Anche l’apertura di una struttura privata non accreditata deve avere un’autorizzazione della Regione

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 7 marzo 2019, n. 1589.

La massima estrapolata:

Anche l’apertura di una struttura privata non accreditata deve avere un’autorizzazione della Regione. Per ragioni legate non solo alla tutela della salute, quale irrinunciabile interesse della collettività (articolo 32 della Costituzione), ma anche alla tutela della concorrenza, il via libera per realizzare delle strutture sanitarie e sociosanitarie, in base all’articolo 8-ter, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, deve essere inserita all’interno della programmazione regionale, poiché la verifica di compatibilità, effettuata dalla Regione, ha lo scopo di accertare il giusto ed equilibrato inserimento della struttura in un contesto di offerta sanitaria rispondente al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale. Questo anche per garantire meglio l’accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario delle nuove strutture.

Sentenza 7 marzo 2019, n. 1589

Data udienza 21 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7720 del 2018, proposto dalla Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via (…);
Ri. Di. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Id. Ma. De., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Al. Pl. in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza n. 835 del 7 giugno 2018 del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, sez. II, resa tra le parti, concernente l’annullamento, quanto al ricorso n. 1490 del 2016:
a) della nota della Regione Puglia, Dipartimento per la promozione della salute e del benessere sociale, Servizio accreditamenti, prot. AOO-151/9509 del 4 ottobre 2016, recante parere non favorevole di compatibilità al rilascio di autorizzazione alla realizzazione di apparecchiature TAC in favore della Ri. Di. s.r.l. nel Comune di (omissis);
b) della nota del Comune di (omissis), prot. n. 68944 del. 20 ottobre 2016, che ha trasmesso alla ricorrente la nota regionale citata in precedenza;
c) del regolamento della Regione Puglia n. 3/2006 e s.m.i., nella parte in cui fissa dei parametri ai fini della verifica della compatibilità di cui all’art. 3, comma 1, lett. a) della legge regionale n. 8/2004;
d) di ogni altro eventuale atto o provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, in quanto lesivo degli interessi della ricorrente, nonché delle note:
1) del Commissario Straordinario della ASL BAT, prot. n. 85776/1/4 del 14 novembre 2011;
2) del Direttore SISP della medesima ASL, prot. n. 149012/12 del 28 febbraio 2012, di contenuto ignoto alla Ri. Di. S.r.L;
quanto al ricorso R.G. n. 457 del 2017:
a) della nota prot. n. A00_151/9509 del 4 ottobre 2016 del Dipartimento promozione della salute, del benessere sociale e dello sport per tutti – Sezione strategie e governo dell’offerta – Servizio accreditamenti, recante parere non favorevole di compatibilità in merito all’installazione di un’apparecchiatura TAC presso l’ambulatorio di diagnostica per immagini Ri. Di. s.r.l. nel Comune di (omissis);
b) di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale e, in particolare, del regolamento regionale del 2 marzo 2006, n. 3 e della delibera di Giunta Regionale 7 novembre 2013, n. 2037.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’appellata Ri. Di. s.r.l. e dell’appellata Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per la Regione Puglia, odierna appellante, l’Avvocato Ma. Ro., per l’odierna appellata, Ri. Di. s.r.l., l’Avvocato Id. Ma. De. e per l’altra odierna appellata, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, l’Avvocato dello Stato Ti. Va.;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso, proposto avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, e iscritto al R.G. n. 1490/2016, Ri. Di. s.r.l., odierna appellata, ha impugnato, unitamente agli atti presupposti, il parere negativo, reso dalla Regione Puglia in seno al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione comunale alla realizzazione, nel Comune di (omissis), di una struttura sanitaria per l’esercizio di una attività ambulatoriale di radiologia diagnostica, avviato con l’istanza del 4 agosto 2016, con particolare riferimento all’installazione di una grande macchina TAC presso l’ambulatorio di diagnostica per immagini ubicato in Barletta, via (omissis).
