Ai fini della sanzione di incandidabilità degli amministratori

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|15 febbraio 2021| n. 3857.

In tema di elezioni amministrative, ai fini della sanzione di incandidabilità degli amministratori di cui all’art. 143, comma 11, d.lgs. n. 267 del 2000, è sufficiente una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica ascrivibile ad una condotta anche soltanto omissiva, ove quest’ultima abbia costituito la causa o la concausa dello scioglimento dell’organo consiliare, potendo tale fattispecie realizzarsi quando si ometta di assumere, sia pure solo per colpa, le determinazioni utili per rimediare ad ingerenze esterne e pressioni inquinanti derivanti da associazioni criminali, quantunque ereditate da precedenti consiliature.

Ordinanza|15 febbraio 2021| n. 3857

Data udienza 2 dicembre 2020

Integrale

Tag/parola chiave: Elezioni regionali – Incandidabilità – Affine appartenente a cosca mafiosa – Scioglimento consiglio comunale – Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 143, comma 11 – Applicazione – Influenza dell’organo politico sulla definizione dei contratti pubblici

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 25404/2019 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
e sul ricorso successivo:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, del 15/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

FATTI DI CAUSA

1. – (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono con distinti atti rispettivamente per due mezzi e per un mezzo, nei confronti del Ministero dell’interno, contro il decreto del 15 luglio 2019 con cui la Corte d’appello di Reggio Calabria, provvedendo in riforma del decreto reso tra le parti dal Tribunale di Palmi, ha dichiarato l’incandidabilita’ del (OMISSIS) e del (OMISSIS) alle prime elezioni, destinate a svolgersi in Calabria, regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali successive al Decreto del Presidente della Repubblica di nomina della Commissione straordinaria per la gestione del comune di Gioia Tauro del 15 maggio 2017, regolando le spese di lite del doppio grado in applicazione del principio della soccombenza.
2. – Autorizzata l’acquisizione della relazione della Commissione d’indagine del 19 aprile 2017 presso il Comune di Gioia Tauro, la Corte territoriale, recependo gli argomenti svolti dal Ministero nell’atto di reclamo, ha tra l’altro osservato che da detta relazione emergeva:
-) che (OMISSIS), suocero del (OMISSIS), era considerato storico imprenditore di riferimento della cosca (OMISSIS) nel settore degli appalti di lavori pubblici edilizio-urbanistici, mentre (OMISSIS), fratello del predetto, era ritenuto partecipe di rango della stessa cosca; egualmente (OMISSIS), figlio di (OMISSIS) e cognato del (OMISSIS), era divenuto egli pure punto di riferimento della cosca, curando in particolare l’attivita’ volta al sistematico condizionamento delle gare d’appalto; (OMISSIS), figlio di (OMISSIS) e cugino del gia’ menzionato (OMISSIS), poi, era abile coadiutore degli zii e del cugino nella gestione ulteriore del gruppo con inframmettenza dei pubblici appalti;
-) che le liste riunite dell’allora candidato sindaco (OMISSIS) avevano ottenuto alle elezioni del 14 giugno 2015 il 57,16 dei suffragi e ben 11 dei candidati nelle dette liste risultavano portatori di biografie personali e familiari caratterizzate da collegamenti con la cosca (OMISSIS)- (OMISSIS); risultavano frequentazioni e rapporti solidi e certi tra il sindaco, il vicesindaco, un assessore, cinque consiglieri di maggioranza ed elementi a vario rango appartenenti o fiancheggiatori della cosca, tra i quali in particolare il primo degli eletti tra i consiglieri di maggioranza, che aveva avuto un ruolo particolarmente attivo nell’appoggio elettorale alle liste che sostenevano lo stesso (OMISSIS);
-) che in seguito all’elezione del giugno 2015, la compagine di maggioranza e di governo si era caratterizzata per un armonico intreccio con i soggetti gia’ in precedenza impegnati come amministratori con il sindaco (OMISSIS), in numero di otto, e quelli aventi rapporti familiari con precedenti amministratori, in numero di quattro, oltre ai cosiddetti “volti nuovi”, in numero di quattro, sicche’ ben 12 tra consiglieri amministratori, su un totale di 21 dell’amministrazione neoeletta potevano considerarsi a pesante rischio di condizionamento;
