Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

Consiglio di Stato, Sentenza|25 marzo 2022| n. 2171.

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati.

Secondo il Consiglio di Stato quando si è in presenza di manufatti abusivi, non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria. Ne consegue l’impossibilità della prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento d’eventuali sanatorie, sono e restano comunque illecite, donde l’obbligo del Comune di ordinarne la demolizione, tranne che tal prosecuzione avvenga nel rispetto delle procedure poste dall’articolo 35 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, ancora applicabile grazie ai rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica e che, a queste condizioni, non esclude la definizione del condono. Affinché dunque gli interventi edilizi declinati dall’articolo 3 D.P.R. n. 380/2001 possano essere lecitamente realizzati, occorre, non soltanto il possesso del relativo titolo edilizio (ove prescritto), ma anche la loro afferenza ad immobili non abusivi, tenuto conto che altrimenti le opere aggiuntive parteciperebbero comunque delle stesse caratteristiche di abusività dell’opera principale.

Sentenza|25 marzo 2022| n. 2171. Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

Data udienza 25 novembre 2021

Integrale
Tag- parola chiave: Abusi edilizi – Manufatti abusivi non sanati né condonati – Interventi ulteriori – Caratteristiche d’illiceità – Ripetizione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5724 del 2015, proposto da
Ma. Me., rappresentato e difeso dall’avvocato Fe. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Br. Cr., Fa. Ma. Fe., An. An. e An. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 06630/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Francesco De Luca e udito per le parti gli avvocati Da. Ci. per delega dell’avv. Br. Cr..;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, il Sig. Me. appella la sentenza n. 6630 del 2014, con cui il Tar Campania, Napoli, ha rigettato il ricorso e i motivi aggiunti di prime cure, diretti ad ottenere l’annullamento sia dell’ordinanza di demolizione di opere abusive n. 170 assunta dal Comune di Napoli in data 12.02.2007, sia del relativo provvedimento di conferma n. 1027 del 2007.
In particolare, secondo quanto dedotto in ricorso:
– il Sig. Me. risulta titolare di un immobile sito in Napoli, recante all’ultimo piano del prospetto posteriore del fabbricato una veranda in alluminio anodizzato e vetri a filo del fabbricato di un balcone perimetrato su tre lati, per una superficie di mq 5,25, oggetto di una domanda di condono ex L. n. 326/2003;
– il ricorrente ha presentato al Comune di Napoli in data 21.6.2004 una DIA per l’esecuzione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, consistenti nella sostituzione dei materiali della veranda con analoga invetriata in alluminio preverniciato ossicolorato ed in una nuova distribuzione degli ambienti interni, mediante lo spostamento di un tramezzo interno, previa eliminazione di un tratto di muratura in blocchetti alleggeriti;
– il Comune con nota n. 1031 del 2005 ha ritenuto assentibili le opere oggetto di DIA, vietando esclusivamente gli interventi comportanti modifiche di facciata, relativi alla parete prospiciente il balcone;
– con successiva DIA del 23.3.2005 il ricorrente ha rimodulato la proposta progettuale in coerenza con i rilievi emersi nel corso dell’istruttoria, provvedendo a rimuovere ogni impedimento ostativo all’assentibilità dell’intervento, relativamente all’area balcone;
– il Comune con provvedimento n. 170 del 2007 ha ordinato la demolizione delle opere, in quanto realizzate su aree vincolate e, pertanto, ai sensi dell’art. 32 L. n. 326/03, non suscettibili di sanatoria;
– il ricorrente ha presentato istanza di riesame con richiesta di sospensione del procedimento sanzionatorio;
– il Comune con provvedimento n. 1027 del 2007 ha respinto l’istanza, reiterando le medesime argomentazioni;
– gli atti comunali sono stati censurati in prime cure, in quanto afferenti ad interventi di carattere manutentivo, che non avrebbero determinato alcun incremento volumetrico, né avrebbero inciso su parti strutturali dell’edificio o investite da vincolo paesaggistico;
– il Tar ha rigettato i motivi di ricorso.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