1.1. Il parere di cui alla nota regionale prot. AOO_151/9509 del 4 ottobre 2016, reso ai sensi dell’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, esclude la compatibilità del progetto presentato da Ri. Di. s.r.l. con la programmazione regionale, sul presupposto che il fabbisogno di grandi macchine TAC, pari ad una macchina ogni 60.000 abitanti, sarebbe allo stato interamente soddisfatto nel distretto dell’Azienda di Barletta-Andria-Trani (di qui in avanti, per brevità, l’Azienda), nel cui territorio dovrebbe insediarsi la struttura da autorizzare.
1.2. Ciò in quanto, come si legge a chiare lettere nel parere, “dalla ricognizione delle grandi macchine TAC per il territorio della ASL BT risulta soddisfatto e, pertanto, non sarebbe in ogni caso possibile procedere al rilascio di un parere favorevole di compatibilità per l’installazione di una grande macchina TAC presso l’ambulatorio di diagnostica per immagini “Ri. Di. s.r.l.” di Barletta”.
1.3. La ricorrente Ri. Di. s.r.l., avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, ha dedotto l’illegittimità degli atti impugnati per quattro distinti motivi:
a) la violazione dell’art. 7, comma 2, della L.R. n. 8 del 2004, dell’art. 32 Cost., dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, in quanto la Regione avrebbe omesso di consultare l’Azienda Sanitaria Locale Barletta-Andria-Trani, nel cui territorio è previsto fosse realizzata la struttura da autorizzare;
b) la violazione, l’erronea e la falsa applicazione del regolamento regionale della Puglia n. 3 del 2006, in quanto la Regione avrebbe erroneamente compreso tra le macchine TAC, disponibili nel territorio dell’Azienda, quelle, in numero di sette, funzionanti presso Aziende ospedaliere pubbliche, benché il regolamento regionale n. 3 del 2006 le escluda espressamente dal calcolo per verificare la compatibilità del progetto da autorizzare rispetto al fabbisogno di prestazioni diagnostiche;
c) la violazione dell’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, degli artt. 3 e 7 della L.R. Puglia n. 8 del 2004, dell’art. 41 Cost. e del d.l. n. 1 del 2012, dell’art. 34 del d.l. n. 201 del 2011, dell’art. 32 Cost., la violazione dei principî e delle norme del T.F.U.E. in materia di libero mercato e di concorrenza, in quanto il rapporto 1/60.000 fra macchine e abitanti sarebbe stato erroneamente inteso dalla Regione come limite massimo oltre il quale non sarebbero autorizzabili nuove strutture, con una evidente lesione dei principî eurounitari e nazionali in materia di concorrenza, perché tale rapporto sarebbe, al contrario, un limite inderogabile in riduzione, ma non in aumento, proprio al fine di garantire l’accessibilità al servizio o, in via subordinata, l’illegittimità del regolamento regionale n. 3 del 2 marzo 2006, ove interpretato nel senso che l’autorizzazione alla realizzazione di nuove strutture sia soggetta a contingentamento attraverso la verifica di compatibilità, di cui all’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, in quanto detto regolamento, così interpretato, sarebbe incompatibile anche con l’ordinamento europeo e imporrebbe un blocco a tempo indeterminato all’ingresso di nuovi gestori, favorendo quelli già autorizzati, senza peraltro aver previsto una verifica periodica in ordine all’effettiva domanda di prestazioni sanitarie nei distretti di riferimento.
d) la violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990.
2. Con separato ricorso, proposto sempre avanti al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di qui in avanti, per brevità, l’Autorità ) ha impugnato, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, lo stesso parere della Regione Puglia, prot. n. AOO_151/9509 del 4 ottobre 2016, il regolamento regionale del 2 marzo 2006, n. 3 e la delibera n. 2037 del 7 novembre 2013 della Giunta regionale.
2.1. Il gravame è stato affidato ad un unico motivo, articolato, con il quale si è dedotta la violazione degli artt. 32 e 41 Cost., dell’art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 34, commi 2 e 7, del d.l. n. 201 del 2011, conv. con mod. in l. n. 214 del 2011, dell’art. 1 del d.l. n. 1 del 2012, conv. con mod. in l. n. 27 del 2012, nonché l’eccesso di potere per irragionevolezza e difetto di proporzionalità dell’azione amministrativa.
