L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

Consiglio di Stato, Sentenza|14 luglio 2021| n. 5327.

L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.

Sentenza|14 luglio 2021| n. 5327. L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

Data udienza 13 maggio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Permesso di costruire in sanatoria – Annullamento d’ufficio – Motivazione rafforzata

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5997 del 2020, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Cr., con domicilio digitale come da registri di Giustizia,
contro
i signori Ca. Ca. e Be. Ci., rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Vi., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Vi. in Roma, (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Salerno, n. 546 del 19 maggio 2020.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Ca. Ca. e Be. Ci.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 13 maggio 2021 il consigliere Emanuela Loria;
Uditi per le parti gli avvocati Gi. Vi. e En. De Vi., su delega dell’avvocato Sa. Cr., i quali partecipano alla discussione da remoto ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e), del d.l. n. 44 del 2021, convertito in l. n. 76 del 28 maggio 2021;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente contenzioso è costituito dal provvedimento prot. n. 55314 del 25 agosto 2015, con il quale il dirigente del Settore urbanistica del Comune di (omissis) ha annullato in autotutela i seguenti titoli edilizi inerenti la ricostruzione del fabbricato ex Tu. in via (omissis), angolo via (omissis):
a) permesso di Costruire di Variante prot. n. 97245 del 24 dicembre 2012;
b) S.C.I.A. di variante prot. n. 13977 del 13 febbraio 2013;
c) S.C.I.A. di variante prot. n. 25642 del 28 marzo 2013;
d) S.C.I.A. di variante prot. n. 36140 del 9 maggio 2013, integrata in data 17 maggio 2013 con prot. n. 38444;
e) S.C.I.A. prot. n. 59719 del 27 agosto 2013;
f) S.C.I.A. prot. n. 67573 del 2 ottobre 2013 e successiva integrazione n. 71681 del 21 ottobre 2013;
g) permesso di Costruire n. 239 del 13 dicembre 2013;
h) S.C.I.A. di Variante prot. 82479 del 19.12.2013: S.C.I.A. prot. n° 84161 del 31.12.2013;
i) S.C.I.A. prot n. 84164 del 31 dicembre 2013 e variante prot. n. 5122 del 22 gennaio 2014;
l) S.C.I.A. prot. n. 2386 del 13 gennaio 2014;
m) S.C.LA. prot. n. 2391 del 13 gennaio 2014;
n) S.C.I.A. prot. n. 5117 del 22 gennaio 2014 integrata in data 14 febbraio 2014 con prot. n. 11471.
1.1. Il provvedimento è motivato con riferimento alla erroneità nell’avere rilasciato i predetti titoli “in quanto adottati in contrasto con la legge 219/81 e con il vigente Piano di Recupero approvato con delibera di Consiglio comunale n° 236 del 28.11.1988, poiché hanno determinato la realizzazione di maggiori superfici abitative e volumi rispetto a quelli originari all’epoca del sisma” nonché con la circostanza per cui “l’annullamento dei suindicati titoli edilizi permette all’amministrazione di salvaguardare la regolarità della propria azione nel rispetto dei principi costituzionali, nonché dei principi stabiliti dalla legge n. 241/1990”.
Inoltre l’annullamento dei suindicati titoli edilizi sarebbe intervenuto entro un termine ragionevole in relazione alla data della loro formazione e sarebbe sussistente l’interesse pubblico all’annullamento del titolo edilizio consistente nella tutela del territorio “che compete esclusivamente alla p.a., interesse superiore rispetto quello del privato nei confronti del quale verrà emesso l’atto dì annullamento; che – inter alia – “per quanto segnatamente attiene alla violazione delle norme edilizie, la sussistenza dell’interesse pubblico a rimuovere il titolo abilitativo rilasciato contra legem è ritenuto dalla giurisprudenza come sussistente in re ipsa, posto che le costruzioni realizzate in virtù di titoli non conformi alla vigente normativa urbanistico – edilizia costituiscono una violazione dell’ordinamento di tipo permanente che deve, comunque, essere rimosso dovendosi comunque provvedere al ripristino dello stato di legalità violato” (cfr. ad es. Consiglio dì Stato Sez IV, 22 gennaio 2013, n. 359)”.