2. Il ricorrente in primo grado ha appellato la sentenza pronunciata dal Tar, deducendone l’erroneità con l’articolazione di quattro motivi di impugnazione.
3. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio resistendo all’appello.
4. Le parti hanno insistito nelle rispettive conclusioni con il deposito di memoria conclusionale. L’appellante ha pure replicato alle avverse deduzioni.
5. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 25 novembre 2021.
6. Preliminarmente, deve essere disattesa l’istanza istruttoria, presentata dall’appellante in sede di memoria di replica, tendente, in via subordinata, ad ottenere la nomina di un verificatore per accertare la effettiva entità e natura delle opere per cui è causa.
La consistenza delle opere in parola emerge, infatti, già dalla documentazione acquisita al giudizio (in specie, verbale di accertamento del 12 maggio 2006 e relazione tecnica del 3.7.2015), idonea a consentire la puntuale ricostruzione dei fatti di causa. La definizione della natura di tali opere implica, invece, valutazioni giuridiche non demandabili all’organo ausiliario.
Per l’effetto, non emergendo alcuna ulteriore esigenza istruttoria, l’istanza di parte, tendente all’acquisizione di una verificazione giudiziale, deve essere rigettata.
7. Con il primo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha ritenuto che le opere oggetto dell’ordine di demolizione fossero del tutto diverse da quelle comprese nella domanda di condono.
7.1 Secondo quanto dedotto dall’appellante, l’opera oggetto della domanda di condono consisteva nella chiusura tra due pareti murarie laterali di costruzione, sita all’ultimo livello di una verticale del prospetto posteriore del fabbricato.
Tale opera risultava oggetto di un intervento consistente nella sostituzione dei materiali risalenti agli anni 70-80, eseguito con Dia e successive varianti.
Anche la descrizione recata nel verbale della Polizia Municipale confermava che oggetto di contestazione era esclusivamente la realizzazione della veranda, con la precisazione che la traslazione era avvenuta con posa in opera di infissi esterni in alluminio e vetri.
Il Comune non avrebbe potuto disporre la demolizione delle opere oggetto della domanda di condono ancora non evasa.
Le ulteriori opere accertate e contestate, parimenti, configuravano interventi manutentivi eseguiti sulla base di una DIA e successive varianti, conformi al titolo edilizio ed ai rilievi dei tecnici del Comune emersi nel corso della istruttoria procedimentale.
7.2 Il motivo di appello è infondato.
7.3 In primo luogo, deve essere ricostruita, sul piano fattuale, l’entità delle opere per cui è controversia.
Secondo quanto emergente dalla documentazione depositata dal ricorrente in primo grado (in data 9 luglio 2007), il Sig. Me. ha presentato ai sensi dell’art. 32 D.L. n. 269/03 convertito dalla L. n. 326/03 una domanda di condono in relazione alla realizzazione di una veranda in alluminio e vetri a chiusura di un balcone a livello dell’immobile per una superficie di mq 5.25.
Il vano verandato così realizzato è stato interessato da successive opere edilizie.
In particolare, con l’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado l’Amministrazione comunale ha contestato l’esecuzione, senza il prescritto permesso di costruire, di opere in viale (omissis), consistenti nella “demolizione della muratura di tompagno di un vano verandato, ubicato sul balcone, di m. 4,30×1,50×2,90 di altezza e traslazione della stessa al filo esterno del fabbricato; tramezzo intersecante lo sporto delimitante due diversi ambienti”.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

L’ordine di demolizione richiama le risultanze del verbale di sopralluogo del 12.5.2006 (pure prodotto in atti – deposito comunale di primo grado del 5.9.2014), da cui emerge che l’immobile di proprietà dell’odierno ricorrente risultava interessato da lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione assentiti con DIA n. 416 del 2004 e successiva variante in corso d’opera del 24.2.2005, fatta eccezione per la parte degli interventi previsti dalla stessa, riguardanti opere comportanti modifiche della facciata e, più specificamente, la traslazione della parete prospiciente il balcone; come rilevato dagli organi accertatori, tali ultimi lavori, tuttavia, erano stati eseguiti, essendo stata accertata la traslazione (con posa in opera di infissi esterni in alluminio e vetri) della predetta parete fino al filo esterno del fabbricato.
Parimenti, la nota datata 12.5.2006 del Servizio Autonomo Polizia Locale del Comune di Napoli (n. prot. 780 del 24.5.2006 del servizio antiabusivismo edilizio – deposito comunale di primo grado del 5.9.2014) riporta che, all’esito del sopralluogo del 12.5.2016, è stato accertato che “risultava completamente demolita la parete di tompagno prospiciente il balcone a livello verandato oggetto di istanza di condono edilizio ai sensi della L. 326/03 con affaccio sull’area ex-gasometro. Per effetto di tale demolizione, è stata incrementata la superficie utile-abitabile nella misura di mt. 4.30 x 1.50 x 2.90 di H. Inoltre il balcone medesimo è stato intersecato da un tramezzo divisorio atto a delimitare n. 2 differenti ambienti: un vano abitabile e WC completo di idrosanitari, piastrellature, pavimenti e nuovi infissi”.
La relazione del tecnico di parte, incaricato dall’odierno ricorrente (deposito comunale del 3 agosto 2015), dà conto di come la differenza sostanziale tra la situazione attuale rispetto a quella pregressa consista, fermo restando il posizionamento della veranda esterna, in una diversa distribuzione interna, per cui la camera da letto ed i WC hanno mutato conformazione planimetrica dovuta alla eliminazione di un piccolo tratto di muro parallelo alla veranda – pari a circa 1/3 dell’intero fronte – ed alla realizzazione di un tramezzo divisorio tra i due ambienti sopraindicati, posto in posizione perpendicolare alla veranda stessa.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

