Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 30 aprile 2020, n. 13446.
Massima estrapolata:
Ai fini della dichiarazione di abitualità ritenuta dal giudice, qualora le condanne definitive siano già sussistenti nel numero prescritto e per i reati previsti, qualsiasi comportamento o circostanza, che si aggiunga alle suddette condanne e riveli una precisa tendenza a delinquere, come una condanna non definitiva per altri reati, può essere assunta come elemento sintomatico della qualificata pericolosità sociale del soggetto, tale da giustificare la dichiarazione di abitualità nel delitto.
Sentenza 30 aprile 2020, n. 13446
Data udienza 26 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Procedimento penale – Misure di sicurezza – Presupposti – Delinquente abituale – Articolo 103 cp – Criteri – Motivazione del giudice di merito
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IASILLO Adriano – Presidente
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere
Dott. BINENTI Roberto – rel. Consigliere
Dott. MAGI Raffaello – Consigliere
Dott. ALIFFI Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 14/05/2019 del Tribunale di sorveglianza di Napoli;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Binenti;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TASSONE Kate, per la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di sorveglianza di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Napoli con il quale (OMISSIS) era stato dichiarato delinquente abituale, con la conseguente applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di lavoro per la durata minima di anni due.
2. Propone ricorso per cassazione (OMISSIS), muovendo doglianze affidate a due motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizi della motivazione.
Rileva che sono state considerate, ai fini dell’individuazione dei presupposti per applicare la misura, sentenze di condanna soggette a impugnazione senza neppure tenere conto della qualificazione, in appello, dell’addebito del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, ai sensi del comma 5 dello stesso articolo.
I Giudici di merito, inoltre, non hanno svolto alcuna valutazione in ordine al significato dei precedenti penali, pur riguardando essi fatti risalenti nel tempo.
Ne’ si e’ considerato il successivo positivo comportamento in carcere.
E’ cosi’ mancata un’effettiva verifica dei presupposti del provvedimento alla stregua dei principi fissati in materia dalla giurisprudenza di legittimita’.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla determinazione della durata e alla scelta della misura, non avendo ricevuto alcuna risposta le doglianze difensive al riguardo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
2. Come e’ stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, in materia di dichiarazione di abitualita’ ritenuta dal giudice ai sensi dell’articolo 103 c.p., qualora le condanne definitive siano gia’ sussistenti nel numero prescritto e per i reati previsti, qualsiasi comportamento o circostanza, che si aggiunga alle suddette condanne e riveli una precisa tendenza a delinquere, come ad esempio un’altra condanna ancora non definitiva per altri reati ritenuti significativi, puo’ essere assunta come elemento sintomatico della qualificata pericolosita’ sociale del soggetto, tale da giustificare la dichiarazione di abitualita’ nel delitto (Sez. 4, n. 10298 del 09/01/2009, Rv. 244411, Sez. 4, n. 49325 del 06/10/2004, Rv. 230401; Sez. 1, n. 22505 del 26/04/2002, Rv. 222454).
3. A tale iter valutativo si sono uniformati nella specie i giudici di merito.
Il provvedimento impugnato ha adottato una motivazione conforme a quella del Magistrato di sorveglianza che aveva anzitutto illustrato l’esistenza dei presupposti di cui all’articolo 103 c.p. – sotto il profilo delle pregresse condanne definitive – ai fini della dichiarazione di abitualita’ seguita dall’applicazione della misura di sicurezza, a fronte dell’apprezzamento dell’attualita’ della pericolosita’.
Fra le suddette condanne, intervenute con sentenza irrevocabile, veniva posta in risalto, in particolare, quella per i reati di rapina e sequestro di persona riferibili a condotte in danno di autotrasportatori, che seppure risalenti al (OMISSIS) potevano ancora assumere specifico significato stante le ulteriori valutazioni.
La linea di continuita’ nel tempo delle descritte manifestazioni di oggettivo allarme, nonostante le carcerazioni, restava comunque tracciata nelle decisioni di primo e secondo grado, richiamandosi altresi’ – oltre il carico pendente per il reato di ricettazione e la denunzia per quelli di associazione mafiosa ed estorsione nel (OMISSIS) – lo specifico significato nelle valutazioni da compiere di nuove evidenza fattuali considerate affidabile in quanto gia’ asseverate dal vaglio in sede cautelare e del giudizio di primo grado, se non anche di secondo grado.
A questo riguardo, considerata l’epoca dei comportamenti in grado di confermare la continuita’ dell’agire antisociale di (OMISSIS), si apprezzavano, sempre a conferma della pericolosita’ e della sua attualita’, le condotte, in forma continuata, di tentata estorsione aggravata ai sensi della L. n. 203 del 1991, articolo 7, nonche’ quelle piu’ recenti, separatamente giudicate, relative alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, per le quali era in corso la misura cautelare.
A tali emergenze si ricollegavano le informative dei Carabinieri del 16 aprile 2018 che ponevano in evidenza come (OMISSIS), unitamente al figlio (OMISSIS), fosse risultato inserito nel contesto camorristico del clan del (OMISSIS).