-) che non era contestabile che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, un periodo di oltre 16 mesi, quale quello intercorso dall’insediamento degli eletti, fosse oggettivamente ampio e piu’ che sufficiente a consentire plurime e ben progettate iniziative di indirizzo politico, ove volute, di contrasto all’illegalita’ mafiosa, sia sul piano della comunicazione di immagine, sia soprattutto della revisione e la rivisitazione delle prassi e dei regolamenti interni di funzionamento della pubblica amministrazione di riferimento, oltre che per la vigilanza e controllo sul suo quotidiano svolgimento, iniziative delle quali non risultava anche soltanto un fumus d’evidenza, come in un certo senso poteva desumersi anche dalla difesa del (OMISSIS);
-) non era esatta l’affermazione secondo cui, in via generale ed astratta, l’organo politico non potesse incidere sull’esecuzione dei rapporti contrattuali in essere, sia mediante il loro rigoroso controllo di regolarita’ sostanziale e formale ed esattezza degli adempimenti in corso dell’espletamento, sia attraverso le opportune o necessarie iniziative tutorie per l’interesse pubblico, dalla sospensione al recesso e all’unilaterale contestazione, anche in sede giudiziale;
-) a fronte degli argomenti sollevati dall’amministrazione reclamante, nulla in senso contrario le avversarie difese avevano offerto;
-) che il collegamento indiretto contemplato dall’articolo 143, comma 11 testo unico enti locali poteva essere integrato anche da un ruolo meramente passivo, quale la stessa decisione di candidarsi, necessariamente subordinata, dato l’ambiente, al gradimento e al fattivo appoggio dell’organizzazione criminale.
3. – L’amministrazione resiste con distinti controricorsi.
4. – Sono state depositate dai ricorrenti distinte memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso il medesimo decreto.
2. – Il ricorso (OMISSIS) contiene due motivi.
2.1. – Il primo mezzo e’ rubricato: “Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 111 Cost. nonche’ articoli 116, 135 e 737 c.p.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.
Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe assolto il proprio obbligo motivazionale in maniera soltanto apparente, lasciandolo dunque sostanzialmente inadempiuto, tanto piu’ che emergerebbe il mancato esame di fatti decisivi, ed altresi’ una valutazione soltanto parziale del materiale processuale disponibile.
In particolare sarebbe apparente la motivazione riferita ai rapporti di affinita’ del (OMISSIS) con esponenti del gruppo (OMISSIS), giacche’ essa si risolverebbe nell’affermazione di una presunzione, secondo cui l’affinita’ implica necessariamente condivisione di interessi; allo stesso modo sarebbe apodittica l’affermazione concernente il pagamento di fatture relative agli appalti in precedenza aggiudicati; sarebbe tautologica la motivazione relativa alla collocazione dell’ingegner (OMISSIS).
Per altro verso esso (OMISSIS) avrebbe allegato e dimostrato l’attuazione di attivita’ amministrative volte ad infrangere la situazione precedente.
2.2. – Il secondo mezzo denuncia violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 143, comma 11.
Si sostiene, in breve, che la Corte d’appello avrebbe formato il proprio convincimento di sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di cui al comma 11 citata disposizione utilizzando “il modulo disciplinare di cui al comma 1 medesimo articolo e, quindi, ravvisando la sussistenza di quegli elementi fattuali che danno luogo allo scioglimento del consiglio comunale per il potenziale, o attuale, condizionamento mafioso, ma che non sono bastevoli al fine di formulare un giudizio individualizzate di responsabilita’ dello scioglimento in capo a singoli amministratori”.
3. – L’unico articolato mezzo del ricorso (OMISSIS) denuncia violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 143, comma 11 in relazione all’articolo 107, comma 1 stesso Decreto Legislativo e dall’articolo 2697 c.c.
Si sostiene che l’unico addebito rivolto nei riguardi del (OMISSIS) consisterebbe nel non essersi attivato, nel periodo in cui rivestiva la carica di assessore ai lavori pubblici, per ripristinare la legalita’ violata dall’aggiudicazione di appalti, avvenuta nel periodo precedente all’espletamento dell’incarico, in favore di imprese collegate alla criminalita’ organizzata.
Si replica che il protrarsi degli effetti prodottisi per effetto della situazione pregressa, antecedente alla tornata elettorale nella quale egli era stato eletto, a cagione dei rapporti tra l’amministrazione e le “consorterie criminali”, non varrebbe a palesare la sussistenza di una individuale responsabilita’ in capo ad uno specifico amministratore: per l’applicazione dell’articolo 143, comma 11 testo unico enti locali, difatti, occorrerebbe la configurabilita’ di una personale individuata responsabilita’ nella realizzazione delle condotte tali da determinare lo scioglimento previsto dal comma 1 stessa disposizione. La disposizione, cioe’, richiederebbe “la paternita’ di atti e/o fatti specificamente connessi all’infiltrazione da parte delle consorterie criminali; atti e/o fatti che non possono essere ravvisate nella generica mancanza di iniziativa al fine di impedire l’infiltrazione medesima, posto che, altrimenti, e si apparirebbero espressivi di una sorta di responsabilita’ oggettiva degli amministratori, comuni a tutti coloro che sono stati in carica nel momento del riscontro della situazione di illegittimita’”.