In tale relazione viene pure precisato che non sarebbero state eseguite opere strutturali di alcun tipo, nonché che già all’epoca – anni ’70/’80 – la stanza interna incorporava l’ex balcone verandato, con pavimento unico: difatti, “la veranda esterna è rimasta tale essendo stata solo sostituita dal tipo di veranda in alluminio preverniciato ossicolorato, come da moderna tecnologia, ed esattamente di colore bianco sul prospetto esterno e antracite all’interno, e ciò nell’ambito delle opere di manutenzione straordinarie interne eseguite nel 2004 dopo l’acquisto della casa da parte del sig. Ma. Me.. Il vano della attuale camera da letto, come documentato precedentemente, era già pressoché conformato come ambiente unico. Unica variazione – interna – è la diversa conformazione del WC tramite la realizzazione di un tramezzo perpendicolare alla veranda” (pag. 3 relazione tecnica).
7.4 Alla stregua delle emergenze documentali, emerge che:
– l’abuso, per il quale era stata chiesta la sanatoria ai sensi dell’art. 32 D.L. n. 269/03 convertito dalla L. n. 326/03, riguardava la realizzazione di una veranda in alluminio e vetri a chiusura di un balcone a livello dell’immobile per una superficie di mq 5.25;
– successivamente, il Sig. Me. ha eseguito un ulteriore intervento edilizio, provvedendo alla sostituzione della veranda (con la realizzazione di una veranda dal tipo in alluminio preverniciato ossicolorato), all’eliminazione di un tratto di muro parallelo alla veranda e a una diversa distribuzione degli spazi relativi alla superficie verandata;
– l’ordinanza di demolizione riguarda sia la demolizione della muratura di tompagno del vano verandato, ubicato sul balcone, di m. 4,30×1,50×2,90 di altezza, e la traslazione della stessa al filo esterno del fabbricato; sia la realizzazione di un tramezzo intersecante lo sporto delimitante due diversi ambienti.
Alla luce di tali rilievi risulta che il Sig. Me. ha eseguito ulteriori opere edilizie in relazione ad una porzione immobiliare (veranda) al tempo abusiva perché non ancora condonata.
In subiecta materia, deve trovare applicazione il principio di diritto per cui, “in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (pur se riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, della ristrutturazione o della costruzione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente, giacché la presentazione della domanda di condono non autorizza l’interessato a completare ad libitum e men che mai a trasformare o ampliare i manufatti oggetto di siffatta richiesta, stante la permanenza dell’illecito fino alla sanatoria; – da ciò discende appunto l’impossibilità della prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento d’eventuali sanatorie, sono e restano comunque illecite, donde l’obbligo del Comune di ordinarne (come nella specie) la demolizione, tranne che tal prosecuzione avvenga nel rispetto delle procedure poste dall’art. 35 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, ancora applicabile grazie ai rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica e che, a queste condizioni, non esclude la definizione del condono (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 14 agosto 2015 n. 3943; id., II, 5 dicembre 2019 n. 8314)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4473).
Per l’effetto, a fronte di un vano verandato abusivo perché non ancora condonato, la parte privata avrebbe dovuto attendere l’esito del procedimento di condono, non potendo eseguire ulteriori opere in relazione alla medesima porzione immobiliare: tali ulteriori opere, nei fatti realizzate e oggetto del provvedimento impugnato in primo grado, ripetendo le caratteristiche di illiceità dell’abuso originario cui strutturalmente inerivano, risultavano parimenti abusive e, come tali, ben potevano essere soggette a sanzione ripristinatoria, come legittimamente disposto dall’Amministrazione comunale con l’ordine di demolizione per cui è causa.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

