell’Anac e di memoria e replica da parte dell’appellante.
3. Col primo motivo l’appellante censura la decisione sulla legittimazione dell’Autorità ad impugnare la clausola del corrispettivo dei servizi di committenza ausiliaria.
3.1. La sentenza ha affermato la sussistenza dei presupposti della legittimazione ex lege all’impugnazione degli atti di gara, avendo l’Autorità , secondo quanto previsto dall’art. 211, comma 1 ter, del d.lgs. n. 50 del 2016, prima emesso un parere motivato segnalando all’Amministrazione le gravi violazioni riscontrate e, a fronte del rifiuto dell’Amministrazione di conformare la propria attività al citato parere, impugnato gli atti nel termine previsto dall’articolo citato.
Richiamati gli artt. 3, 4, 6 e 7 del “Regolamento sull’esercizio dei poteri di cui all’articolo 211, commi 1 bis e 1 ter, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e s.m.i.”, approvato dall’Autorità il 13 giugno 2018, nonché la decisione di questo Consiglio di Stato, V, 3 novembre 2020, n. 6787, il primo giudice ha ritenuto che nel caso di specie l’Autorità abbia fatto valere “violazioni gravi delle regole della concorrenza nell’ambito del mercato dei servizi di committenza ausiliari e dello specifico mercato a cui attiene l’oggetto della procedura”.
3.1.1. Ha aggiunto che, in ogni caso, è riconosciuta dal Codice dei contratti pubblici all’Anac un’ampia legittimazione ad agire contro le violazioni delle disposizioni in materia, attribuita quindi direttamente dalla legge e “volta ad assicurare tutela agli interessi particolari e differenziati, eppure pubblici, di cui l’Autorità è portatrice, legati alla corretta applicazione della disciplina in materia di contratti pubblici e, di conseguenza, alla piena ed effettiva realizzazione degli obiettivi posti dal legislatore con la citata disciplina, consentendo alla stessa di agire al fine di ristabilire la legalità violata (con una particolare configurazione, quindi dell’interesse ad agire) a prescindere dall’iniziativa di singoli concorrenti che lamentino una lesione diretta e immediata della loro sfera giuridica”, come affermato dal precedente di questo Consiglio di Stato, V, 3 novembre 2020, n. 6787, della cui motivazione vengono riportati ampi stralci).

 

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3.2. L’appellante As. Co. contesta la sussistenza della legittimazione ad impugnare specificamente le previsioni degli atti di gara oggetto dell’originario secondo motivo di ricorso, in quanto limitate a regolare rapporti patrimoniali tra il concorrente aggiudicatario e la stessa società per la remunerazione dei servizi di committenza ausiliari.
Ad avviso della società consortile si tratterebbe di una clausola, non solo non immediatamente lesiva, ma rilevante unicamente dopo l’aggiudicazione e soprattutto non coinvolgente il confronto concorrenziale.
A supporto del gravame, richiama la decisione di questo Consiglio di Stato, V, 19 maggio 2020, n. 3173.
3.3. Il motivo è infondato.
La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo è attribuita all’Anac da due distinte previsioni normative: la prima è quella dell’art. 211, comma 1-bis, il quale prevede il potere dell’Autorità di “agire in giudizio per l’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”; la seconda presuppone l’emissione di un parere motivato da parte dell’Anac, la quale indica alla stazione appaltante le “gravi violazioni”, ovvero i vizi di legittimità che inficiano i provvedimenti presi in considerazione dall’Autorità , invitando la medesima stazione appaltante a conformarsi; solo “se la stazione appaltante non vi si conforma entro il termine assegnato dall’ANAC, [questa] può presentare ricorso, entro i successivi trenta giorni, innanzi al giudice amministrativo” (art. 211, comma 1-ter, cit.).
Il regolamento dell’Anac, approvato con deliberazione del 13 giugno 2018, specifica le fattispecie legittimanti la prima tipologia di ricorso, delineando le diverse ipotesi di “contratti a rilevante impatto”, tra cui quelli che riguardano, anche potenzialmente, un numero ampio di operatori economici (art. 3 del regolamento) e le categorie di atti impugnabili, tra cui la determina a contrarre e i bandi di gara (art. 4); e, con riferimento alla seconda tipologia, definisce l’ambito delle “gravi violazioni delle norme in materia di contratti pubblici” (art. 6), indicando delle ipotesi tassative, tra le quali quella del “bando o altro atto indittivo di procedure ad evidenza pubblica che contenga clausole o misure ingiustificatamente restrittive della partecipazione e, più in generale, della concorrenza”.
Il caso di specie è riconducibile ad entrambe le fattispecie configurate dall’art. 211 del d.lgs. n. 50 del 2016.