Oltre a cio’, si aggiungeva che, con provvedimento del 7 giugno 2018, era stato disposto l’aggravamento della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS), tramite sostituzione con la custodia in carcere.
Da tutto quanto sopra derivava il convincimento, plausibilmente espresso, in ordine all’allarmante sintomaticita’ dell’intero comportamento e del genere di vita ancora manifestato da (OMISSIS), in raccordo – secondo le piu’ ampie rappresentazioni gia’ svolte in primo grado – con le condanne irrevocabili e, in particolare, con quella citata per i gravi delitti di rapina e sequestro di persona.
Su tali ragionamenti, da rapportare ai compositi parametri valutativi di cui articolo 133, comma 2, come richiamato sia dall’articolo 103, che dall’articolo 203 cod. pen. od. pen., si fondavano, oltre che la dichiarazione d’abitualita’, il giudizio di pericolosita’ sociale in termini di attualita’ e pertanto l’adozione della misura di sicurezza, individuata dai giudici di merito in quella della casa di lavoro per anni due, anche in considerazione, secondo quanto specificatamente esposto gia’ dal Magistrato di sorveglianza, della circostanza che (OMISSIS) non aveva mostrato di cambiare regime di vita neppure dopo le recenti misure meno afflittive applicate.
3. Le doglianze esposte nel primo motivo mostrano di appuntarsi in definitiva sulla verifica in concreto della pericolosita’ in termini di attualita’. Esse, anzitutto, si concentrano sull’assunto secondo cui nel procedimento davanti ai giudici di sorveglianza non potrebbero essere autonomamente considerati fatti ancora non accreditati dal vaglio definitivo del giudice penale. Tale tesi risulta manifestamente infondata non solo tenuto conto della giurisprudenza gia’ citata, ma anche in considerazione della diversita’ funzionale degli apprezzamenti nei due procedimenti (fra l’altre, Sez. 1, n. 2380 del 11/10/2018, dep. 2019, Rv. 274870). Sicche’, sicuramente legittime risultano le complessive valutazioni, quanto all’aspetto dell’accertamento della pericolosita’ in termini attuali, fondate anche sulla considerazione delle nuove e piu’ recenti condotte delittuose per le quali non e’ stata definitivamente affermata la responsabilita’ in sede penale.
Ne’ vengono spiegate le ragioni per cui i provvedimenti giudiziari anche in avanzato stato nei relativi procedimenti penali, come richiamati dai Giudici della sorveglianza, non dovrebbero rappresentare la corretta verifica dei fatti citati.
Diversamente da quanto per il resto si obietta, gli apprezzamenti come svolti in proposito dal Tribunale e ancor prima dal Magistrato di sorveglianza, vengono nel complesso a rappresentare i termini di un adeguato confronto con convergenti indicatori, avuto riguardo alla continuita’ delle nuove condotte che si aggiungono ai gravi reati giudicati e alle altre conformi informazioni, nel senso del riscontro di una radicata pericolosita’ ragionevolmente ancora attuale.
Ne’ in direzione contraria possono valere le asserzioni sulla diversa definizione giuridica dell’addebito del traffico di droga che sarebbe intervenuta in appello nel relativo procedimento penale dopo la decisione qui impugnata.
Le altre censure, oltre a non mettere a fuoco l’intero quadro della detta valutazione delle condotte e concentrarsi solo sulla data delle condanne, fanno genericamente e assertivamente cenno a giudizi espressi in una relazione UEPE, mentre, reiterando le deduzioni sull’attivita’ lavorativa, continuano a non rapportarsi con le risposte a tal riguardo gia’ rappresentate dal Magistrato di sorveglianza che avevano evidenziato il ripetersi dei reati nello stesso periodo.
Alla stregua di tutte le considerazioni che precedono, deve concludersi che il motivo pone rilievi o manifestamente infondati o aspecifici, rimanendo essi privi di un adeguato confronto con le motivazioni di merito, cosicche’ nessuna delle censure puo’ assumere l’attitudine a dimostrare i vizi cosi’ come denunciati.
4. Alle stesse conclusioni deve pervenirsi con riguardo al secondo motivo.
Va infatti rilevato che, a fronte di apprezzamenti svolti nel provvedimento di primo grado riferibili anche al genere di misura adottata, nell’atto di appello ci si e’ limitati a fare cenno in proposito soltanto all’inoltro della richiesta in subordine.
Sicche’, mancando allora specifiche deduzioni, il ricorrente non puo’ lamentare ora la carenza di mirate risposte sul punto da parte dei giudici di appello, continuando peraltro genericamente a invocare piu’ favorevoli decisioni.
Tanto senza neppure considerare l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui la previsione dell’articolo 216 c.p., n. 1, individua unicamente l’applicazione della casa di lavoro come effetto della dichiarazione di abitualita’ (Sez 1, n. 14014 del 09/03/2011, Rv. 249866; Sez. 1, del 25/11/2009, n. 2299. Rv. 245971).
5. Dalla dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, considerati i profili di colpa, della somma determinata in Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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