7.5 Non potrebbe diversamente argomentarsi, ritenendo che le opere de quibus fossero riconducibili alla categoria della manutenzione ordinaria e, comunque, fossero assentite da un’apposita DIA presentata all’Amministrazione comunale.
Come osservato, in assenza dell’accoglimento della domanda di condono, la porzione immobiliare interessata dalla richiesta di sanatoria doveva ritenersi abusiva, con conseguente abusività di ogni ulteriore opera alla stessa accedente.
Affinché gli interventi edilizi declinati dall’art. 3 DPR n. 380/01 possano essere lecitamente realizzati, occorre, infatti, non soltanto il possesso del relativo titolo edilizio (ove prescritto), ma anche la loro afferenza ad immobili non abusivi, tenuto conto che altrimenti, come rilevato, le opere aggiuntive parteciperebbero comunque delle stesse caratteristiche di abusività dell’opera principale.
Tale ultima condizione (liceità dell’immobile o della porzione immobiliare oggetto del successivo intervento edilizio) nella specie non ricorreva, con conseguente abusività degli ulteriori interventi edilizi all’uopo eseguiti, a prescindere dalla loro qualificazione.
In ogni caso, si osserva che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), DPR n. 380/01, gli interventi di manutenzione ordinaria riguardano le sole opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
Le opere per cui è controversia, invece, in assenza dell’accoglimento della domanda di condono, attraverso l’eliminazione di una porzione del muro parallelo alla veranda (volto a separare i vani interni dall’ambiente esterno rappresentato dal balcone) e la realizzazione di un tramezzo divisorio, hanno concorso nell’abuso originario, continuando ad incidere, al pari di quanto avvenuto con la realizzazione dell’originaria veranda ancora non condonata, su una porzione immobiliare adibita a balcone, non costituente un vano interno dell’abitazione.
Non è possibile, dunque, equiparare la realizzazione di un tramezzo e la demolizione di una muratura incidenti su un vano interno dell’abitazione, rispetto ad analoghe opere riguardanti una porzione immobiliare esterna, quale quella di un balcone, tenuto conto in tale secondo caso le opere de quibus comportano una modifica di sagoma, volume, superficie e prospetto, con conseguente emersione di un intervento insuscettibile di essere ricondotto al genus della manutenzione ordinaria.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

La giurisprudenza di questo Consiglio ha evidenziato come la realizzazione di un vano aggiuntivo mediante tamponatura di un’area (portico, loggia o balcone) non possa qualificarsi come pertinenza in senso urbanistico, in quanto integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. VI, 26 marzo 2018, n. 1893). Tali opere, inoltre, influiscono sui prospetti dell’edificio, modificandone la facciata e, dunque, influendo sul suo aspetto esterno, in specie nel suo profilo estetico-architettonico (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 5 settembre 2018, n. 5204).
In particolare, “Ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettera c), del TUE, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino, modifiche del volume o dei prospetti. Le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione planivolumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire in quanto queste comportano la chiusura di una parte del balcone con conseguente aumento di volumetria e modifica del prospetto. Pertanto va escluso che la trasformazione di un balcone o di un terrazzo in veranda costituisca una pertinenza in senso urbanistico. La veranda integra un nuovo locale autonomamente utilizzabile il quale viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio, per ciò solo trasformandolo in termini di sagoma, volume e superficie” (Consiglio di Stato, sez. II, 5 agosto 2021, n. 5774).
Nel caso di specie, il ricorrente ha eseguito opere edilizi su un vano verandato non condonato, come tale costituente (a differenza di quanto sembra presupposto nelle difese attoree e nella relazione tecnica del 3.7.2015 cit.) ancora una porzione immobiliare esterna dell’unità immobiliare, espressiva di mera superficie accessoria: attraverso le opere per cui è causa si è, dunque, protratto l’abuso originario, connotato da una variazione di sagoma, volume, superficie e prospetto dell’immobile, con conseguente emersione (alla stregua delle richiamate coordinate giurisprudenziali), anziché di un mero intervento manutentivo, di un intervento di ristrutturazione edilizia soggetto al rilascio del permesso di costruire ex artt. 3, comma 1, lett. d) e 10, comma 1, lett. c). DPR n. 380/01.
7.6 Tali considerazioni conducono al rigetto, altresì, delle censure riferite alla sussistenza di una DIA idonea a legittimare l’intervento edilizio per cui è causa.
Al riguardo, in primo luogo, si osserva che, come emerge dallo stesso verbale di sopralluogo del 12.5.2006 cit., il ricorrente ha disatteso le prescrizioni impartite dal Comune, che precludevano la realizzazione delle opere denunciate interessanti la facciata dell’edificio: nella specie, invece, la demolizione della porzione di muro parallelo alla veranda e la suddivisione degli ambienti della veranda attraverso la realizzazione di un tramezzo hanno influito proprio su un elemento esterno edilizio, ovverossia sulla superficie accessoria espressa dal balcone, in tale modo alterando il prospetto (e, dunque, la facciata) dell’edificio.
Non risulta, dunque, che le opere in parola fossero conformi alle prescrizioni impartite dall’Amministrazione.
In ogni caso, si rileva che la denuncia di inizio attività (oggi, segnalazione certificata di inizio di attività ), costituente uno strumento di liberalizzazione delle attività private – non più sottoposte ad un controllo amministrativo di tipo preventivo, ma avviabili sulla base di una mera segnalazione da sottoporre al successivo controllo amministrativo-, perché possa produrre effetti giuridici deve rispondere al modello tipizzato dal legislatore, occorrendo, pertanto, da un lato, che le attività in concreto avviate siano effettivamente riconducibili alle fattispecie astratte per cui è ammesso l’utilizzo della DIA (oggi SCIA), dall’altro, che la denuncia (segnalazione) all’uopo presentata risulti veritiera e completa, essendo corredata dalla documentazione occorrente a porre l’Amministrazione in condizione di potere svolgere la successiva attività di verifica entro i termini all’uopo applicabili.
Nel caso di specie, come osservato, si fa questione di opere ripetenti le caratteristiche di illiceità dell’opera abusiva originaria, a sua volta eseguita in modifica della volumetria, della sagoma e del prospetto dell’edificio: per tali interventi di trasformazione dell’organismo edilizio, ai sensi degli artt. 3, comma 1, lett. d) e 10, comma 1, lett. c). DPR n. 380/01, sarebbe stato necessario il permesso di costruire, non potendo, dunque, operare, in funzione legittimante dell’attività edilizia svolta, l’istituto della DIA.
7.7 Infine, nella specie non risulta neppure invocabile l’indirizzo giurisprudenziale per il quale, in pendenza della definizione delle domande di condono, non può essere adottato alcun provvedimento di demolizione (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 gennaio 2021, n. 488), tenuto conto che l’Amministrazione, con il provvedimento impugnato in primo grado, non ha ordinato la demolizione delle opere oggetto della domanda di condono, ma delle ulteriori opere successivamente eseguite dalla parte privata.
Dalla stessa relazione formata dal tecnico incaricato dall’odierno appellante (deposito comunale del 3 agosto 2015, sopra richiamata) emerge che il Sig. Me. ha provveduto nel 2004 alla sostituzione della veranda con materiale di moderna tecnologia, alla demolizione di una porzione del muro parallelo alla veranda e ad una nuova distribuzione dei locali, interessante anche la superficie del vano verandato.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