Inoltre, la Corte territoriale aveva errato a trarre argomento, per i fini dell’addebito della sanzione di incandidabilita’, dal rilievo che esso (OMISSIS) non aveva offerto prove di segno contrario, giacche’ l’applicazione della norma in discorso “non sfugge al criterio generale di regolazione dell’onus probandi, fissato dall’articolo 2697 c.c., giusta il quale, in assenza di dimostrazione della condotta che abbia dato causa allo scioglimento, la proposta di incandidabilita’ va rigettata”.
Ed ancora, le omissioni addebitati dalla Corte territoriale travalicavano ampiamente i doveri dell’assessore comunale, avuto riguardo alla previsione dell’articolo 107 testo unico enti locali, il quale stabilisce che spettano agli organi di governo i poteri di indirizzo e di controllo politico amministrativo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria tecnica e’ attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri.
4. – Il Ministero ha formulato in entrambi i controricorsi eccezione di inammissibilita’ del ricorso per cassazione deducendo l’inidoneita’ al giudicato del provvedimento impugnato, preso nel quadro di applicazione degli articoli 737 c.p.c. e ss., richiamati dall’articolo 143, comma 11 testo unico enti locali, trattandosi di provvedimento sempre revocabili ai sensi dell’articolo 742 c.p.c..
L’eccezione e’ evidentemente infondata, dal momento che il decreto reso dalla Corte d’appello, in sede di reclamo avverso quello del Tribunale, si colloca all’esito di un procedimento di natura contenziosa ed incide indubbiamente su un diritto, quello di elettorato passivo, con efficacia di giudicato, tant’e’ che questa Corte si e’ gia’ numerose volte pronunciata su ricorsi concernenti appunto l’irrogazione della sanzione di incandidabilita’ (da ult. Cass. 3 luglio 2020, n. 16562).
5. Il ricorso (OMISSIS) va respinto.
5.1. – Il primo mezzo del ricorso (OMISSIS) e’ in parte infondato ed in parte inammissibile.
L’infondatezza concerne l’assunto del ricorrente secondo cui la decisione impugnata sarebbe assistita da una motivazione meramente apparente.
Questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare che, nel procedimento camerale di cui all’articolo 143, comma 11 testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, il Tribunale, chiamato a valutare, ai fini della dichiarazione di incandidabilita’, la sussistenza della responsabilita’ degli amministratori in ordine alle condotte che hanno dato causa allo scioglimento, puo’ senz’altro formare il proprio convincimento sulla base degli elementi gia’ contenuti nella proposta di scioglimento del Ministro dell’interno e nella relazione del prefetto, pur potendo prendere in esame risultanze probatorie ulteriori acquisite, nel contraddittorio tra le parti, nel corso del procedimento (Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2015, n. 1747).
Nel caso in esame, come si e’ poc’anzi rammentato, la Corte d’appello, avvalendosi della menzionata documentazione, dopo aver sottolineato gli intrecci ed i collegamenti familiari intercorsi tra il (OMISSIS) ed i menzionati ambienti di criminalita’ organizzata, ha recepito gli assunti svolti nei suoi riguardi dal reclamante Ministero secondo cui egli aveva nel complesso operato in continuita’ con le amministrazioni precedenti, gia’ destinatarie di provvedimenti di scioglimento per infiltrazioni mafiose, essendo emerso che avevano avuto luogo fino alla fine del (OMISSIS) affidamenti di appalti in numero di 14 su 22 a favore di soggetti gravitanti nel gruppo (OMISSIS); erano state liquidate fatture sebbene prive di regolarita’ contabile ed effettuati pagamenti privi di autorizzazione; non si era provveduto a neutralizzare l’ingegner (OMISSIS), descritto come “testa di ponte delle cosche per l’acquisizione degli appalti”, che anzi era stato spostato dal settore “Ambiente” a quello delicatissimo e nevralgico dei “Lavori pubblici”. Cio’ detto, e’ di tutta evidenza che la Corte territoriale non abbia semplicemente desunto la responsabilita’ del (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 143 testo unico enti locali, dalle sue relazioni di affinita’, cosi’ operando un’indebita inferenza presuntiva, ma abbia invece inquadrato entro l’ambito dei legami che lo ha astringevano ad ambienti legati alle cosche concreti comportamenti posti in essere nell’arco temporale in cui aveva esercitato il ruolo di sindaco.