2.2. L’Autorità ha cioè sostenuto, in sintesi, che la distribuzione regolamentate delle strutture sanitarie sul territorio regionale, pur se volta ad agevolare l’accesso ai servizi sanitari, non potrebbe tradursi in una barriera all’entrata nel mercato della domanda e dell’offerta delle prestazioni sanitarie private prodotte senza oneri per le casse pubbliche e che, comunque, il limite imposto dalla Regione avvantaggerebbe, con conseguente alterazione della concorrenza, gli operatori già presenti sul mercato in mancanza di un sistema che garantisca l’avvicendamento periodico nell’accesso alle autorizzazioni.
3. In entrambi i giudizi, così incardinati, si è costituita la Regione Puglia per resistere ai ricorsi, di cui ha eccepito l’infondatezza, chiedendone la reiezione.
4. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Bari, con la sentenza n. 835 del 7 giugno 2018, ha riunito entrambi i ricorsi e li ha accolti, con il conseguente annullamento degli atti gravati.
4.1. Secondo il giudice di prime cure, infatti, il regime autorizzatorio costituirebbe un ostacolo alla libera esplicazione della concorrenza perché non si scorgerebbe ragione, meritevole di imporsi sulla libertà di iniziativa economica, per la quale le strutture sanitarie private, non facenti parte del Servizio sanitario pubblico, dovrebbero essere attratte ai vincoli della programmazione sanitaria regionale, tanto più perché l’autorizzazione all’esercizio, in quanto richiede la conformità della struttura a specifici requisiti igienico-sanitari e il possesso di requisiti soggettivi in capo ai titolari, appare finalizzata, piuttosto, a garantire che le attività sanitarie si svolgano in condizioni di piena sicurezza per chiunque utilizzi le strutture sanitarie, sia semplici che complesse, per prevenire l’abusivo esercizio delle professioni.
4.2. Il regime autorizzatorio non si giustificherebbe, insomma, per le istanze volte ad ottenere la realizzazione e l’esercizio delle strutture sanitarie private, che non impegnano in alcun modo le strutture pubbliche e non concorrono alla realizzazione dei LEA e, quindi, neppure al calcolo della capacità produttiva in rapporto al fabbisogno assistenziale a tal fine stimato.
5. Avverso tale sentenza ha proposto appello la Regione Puglia e, nel lamentarne l’erroneità con un unico articolato motivo che di seguito sarà esaminato, ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma, con la conseguente reiezione dei ricorsi proposti in primo grado.
5.1. Si sono costituiti l’Autorità e Ri. Di. s.r.l. per chiedere la reiezione dell’appello.
5.2. Con il proprio atto di costituzione, peraltro, Ri. Di. s.r.l. ha riproposto ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a., anche le censure di primo grado non esaminate o non accolte dal primo giudice.
5.3. Nella camera di consiglio del 25 ottobre 2018, fissata per l’esame della domanda di sospensione, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha disposto il rinvio della causa all’udienza pubblica per il sollecito esame del merito.
5.4. Infine, nella pubblica udienza del 21 febbraio 2019, il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
6. L’appello della Regione Puglia deve essere respinto, dovendosi confermare l’annullamento del parere negativo espresso dalla Regione e degli atti connessi, seppure per le ragioni che seguono.
6.1. In via preliminare deve essere esaminata l’eccezione di irricevibilità dell’appello, sollevata da Ri. Di. s.r.l., la quale assume che la Regione Puglia avrebbe notificato tardivamente la propria impugnazione, il 25 settembre 2018, oltre il termine dimezzato previsto dall’art. 119, comma 2, c.p.a. e decorrente dalla notifica della stessa sentenza, avvenuta il 27 giugno 2018.
6.2. Con la sentenza in esame, deduce l’appellata, il Tribunale ha definito non solo il ricorso proposto dalla stessa Ri. Di. s.r.l., ma anche – previa riunione – quello proposto dall’Autorità ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990, che legittima appunto l’Autorità ad agire in giudizio contro i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato (v., sul punto, Cons. St., sez. VI, 30 aprile 2018, n. 2583).
6.3. Lo stesso art. 21-bis della l. n. 287 del 1990 stabilisce, al comma 3, che “ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”, in coerenza, peraltro, con la generale previsione dell’art. 119, comma 1, lett. b), dello stesso d.lgs. n. 104 del 2010, che assoggetta al rito speciale, ivi disciplinato, “le controversie relative ai provvedimenti adottati dalle Autorità amministrative indipendenti”.