Per l’effetto, sanzionando la demolizione della muratura di tompagno del vano verandato e la traslazione della stessa al filo esterno del fabbricato, oltre che la realizzazione di un tramezzo intersecante lo sporto delimitante due diversi ambienti, l’Amministrazione non è intervenuta in relazione alle opere originariamente dedotte nella domanda di condono, ma ha ordinato la demolizione di ulteriori e successive opere, illecitamente eseguite dal ricorrente, con la conseguente inconferenza dell’indirizzo giurisprudenziale che preclude la possibilità di adottare un provvedimento sanzionatorio per opere oggetto di una domanda di condono non ancora evasa in sede amministrativa.
8. Con il secondo motivo di appello è censurato il capo decisorio riguardante la valenza ostativa alla sanatoria del vincolo paesaggistico.
8.1 Secondo la prospettazione attorea, si tratterebbe di vincolo di inedificabilità relativa, tale da consentire la sanatoria previo assenso dell’Autorità preposta alla tutela del relativo vincolo. In ogni caso, si farebbe questione di opere irrilevanti sotto il profilo estetico.
La motivazione addotta a fondamento del diniego riguarderebbe, peraltro, la sola esistenza del vincolo paesaggistico, circostanza non ostativa al rilascio del condono ai sensi dell’art. 32 L. n. 47/1985 e dell’art. 32, comma 27, l. n. 326/03.
Si tratterebbe, dunque, di opere sanabili ai sensi della L. n. 326/2003, che, richiamando l’applicabilità degli artt. 32 e 33 L. n. 47/85, si limiterebbe ad escludere la sanabilità delle opere realizzate su aree soggette ai vincoli di inedificabilità assoluta, ma non anche quelle situate in aree soggette ad inedificabilità relativa, quali quelle di specie; peraltro, le opere in contestazione sarebbero di irrilevante consistenza e di carattere manutentivo, nonché di insignificante impatto paesistico.
Con riferimento al vincolo idrogeologico, si tratterebbe di vincolo sopravvenuto, a fronte, comunque, di opere prive di incidenza sul piano idrogeologico.
8.2 Il motivo di appello è infondato.
8.3 Nel caso di specie, non rileva l’ipotetica sanabilità delle opere oggetto del provvedimento impugnato in primo grado.
La demolizione, infatti, non è stata disposta in ragione dell’inapplicabilità della disciplina condonistica prevista dall’art. 32 D.L. n. 269/03 convertito dalla L. n. 326/03, ma per l’avvenuta esecuzione di opere edilizie prive del permesso di costruire, in zona gravata dal vincolo paesaggistico di cui al D.M. 22.11.1956.
Né risulta che le opere per cui è causa abbiano formato oggetto di apposite domande di condono, risultando la domanda prodotta in atti (come osservato) riferita ad un intervento edilizio differente ed anteriore, riguardante la realizzazione di una veranda in alluminio anodizzato e vetri a filo del fabbricato.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

