Ai fini del divieto di detenzione delle armi, non occorre che vi sia stato un oggettivo e accertato abuso di queste

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 30 agosto 2018, n. 4621.

La massima estrapolata:

Ai fini del divieto di detenzione delle armi, non occorre che vi sia stato un oggettivo e accertato abuso di queste, essendo sufficiente che il soggetto abbia dato prova di non essere del tutto affidabile quanto al loro uso, anche per non avere posto in essere le cautele necessarie per la loro custodia. In tal caso, il provvedimento inibitorio non richiede una particolare motivazione, in relazione alle funzioni discrezionali commesse dalla legge alla P.A., se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie.

Sentenza 30 agosto 2018, n. 4621

Data udienza 19 luglio 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale

Sezione Terza

ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1974 del 2014, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Lu. Ba., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);
contro
U.T.G. – Prefettura di Livorno e Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso la stessa domiciliati ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Seconda n. -OMISSIS-, resa tra le parti e depositata in data 11 luglio 2013, non notificata, con la quale era respinto il ricorso per l’annullamento del decreto della Prefettura di Livorno, Ufficio territoriale del Governo prot. n. -OMISSIS-del 21 febbraio 2013, con cui era disposta la revoca del porto di pistola per difesa personale ed era fatto divieto di detenere armi ai sensi dell’art. 39 T.u.l.p.s. ed ingiunto di cedere le armi in possesso a persona non convivente entro centoventi giorni dalla notifica dello stesso, avvenuta in data 25 marzo 2013; nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o connesso;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’U.T.G. – Prefettura di Livorno e del Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti l’Avvocato Ga. Pa. su delega dell’Avvocato Lu. Ba. e l’Avvocato dello Stato Ti. Va.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I – Con il ricorso in appello indicato in epigrafe, -OMISSIS-, medico legale, espone di aver subito nel 2012 una rapina a mano armata presso la sua abitazione, da parte di più persone travisate, nel corso della quale lo stesso ed i suoi familiari erano vittima di varie lesioni (come documentato in primo grado). In occasione della predetta rapina gli erano state sottratte la pistola che deteneva presso l’abitazione e quella che portava con sé, essendo appena rientrato dal poligono di tiro. Riferiva che la pistola, lasciata a casa, era custodita in posto non visibile e non facilmente accessibile e che l’abitazione era protetta da una sistema di allarme perimetrale e con videosorveglianza. Tuttavia, era emanato il decreto di revoca di porto di pistola ed era disposto il divieto di detenzione di armi, poiché lo stesso era deferito per il reato di omessa custodia di armi, nonché per la mancata comunicazione di cambio di detenzione da via -OMISSIS-
Con la sentenza appellata, il giudice di primo grado respingeva il ricorso per l’annullamento del provvedimento censurato.
Il Tribunale riteneva infondato il primo motivo di ricorso, con cui era dedotta la violazione dell’art. 7, l. n. 241 del 1990, sulla base della considerazione che i provvedimenti in materia di detenzione armi sono caratterizzati dall’urgenza di tutelare l’incolumità pubblica e respingeva, altresì, il secondo motivo teso a contestare la carenza di motivazione e la violazione degli artt. 10, 11 e 39, r.d. n. 773 del 1931, l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, l’errore nei presupposti e la manifesta irragionevolezza, stante la discrezionalità dell’Amministrazione di p.s. nella valutazione dell’affidabilità del soggetto nel far buono uso delle armi.
Deduce ora l’appellante l’erroneità della sentenza di prime cure per i seguenti motivi:
1 – l’urgenza qualificata, che, ai sensi dell’art. 7, l. n. 241 del 1990, consente all’Amministrazione di derogare all’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento non può che riguardare il singolo procedimento e trovare giustificazione nelle esigenze proprie e peculiari dello stesso; peraltro, proprio la particolare discrezionalità che caratterizza la valutazione nel caso che occupa, richiederebbe una rafforzata tutela delle garanzie partecipative e l’obbligo di motivazione; l’Amministrazione non avrebbe dato la possibilità all’interessato di far valere le circostanze eccezionali in cui erano state sottratte le armi e non avrebbe, pertanto, motivato in ordine all’eventuale irrilevanza dell’apporto partecipativo dello stesso;
2 – violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la sentenza non si sarebbe pronunziata sulla carenza di motivazione in ordine all’attuale e concreta pericolosità della detenzione, limitandosi a fare riferimento al la mancata ripetizione della denunzia delle armi ed all’omessa custodia.
Si è costituita l’Amministrazione per resistere, con memoria di mero rito.
L’istante ha, peraltro precisato di aver ceduto le armi in suo possesso e quelle acquistate n data 5 febbraio 2013 presso -OMISSIS- La sentenza di prime cure non è stat sospesa.
All’udienza del 19 luglio 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.
II – Osserva il Collegio che, quanto alla censura della erroneità della pronunzia di prime cure sull’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca, appare sufficiente richiamare la costante giurisprudenza di questo Consiglio – dalla quale non vi è motivo di discostarsi – che afferma che non sussiste l’obbligo di preventiva comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della l. 241/1990 nel caso in cui l’urgenza, che consenta tale omissione, è rinvenibile ex se nel pericolo di compromissione dell’ordine pubblico, rappresentato dalle circostanze prese a presupposto per l’emanazione della misura di sicurezza pubblica quale è, appunto, il divieto di porto d’armi ai sensi dell’art. 39 T.U.L.P.S. (Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 2007, n. 509).
III – Deve, dunque, procedersi ad esaminare la censura relativa all’asserita omessa pronunzia da parte del primo giudice sull’obbligo di motivazione del provvedimento, come dedotta in primo grado.
In vero, deve rilevarsi che il giudice si è espresso sul punto, ritenendo sufficiente le premesse del provvedimento impugnato alla luce della particolare discrezionalità dell’Amministrazione nella assunzione della determinazione per cui è causa.
Orbene, l’art. 10 del R.D. n. 737/1931 (T.u.l.p.s.) prevede che “le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata” e l’art. 11 del medesimo t.u. dispone che “le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione”.
La giurisprudenza di questo Consiglio, nell’interpretare la normativa, ha seguito una linea particolarmente rigorosa ed ha statuito che, ai fini del divieto di detenzione delle armi, non occorre che vi sia stato un oggettivo e accertato abuso di queste, essendo sufficiente che il soggetto abbia dato prova di non essere del tutto affidabile quanto al loro uso, anche per non avere posto in essere le cautele necessarie per la loro custodia. In tal caso, il provvedimento inibitorio non richiede una particolare motivazione, in relazione alle funzioni discrezionali commesse dalla legge alla P.A., se non negli ovvi limiti della sussistenza dei presupposti idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate non siano irrazionali o arbitrarie (Consiglio di Stato sez. III,13 aprile 2011, n. 2294).
Seppure in alcune occasioni si è evidenziata la necessità che nel provvedimento fosse comunque evidente una valutazione della personalità del soggetto e dei suoi specifici comportamenti riguardo la custodia delle armi, al fine di ritenere sussistente il presupposto normativo dell'”l’abuso” (in tale senso, questa Sezione, n. 6189/2014).
Nel caso in esame, l’omessa denuncia del trasferimento delle armi, come tale, denota un comportamento superficiale di per sé indicativo di scarsa affidabilità nella custodia delle stesse, come tale sufficiente a legittimare l’imposizione del divieto ex art. 39 del TULPS (cfr. in terminis, questa Sezione, n. 4334/2017).
La decisione dell’Amministrazione risulta, dunque, esente dai vizi di eccesso di potere e di difetto di motivazione, mentre è, al contrario, corrispondente ai canoni della ragionevolezza, in considerazione degli elementi assunti a fondamento della valutazione ampiamente discrezionale dell’Amministrazione di p.s., come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure.
In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto e, per l’effetto, deve essere conferma la sentenza n. -OMISSIS- appellata.
Le spese del grado, tuttavia, possono essere integralmente compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto, conferma la sentenza n. -OMISSIS-.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante e la sua abitazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
Ezio Fedullo – Consigliere

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