6.4. Nel caso di ricorsi soggetti a diversi riti e riuniti per connessione, come è avvenuto qui per effetto della sentenza impugnata che ha disposto la riunione, deve prevalere il rito speciale di cui al libro IV, titolo V, c.p.a., come prevede l’art. 32, comma 1, secondo periodo, c.p.a., sicché, ove si ritenesse ricevibile l’appello, ne conclude l’appellata, verrebbe frustrata la ratio del rito speciale, previsto dal legislatore per determinate materie, ispirata ad esigenze di celerità e di economicità processuale, che l’ordinamento ha inteso riconoscere a priori, attesa la rilevanza degli interessi pubblici coinvolti.
6.5. L’eccezione di irricevibilità non può essere accolta, per le ragioni che seguono, in quanto deve trovare applicazione al caso di specie la disciplina dell’errore scusabile, di cui all’art. 37 c.p.a., invocata dalla Regione appellante.
6.6. Al riguardo si deve rilevare che, in effetti, dovrebbe prevalere, nel caso di specie, la disciplina processuale del rito abbreviato, prevista dall’art. 21-bis, comma 3, della l. n. 287 del 1990, in coerenza, del resto, con la generale previsione dell’art. 119, comma 1, lett. b), c.p.a., perché l’art. 32, comma 1, secondo periodo, c.p.a., dopo avere premesso che è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo delle domande connesse proposte, in via principale o incidentale, precisa poi che, se le azioni sono soggette a riti diversi, si applica quello ordinario, salvo quanto previsto dal Titolo V del Libro IV.
6.7. Non vi è dubbio che l’azione di cui all’art. 21-bis della l. n. 287 del 1990 sia soggetta al rito speciale previsto dal Titolo V del Libro IV del codice del processo amministrativo, proprio per il rinvio espresso del comma 3 di tale articolo al Libro IV, Titolo V, del codice del processo amministrativo e che, quindi, l’appello contro la sentenza, che ha riunito i due ricorsi (quello soggetto al rito ordinario e quello soggetto al rito speciale), sia soggetto alla dimidiazione dei termini, di cui all’art. 119, commi 2 e 7, c.p.a., anche per il ricorso introduttivo del giudizio di appello.
6.8. La disciplina dell’art. 32 c.p.a. deve trovare applicazione, infatti, anche quando i ricorsi, proposti in origine separatamente, siano stati riuniti dal giudice, ad istanza di parte o d’ufficio, ai sensi dell’art. 70 c.p.a., in quanto la riunione dei ricorsi, istituto rispondente all’esigenza o all’opportunità del simultaneus processus, non costituisce certo una deroga al principio sotteso all’art. 32 c.p.a., ma anzi ne rappresenta una ulteriore esplicazione, poiché garantisce, a fronte di una pluralità di azioni, l’unicità del giudizio.
6.9. L’unicità del giudizio, assicurata dall’art. 70 c.p.a., e l’uniformità del rito, assicurata dall’art. 32 c.p.a., rispondono entrambe, al cospetto di una pluralità di azioni, ad un superiore principio di tutela giurisdizionale concentrata ed uniforme in un unico giudizio e secondo un unico rito che, nel caso di riti soggetti alla disciplina del Titolo V del Libro IV del codice, è quello speciale e non già, come normalmente accade, quello ordinario.
7. Questo Consiglio ha già ben messo in rilievo che il secondo periodo del comma 1 dell’art. 32 c.p.a. contempla un’eccezione alla ordinaria prevalenza del rito ordinario su quello speciale, per le controversie assoggettate al rito abbreviato di cui al titolo V del Libro IV, per la specialità delle materie, per quanto eterogenee, ivi previste (Cons. St., sez. V, 10 ottobre 2017, n. 4676).
7.1. Cionondimeno, nel caso di specie, si deve osservare che la riunione dei giudizi, proposti separatamente avanti al primo giudice, è stata disposta solo con la sentenza qui impugnata e la Regione, soccombente, si è trovata di fronte ad una sentenza che ha accolto entrambi i ricorsi, soggetti l’uno al rito ordinario e l’altro al rito speciale, nell’incertezza sul rito da applicare, per la proposizione dell’appello, in quanto le due azioni, fino alla riunione, si erano svolte davanti al primo giudice secondo riti diversi.
7.2. Si deve quindi ritenere scusabile, ai sensi dell’art. 37 c.p.a., l’errore in cui è incorsa la Regione nell’applicare il rito ordinario anziché quello abbreviato, all’atto di proporre appello, nell’incertezza sul rito da applicare di fronte a due azioni che in quanto proposte in due giudizi diversi, sino all’emanazione della sentenza stessa, avevano seguito due riti diversi, nel primo grado del giudizio, e che la lasciavano ragionevolmente confidare sull’applicazione di un termine più lungo, in difetto di preventiva riunione, quantomeno rispetto alla proposizione dell’appello nel giudizio soggetto al rito ordinario.
7.3. La scusabilità dell’errore – già riconosciuta da questo Consiglio in altra vicenda, che vedeva l’impugnativa di atti soggetti a riti diversi (v. Cons. St., sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3999) – dipende, del resto, anche dall’inesistenza, per quanto consta a questo Collegio, di un ben definito orientamento giurisprudenziale a fronte della novità e della singolarità del caso qui controverso, relativo all’applicabilità del rito speciale, nel giudizio di appello, avverso una sentenza che ha disposto la riunione di due distinti giudizi soggetti, in primo grado, a due diversi riti e separatamente celebratisi avanti al Tribunale sino alla riunione disposta con la sentenza stessa.
8. Ciò premesso in limine litis quanto alla ricevibilità dell’appello, ed esaminando nel merito il suo unico, complesso, articolato motivo, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata non si sottragga a censura nella parte in cui afferma, in modo radicale, l’incompatibilità del regime autorizzatorio configurato dalla normativa nazionale e regionale per le strutture sanitarie private con i principî e le regole dell’Unione europea.
8.1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, ha trascurato invero di considerare che, secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio, la disciplina del d.lgs. n. 502 del 1992 non contrasta con tali principî e con tali regole, in quanto lo strumento di pianificazione, previsto dall’art. 8-ter, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, assolve alla funzione di garantire la corretta distribuzione, sul territorio, delle apparecchiature in modo che siano adeguatamente servite tutte le zone, anche quelle a bassa redditività, che in mancanza di tale strumento non sarebbero coperte.
8.2. Come la costante giurisprudenza di questo Consiglio non smette di ripetere, infatti, “il sistema, per essere in equilibrio, presuppone la garanzia di una certa redditività che discende dal contingentamento delle apparecchiature: ove vi fosse la liberalizzazione vi sarebbe una distorsione del mercato, in quanto gli operatori economici che operano privatamente sarebbero indotti a moltiplicare gli impianti nelle zone a maggiore redditività, lasciando di conseguenza scoperte le zone meno remunerative, con pregiudizio per la popolazione ivi residente” (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 21 febbraio 2017, n. 792).
8.3. Proprio per queste essenziali ragioni, che attengono non solo alla tutela della salute, quale irrinunciabile interesse della collettività (art. 32 Cost.), ma anche alla tutela della concorrenza, questa Sezione non può che ribadire come l’autorizzazione per la realizzazione delle strutture sanitarie e sociosanitarie, ai sensi dell’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, debba necessariamente – e si rimarca necessariamente – restare inserita nell’ambito della programmazione regionale, in quanto la verifica di compatibilità, effettuata dalla Regione, ha proprio il fine di accertare l’armonico inserimento della struttura in un contesto di offerta sanitaria rispondente al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di garantire meglio l’accessibilità ai servizî e di valorizzare le aree di insediamento prioritario delle nuove strutture (Cons. St., sez. III, 4 settembre 2017, n. 4187; Cons. St., sez. III, 11 ottobre 2016, n. 4190).
8.4. La disciplina nazionale e quella, conforme, adottata a livello regionale, diversamente da quanto assume il primo giudice, non contrastano in sé con il diritto eurounitario perché, come ha chiarito la Corte di Giustizia, “una programmazione che richieda una previa autorizzazione per l’installazione di nuovi prestatori di cure può rendersi indispensabile per colmare eventuali lacune nell’accesso alle cure ambulatoriali e per evitare una duplicazione nell’apertura delle strutture, in modo che sia garantita un’assistenza medica che si adatti alle necessità della popolazione, ricomprenda tutto il territorio e tenga conto delle regioni geograficamente isolate o altrimenti svantaggiate” e, pertanto, “è legittimo che uno Stato membro organizzi i servizi di assistenza medica in modo da dare priorità ad un sistema di prestazioni in natura affinché ogni paziente acceda facilmente, sull’intero territorio nazionale, ai servizi dei medici convenzionati” (§ § 52-53 della sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, 10 marzo 2009, in C-169/07).
8.5. In sede di valutazione dell’osservanza del principio di proporzionalità nell’ambito della sanità pubblica, peraltro, “occorre tenere conto del fatto che lo Stato membro può decidere il livello al quale intende garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui questo livello deve essere raggiunto” e “poiché tale livello può variare da uno Stato membro all’altro, si deve riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità ” (sentenza della Corte di Giustizia UE, sez. IV, 5 dicembre 2013, Venturini c. ASL Varese, nelle cause riunite C-159/12 e in C-162/12).
8.6. Come la Corte di Giustizia ribadisce nella propria costante giurisprudenza, infatti, il diritto dell’Unione non incide sulla competenza di cui dispongono gli Stati membri per configurare i loro sistemi di sanità pubblica e previdenziali (v. in tal senso, in particolare, Corte di Giustizia CE, sentenza del 17 giugno 1997, Sodemare e a., C-70/95, § 27 e giurisprudenza ivi citata, nonché sentenza della Corte di Giustizia UE, Blanco Pé rez e Chao Gó mez, 1° giugno 2010, in C-570/07 e in C-571/07, § 43 e giurisprudenza ivi citata).
8.7. Certamente, nell’avvalersi di tale competenza, gli Stati non possono introdurre o mantenere ingiustificate restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali nell’ambito delle cure sanitarie e tuttavia, nel valutare il rispetto di tale divieto, è necessario tener conto del fatto che la salute e la vita delle persone rivestono un’importanza primaria tra i beni e gli interessi protetti dal Trattato e che spetta agli Stati membri, i quali dispongono di un margine di potere discrezionale, decidere il livello al quale intendono garantire la tutela della sanità pubblica e il modo in cui tale livello deve essere raggiunto (v. in tal senso, in particolare, la sentenza della Corte di Giustizia CE, 11 settembre 2008, Commissione/Germania, in C-141/07, § § 46 e 51 nonché la giurisprudenza ivi citata, e la sentenza della Corte di Giustizia UE, 1° giugno 2010, Blanco Pé rez e Chao Gó mez, § § 43, 44, 68 e 90 e la giurisprudenza ivi citata).
8.8. Peraltro, come pure ricorda la Corte di Giustizia nella propria giurisprudenza (§ 57 della sentenza dell’11 dicembre 2014, in C-113/13), “non solo un rischio di grave pregiudizio per l’equilibrio economico del sistema previdenziale può costituire, di per sé, una ragione imperativa di pubblico interesse in grado di giustificare un ostacolo alla libera prestazione dei servizi, ma, inoltre, l’obiettivo di mantenere, per ragioni di sanità pubblica, un servizio medico ed ospedaliero equilibrato ed accessibile a tutti può rientrare parimenti in una delle deroghe giustificate da motivi di sanità pubblica, se un siffatto obiettivo contribuisce al conseguimento di un livello elevato di tutela della salute (v., in tal senso, sentenza Stamatelaki, C-444/05, § § 30 e 31 e giurisprudenza ivi citata)”.
8.9. Vengono pertanto in rilievo le misure che, da un lato, rispondono all’obiettivo generale di assicurare, nel territorio dello Stato membro interessato, la possibilità di un accesso sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure sanitarie di qualità e, dall’altro, sono espressione della volontà di garantire un controllo dei costi e di evitare, per quanto possibile, ogni spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane (v., in tal senso, la citata sentenza della Corte di Giustizia CE, 11 settembre 2008, Commissione/Germania, in C-141/07, § 61).