 

L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

1.2. Il citato provvedimento è stato impugnato dinanzi al TAR per la Campania, sede di Salerno, dai signori Ca. Ca. e Be. Ci. in qualità di acquirenti dalla società Ri. S.r.l., con atto del 3 giugno 2014, di un appartamento per civile abitazione, con annesso box pertinenziale.
Con il ricorso di primo grado sono stati articolati cinque motivi.
I – Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della l. n. 241/1990 – violazione dei principi generali in materia di atti amministrativi emessi in autotutela – violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere per carenza di motivazione, sviamento, erroneità ed arbitrarietà .
Nel caso in esame sarebbero insussistenti i presupposti dettati dall’art. 21 nonies per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte della P.A. sotto tutti e quattro i profili previsti dalla disposizione (illegittimità dell’atto; sussistenza di ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale; valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all’atto da rimuovere; esercizio del potere entro un termine ragionevole).
II. Violazione degli artt. 10 e ss. della l. n. 241 del 1990 – Violazione dei principi generali in materia di atti di ritiro emessi in via di autotutela – violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere per carenza di motivazione, arbitrarietà, erroneità, perplessità e sviamento.
Con il secondo motivo i ricorrenti hanno lamentato la mancata valutazione da parte dell’Amministrazione delle osservazioni da loro presentate a seguito della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 l. n. 241 del 1990.
III. Violazione degli artt. 2 e 3 l. n. 241 del 1990 – Violazione dei principi generali in materia di atti di ritiro emessi in via di autotutela – violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere per carenza di motivazione, arbitrarietà, erroneità, perplessità e sviamento.
Il Comune di (omissis) ha annullato, con un unico provvedimento, titoli edilizi rilasciati nell’ambito di distinti procedimenti edilizi e, per di più, in ragione di pretese difformità, del tutto scindibili tra di loro e, quindi, autonomamente valutabili.

 

L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

Nella prospettazione dei ricorrenti, proprio la diversità dei titoli edilizi rilasciati e dei singoli abusi contestati rendeva indispensabile l’adozione di distinti provvedimenti sanzionatori.
IV – Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della l. n. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e ss. della l. n. 219 del 1981 nonché degli artt. 7 e 13 del Piano di recupero comunale – Violazione dei principi generali in materia di atti di ritiro emessi in via di autotutela – Violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere per carenza di motivazione- Arbitrarietà, Erroneità perplessità e sviamento.
Il provvedimento di autotutela sarebbe comunque illegittimo in quanto fondato su presupposti di fatto e di diritto del tutto erronei.
In particolare, il fabbricato sarebbe stato realizzato nel pieno rispetto delle previsioni della legislazione di settore, nazionale e di piano post sisma del 1980, ossia conservando la volumetria preesistente: non vi sarebbe stato aumento delle superfici abitative giacché è stata rispettata la legge sul recupero abitativo dei sottotetti che consente il recupero abitativo dei sottotetti, anche in deroga alle singole previsioni di piano vigenti.
V – Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies della l. n. 241 del 1990 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e ss. della l. n. 219 del 1981 nonché degli artt. 7 e 13 del Piano di recupero comunale – Violazione dei principi generali in materia di atti di ritiro emessi in via di autotutela – Violazione del giusto procedimento – Eccesso di potere per carenza di motivazione- Arbitrarietà, Erroneità perplessità e sviamento.
L’istruttoria effettuata dal Comune sarebbe viziata poiché i tecnici comunali non si sarebbero avveduti della dirimente circostanza per cui tutta la documentazione relativa al risparmio energetico, atta a giustificare i maggiori spessori delle murature, è stata ritualmente allegata all’istanza di permesso di costruire.
Anche in relazione ai piani interrati destinati a parcheggio non sussisterebbero le violazioni rilevate e gli stessi sarebbero pienamente conformi alla S.C.I.A. prot. n. 5117 del 22 gennaio 2014 e alla successiva integrazione prot. n. 11471 del 14 febbraio 2014.
2. Con la sentenza impugnata il TAR adito ha accolto il gravame, ritenendo fondati i primi tre motivi e assorbendo il quarto e il quinto motivo e ha condannato il Comune di (omissis) alla rifusione delle spese di giudizio quantificandole in euro duemila, oltre agli accessori di legge.