Ed al riguardo occorre anzi aggiungere che la decisione della Corte di Catanzaro e’ in linea con il principio, che qui si enuncia, secondo cui, in ambienti caratterizzati da alto tasso di infiltrazione della cosa pubblica da parte della criminalita’ organizzata, il giudizio di responsabilita’, cui consegue la misura dell’incandidabilita’ degli amministratori, per le condotte che hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali, ai sensi dell’articolo 143, comma 11 in relazione al comma 1 cit. articolo del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, ben puo’ fondarsi sull’elemento gravemente indiziario, in mancanza di chiare prove di segno contrario, del vincolo derivante da relazioni di parentela, come di affinita’, dell’amministratore con una famiglia che esercita attivita’ economico-imprenditoriale con metodo malavitoso, in tal modo collocandosi in posizione di conflitto di interessi con altre imprese potenzialmente concorrenti sul mercato.
Nel nostro caso vi e’ stato lo scioglimento del consiglio; sono state individuate specifiche condotte addebitabili al ricorrente, tali da aver contribuito a determinare lo scioglimento; il ricorrente, autore di dette condotte, ha legami di affinita’ con esponenti gravitanti nell’area della criminalita’ organizzata; e tanto basta all’applicazione della misura dell’incandidabilita’.
Quanto infine alla assunto secondo cui la Corte d’appello avrebbe tralasciato di considerare fatti controversi e decisivi, il motivo e’ palesemente inammissibile, giacche’, lungi dall’attingere a circostanze di per se’ decisive, non considerate dal giudice di merito, pone in discussione il governo del materiale probatorio effettuato dalla Corte territoriale, governo che si sottrae al sindacato di legittimita’, tanto piu’ che, nel caso di specie, le circostanze addotte a difesa sono state nel decreto impugnato considerate, come emblematicamente e’ avvenuto per la vicenda (OMISSIS), che il (OMISSIS) ha invocato a propria difesa (avrebbe rimosso la funzionaria dall’incarico al quale era precedentemente addetta), e che invece la Corte territoriale ha inteso quale elemento a carico (il trasferimento era stato effettuato ad incarico ancor piu’ sensibile e tale da facilitare interventi favorevoli alle cosche).
5.2. – Il secondo motivo del ricorso (OMISSIS) e’ infondato.
In esso si sostiene in buona sostanza che la Corte territoriale avrebbe fatto scaturire la sanzione di incandidabilita’, a mo’ di automatismo, dal provvedimento ministeriale di scioglimento del consiglio.
Il che, se cosi’ fosse, certamente vizierebbe il provvedimento, avendo questa Corte gia’ avuto modo di ripetere che, adottato il provvedimento di scioglimento dell’amministrazione comunale, la dichiarazione d’incandidabilita’ degli amministratori non ne costituisce conseguenza automatica, ma ha carattere autonomo, essendo fondata su presupposti diversi, e segnatamente sull’accertamento della colpa degli amministratori per la cattiva gestione della cosa pubblica (Cass. 22 aprile 2020, n. 8030). E cioe’, il provvedimento di scioglimento richiede, ai sensi dell’articolo 143 citato, comma 1 che emergano concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalita’ organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare le conseguenze normativamente previste. Il successivo comma 11 medesima disposizione prevede la sanzione dell’incandidabilita’ degli “amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”. Occorre cioe’ che i concreti, univoci e rilevanti elementi siano addebitabili all’amministratore fatto segno alla sanzione di incandidabilita’.
Ma, nel caso in esame, si e’ gia’ visto che la Corte d’appello, lungi dal traslare automaticamente in capo al (OMISSIS) il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, ha debitamente vagliato la sua posizione, ritenendo che egli si fosse reso responsabile di condotte tali da favorire la permanenza di infiltrazioni di criminalita’ organizzata pur antecedenti alla sua elezione.
6. – Il ricorso (OMISSIS) e’ anch’esso in parte infondato ed in parte inammissibile.
Non c’e’ dubbio, e lo si e’ gia’ visto, che per l’irrogazione della sanzione di incandidabilita’ occorre la configurabilita’ di una personale individuata responsabilita’ nella realizzazione delle condotte tali da determinare lo scioglimento previsto dal citato articolo 143, comma 1. Perche’ scatti l’incandidabilita’ alle elezioni, rileva la responsabilita’ dell’amministratore nel grave stato di degrado amministrativo causa di scioglimento del consiglio comunale, e quindi e’ sufficiente che sussista, per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio (Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2015, n. 1747).