Per l’effetto, le deduzioni articolate con il secondo motivo di appello, tendenti ad ottenere un accertamento circa la condonabilità delle opere oggetto dell’ordine demolitorio, non possono essere favorevolmente apprezzate, in quanto mirano a sollecitare un sindacato giurisdizionale su questioni non oggetto di decisione amministrativa (motivata sulla base di presupposti fattuali diversi dalla non condonabilità ), in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a., che preclude al giudice di statuire su poteri amministrativi ancora non esercitati.
8.4 Per mera completezza, ferme rimanendo le valutazioni riservate al Comune in sede amministrativa, al fine di corrispondere alle deduzioni attoree, si osserva che la disciplina dettata dall’art. 32 D.L. n. 269/03 convertito dalla L. n. 326/03 non permetterebbe comunque la sanatoria di opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico già esistente al momento dello svolgimento dell’attività edilizia.
In materia deve richiamarsi la “ferma giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo la quale – ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d), del citato decreto-legge n. 269/2003 – le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, tra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili se ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni, tutte assenti nel caso di specie: a) le opere siano state realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) siano opere minori senza aumento di superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria); d) vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo violato; e) non abbiano comunque comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2020, n. 4933)” (Consiglio di Stato Sez. II, 13 novembre 2020, n. 7014).
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, da confermare anche nel presente giudizio, le opere per cui è causa, in quanto eseguite all’esito della DIA del 2004, sono state realizzate dopo l’imposizione del vincolo paesaggistico, risalente al 1956 (D.M. del 1956 citato nell’ordine di demolizione – cfr. deposito attoreo di primo grado del 9.7.2007) e, come tali, non potrebbero rientrare nella portata applicativa dell’art. 32 D.L. n. 269/03 cit.
8.5 Stante l’afferenza dell’intervento edilizio in contestazione ad un’area sottoposta a vincolo paesaggistico, l’Amministrazione ha correttamente richiamato, altresì, l’art. 27, comma 2, DPR n. 380/01, espressivo del principio generale per cui “[l]’accertamento della mancanza di titolo abilitativo di un’opera, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, rende invero doveroso per l’Amministrazione disporre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi” (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 maggio 2019, n. 3299).
Trattasi di principio operante pure nelle ipotesi (comunque non ricorrenti nella specie, alla stregua di quanto osservato) in cui le opere abusivamente realizzate siano soggette al regime della DIA, tenuto conto che l’art. 27, comma 2, DPR n. 380/01 attribuisce “all’Amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l’attività urbanistica ed edilizia, imponendo l’adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio non autorizzato. E ciò mediante l’esercizio di un potere dovere del tutto privo di margini di discrezionalità in quanto rivolto solo a reprimere gli abusi accertati, da esercitare anche in ipotesi di opere assentibili con DIA, prive di autorizzazione paesaggistica” (Consiglio di Stato, sez. II, 24 luglio 2020, n. 4725).
Per l’effetto, l’assenza del preventivo provvedimento autorizzatorio da parte dell’autorità preposta alla tutela paesaggistica in relazione alle opere per cui è causa, oltre ad ostare alla sanabilità dell’intervento abusivo ex art. 32 D.L. n. 269/03 cit, giustificava l’irrogazione della sanzione demolitoria, con conseguente piena legittimità all’ordinanza demolitoria adottata dall’Amministrazione comunale.
8.6 Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure ritenendo che le opere de quibus non fossero idonee a produrre alcun impatto paesaggistico.
In primo luogo, si osserva che la mera esistenza del vincolo paesaggistico, come osservato, sarebbe stata sufficiente ad impedire la condonabilità ex art. 32 D.L. n. 269/03 cit. delle opere edilizie in concreto eseguite.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

