Corte di Cassazione, sezione tributaria, Ordinanza 8 maggio 2019, n. 12104.
La massima estrapolata:
Nell’ambito dell’accertamento induttivo dei redditi di impresa – disciplinato dall’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973 e fondato sulla base della verifica delle scritture e delle registrazioni contabili – l’atto di rettifica, qualora risulti sufficientemente motivato dall’Ufficio mediante la specificazione degli indicatori di inattendibilità dei dati correlati ad alcune poste di bilancio e dimostrata la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori nel senso che, l’Ufficio, null’altro è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di comprovare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, non essendo sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili. In ogni caso, in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d) del Dpr 600/1973, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa.
Ordinanza 8 maggio 2019, n. 12104
Data udienza 18 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16232-2012 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
DIREZIONE PROVINCIALE I DI MILANO in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 129/2011 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 29/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere Dott. ANDRONIO ALESSANDRO.
RITENUTO IN FATTO
1. – La CTP di Milano ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso un avviso di accertamento per l’anno 2004, relativamente a Irpef, addizionale regionale, Iva, contributi previdenziali, per Euro 62.081,00, oltre sanzioni e interessi, e ha condannato il contribuente alla rifusione delle spese di controparte.
2. – Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello lo stesso contribuente, lamentando: a) vizi della motivazione della sentenza impugnata; b) illegittimita’ dell’avviso di accertamento, per violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), e del Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 62-sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993; c) carenza di motivazione in relazione all’effettiva realta’ economica del contribuente e alla mancata indicazione da parte dell’Ufficio delle ragioni che lo hanno indotto a non prendere in considerazione le giustificazioni addotte dallo stesso contribuente; d) illegittimita’ della condanna alle spese.
3. – La CTR di Milano ha rigettato l’appello, rilevando che l’accertamento e’ stato emesso, non solo sulla base dello scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi derivanti dagli studi di settore, ma anche sulla base di ulteriori elementi e circostanze.
4. – La sentenza di secondo grado e’ stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione, lamentando, con unico motivo di doglianza, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), e del Decreto Legge n. 331 del 1993, articolo 62-sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993. Il ricorrente premette che lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli stimati dallo studio di settore era inferiore al 15% e contesta gli elementi valorizzati dalla CTR per ritenere legittimo l’avviso di accertamento. In particolare, quanto alla ritenuta incongruenza dei ricavi reiterata nel tempo, la stessa non sarebbe sussistente perche’ il contribuente aveva dichiarato nel 2005 nel 2006 ricavi in linea con quelli individuati negli studi di settore. Inoltre, gli studi di settore utilizzati sarebbero stati suffragati semplicemente da altri studi di settore, mentre il rapporto tra ricavi e costi sarebbe stato costante tra le annualita’ 2003 e 2004. E non si sarebbe considerato che, in questo ultimo anno, era stata sostenuta una spesa di Euro 3.791,00 per previdenza complementare; spesa consentita dal reddito complessivo della famiglia, considerando anche il reddito della moglie del contribuente.
5. – L’amministrazione finanziaria si e’ costituita in giudizio con controricorso, aderendo alle argomentazioni della sentenza impugnata e chiedendo il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
6. – Il ricorso e’ infondato.
Il ricorrente non deduce violazioni di legge o vizi della motivazione riconducibili alle categorie di cui all’articolo 360 c.p.p., limitandosi a formulare generiche asserzioni circa l’erronea considerazione degli studi di settore e la mancata analisi della contabilita’ della ditta e proponendo ipotesi ricostruttive alternative basate su mere asserzioni, senza precisare – neanche in via di mera prospettazione – quale sia la documentazione contabile la cui analisi avrebbe portato a quantificare in termini diversi i ricavi e i costi. E deve ricordarsi, in punto di diritto, che, in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 1, lettera d), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilita’ dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneita’ a rappresentare una capacita’ contributiva non dichiarata, e’ assistito da presunzione di legittimita’ circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio e’ tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte; mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarita’ delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicita’ delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarita’ delle annotazioni contabili (ex plurimis, Sez. 5, Ord. n. 25257 del 25/10/2017, Rv. 645975 – 01); Sez. 5, n. 14068 del 20/06/2014, Rv. 631527 – 01). In ogni caso, in tema di accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, comma 1, lettera d), il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale puo’ fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purche’ grave e precisa (ex multis, Sez. 5, Ord. n. 30803 del 22/12/2017, Rv. 646681 – 01).
Tali principi sono stati correttamente applicati nel caso di specie, perche’ la CTR ha evidenziato che anche i ricavi dichiarati nei periodi di imposta antecedenti e successivi a quello in considerazione sono risultati inferiori a quelli stimati dagli studi di settore, unitamente ad anomalie che hanno evidenziato l’inattendibilita’ dei dati sulla gestione aziendale dichiarati (con particolare riferimento ai ricarichi non congrui), in mancanza gli elementi di segno contrario forniti dal contribuente; come del tutto inidoneo a giustificare le spese asseritamente sostenute e’ il reddito della moglie dello stesso contribuente.
7. – Il ricorso deve essere dunque rigettato, con condanna del ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controparte, da liquidarsi in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute nel grado dalla controparte, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
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