Orbene, non v’e’ dubbio che, come questa Corte ha gia’ chiarito, la responsabilita’ degli amministratori possa discendere da condotte non soltanto commissive, ma anche omissive, ove dette condotte abbiano dato causa allo scioglimento dell’organo consiliare o ne siano state una concausa (Cass. 31 gennaio 2019, n. 3024).
In continuita’ con detto orientamento occorre ora affermare il principio secondo cui il dar corso a cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio, puo’ realizzarsi anche unicamente omettendo di assumere, sia pure soltanto per colpa, quelle determinazioni utili a rimediare alla situazione di cattiva gestione, quantunque ereditata da precedenti conciliature.
Detto principio si giustifica per l’ovvia considerazione che le infiltrazioni mafiose contro le quali la norma si indirizza, ove tuttora in atto, hanno da essere debellate indipendentemente dal momento in cui si siano generate, e cioe’, sia se esse siano state secondate dal consiglio in essere, sia se siano insorte nel corso di una conciliatura precedente e non siano state estirpate nell’ambito di quella successiva.
Ergo, lo scioglimento ben puo’ essere disposto a causa di infiltrazioni precedentemente insorte, ove l’attuale consiglio, in presenza di collegamenti diretti o indiretti con la criminalita’ organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, non abbia provveduto a reciderle: e, dunque, non v’e’ dubbio che “amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento” non siano soltanto coloro i quali hanno favorito con condotte commissive i fenomeni di infiltrazione mafiosa che la norma intende contrastare, ma possono essere anche coloro i quali, a causa di condotte omissive, beninteso sempre in presenza dei detti collegamenti ovvero forme di condizionamento, non abbiano adottato le misure idonee a bonificare l’ambiente.
Nel caso in esame, dunque, non ricorre il vizio di violazione di legge per avere la Corte d’appello ritenuto che il (OMISSIS), nel quadro della complessiva situazione di osmosi constatata tra amministrazione e criminalita’ organizzata, dovesse essere ritenuto responsabile dello scioglimento del consiglio, e percio’ passibile di incandidabilita’, per essere egli rimasto, come recita il provvedimento impugnato, nel riassumere il punto di vista del ministero, in una situazione, in buona sostanza, di “colpevole inerzia assoluta”.
Quanto alla violazione dell’articolo 2697 c.c., il motivo sarebbe fondato, se davvero la Corte territoriale avesse addossato al (OMISSIS) l’onere della prova dell’insussistenza di responsabilita’ dello scioglimento del consiglio: ma, al di la’ del non felice inciso, secondo cui “nulla le avversarie difese hanno offerto in contrario avviso o rilievo”, il decreto impugnato ha semplicemente inteso dire che, offerti dal Ministero, sulla base della relazione, elementi sufficienti a ritenere la responsabilita’ del (OMISSIS), gli elementi offerti da quest’ultimo non valessero a neutralizzare quelli di segno contrario. Il che val quanto dire che la Corte d’appello ha addebitato al (OMISSIS) di non aver soddisfatto l’onere probatorio previsto dall’articolo 2697 c.c., comma 2 ossia l’onere probatorio che sul medesimo effettivamente gravava, a fronte, ovviamente, della prova, da parte dell’attore, del fatto costitutivo, nei termini di cui si e’ gia’ detto.
Fin qui il ricorso (OMISSIS) e’ infondato.
Esso e’ viceversa inammissibile laddove invoca l’articolo 107 testo unico enti locali, giacche’ omette di misurarsi con la ratio decidendi di cui si e’ precedentemente dato conto, secondo la quale “e’ inesatta l’affermazione secondo cui, in via generale ed astratta, l’organo politico non potesse incidere sull’esecuzione dei rapporti contrattuali in essere, sia mediante il loro rigoroso controllo di regolarita’ sostanziale e formale ed esattezza degli adempimenti in corso dell’espletamento, sia attraverso le opportune o necessarie iniziative tutorie per l’interesse pubblico, dalla sospensione al recesso e all’unilaterale contestazione, anche in sede giudiziale”.
E cioe’, il ricorrente si e’ limitato a riproporre la tesi gia’ precedentemente svolta, senza spiegare per quale ragione sarebbe errata, in diritto, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui, pur nel riparto di competenze stabilito dal citato articolo 107, l’amministratore avvalendosi dei suoi poteri, avrebbe potuto intervenire per porre fine alla situazione di infiltrazione che aveva condotto allo scioglimento del consiglio.
7. le spese seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta, condannando i ricorrenti al rimborso, in favore del Ministero controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimita’, liquidate, quanto ad ognuno di essi, in complessivi Euro 6.200,00 oltre alle spese prenotate a debito.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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