In secondo luogo, si rileva che le opere in contestazione, lungi dall’afferire ai locali interni dell’edificio, hanno riguardato un vano verandato non condonato, incidendo, dunque, su un elemento edilizio che, al tempo dell’esecuzione dell’intervento in contestazione, assumeva rilevanza esterna, in quanto integrato dal balcone dell’unità immobiliare di proprietà del ricorrente.
La realizzazione di una veranda, cui hanno concorso le opere per cui è causa – che hanno presupposto una trasformazione edilizia ancora non legittimata -, ha dunque inciso sull’aspetto esterno dell’edificio, in specie nel suo profilo estetico-architettonico, attraverso la trasformazione del balcone in vano verandato; il che evidenzia, altresì, l’impatto paesaggistico delle opere in esame.
8.7 Risultano, infine, irrilevanti le doglianze riguardanti la sussistenza del vincolo idrogeologico, tenuto conto che, oltre a non potere superare le ragioni legittimanti la demolizione sopra richiamate, rappresentate dall’esecuzione di opere afferenti, da un lato, ad una porzione immobiliare abusiva in quanto non condonata, dall’altro, ad una zona paesaggisticamente vincolata, non riguardano il contenuto motivazionale del provvedimento impugnato in prime cure, che richiama soltanto il vincolo paesaggistico (la valenza ostativa del vincolo idrogeologico risulta, invece, valorizzata dal Comune nella nota n. 774600 del 9.10.2014 depositata in primo grado dal Comune, afferente, tuttavia ad un distinto procedimento amministrativo -di condono edilizio n. 7623/2005-, non rilevante nell’ambito dell’odierno giudizio, limitato alla legittimità dell’ordine di demolizione n. 190 del 2007).
Per l’effetto, le ragioni di doglianza svolte dal ricorrente in relazione alla valenza del vincolo idrogeologico non potrebbero minare la legittimità dell’ordine di demolizione, autonomamente basato su differenti rationes decidendi.
9. Con il terzo motivo di appello si censura l’erroneità della sentenza gravata, anche per non avere il primo giudice correttamente ricostruito la fattispecie in contestazione, integrata da opere manutentive (sostituzione di materiali e lavori interni) non soggette a titoli ampliativi, insuscettibili di generare carico urbanistico.
In ogni caso, le opere sarebbero state assentite dalla DIA e dall’istanza di condono ancora non esitata; come confermato dal verbale di sopralluogo della polizia Municipale, escludente la presenza di opere abusive.
Il motivo di appello è infondato, potendo al riguardo rinviarsi alle considerazioni svolte nella disamina dei precedenti motivi di impugnazione, in cui si è osservato che:
– non si fa questione di opere manutentive, ma di opere strutturalmente inerenti ad una porzione immobiliare (vano verandato) abusiva in quanto non condonata, con la conseguenza che tali opere, successivamente realizzate in pendenza del procedimento di condono, ripetono le caratteristiche di abusività dell’opera principale (realizzazione della veranda), risultando in tale maniera assoggettate alla sanzione demolitoria;
– concorrendo nell’abuso originario, le opere oggetto del provvedimento impugnato in primo grado hanno riguardato un ambiente esterno del fabbricato (balcone), determinando (anziché la manutenzione) una sua perdurante (illecita) trasformazione in un vano abitabile, con incisione sulla sagoma, sul prospetto, sulla superficie e sul volume del manufatto;
– le opere sono state, peraltro, eseguite in violazione delle prescrizioni impartite dal Comune, che aveva escluso la possibilità di modifiche afferenti alle facciate; il che è invece nella specie avvenuto, attraverso la demolizione della porzione di muratura parallela alla veranda (abusiva) e la realizzazione di un tramezzo su una superficie accessoria, espressa da un balcone ancora non trasformato legittimamente in veranda.
10. Con il quarto motivo di appello è censurata la sentenza di prime cure, per avere il Tar svalutato l’emersione di una posizione di affidamento maturata in ragione del lasso di tempo trascorso dalla realizzazione delle opere, tale da imporre una congrua e ampia motivazione, pure tenuto conto dell’interesse pubblico preminente idoneo a giustificare il contrapposto interesse privato.
Al più la fattispecie in esame avrebbe dovuto essere ricondotta all’art. 34 DPR n. 380/01, che prevede la scelta tra sanzione demolitoria e pecuniaria sulla base di un motivato accertamento tecnico atto ad escludere che dalla demolizione delle opere abusive possa derivare un pregiudizio per la parte legittimamente preesistente dell’immobile.
Il motivo di appello è infondato.
10.1 Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.
Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino, non essendo ravvisabile neppure l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso non legittima affatto (ex multis, Consiglio di Stato Sez. VI, 19 marzo 2021, n. 2380).