 

L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

3. Con l’appello in esame il Comune di (omissis), dopo aver ricostruito la vicenda processuale che ha visto la proposizione di quattro ricorsi dinanzi al TAR per l’annullamento del medesimo provvedimento in autotutela, ha impugnato la sentenza n. 546/2020, articolando i seguenti motivi:
I. Error in procedendo – Violazione art. 70 c.p.a.
Con tale motivo l’appellante ha lamentato la mancata riunione in primo grado del giudizio r.g.n. 2337/2015, proposto dalla società Ri. S.r.l. con il giudizio rubricato in primo grado al n. 2823/2015, proposto dagli appellati.
Segnatamente l’appellante osserva che “i ricorsi avversano l’identico provvedimento e prospettano tutti analoghe doglianze, risultandone all’evidenza oggettivamente connessi”.
Inoltre, il Comune di (omissis) ha posto in evidenza che, mentre con riguardo al ricorso r.g.n. 2823/2015, il TAR introitava la causa in decisione e, con la sentenza n. 546/2020 appellata, la decideva, accogliendo il ricorso per motivi di carattere formale, per quanto concerne il ricorso n. 2337/2015 disponeva una consulenza tecnica d’ufficio (peraltro accogliendo la richiesta del CTU di proroga dei termini dell’elaborato peritale).
Pertanto, il TAR avrebbe dovuto riunire per connessione i giudizi ex art. 70 c.p.a., trattandosi di impugnative proposte avverso gli stessi atti e con la deduzione dei medesimi motivi di impugnazione.
A fronte di quanto precede, il TAR è pervenuto ad emettere la sentenza quivi appellata, omettendo di riscontrare la connessione oggettiva esistente tra i due contenziosi pendenti alla stessa udienza e di disporne la riunione.
II – Error in procedendo – Error in iudicando.
Con il secondo motivo, riprendendo le argomentazioni già illustrate con il primo motivo in ordine ai vizi della sentenza impugnata, l’appellante ha rilevato la contraddittorietà dell’operato del primo giudice che, in identica composizione collegiale ed alla stessa udienza pubblica del 6 maggio 2020, per un ricorso – R.G. n. 2337/2015 – ha deciso di rinviare la trattazione, nelle more della CTU e per un altro – R.G. n. 2823/2015 – proposto con le stesse doglianze e contro lo stesso provvedimento, ha deciso di trattenerlo in decisione emettendo una sentenza che ha esaminato soltanto i vizi formali e non quelli di merito, che sono stati dichiarati assorbiti.
III – Error in iudicando – Violazione art. 3 c.p.a. in relazione all’art. 21 nonies l. n. 241 del 1990 e ss.mm.ii.
Con tale motivo l’appellante ha rilevato che laddove il giudice adito ha ritenuto violato l’art. 21 nonies della L. n. 241/1990, per il superamento del termine ragionevole per agire in autotutela da pare della P.A., avrebbe errato poiché la vicenda in esame non è disciplinata dall’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990, per due potenti ragioni:
a) la prima, perché il termine di 18 mesi richiamato dal TAR è stato introdotto all’art. 21 nonies – comma 2 bis – della l. n. 241 del 1990 dall’art. 6, comma 1, lett. d), della legge 7 agosto 2015, n. 124, che è entrata in vigore in data 28 agosto del 2015, mentre il provvedimento impugnato è stato emanato in data 25 agosto 2015;
b) la seconda, perché, secondo un pacifico, stabile orientamento del Consiglio di Stato, il termine di 18 mesi introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), della legge 7 agosto 2015, n. 124, è applicabile soltanto ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, n. 7476/2019).

 

L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

In ordine, poi, alla rilevata dal giudice di prime cure mancata esplicitazione dell’interesse pubblico, in relazione alla posizione di affidamento del privato nella stabilità e definitività dei titoli edificatori dell’edificio, la pronuncia appellata risulterebbe essere del pari lacunosa e carente poiché la sentenza in esame non ha affatto considerato che il provvedimento impugnato dedica un rilevante passaggio in parte motiva alla valutazione dell’interesse pubblico, nell’ambito del quale è altresì richiamato, a supporto dell’azione intrapresa un rilevante precedente del Consiglio di Stato (sentenza n. 359/2013) in relazione ad analoga fattispecie di autotutela in campo urbanistico-edilizio.
IV – Error in iudicando – Violazione art. 3 c.p.a. in relazione all’art. 21 octies l. n. 241 del 1990 e ss.mm.ii.
La sentenza gravata ha ravvisato la violazione dell’art. 10 della L. n. 241 del 1990, perché il Comune, nell’annullare i titoli edilizi, avrebbe utilizzato una formula scarsamente argomentata per controdedurre alle osservazioni prospettate dai privati.
Con il quarto motivo l’appellante ha rilevato che tale ulteriore vizio non sussisterebbe.
Richiama a tale proposito anche l’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990, che prevede che l’atto adottato in violazione delle norme sul procedimento (qual è l’art. 10 della stessa l. n. 241 del 1990) non è annullabile, qualora, per la sua natura vincolata, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente enucleato.
V – Error in iudicando – Violazione art. 3 c.p.a. in relazione all’art. 21 octies l. n. 241 del 1990 e ss.mm.ii.
Il giudice di prime cure avrebbe errato laddove ha ritenuto che il provvedimento di annullamento in autotutela sia viziato perché ha rimosso dal mondo giuridico con un unico provvedimento una pluralità di atti. In particolare, sarebbe pertanto censurabile la “onnicomprensività ” del provvedimento gravato poiché non è stata percepita la unicità della vicenda in esame, che ha origine dal permesso di costruire in variante n. 97245/2012 per la realizzazione di due ulteriori piani dell’edificio, nel quale il Comune ha errato nell’assentire, dietro lo schermo del “formale” mantenimento del numero delle unità abitative preesistenti, un consistente incremento di superficie abitativa.
Tutti i titoli successivi, rilasciati in forma procedimentale ordinaria o semplificata, risentirebbero e ripeterebbero dal primo permesso di costruire in variante il vizio di legittimità, per cui legittimamente il Comune ha emanato un unico provvedimento in autotutela.
4. Si sono costituiti in giudizio gli appellati, i quali hanno chiesto il rigetto dell’appello richiamando le ragioni di illegittimità del provvedimento già rilevate dal TAR e la correttezza dei titoli rilasciati sotto il profilo edilizio ed urbanistico.
Con la memoria del 9 aprile 2021 gli appellati hanno riproposto i motivi assorbiti e non esaminati in prime cure affermando la legittimità sostanziale dei titoli edilizi rilasciati.
5. Il Comune di (omissis), con memoria di replica depositata il 22 aprile 2021, ha eccepito la inammissibilità dei motivi non esaminati in primo grado in quanto riproposti in violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.a.
L’appellante ha inoltre replicato alle controdeduzioni degli appellati.
6. Alla udienza del 13 maggio 2021 la causa, dopo la discussione, svoltasi ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e), del d.l. n. 44 del 2021 convertito in l. n. 76 del 28 maggio 2021, è stata trattenuta in decisione.
7. Con i primi due motivi d’appello è rilevato il diverso percorso processuale seguito in primo grado, in particolare, dai due ricorsi r.g.n. 2823/2015 e r.g.n. 2337/2015 che avrebbero dovuto – secondo la prospettazione dell’appellante – essere riuniti ai sensi dell’art. 70 c.p.a.
Al riguardo il Collegio osserva che, come si desume dalla formulazione testuale dell’art. 70 c.p.a., la riunione dei ricorsi connessi attiene ad una scelta facoltativa e discrezionale del giudice, al cui apprezzamento è rimessa, per cui la mancata riunione di ricorsi proposti da diverse parti in primo grado non è sindacabile in sede di appello, salvo casi particolari che nella specie non ricorrono (ex plurimis, Sez. VI sent. n. 4647 del 30 luglio 2018; n. 2737 del 29 aprile 2019; n. 1133 del 23 febbraio 2011).
Non è altresì applicabile nel caso in esame l’art. 96, comma 1, c.p.a. che prevede la obbligatorietà della riunione in appello delle impugnative proposte avverso la medesima sentenza poiché con gli appelli in esame sono impugnate diverse sentenze di primo grado.
Invero il Collegio ritiene che i due appelli possano essere trattati in maniera disgiunta anche in relazione alla inammissibilità della riproposizione, nel presente giudizio, dei motivi assorbiti dalla sentenza n. 546 del 19 maggio 2020 relativi alla conformità edilizia e urbanistica del fabbricato, sui quali si dirà infra al punto 12.
Analogamente, appartiene alla sfera discrezionale del giudice di primo grado la decisione di disporre incombenti istruttori per cui anche il secondo motivo deve essere respinto.
8. Quanto ai restanti motivi l’appello è fondato.
9. In particolare, in relazione al terzo motivo d’appello con il quale è dedotta la violazione dell’articolo 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, il Collegio osserva quanto segue.
Al riguardo, va richiamata la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in materia di annullamento di ufficio di titoli edilizi: in particolare, si è affermato che, nella vigenza del citato articolo 21 nonies, l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.

 

L’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine “ragionevole” per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’Amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;
ii) che l’onere motivazionale gravante sull’Amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio dello ius poenitendi);
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’Amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2021, n. 148, alla luce dei principi espressi dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria, n. 8 del 2017).
Nel caso di specie, nonostante l’Amministrazione non abbia espressamente imputato agli odierni appellati una non veritiera prospettazione di circostanze di fatto (elemento che peraltro sarebbe stato decisivo solo in caso di applicazione del nuovo termine di diciotto mesi, che pacificamente non viene in rilievo ratione temporis, come correttamente rilevato dall’appellante), tuttavia, dal provvedimento impugnato si evince chiaramente che il Comune ha comunque attribuito quanto meno ai danti causa degli appellati un disegno preordinato a realizzare, attraverso una pluralità di titoli edilizi conseguiti in progressione, un incremento volumetrico in violazione delle norme di legge e del Piano di recupero, e quindi un’operazione volta a conseguire un risultato contra legem.
Conseguentemente i vizi del provvedimento rilevati dal TAR non sussistono sia in relazione al dedotto superamento del “termine ragionevole” (in particolare tenuto conto dell’ultimo provvedimento annullato) sia in relazione alla mancata esplicitazione dell’interesse pubblico attuale all’annullamento giacché, inter alia, l’Amministrazione, con il provvedimento impugnato, si stava accingendo a dare corso all’applicazione dell’articolo 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e non certo a disporre tout court la demolizione delle opere realizzate dagli appellati.
10. Risulta fondato anche il quarto motivo dell’appello.
In relazione alla ravvisata – dal TAR – violazione dell’art. 10 della l. n. 241 del 1990, poiché l’Amministrazione non avrebbe controdedotto alle osservazioni dei privati a seguito della comunicazione di avvio del procedimento, il Collegio osserva che il provvedimento emesso in autotutela ha fatto riferimento alla Relazione tecnica allegata, nella quale trovano idoneo riscontro le argomentazioni svolte nell’ambito del perimetro dell’art. 10 della l. n. 241 del 1990; conseguentemente non si è verificato il dedotto vulnus alle garanzie procedimentali ravvisato dal primo giudice.
11. Anche il quinto motivo d’appello è fondato.
Con l’unico provvedimento in autotutela del 25 agosto 2015, l’Amministrazione ha legittimamente considerato in maniera unitaria l’intera vicenda e i titoli edilizi nel tempo rilasciati o assentiti giacché questi ultimi hanno tutti riguardo alla ricostruzione post terremoto di un unico fabbricato ed è dal loro complesso che risulta l’ampliamento dell’edificio sia con riguardo alla sopraelevazione sia con riguardo al recupero del sottotetto sia con riguardo ai box pertinenziali.
Pertanto, il procedimento e il provvedimento unitari si giustificano proprio in ragione della considerazione globale dell’intervento, che ha realizzato un risultato non consentito attraverso la “sommatoria” di quanto via via assentito con tutti i titoli in questione.
12. Con la memoria del 9 aprile 2021 gli appellati hanno riproposto i motivi non esaminati in primo grado e afferenti al merito dell’incremento di superficie e di volumetria contestati dal Comune con il gravato provvedimento.
Come eccepito dall’appellante a pag. 6 della memoria del 22 aprile 2021, i predetti motivi sono inammissibili e pertanto non possono essere esaminati, non essendo stati riproposti nel termine di cui all’articolo 101, comma 2, c.p.a.
13. Conclusivamente, per le indicate motivazioni, l’appello va accolto con riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso di primo grado.
14. Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate sussistendo giusti motivi in relazione alla complessità della vicenda in esame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello R.G. n. 5997/2020, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso Consiglio di Stato nella camera di consiglio del giorno 13 maggio 2021, svoltasi ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. e), d.l. n. 44 del 2021 convertito in l. n. 76 del 28 maggio 2021, con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Oberdan Forlenza – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Emanuela Loria – Consigliere, Estensore

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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