 

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Quanto a quella prevista dal comma 1 ter, è corretta la considerazione contenuta nella sentenza gravata, secondo cui l’Autorità ha fatto valere l’illegittimità della procedura e delle singole clausole, tra l’altro in relazione ad un corrispettivo che si assume posto illegittimamente a carico dell’aggiudicatario con un’alterazione della concorrenza, in conformità al parere motivato adottato con atto del Presidente dell’Autorità del 6 marzo 2020, ratificato dal Consiglio dell’Adunanza del 17 marzo 2020, cui non si sono adeguati né il Comune di Sicignano né la società As. Co..
Come affermato oramai in diversi precedenti di questo Consiglio di Stato, l’imposizione di specifici oneri a carico, non solo dei concorrenti, ma anche soltanto dell’aggiudicatario incide sulla partecipazione alla specifica procedura ed ha ripercussioni negative sul principio della concorrenza (così, tra le altre, Cons. Stato, V, 6 maggio 2021, n. 3538, su cui infra).
Quanto alla fattispecie prevista dal comma 1 bis dello stesso art. 211 del d.lgs. n. 50 del 2016, è altrettanto condivisibile l’affermazione contenuta nella sentenza gravata sull’ampiezza della legittimazione ad agire riconosciuta dalla legge all’Autorità contro le violazioni delle disposizioni in materia di contratti pubblici (così come affermato, in un caso ana, già da Cons. Stato, 3 novembre 2020, n. 6787, alla cui motivazione è qui sufficiente fare rinvio, anche per quanto riguarda la natura della legittimazione processuale dell’Autorità , solo convenzionalmente definita “straordinaria” o “eccezionale”, secondo quanto precisato anche da Cons. Stato, Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4, punto 19.3.5).
3.3.1. In senso contrario a quanto fin qui esposto non rileva il precedente di questa Sezione V, 19 maggio 2020, n. 3173, la cui motivazione è in parte riprodotta nell’atto dall’appello.
Invero, la sentenza si è occupata della questione della legittimazione e dell’interesse alla relativa impugnazione da parte dell’operatore economico non partecipante alla gara (ovvero in un momento precedente il provvedimento di aggiudicazione), ed è pervenuta alla conclusione – che si condivide e che è stata confermata dalla giurisprudenza successiva (Cons. Stato, V, 17 marzo 2021, n. 2276) – della natura non escludente della clausola che impone di assumere l’obbligazione del pagamento del corrispettivo in caso di aggiudicazione, attesa la portata non immediatamente lesiva e non impeditiva della possibilità di partecipare alla gara (alla stregua dei principi di cui alla già citata sentenza dell’Adunanza Plenaria, n. 4/2018).
La questione di legittimazione all’impugnazione non si pone evidentemente negli stessi termini nel presente giudizio, dal momento che questo è stato avviato dall’Anac, in forza della legittimazione c.d. straordinaria di cui si è detto sopra (cfr., per identica conclusione, anche Cons. Stato, V, n. 6787/2020 e n. 3538/2021, citate).
3.4. Il primo motivo di appello va quindi respinto.

 

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4. Col secondo motivo l’appellante critica la sentenza per aver accolto il secondo motivo di impugnazione proposto dall’Anac, sull’illegittimità della determina a contrarre e della clausola 3.3.4. del disciplinare di gara che – in asserito contrasto con l’art. 23 della Costituzione e l’art. 41, comma 2-bis, del Codice dei contratti pubblici – imponevano di corredare l’offerta con un atto unilaterale d’obbligo, con cui i concorrenti si obbligavano a versare ad As. Co. un corrispettivo di Euro 29.056,10, oltre IVA, nell’ipotesi di aggiudicazione della gara e prima della stipulazione del contratto.
4.1. La sentenza ha ritenuto che la documentazione di gara ponesse a carico dell’aggiudicatario un onere economico non previsto da alcuna disposizione del d.lgs. n. 50 del 2016 né da altra disposizione normativa e vietato dallo stesso art. 41, comma 2 bis, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Riguardo a quest’ultimo, ha precisato che “vietando di porre a carico dei concorrenti e dell’aggiudicatario i costi di gestione delle piattaforme telematiche, non consente implicitamente di porre a carico degli stessi gli eventuali altri costi connessi alla procedura, sia che si interpreti la disposizione come riferita in generale a qualunque piattaforma telematica di gestione delle procedure di gara (come comunemente fa la giurisprudenza – cfr. Consiglio di Stato n. 3173/2020, n. 6787/2020; Tar Puglia – Lecce n. 1664/2019; Tar Lombardia -Milano n. 240/2020), sia che si interpreti la stessa come riferita alle sole e specifiche piattaforme di cui all’art. 58 del medesimo d.lgs. n. 50/2016.”.
Individuata la ratio del divieto nell’obiettivo di sterilizzare i costi relativi all’utilizzo di tali strumenti in capo ai concorrenti e all’aggiudicatario sia che ne risultino gli unici utilizzatori, sia che si tratti di piattaforme telematiche utilizzate anche dalla stazione appaltante per la gestione della procedura, la sentenza esclude che sia possibile ricavare a contrario dalla stessa disposizione la facoltà della stazione appaltante di porre a carico del concorrente o dell’aggiudicatario il costo degli altri servizi di committenza ausiliari; piuttosto dalla ratio predetta si trarrebbe il divieto di addossare ai concorrenti o all’aggiudicatario il costo dei servizi di committenza ausiliari in quanto fruiti esclusivamente dalla stazione appaltante e acquisiti a vantaggio della stessa sulla base di una sua specifica scelta.

 

Appalti pubblici ed i costi di gestione delle piattaforme telematiche

La conclusione tratta, in via principale, è che “La facoltà della stazione appaltante di porre a carico dei concorrenti il costo dei citati servizi di committenza ausiliari non risulta… prevista da alcuna disposizione di legge e si pone in contrasto con il citato art. 41, comma 2 bis”.
4.1.1. La violazione di quest’ultimo articolo è stata ritenuta per l’ulteriore ragione che il corrispettivo previsto, in quanto unitario, finirebbe per includere, seppur indirettamente, il costo della piattaforma telematica (anche se per questa nei documenti di gara è indicato un costo pari a zero) e l’inclusione sarebbe avvalorata dalla circostanza che dagli atti di gara “non risulta chiaramente quali siano gli altri servizi di committenza ausiliari, diversi dalla messa a disposizione della piattaforma telematica, prestati dalla società consortile a favore della Stazione appaltante”, considerato che l’elencazione prodotta in giudizio dalla As. Co. non è allegata ad alcun atto della stazione appaltante né risulta da questa condivisa.
4.1.2. Ancora, mancando una disposizione di legge che consenta alla stazione appaltante di imporre all’aggiudicatario il costo dei servizi di committenza ausiliari prestati in suo favore, la clausola relativa sarebbe anche in contrasto con l’art. 83, comma 8, ultimo inciso del d.lgs. n. 50 del 2016, in quanto introdurrebbe una prescrizione a pena di esclusione non contemplata né dal Codice dei contratti pubblici né da altra legge. L’effetto espulsivo conseguirebbe infatti alla previsione del bando e del disciplinare che definisce l’atto di obbligo del concorrente come “elemento essenziale dell’offerta”, facendo discendere dalla mancata produzione della dichiarazione o dalla mancata assunzione dell’obbligo un effetto di irricevibilità dell’offerta ai sensi dell’art. 59, comma 3, del d.lgs. n. 50 del 2016.
4.1.3. Infine, la clausola è stata reputata lesiva del principio di libera concorrenza di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016, per diversi ordini di ragioni; e segnatamente:
– perché i concorrenti sono indotti ad incorporare nell’offerta economica il corrispettivo dei servizi di committenza ausiliari, così riducendo la possibilità di formulare la proposta “in maniera pienamente libera […]”, senza che sia stato dimostrato o che comunque sia rilevante che – come opposto dalla stazione appaltante – il costo sia stato tenuto presente nella base d’asta, dato che tale costo non è separato (ad esempio al pari degli oneri della sicurezza, non soggetti a ribasso) dalla base d’asta e sottratto alla competizione dei concorrenti;
– perché la situazione descritta favorisce comportamenti opportunistici, esemplificati in sentenza, alla cui motivazione è qui sufficiente fare rinvio;
– perché risulta incluso nella base d’asta un costo (relativo ai servizi di committenza ausiliari) che risulta incomprimibile a differenza degli altri costi di cui la stazione appaltante tiene conto per determinare la base d’asta, invece modulabili e gestibili in relazione alla capacità dell’impresa di contenere i costi dei fattori produttivi o di organizzare in modo efficiente l’attività, con la conseguenza che la base d’asta “è totalmente sottratta alla competizione dei concorrenti”.

 

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I profili di lesione del principio di concorrenza da ultimo evidenziati sarebbero vieppiù rilevanti con riferimento al contratto di concessione, oggetto della presente procedura, caratterizzato dal rischio operativo gravante sul concessionario.
4.1.4. Dopo aver stigmatizzato l’effetto traslativo dei costi sull’aggiudicatario, senza alcun carico per la stazione appaltante, pur se beneficiaria dei servizi di committenza, la sentenza ha escluso che le relative obbligazioni possano trovare fondamento normativo nelle seguenti disposizioni:
– art. 16 bis del r.d. n. 2440 del 1993, cui vanno ricondotte “le sole spese più strettamente legate alla stipula del contratto, ma non i costi inerenti a specifici servizi richiesti dalla stazione appaltante e resi a favore della stessa in relazione alla procedura di gara”;
– art. 32, comma 4, lett. a) del d.P.R. n. 207 del 2010, perché relativo alle spese generali, tra cui le “spese di contratto e accessorie”;
– art. 106, comma 1, lett. a) e comma 12 del d.lgs. n. 50 del 2016 perché riguardano le modifiche contrattuali in corso di esecuzione e non il recupero degli oneri posti a carico dell’aggiudicatario.
4.2. L’appellante As. Co. sostiene che la decisione presenterebbe un “salto logico” nella parte in cui ha ritenuto il contrasto con l’art. 41, comma 2 bis, del d.lgs. n. 50 del 2016, perché avrebbe esteso “arbitrariamente” un divieto tipico e tassativo (riguardante soltanto i costi della piattaforma telematica) a tutti gli altri servizi di committenza ausiliaria.
4.2.1. Sarebbe inoltre una mera “illazione” l’affermazione secondo cui i costi della piattaforma telematica sarebbero compresi nel corrispettivo unitariamente considerato, poiché si scontra con il tenore letterale della clausola che riconduce il corrispettivo ai “servizi di committenza ausiliaria non espressamente vietati dall’art. 41 co.2 bis D.Lgs. 50/2016”.
4.2.2. Questi servizi sono stati specificati da Asmel nel corso del giudizio, mediante deposito dell’elenco che viene riprodotto nell’atto di appello (sub 2.3), non contestato da Anac e comunque corrispondente alle previsioni del Regolamento consortile concernenti i servizi erogati in favore dei Comuni associati (come riscontrato dalla determina dell’amministratore delegato di Asmel del 15 maggio 2017, che ha rideterminato la percentuale a carico dell’aggiudicatario, limitandola all’1%, rispetto al precedente 1,35%, e ponendo a carico della stazione appaltante la percentuale dello 0,35% corrispondente al pagamento del servizio di gestione della piattaforma).
4.2.3. La non riconducibilità dei costi di committenza al divieto legale comporterebbe, inoltre, ad avviso dell’appellante, l’esclusione dei dedotti profili di illegittimità per l’effetto espulsivo in caso di mancato impegno o di mancato pagamento; tanto più che la rilevanza della clausola si avrebbe soltanto nei confronti dell’aggiudicatario, che resterebbe libero di contestarla o prestarvi acquiescenza (cfr. Cons. Stato, n. 3173/2020).
4.2.4. Viene inoltre censurata l’affermazione concernente la violazione del principio di libera concorrenza, sia perché il costo è compreso nella base d’asta sia perché è pari ad appena l’1% del valore dell’appalto. Inoltre, eventuali comportamento opportunistici potrebbero essere “corretti” in fase di valutazione dell’anomalia.
4.2.5. Non sarebbe infine condivisibile quanto affermato dal T.a.r. sulla portata dell’art. 16 del r.d. n. 2440 del 1923, atteso che sia il Consiglio di Stato, con decisione n. 3042/2014 (nella quale è richiamata proprio la norma in contestazione), che la stessa Anac, con le delibere n. 140/2012 e n. 53/2015, hanno ritenuto legittima l’imposizione dei costi di committenza in capo all’aggiudicatario.
4.3. Il motivo è infondato.
Esso si basa sull’assunto che tali costi, in quanto non vietati dall’art. 41 bis, comma 2, del Codice dei contratti pubblici, potrebbero essere ricompresi nella base d’asta e comunque posti a carico del soggetto aggiudicatario.