Ne deriva che l’Amministrazione ha provveduto legittimamente a disporre la demolizione del manufatto, non sussistendo alcun obbligo di motivare la sussistenza di ragioni di pubblico interesse diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata, né riscontrandosi un legittimo affidamento in capo al ricorrente ostativo all’adozione del provvedimento repressivo.
10.2 Non potrebbe contestarsi neppure una pretesa insufficienza motivazionale in ordine ai presupposti del provvedere, tenuto conto che, non dovendosi bilanciare l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso con l’interesse privato alla conservazione di un’utilità, risalente nel tempo, conseguita in assenza del necessario titolo abilitativo, la demolizione è congruamente motivata mediante la descrizione del manufatto realizzato e l’indicazione della sua abusività, non potendo l’ipotetica mancata compromissione del valore estetico e ambientale o l’ipotetico ridotto impatto edilizio di un’opera abusiva rilevare al fine di evitare la sua rimozione.
Nel caso di specie, l’Amministrazione comunale:
– ha rilevato l’esecuzione di opere senza il prescritto permesso di costruire, consistenti nella “demolizione della muratura di tompagno di un vano verandato, ubicato sul balcone, di m. 4,30×1,50×2,90 di altezza e traslazione della stessa al filo esterno del fabbricato; tramezzo intersecante lo sporto delimitante due diversi ambienti”;
– ha evidenziato come l’intervento fosse stato eseguito in assenza di permesso di costruire; nonché
– ha richiamato la normativa edilizia giustificante la decisione demolitoria, rappresentata dall’art. 27, comma 2, del Testo Unico DPR n. 380/01.
Per l’effetto, la motivazione alla base dell’ordinanza di demolizione risulta adeguata a permettere alla parte privata di percepire l’iter logico giuridico seguito per pervenire all’adozione della decisione lesiva, essendo state specificate le opere eseguite e risultando motivata, attraverso il richiamo alle pertinenti disposizioni normative, la loro assoggettabilità a sanzione demolitoria in ragione dell’esecuzione di opere edilizie in assenza del prescritto permesso di costruire e in zona paesaggisticamente vincolata.
10.3 La legittimità del provvedimento per cui è causa non potrebbe essere negata neppure invocando un ipotetico pregiudizio alla stabilità dell’immobile discendente dall’esecuzione dell’ordine demolitorio o, comunque, evidenziano il mancato accertamento, a cura del Comune, degli effetti materiali suscettibili di essere prodotti dalla demolizione delle opere per cui è causa.
Gli artt. 33 e 34 DPR n. 380/01 richiedono, infatti, a fini applicativi, la sussistenza di alcuni presupposti, tra cui la previa emanazione dell’ordine di demolizione, l’istanza tempestiva del destinatario dell’ordine ed un motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale sulla impossibilità materiale di ripristinare lo stato dei luoghi, configurabile soltanto quando la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell’edificio nel suo complesso legittimamente realizzato.
L’applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva, disciplinata dall’art. 33, comma 2, del DPR. n. 380 del 2001 e dall’art. 34 del medesimo decreto, pertanto, rappresenta solo un’ipotesi subordinata alla quale si può fare ricorso quando emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione; “con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione” (tra gli altri, Consiglio di Stato Sez. II, 8 ottobre 2020, n. 5985).
In particolare, l’applicabilità o meno della sanzione pecuniaria può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione, non condizionando la legittimità della sanzione ripristinatoria già irrogata: “[d]etto altrimenti, la questione della sostituzione della demolizione con l’applicazione di una sanzione pecuniaria dev’essere introdotta “a valle” della ingiunzione di demolizione, per i caso di inottemperanza spontanea all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi (conf. Cons. Stato, VI, n. 4855 del 2016, nel senso che “la valutazione circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire: con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive” -conf. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1940 del 2016 e n. 5180 del 2017). La “fiscalizzazione dell’abuso edilizio” non si configura quindi come condizione di legittimità del provvedimento repressivo” (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. VI, 23 novembre 2018, n. 6658).
11. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello deve essere rigettato e, per l’effetto, deve essere confermata la sentenza impugnata.
Le spese di giudizio devono essere regolate in applicazione del criterio della soccombenza, dovendo, pertanto, essere poste a carico della parte ricorrente e in favore dell’Amministrazione appellata nella misura liquidata in dispositivo.

 

Abusi edilizi manufatti abusivi non sanati né condonati

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna il Sig. Ma. Me. a pagare, a titolo di spese di giudizio del grado di appello, in favore del Comune di Napoli la somma complessiva di Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 novembre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *