Ai sensi dell’art. 29, comma 3, lett. b), ultimo periodo, D.Lgs. 286/98, ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente, il sostegno economico di soggetti non familiari ed estranei all’obbligo alimentare non può essere considerato ai fini della dimostrazione del requisito reddituale

Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 18 aprile 2018, n. 2335.

Ai sensi dell’art. 29, comma 3, lett. b), ultimo periodo, D.Lgs. 286/98, ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente, il sostegno economico di soggetti non familiari ed estranei all’obbligo alimentare non può essere considerato ai fini della dimostrazione del requisito reddituale, in quanto potrebbe cessare in qualsiasi momento; i fratelli sono contemplati tra i soggetti gravati dell’obbligo alimentare (art. 433, n. 6), e tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario (art. 439, primo comma), vale a dire per far fronte a situazioni di effettivo grave bisogno.

Sentenza 18 aprile 2018, n. 2335
Data udienza 15 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7608 del 2017, proposto da:
Al. De., rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Ba., con domicilio eletto presso lo studio Em. Be. in Roma, viale (…);
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Genova, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LIGURIA – GENOVA, SEZIONE II, n. 00599/2017, resa tra le parti, concernente rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno per “lavoro subordinato”;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il Cons. Pierfrancesco Ungari, per le parti nessuno presente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO e DIRITTO
1. Con provvedimento in data 24 febbraio 2017, il Questore di Genova ha negato all’odierno appellante, D.A., il rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, in ragione della mancata dimostrazione della disponibilità di un reddito adeguato.
2. Nel provvedimento, viene sottolineato che il precedente rinnovo, con scadenza 11 novembre 2016, era stato ottenuto a fronte di un contratto di lavoro intercorso dal 1 maggio 2015 al 30 giugno 2015 con la connazionale B.J., la quale però non risultava in possesso di redditi da fonte lecita, e che, a corredo dell’ultima domanda, era stato allegato un rapporto di lavoro (con la ditta Ar. S.r.l.) che risultava svolto solo dal 3 ottobre 2016 al 30 novembre 2016.
3. Viene altresì sottolineato, riguardo agli elementi prodotti in esito al preavviso di rigetto, che il datore di lavoro dell’ulteriore contratto di lavoro stipulato in data 15 dicembre 2016, B.S., risultava anch’essa privo di reddito, e, quanto alla dichiarazione di mantenimento sottoscritta dal fratello D.K., convivente, che costui non possedeva un reddito sufficiente per mantenere l’intero nucleo familiare.
4. Il TAR della Liguria, con la sentenza appellata (II, n. 599/2017), ha respinto l’impugnazione del diniego di rinnovo, sottolineando che il ricorrente, nel periodo di vigenza del titolo di soggiorno da rinnovare, non risultava aver svolto stabile attività lavorativa per circa sedici mesi, con ciò di fatto usufruendo di un periodo di attesa occupazione ben più lungo di quello annuale previsto per legge; che il rapporto di lavoro alle dipendenze di B.S. non è idoneo ad integrare un nuovo elemento apprezzabile ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, in quanto – essendo di poco successivo al preavviso di rigetto e non corredato dal versamento dei contributi previdenziali, e non risultando presentate dal datore di lavoro dichiarazioni dei redditi – deve considerarsi simulato; e che, ai fini del raggiungimento del reddito minimo è consentito soltanto, ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. 286/1998, il cumulo dei redditi facenti capo a familiari conviventi che hanno esercitato o per i quali può essere esercitato il ricongiungimento (coniuge, figli e genitori), con esclusione dei fratelli.
5. Nell’appello, si prospetta che:
– la motivazione sulla natura simulata del rapporto di lavoro era smentita dalla documentazione prodotta già in primo grado; la causa è stata trattenuta in decisione dal TAR in esito alla camera di consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare senza alcuna assegnazione di termini per la produzione di documenti e di memorie, così precludendo così al ricorrente di produrre documentazione in ordine alla contestata mancata dichiarazione dei redditi della propria datrice di lavoro, in realtà sussistente, come dimostrato dalla documentazione prodotta in questa sede; quanto ai relativi versamenti previdenziali, come già sottolineato in primo grado, la datrice di lavoro stava provvedendo al pagamento dei contributi INPS per il lavoro domestico (cfr. le ricevute postali dei recenti versamenti eseguiti dalla datrice di lavoro), ed oggi tale adempimento previdenziale risulta acquisito anche dal sistema di controllo dell’INPS, come dimostrato dall’estratto contributivo che si allega (unitamente alle più recenti buste paga);
– il sostegno economico ricevuto da parte dei fratelli conviventi (cfr. dichiarazioni dei fratelli D.K. e D.S.) certamente integra quella ” altra fonte legittima ” di sostentamento consentita dalla legge, di cui il ricorrente (peraltro in diverse occasioni assente per malattia dal lavoro o ricoverato in ospedale per periodi significativi – come altresì dimostrato in primo grado) ha potuto godere durante la validità del precedente permesso di soggiorno, in tal modo dimostrando di non essere mai stato di aggravio per il pubblico erario né di essersi dedicato ad attività illecite;
– il TAR ha omesso di pronunciarsi sul motivo con cui si sosteneva di avere comunque diritto, in applicazione dell’art. 22, comma 11 (fatto salvo dall’art. 5, comma 5) del d.lgs. 286/1998, di ottenere un permesso di soggiorno per attesa occupazione; al riguardo, alla luce dell’art. 8 della Convenzione O.I.L. 143/1975, ratificata e resa esecutiva con legge 158/1981, l’art. 22, comma 11, cit., deve essere interpretato nel senso che è esclusa la previsione di un termine perentorio massimo per la ricerca di una nuova occupazione conseguente alla perdita del lavoro; tant’è che con Circolare n. 40579 del 3 ottobre 2016, il Ministero dell’Interno ha precisato che il permesso di soggiorno possa essere rilasciato per un periodo più lungo o che lo stesso possa essere rinnovato, tenendo in considerazione il grado di integrazione sociale del richiedente e la presenza di altri redditi in capo ai suoi familiari.
– privare l’appellante di un valido titolo di soggiorno, pur essendo questi pienamente inserito dal punto di vista lavorativo, si traduce in una palese violazione del diritto al rispetto della sua vita privata, come enunciato dall’art. 8 CEDU e alla luce della giurisprudenza della Corte europea, non apparendo né “necessario in una società democratica” per il raggiungimento di uno dei fini indicati, né comunque “proporzionato” al raggiungimento di questi.
6. L’Amministrazione non si è costituita in giudizio.
7. Con ordinanza n. 5092/2017 questa Sezione ha disposto istruttoria per acquisire la documentazione presentata nel procedimento dall’appellante.
L’incombente non è stato eseguito.
8. Il Collegio ritiene di poter definire la causa allo stato degli atti.
L’appellante risulta presente in Italia da undici anni, ha beneficiato dell’emersione ex art. 5 del d.lgs. 109/2012, vive con due fratelli.
Non è controverso che, anche nei suoi confronti, come di regola, il requisito reddituale debba essere oggetto di una valutazione non rigidamente ancorata al conseguimento nel pregresso periodo di validità del permesso di soggiorno di redditi non inferiori alla soglia prevista dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998, bensì comprensiva della capacità reddituale futura desumibile da nuove opportunità di lavoro, se formalmente e tempestivamente documentate (cfr., tra le tante, Cons. Stato, III, n. 2585/2017; n. 1971/2017; n. 843/2017).
8.1. Ciò premesso, quanto alla natura simulata del rapporto di lavoro, il TAR sembra aver tratto una conclusione che, a ben vedere, nel provvedimento di diniego è solo adombrata.
Peraltro, la documentazione acquisita al giudizio sembra dimostrare che la datrice di lavoro B.S., pur non avendo presentato una autonoma dichiarazione di redditi, è socia al 50% dell’impresa In. Bi. S.n. c di Ch. Mi. (il cui conto economico al 31 dicembre 2016 ha registrato un utile pari ad Euro 48.966,16; l’appellante afferma anche di essere entrato in possesso in possesso di copia della dichiarazione dei redditi della società), e da tale partecipazione può ragionevolmente presumersi che tragga il reddito per il proprio sostentamento e per far fronte ai costi di un rapporto di lavoro domestico.
E’ vero che tale circostanza è emersa compiutamente solo in appello, ma è altrettanto vero che nel corso del procedimento la Questura, al fine di valutare la sussistenza o meno dei requisiti per il rinnovo del permesso di soggiorno, non avrebbe dovuto limitarsi ad una verifica sul sistema informativo dell’INPS o dell’Agenzia delle Entrate, ma anche interloquire con lo straniero per consentirgli di rappresentare elementi concreti idonei ad accertare in concreto ed in modo approfondito la consistenza del presupposto.
In altri termini, trattandosi di acquisire elementi sui quali fondare una valutazione discrezionale, in un contesto che vede lo straniero in condizione di oggettiva debolezza sotto il profilo della conoscenza della disciplina fiscale e previdenziale italiana ed essendo plausibile che egli, come ha affermato in giudizio, non fosse inizialmente a conoscenza della precisa situazione economica e fiscale della propria datrice di lavoro, era onere dell’Amministrazione approfondire la situazione.
Così come era onere del TAR, in presenza di un principio di prova (in primo grado risultano versati in atti copia del conto economico e visura camerale della impresa della datrice di lavoro – allegato 17; così come alcuni versamenti contributivi effettuati dalla datrice di lavoro – allegato 8), disporre istruttoria per approfondire l’elemento potenzialmente dirimente.
Su tale aspetto sembra innegabile un difetto di istruttoria e motivazione.
8.2. Anche l’affermata irrilevanza dei redditi dei fratelli conviventi non è convincente.
L’appellante sottolinea che, oltre a D.K., anche l’altro fratello D.S. (del quale è stato depositato il CUD 2017 che espone un reddito di 18.915,55 euro) ha contestualmente sottoscritto un’omologa dichiarazione di disponibilità al suo sostentamento.
La delimitazione dell’ambito familiare ristretto rilevante ai fini del ricongiungimento familiare, ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. 286/1998, non è automaticamente sovrapponibile a quello rilevante ai fini della sussistenza del requisito reddituale.
Se i legami famigliari che giustificano l’ingresso in Italia sono delimitati dalla norma in modo restrittivo, sfugge la ratio per la quale, una volta che i famigliari si trovino (legittimamente) in Italia, e si trovino a condividere una comunità di vita, tale situazione non debba assumere rilevanza anche ai fini della valutazione di quel fondamentale requisito – volto ad evitare l’inserimento di soggetti che non siano in grado di offrire un’adeguata contropartita in termini di lavoro e di partecipazione fiscale alla spesa pubblica e a garantire che il cittadino extracomunitario non si dedichi ad attività illecite o criminose (cfr., tra le tante, Cons. Stato, III, n. 3349/2017; n. 1524/2017; n. 843/2017) – che è costituito dal possesso, pregresso o quanto meno ragionevolmente prevedibile, di un reddito superiore ad una determinata soglia minima.
La giurisprudenza di questo Consiglio ritiene che, se ai sensi dell’art. 29, comma 3, lett. b), ultimo periodo, del d.lgs. 286/98, “i fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente”, il sostegno economico di soggetti non familiari ed estranei all’obbligo alimentare non può essere considerato ai fini della dimostrazione del requisito reddituale, in quanto potrebbe cessare in qualsiasi momento (cfr. Cons. Stato, III, n. 1970/2017; n. 1524/2017).
E’ pur vero che un orientamento intende il termine di “familiari” utilizzato dalla citata norma come limitato a quelli (coniuge, genitori, figli) indicati nel comma 1 dello stesso art. 29 (cfr., Cons. Stato, III, n. 1107/2018; n. 2227/2016); tuttavia, rispetto alla mera contiguità delle disposizioni normative in esame, sembra più importante la circostanza che i fratelli siano contemplati tra i soggetti gravati dell’obbligo alimentare (art. 433, n. 6), e che “Tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario” (art. 439, primo comma), vale a dire per far fronte a situazioni di effettivo grave bisogno.
Sembra ragionevole ritenere che una simile situazione, trattandosi degli unici componenti della famiglia in Italia, sussistesse nel caso in esame, con riferimento al periodo rilevante ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno.
8.3. Deve dunque ritenersi che l’istruttoria in sede procedimentale in ordine al reddito reddituale (ed all’eventuale collegato aspetto della effettività del rapporto di lavoro allegato) non sia stata adeguata, e conseguentemente la motivazione insufficiente, e che detti profili di censura, ancorché fossero stati prospettati sulla base di (almeno) un principio di prova, non siano stati adeguatamente valutati in primo grado.
Quanto esposto è sufficiente per accogliere l’appello e, in riforma della sentenza appellata, accogliere il ricorso proposto in primo grado, annullando il diniego con esso impugnato.
Le ulteriori doglianze incentrate sulla spettanza di un permesso di soggiorno per attesa occupazione possono essere assorbite, in quanto sul punto è sì mancata una espressa pronuncia da parte del TAR, ma anche la relativa valutazione – effettivamente discrezionale, e non necessariamente condizionata dall’avvenuta “consumazione” del periodo annuale previsto dall’art. 22, comma 11, cit., che è un periodo minimo, prorogabile in base ad una considerazione complessiva della condotta e della situazione sociale e familiare dello straniero – non può che essere svolta dalla Questura in funzione della valutazione sulle prospettive reddituali (familiari, nel senso sopra precisato).
Ana discorso va fatto per la censura di violazione della CEDU, che assume in sostanza una portata rafforzativa delle tesi interpretative fatte valere con i precedenti motivi di impugnazione.
Così che, in sede di rinnovazione dell’esame della domanda di rinnovo, alla luce dell’intera documentazione ormai disponibile e di quella ulteriore che eventualmente verrà presentata dallo straniero, anche detti ultimi aspetti potranno essere motivatamente valutati dalla Questura di Genova.
9. Considerato lo sviluppo del procedimento e l’esito della vicenda processuale, si ravvisano i presupposti per disporre la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed annulla il diniego con esso impugnato.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore – Consigliere

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