4.3.1. L’argomento è stato sostanzialmente ribaltato dalla sentenza della Sezione, 6 maggio 2021, n. 3538, pronunciata in un caso del tutto ana, che ha ritenuto illegittima l’imposizione, non tanto perché riconducibile alla norma di divieto (cui, in precedenza, si era riferita la sentenza del Cons. Stato, V, 3 novembre 2020, n. 6787, pervenuta comunque alla conclusione dell’illegittimità della clausola coincidente con quella oggetto del presente contenzioso), quanto perché non consentita da alcuna disposizione di legge.
Si legge, in proposito, nella motivazione della sentenza n. 3538/2021 che del costo dei servizi delegati dal Comune associato, in qualità di stazione appaltante, all’As. Co., diversi dalla gestione della piattaforma telematica e qualificati di come costi dei servizi di committenza ausiliari, “avrebbe dovuto farsi carico la stazione appaltante che ne beneficiava direttamente: la clausola che prevedeva che fosse l’aggiudicatario a remunerare la centrale di committenza in misura percentuale rispetto all’importo a base di gara aveva, dunque, l’effetto di traslare il peso economico del servizio dall’amministrazione al privato; essa, pertanto, costituiva nei fatti una prestazione imposta per contrattare con l’amministrazione senza che la stessa trovi copertura in espressa norma di legge (cfr. Corte cost., 15 novembre 2017, n. 240; 13 luglio 2017, n. 174; 7 aprile 2017, n. 69, ma specialmente 10 giugno 1994, n. 236; Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2009, n. 6167).
L’art. 16 bis R.d. 18 novembre 1923 n. 2440, come modificato dall’art. 1 l. n. 27 dicembre 1975, n. 790 invocato… quale base normativa della prestazione contrattuale imposta, infatti, si riferisce a tutt’altre spese, vale adire a quelle che vengono definite le spese contrattuali, in quanto strettamente connesse proprio alla stipulazione del contratto, quali le spese di copia, di stampa, carta bollata “e tutte le altre inerenti ai contratti”. Si tratta, dunque, di costi che differiscono completamente da quelli che la clausola in questione era diretta a remunerare e che, peraltro, confermano la necessità di una previa disposizione di legge, mancante per le spese di cui si discute nel presente giudizio.”.
Tale indirizzo va confermato, non avendo d’altronde l’appellante prospettato alcun elemento che consenta un revirement giurisprudenziale ed essendo anzi il gravame interamente basato su un assunto incompatibile in radice con il principio giuridico di cui all’art. 23 della Costituzione.
4.3.2. Piuttosto, va aggiunto che, così come pure affermato nella sentenza n. 3538/2021, le contestate previsioni della legge di gara, imponendo al concorrente di impegnarsi, a pena di esclusione, a corrispondere una somma a titolo di corrispettivo per le attività di committenza e le altre attività svolte da As. Co. in percentuale sull’importo complessivo posto a base di gara, hanno comportato anche una restrizione della concorrenza, poiché il corrispettivo contrattuale sarebbe risultato, sia pure indirettamente, decurtato della predetta somma e sarebbe stato ben possibile che, per ragioni di economia aziendale, proprie di ciascun impresa, il servizio da prestare potesse risultare in prospettiva non più remunerativo (o non adeguatamente remunerativo) e così indurre un operatore economico a non prendere parte alla procedura, in violazione del principio di massima partecipazione previsto dall’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016.
5. In conclusione, l’appello va respinto.
5.1. Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’Anac, che liquida nell’importo complessivo di Euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Federico Di Matteo – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore
Elena Quadri – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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