Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|14 gennaio 2021| n. 472.
L’acquiescenza alla sentenza impugnata, con conseguente sopravvenuta carenza d’interesse della parte all’impugnazione proposta, consiste nell’accettazione della decisione, e quindi nella manifestazione di volontà del soccombente di rinunciare a tale impugnazione, la quale può avvenire in forma espressa o tacita, potendo, tuttavia, in quest’ultimo caso ritenersi sussistente solo qualora l’interessato abbia posto in essere atti dai quali emerga, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioè quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell’impugnazione (Nella fattispecie, accogliendo il ricorso di un lavoratore del settore bancario, la Suprema Corte, in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato con rinvio la decisione gravata con la quale la corte distrettuale aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto nei confronti del datore di lavoro per acquiescenza alla sentenza di primo grado; quest’ultima, pronunciando sull’opposizione a precetto proposta dal datore medesimo, aveva annullato la transazione intervenuta tra le parti in occasione della cessazione del rapporto di lavoro e dichiarato l’inesistenza del diritto del ricorrente a procedere ad esecuzione forzata; a giudizio della Corte, le vie giudiziarie intraprese dal ricorrente non sono tuttavia, tra loro, né logicamente, né giuridicamente incompatibili: infatti, il lavoratore, all’esito della pronuncia resa in prime cure e con riserva di impugnazione della medesima, aveva adito altro foro per la ricostituzione del rapporto di lavoro, quale supposto effetto del venir meno dell’accordo risolutivo; in tal modo, specifica il giudice di legittimità, a differenza della valutazione operata dalla corte d’appello, incline ad interpretare l’azione intrapresa presso altro giudice quale volontà di accettare totalmente la sentenza di annullamento della conciliazione con consequenziale acquiescenza preclusiva del gravame ex art. 329 cod. proc. civ., il ricorrente, senza esprimere incondizionata accettazione del “decisum”, aveva manifestato solo un interesse, giuridicamente rilevante, alternativo a quello principale, coltivato attraverso l’impugnazione, di accertamento di validità dell’accordo transattivo).
Ordinanza|14 gennaio 2021| n. 472
Data udienza 10 novembre 2020
Integrale
Tag/parola chiave: Sentenza di primo grado – Acquiescenza – Interesse ad impugnare – Esclusione – Comportamento da cui emerge il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia – Comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi dell’impugnazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18584-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 218/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 01/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.
RILEVATO
CHE:
la Corte di appello di Firenze ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) Spa (di seguito (OMISSIS) o Banca) per acquiescenza alla sentenza di primo grado che, pronunciando sull’opposizione a precetto di (OMISSIS), aveva annullato la transazione intervenuta tra le parti in occasione della cessazione del rapporto di lavoro e dichiarato l’inesistenza del diritto di (OMISSIS) a procedere ad esecuzione forzata nei confronti della Banca;
ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), con un motivo;
ha resistito, con controricorso, (OMISSIS);
la proposta del relatore e’ stata ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
CHE:
con un unico motivo – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – e’ dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 329 c.p.c.; la censura investe la decisione di inammissibilita’ dell’appello per tacita acquiescenza;
e’ opportuna una sintetica ricostruzione dei fatti di causa:
– (OMISSIS) ha intimato licenziamento per giustificato motivo oggettivo al ricorrente;
– le parti hanno sottoscritto un accordo con cui hanno convenuto la risoluzione consensuale del rapporto, a fronte di un incentivo all’esodo di Euro 285.000,00; pagata la prima tranche, la Banca ha cessato l’erogazione dei pagamenti; a base della determinazione, vi e’ stata la sopraggiunta conoscenza, da parte di (OMISSIS), di condotte di rilevanza penale del lavoratore, oggetto di procedimenti in sede penale;
– con atto di notifica di titolo esecutivo e contestuale precetto, (OMISSIS) ha intimato alla Banca il pagamento di Euro 121.065,68, a saldo di quanto pattuito con il precedente accordo;
– (OMISSIS) ha proposto opposizione a precetto con richiesta di “annullamento del verbale di conciliazione” per errore di fatto e/o dolo. La domanda e’ stata accolta dal Tribunale di Siena, con pronuncia del 21 ottobre 2016;
– all’esito della statuizione del Tribunale di Siena, (OMISSIS) ha agito sia dinanzi al Tribunale di Milano (con ricorso del 21.12.2016 respinto con sentenza del 7.3.2017) per la ricostituzione del rapporto di lavoro, sia dinanzi alla Corte di appello di Firenze (con ricorso del 12 aprile 2017, definito con la sentenza qui impugnata) per ottenere la riforma della decisione di primo grado;
– per la Corte di appello di Firenze, l’azione dinanzi al Tribunale di Milano ha reso manifesta la volonta’ di accettare totalmente la sentenza di annullamento della conciliazione;
osserva il Collegio che, nella descritta condotta processuale, non sia, invece, configurabile alcuna ipotesi di acquiescenza, nel senso conosciuto dal codice di rito e reso vivo dalla giurisprudenza;
dall’esame degli atti (debitamente trascritti in ricorso e puntualmente localizzati dalla parte), possibile per la natura del vizio denunciato, emerge che, con il ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, (OMISSIS) “riservandosi ogni piu’ ampia possibilita’ di promuovere ricorso in appello avverso la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Siena” agiva, nelle more, per la ricostituzione del rapporto di lavoro;
la stessa (OMISSIS) (v. pag. 13 del ricorso in cassazione), nella memoria di costituzione dinanzi al Tribunale di Milano, deduceva che erano “attualmente pendenti i termini per l’appello della predetta sentenza (id est: della sentenza del Tribunale di Siena dichiarativa della invalidita’ dell’accordo transattivo) che il sig. (OMISSIS) con il suo legale si (era) riservato di proporre (…)”;
per giurisprudenza costante, l’acquiescenza alla sentenza impugnata, con conseguente sopravvenuta carenza d’interesse della parte all’impugnazione proposta, consiste nell’accettazione della decisione, e quindi nella manifestazione di volonta’ del soccombente di rinunciare a tale impugnazione, la quale puo’ avvenire in forma espressa o tacita, potendo, tuttavia, in quest’ultimo caso ritenersi sussistente solo qualora l’interessato abbia posto in essere atti dai quali emerga, in maniera precisa ed univoca, il suo proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, e cioe’ quando gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volonta’ di avvalersi dell’impugnazione (Cass., sez. un., n. 9687 del 2013; tra le pronunce delle sezioni semplici, ex plurimis, Cass. n. 4650 del 2006; Cass. n. 13 del 2007; Cass. n. 23482 del 2010; Cass. n. 13293 del 2014);
nel caso in esame, le vie giudiziarie intraprese dal (OMISSIS) non sono, tra loro, ne’ logicamente, ne’ giuridicamente incompatibili: il lavoratore, all’esito della pronuncia del Tribunale di Siena e con riserva di impugnazione della decisione medesima, ha agito per la ricostituzione del rapporto di lavoro, quale supposto effetto del venir meno dell’accordo risolutivo del rapporto e di incentivo all’esodo. In tal modo, senza esprimere incondizionata accettazione del decisum, ha piuttosto manifestato solo un interesse, giuridicamente rilevante, alternativo a quello principale – coltivato attraverso l’impugnazione – di accertamento di validita’ del contratto transattivo;
deve, dunque, escludersi che vi sia stata acquiescenza preclusiva dell’impugnazione ai sensi dell’articolo 329 c.p.c.. Ogni preoccupazione, evidenziata dalla parte controricorrente, di un possibile contrasto di giudicati sara’ scongiurata dai rimedi, a tal fine, apprestati dall’ordinamento processuale;
la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Firenze che, in diversa composizione, procedera’ al riesame della fattispecie concreta, facendo applicazione degli esposti principi.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimita’.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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