9. Questa stessa Sezione, ancor di recente, ha riaffermato che il legislatore, nel sottoporre anche il rilascio della mera autorizzazione sanitaria alla previa valutazione di compatibilità con la programmazione regionale, ha certamente privilegiato la tutela dei profili pubblici, ontologicamente connessi alla attività sanitaria, quali il diritto alla salute ed alla accessibilità a cure di standard qualitativo adeguato, e, quindi, ha ritenuto che il vincolo della programmazione di tale attività fosse il mezzo più idoneo, da un lato, a garantire la equa distribuzione sul territorio di varie tipologie di centri di cura e, dall’altro, ad evitare il fenomeno deteriore di un’offerta di prestazioni sanitarie con alta remunerazione, che risulti sovradimensionata rispetto al fabbisogno effettivo della collettività e, quindi, dia luogo anche a processi di eccessiva concorrenza, che potrebbero portare ad un inaccettabile caduta del livello della prestazione sanitaria o, comunque, alla utilizzazione di tecniche non virtuose di orientamento della scelta dell’assistito, parimenti non compatibili con la tutela del diritto alla salute del cittadino (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 10 settembre 2018, n. 5310).
10. Se questi sono i principî e le regole applicabili anche in questa materia, astrattamente non incompatibili, in sé considerati, con l’art. 106 T.F.U.E. e con le fondamentali libertà garantite dai Trattati e dal diritto dell’Unione europea, si deve per altro verso considerare che la stessa Corte di Giustizia, nella citata sentenza della Grande Camera, 10 marzo 2019, in C-169/07, ha tuttavia precisato, in riferimento al sistema austriaco sugli istituti ospedalieri e sulle case di cura (Krankenanstalten- und Kuranstaltengesetz), che un regime di previa autorizzazione amministrativa, perché sia giustificato anche quando deroghi ad una di tali libertà fondamentali, deve essere fondato “su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, che garantiscono la sua idoneità a circoscrivere sufficientemente l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali” (§ 64 della sentenza della Corte di Giustizia, Grande Camera, 10 marzo 2009, C-169/07).
10.1. Ebbene, tutto ciò doverosamente considerando, si deve rilevare, nell’esaminare il primo motivo dell’originario ricorso riproposto ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. nell’atto di costituzione depositato il 22 ottobre 2018 da Ri. Di. s.r.l. (pp. 2-5), che il parere negativo in questo giudizio impugnato è ancorato ad una ricognizione del fabbisogno che, stando alla lettura degli atti impugnati, è ferma al 2012 e si deve ancora rilevare che, dall’analisi degli ultimi dati disponibili forniti dall’Azienda, emerge nel territorio una forte domanda di prestazioni diagnostiche TAC, che l’attuale dotazione strutturale del distretto di Barletta, sia essa pubblica che privata, non sembra soddisfare in modo pieno ed adeguato, con la formazione di lunghe liste d’attesa.
10.2. Parimenti, come pure Ri. Di. s.r.l. ha dedotto con il secondo motivo dell’originario ricorso, riproposto in questa sede ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. nel citato atto di costituzione (pp. 5-6), il Regolamento n. 3 del 2006 della Regione Puglia espressamente esclude, dalla ricognizione del fabbisogno necessaria al rilascio delle autorizzazioni, le TAC presenti presso le strutture pubbliche – Aziende Ospedaliere e Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico – sicché la Regione, nel calcolo del fabbisogno complessivo per il distretto sanitario, avrebbe dovuto ragionevolmente escludere le 7 TAC presenti presso strutture pubbliche, almeno ove esse fossero Aziende Ospedaliere ed Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (espressamente escluse dallo stesso Regolamento), anziché sommarle alle 3 TAC operanti presso le strutture private già autorizzate.
11. L’esistenza di tali vizî inficia, con efficacia assorbente di ogni altra censura in questa sede riproposta ai sensi dell’art. 101, comma 2, c.p.a. dall’appellata Ri. Di. s.r.l. (anche in ordine alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, formulata nella memoria depositata il 25 gennaio 2019, per la corretta interpretazione dei principî in materia di concorrenza e, in particolare, dell’art. 106 T.F.U.E.), la validità degli atti impugnati e, in particolare, della nota regionale prot. AOO_151/9509 del 4 ottobre 2016, perché rende inattuale, incompleto, insufficiente, ingiustificatamente limitativo e sproporzionato, in concreto, il diniego opposto dalla Regione Puglia alla richiesta di autorizzazione all’esercizio di diagnostica per immagini, mediante apparecchiatura TAC, presso l’ambulatorio di radiologia ubicato in Barletta, via Marconi, n. 16.
