Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 settembre 2022| n. 26672.

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento il Giudice non è tenuto a prendere in considerazione contemporaneamente tutti i parametri dalla normativa divorzile, ma può prescindere da alcuni dando una adeguata motivazione circa le sue valutazioni; tale motivazione non è sindacabile in sede i legittimità.

Ordinanza|9 settembre 2022| n. 26672. Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

Data udienza 12 aprile 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Divorzio – Assegno – Criteri ex art. 5 comma 6 legge n. 898/70 – Stato grave di salute della coniuge – Impossibilità a procurarsi il sostentamento – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 13681/2018 promosso da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), con studio in (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale in calce alla memoria di costituzione datata 22/09/2021, ed elettivamente domiciliato all’indirizzo di posta elettronica (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 4564/2017 della Corte d’appello di Milano, depositata il 02/11/2017;
letti gli atti e i documenti di causa;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/04/2022 dalla Dott.ssa ELEONORA REGGIANI.

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza n. 1306/2016, pubblicata il 18/07/2016, dando atto dell’intervenuta pronuncia in corso di causa della cessazione degli effetti civili del matrimonio di (OMISSIS) e (OMISSIS), poneva a carico di quest’ultimo il pagamento di un assegno in favore della ex moglie di Euro 1.300,00 mensili, da rivalutarsi annualmente.
Avverso tale decisione (OMISSIS) proponeva appello, contestando la debenza dell’assegno divorzile.
La Corte di merito, con la sentenza in questa sede impugnata, nel contraddittorio delle parti, rigettava l’appello.
Avverso tale statuizione, (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’intimata non si e’ difesa con controricorso.
In corso di causa si e’ costituito un nuovo difensore per il ricorrente, in sostituzione di quello per primo nominato, il quale ha depositato anche memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso e’ dedotta la nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per non avere la Corte d’appello reso esplicita la ratio decidendi in riferimento ai motivi di appello formulati.
In particolare, il ricorrente ha dedotto che la Corte di merito, pur affermando di dover determinare la misura dell’assegno divorzile in base ai parametri forniti dalla L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, ha poi omesso di considerarli, ritenendo gli stessi irrilevanti, in ragione della malattia che affliggeva la ex moglie (infiammazione demielinizzante), cosi’ evitando di effettuare il doveroso bilanciamento tra gli indicatori indicati dalla norma e finendo per dare rilievo al solo divario di reddito tra i coniugi, senza nemmeno confrontare la qualita’ e la quantita’ dell’impegno e dell’apporto dato da ciascuno all’interno del rapporto matrimoniale, senza dare rilievo all’effettivo reddito lordo percepito dalla controparte (erroneamente indicato in Euro 9.456,00 lordi annui, invece che 7.248,00 lordi annui) e senza considerare che le spese sanitarie sono comunque direttamente a carico del servizio sanitario nazionale.

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

Con il secondo motivo di ricorso e’ dedotta la violazione della L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non avere la Corte d’appello preso in considerazione, ai fini della determinazione dell’importo dovuto a titolo di assegno divorzile, tutti i parametri indicati nella menzionata norma, da rapportare poi alla durata del matrimonio, soffermandosi solo sulle condizioni di salute della ex moglie, ritenendo gli altri irrilevanti.
Parte ricorrente ha affermato che, nella specie, il tetto massimo della misura dell’assegno era stato sicuramente superato, tenuto conto che l’importo attribuito a titolo di assegno divorzile si aggiungeva alla pensione percepita dalla ex moglie, determinando un reddito che finiva per superare la cifra di Euro 2.000,00 al mese, e considerato anche che la stessa godeva per intero della proprieta’ della casa familiare, di cui era divenuta proprietaria esclusiva, a seguito della cessione da parte del marito della quota di sua spettanza in adempimento degli accordi di separazione, senza che la stessa avesse dato alcun apporto consistente al matrimonio. Il ricorrente ha anche evidenziato che la statuizione andava a confliggere con le legittime sue aspettative, e cioe’ sulla possibilita’ di poter programmare di mettere al mondo dei figli (p. 10 del ricorso per cassazione).
Con il terzo motivo e’ dedotta la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere la Corte di appello omesso di statuire sulle spese di lite poste a carico del ricorrente nel giudizio di primo grado, ritenute eccessive e ingiustificate, tenuto conto che in pendenza del giudizio davanti al Tribunale il ricorrente aveva formulato una proposta transattiva, che comunque non era stata svolta attivita’ istruttoria, che la controparte aveva ottenuto un assegno in misura ridotta rispetto a quanto richiesto causa il ricorrente e che comunque il ricorso all’autorita’ giurisdizionale era necessaria per ottenere la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

2. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Com’e’ noto, in virtu’ della nuova formulazione dell’articolo 360 c.p.c. (introdotta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), conv. con modif. in L. n. 134 del 2012) non e’ piu’ consentita l’impugnazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) “per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma soltanto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimita’, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (cosi’ Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. ancora Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 e’ scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorieta’ e dell’illogicita’ manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U., n. 8053/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).
A tali principi si e’ uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimita’, la quale ha piu’ volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione dell’articolo 111 Cost., e articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), determina la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (cosi’ Cass., Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

Questa Corte ha, in particolare, evidenziato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” puo’ parlarsi laddove non siano percepibili le ragioni della decisione, perche’ vi sono argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, con conseguente impossibilita’ di effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del ragionamento del giudice, aggiungendo, poi, che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione anche quando il giudice ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del suo ragionamento (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 27411/2021).
Nel caso di specie, dalla semplice lettura del motivo di ricorso si evince con chiarezza che non e’ stata prospettata la assoluta carenza di motivazione della decisione sulla quantificazione dell’assegno divorzile o l’incomprensibilita’ della stessa, risultando semplicemente criticato il modo in cui i parametri di riferimento, enunciati dalla L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, sono stati valutati, attribuendo valore ad alcuni ed escludendo degli altri, per ragioni che dal ricorrente non sono state condivise.
La Corte di appello ha affermato che, in via generale, la quantificazione dell’assegno divorzile deve tenere conto dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, ma, nel caso di specie, in considerazione della particolare situazione di salute in cui versava la ex moglie, si doveva dare rilievo, in principalita’, al consistente divario reddituale esistente.
La stessa Corte ha, quindi, precisato quanto segue: “Dato che la sig.ra (OMISSIS) ha come introito l’esclusivo assegno pensionistico, parti ad Euro 7.248,00 lordi annui… o alla maggior somma di Euro 9.456,00, come allegato dall’appellante, certo e’ che, data la sua grave invalidita’, si trova in ogni caso nella condizione di non avere risorse sufficienti per far fronte alle sue necessita’ di vita condizionate dalla malattia. Al contrario il sig. (OMISSIS), magistrato del TAR dal 2008, percepisce un decoroso reddito annuale documentato in Euro 101.346,00 lordi annui…. Le parti sono sposate per 11 anni dal (OMISSIS) e gia’ dal (OMISSIS), con diagnosi del (OMISSIS), la sig.ra (OMISSIS) e’ afflitta dalla malattia, con un decorso nel tempo caratterizzato da ricadute che hanno compromesso i sistemi neurologici motori, cerebrali, sensitivi e sfinterici, con la conseguenza che i parametri collegati all’apporto di contributo personale ed economico alla conduzione della famiglia ed alla formazione del patrimonio personale o comune si presentano irrilevanti, cosi’ come non pertinente e’ l’elemento della ragione della decisione in quanto nel giudizio di separazione le parti hanno assunto accordi congiunti abbandonando le domande di addebito” (p. 6 della decisione impugnata).
E’ pertanto evidente che il giudice di appello di merito ha tenuto conto di tutti i parametri menzionati nella L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, attribuendo motivatamente rilievo ad alcuni e non ad altri.
D’altronde, questa Corte ha piu’ volte affermato che, nel quantificare l’assegno di divorzio, il giudice non e’ tenuto prendere in considerazione tutti, e contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dalla L. n. 898 del 1970, articolo 5, ma puo’ anche prescindere da alcuni di essi, dando adeguata giustificazione delle sue valutazioni, con una scelta discrezionale non sindacabile in sede di legittimita’ (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4091 del 20/02/2018).
Le argomentazioni contenute nella sentenza possono non essere condivise dalla parte soccombente, la quale tuttavia non puo’ fondatamente negare che la decisione, pur contestata, sia stata motivata.

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

3. Il secondo motivo e’ inammissibile.
Come appena evidenziato, nell’esame del precedente motivo di impugnazione, il giudice di merito ha tenuto conto degli indici forniti dal Decreto Legislativo n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, esternando le ragioni per le quali ha ritenuto di dover dare rilievo principalmente al criterio dato dal divario reddituale tra gli ex coniugi.
La censura, poi, nella parte in cui non si risolve nel richiamo a precedenti riguardanti, in generale, i criteri da adottare ai fini della quantificazione dell’assegno, si sostanzia nella deduzione della sostanziale eccessiva entita’ dell’importo liquidato a titolo di assegno divorzile, riconducibile ad una critica della valutazione di merito, insindacabile in questa sede.
4. Il terzo motivo e’ infondato.
Come di recente affermato da questa Corte, con orientamento qui condiviso, nel caso in cui, pur in mancanza di espresso esame del motivo di impugnazione relativo alle spese di lite del primo grado di giudizio, l’appello sia stato interamente rigettato nel merito, con condanna dell’appellante al pagamento integrale delle spese di lite anche del secondo grado, non ricorre l’ipotesi dell’omesso esame di un motivo di appello, ne’ quella del difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cd. “minuspetizione”), atteso che la condanna alle spese del secondo grado implica necessariamente il giudizio sulla correttezza di quella pronunciata dal primo giudice, sicche’ il motivo di gravame relativo a tale condanna deve intendersi implicitamente respinto, e assorbito, dalla generale pronuncia di integrale rigetto dell’impugnazione e piena conferma della sentenza di primo grado (cosi’ Sez. 3, Ordinanza n. 2830 del 05/02/2021).
5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
6. Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non essendosi l’intimata difesa on controricorso.
7. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
8. In applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso;
dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
da’ atto, in applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.

Ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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