12. Siffatto diniego, a tacer d’altro, poggia sulla ricognizione di un fabbisogno delle apparecchiature – delle quali 7 presso strutture pubbliche e solo 3 presso strutture private – ferma, nel distretto aziendale di riferimento, al 2011 o, al più tardi, al 2012 e lo trasforma, in assenza di una accurata e aggiornata istruttoria sull’esistenza di una domanda sanitaria sul territorio e di una correlativa offerta da parte delle strutture private, in un illegittimo blocco, a tempo indeterminato, all’accesso del nuovo operatore sul mercato, con una indebita limitazione della sua libertà economica, che non solo non risponde ai criterî ispiratori dell’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, ma è contrario ai principî del diritto eurounitario affermati dalla Corte di Giustizia in riferimento alla pur ampia discrezionalità del legislatore in materia sanitaria.
13. Tale discrezionalità, infatti, non è né può essere illimitata né schiudere la strada ad ingiustificate e sproporzionate restrizioni dell’iniziativa economica, senza trovare un ragionevole e proporzionato controbilanciamento nella cura in concreto, da parte della pubblica amministrazione decidente, dell’interesse pubblico demandatole, mediante un adeguato apparato motivazionale a supporto del provvedimento, e nella presupposta, oggettiva, valutazione dell’interesse pubblico finalizzato alla tutela del diritto alla salute, soprattutto ove si tengano presenti le lunghe liste d’attesa, in Puglia, per l’esecuzione di esami radiodiagnostici e di fronte ad una domanda, crescente nel tempo, di esami, che rivela, se non impone, un aggiornamento del fabbisogno e dei parametri di riferimento per la sua valutazione, parametri che devono essere adeguati e proporzionati rispetto all’esigenza pubblica da tutelare.
13.1. Tanto determina, in accoglimento dei primi due motivi dell’originario ricorso e con assorbimento delle restanti censure e di ogni altra questione, anche pregiudiziale, qui sollevata dall’appellata Ri. Di. s.r.l. da ultimo nella memoria depositata il 21 febbraio 2019, l’annullamento degli atti di diniego, impugnati in prime cure, ferma restando, invece, la compatibilità della normativa nazionale e regionale con il diritto eurounitario, per le ragioni dianzi esplicitate.
14. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello della Regione Puglia deve essere respinto e la sentenza impugnata, seppure solo per tali ragioni, deve essere confermata nella propria statuizione annullatoria in parte qua, relativamente agli atti di diniego e, in particolare, del parere negativo emesso dalla Regione Puglia, con il conseguente obbligo, per la Regione stessa, di rideterminarsi sulla istanza di autorizzazione, depositata il 2 agosto 2016 da Ri. Di. s.r.l. e volta ad ottenere l’autorizzazione per l’installazione di una apparecchiatura diagnostica TAC, all’esito di una istruttoria completa, idonea, aggiornata in ordine alla valutazione del fabbisogno, siccome richiesta legittimamente dalle pertinenti previsioni dell’art. 8-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 7 della L.R. n. 8 del 2004, dal regolamento n. 3 del 2006 della Regione Puglia e dalla deliberazione della Giunta Regionale n. 2037/2013 del 7 novembre 2013, al fine di verificare se il fabbisogno di grandi macchine TAC per il territorio dell’Azienda risulti nell’attualità davvero soddisfatto e se, conseguentemente, sia possibile rilasciare o meno un parere favorevole di compatibilità per l’installazione di una grande macchina TAC presso l’ambulatorio di diagnostica per immagini “Ri. Di. s.r.l.” di Barletta.
15.1. Le spese del presente grado di questo giudizio, attesa la complessità giuridica del caso, possono essere interamente compensate tra le parti.
15.2. Rimane definitivamente a carico della Regione Puglia il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, proposto dalla Regione Puglia, lo respinge e per l’effetto conferma, seppure ai sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Pone definitivamente a carico della Regione Puglia il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
Ezio Fedullo – Consigliere

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