L’art. 19, D.Lgs. n. 26 del 2014 non prevede il reinserimento nell’habitat naturale dei soli animali utilizzati per la sperimentazione

Consiglio di Stato, Sentenza|8 febbraio 2021| n. 1186.

L’art. 19, D.Lgs. n. 26 del 2014 non prevede il reinserimento nell’habitat naturale dei soli animali utilizzati per la sperimentazione ma anche per quelli “destinati a essere utilizzati”, tali dovendo intendersi quelli che erano stati scelti come cavie ma sui quali non è stato poi possibile iniziare la ricerca. Sebbene la norma prevede la “possibilità” e non l’”obbligo” di reinserire questi animali nell’habitat naturale (“gli animali utilizzati o destinati a essere utilizzati nelle procedure… ‘possonò essere reinseriti o reintrodotti in un habitat adeguato…), la scelta di come esercitare tale facoltà (id est, restituitone al fornitore o reinserimento nell’habitat naturale) richiede una seppur minima motivazione, non essendo alcuna delle due opzioni automatiche.

Sentenza|8 febbraio 2021| n. 1186

Data udienza 28 gennaio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Sanità pubblica – Sperimentazione sui animali – Scimmie – Macachi – Ammissibilità – Report frequenti e dettagliati – Macachi malati – Restituzione – Termini e condizioni

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7021 del 2020, proposto dalla L.A.. – Le. An. Ente morale Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Mo. Sq., con domicilio digitale come da pec da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
il Ministero della Salute, l’Università degli studi di Parma, l’Università degli studi di Torino, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
il Ministero della Salute, Direzione Generale della Sanità Mentale e dei Farmaci Veterinari – Ufficio 6; il Consiglio Superiore di Sanità ; il Consiglio Superiore di Sanità – Sezione Sesta, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
nei confronti
del Dipartimento di Medicina e Chirurgia – Unità Neuroscienze dell’Università degli studi di Parma; Università di Torino – Dipartimento di Psicologia, O.P.B.A. – Organismo Preposto al Benessere Animale dell’Università degli studi di Parma, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. terza quater, 1 giugno 2020, n. 5771, concernente l’autorizzazione al progetto di ricerca “meccanismi anatomo-fisiologici soggiacenti il recupero della consapevolezza visiva nella scimmia con cecità corticale”;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute, dell’Università degli Studi di Parma e dell’Università degli Studi Torino;
Viste le memorie depositate dall’appellante L.A.. – Le. An. Ente morale Onlus in date 28 dicembre 2020 e 7 gennaio 2021;
Viste le memorie depositate dal Ministero della Salute, dall’Università degli Studi di Parma e dall’Università degli Studi Torino in date 4 e 5 ottobre 2020, 28 dicembre 2020 e 7 gennaio 2021;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 5914 del 9 ottobre 2020, con la quale la Sezione ha disposto una verificazione, con incarico assegnato alla IRCCS “Fo. Bi.” nella persona del suo Presidente, Prof. Ma. St., coadiuvato del Prof. En. Ga.;
Relatore nell’udienza del giorno 28 gennaio 2021, tenutasi in videoconferenza con collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

FATTO

1. La L.A.. – Le. An. Ente morale Onlus è un’associazione animalista che svolge una costante opera di tutela e garanzia dei diritti degli animali, avendo per scopo principale la protezione degli animali e l’affermazione dei loro diritti.
Ha impugnato (ricorso n. 10394/2019, unitamente a Osa Ol. La Sp. An. Onlus e ricorso n. 11774/2019) dinanzi al Tar Lazio, sede di Roma, l’autorizzazione rilasciata, in data 15 ottobre 2018, dal Ministero della Salute, ai sensi dell’art. 31, d.lgs. 4 marzo 2014, n. 26, e avente ad oggetto un progetto di ricerca presentato dall’Università degli Studi di Parma, denominato: “Meccanismi anatomo-fisiologici soggiacenti il recupero della consapevolezza visiva nella scimmia con cecità corticale”, nonché gli atti della relativa istruttoria procedimentale e, in particolare, il parere favorevole espresso in data 30 maggio 2018 dall’Organismo preposto al benessere animale (Opba) dell’Università di Parma, ai sensi dell’art. 26, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 26 del 2014 e il parere favorevole condizionato rilasciato dal Consiglio Superiore di Sanità (Css) – Sez. IV, ai sensi dell’art. 31, commi 3 e 4, d.lgs. n. 26 del 2014, nella seduta dell’11 settembre 2018, in ordine alla valutazione tecnico – scientifica del predetto progetto di ricerca. L’autorizzazione rilasciata dal Ministero della Salute rappresenta un’autorizzazione eccezionale alla sperimentazione animale coinvolgente primati non umani, una specie il cui uso, secondo la normativa europea e nazionale, è vietata salvo casi eccezionali (come stabilito dall’art. 8, d.lgs. n. 26 del 2014).
La L.A.. ha dedotto, tra l’altro, la mancanza, nel progetto, dell’evidenza scientifica che sia impossibile raggiungere lo scopo sotteso alla sperimentazione, utilizzando specie diverse dai primati non umani, in violazione dell’art. 8, d.lgs. n. 26 del 2014; sostiene che le valutazioni svolte a riguardo dall’Opba dell’Università di Parma e dal Css nei relativi pareri non sono supportate da idonea istruttoria e da congrua motivazione, con la conseguenza che non sarebbero idonee a giustificare il rilascio della autorizzazione alla effettuazione del progetto di ricerca in questione; sarebbe giuridicamente irrilevante il fatto che il progetto sia stato approvato dall’European Research Council (Erc), sia dal punto di vista scientifico che etico, essendo la concessione del finanziamento europeo irrilevante ai fini del rispetto delle norme di cui al d.lgs. n. 26 del 2014; inoltre, il supplemento di istruttoria disposto dal Css in ottemperanza all’ordine impartito dal Consiglio di Stato sarebbe stato limitato alla verifica della insussistenza di metodiche alternative rispetto alla sperimentazione su primati non umani, senza alcun accertamento ulteriore sul rispetto dei principi di riduzione e perfezionamento (in asserita violazione dell’ordine istruttorio impartito dal Consiglio di Stato con l’ordinanza cautelare 23 gennaio 2020, n. 230). Aggiunge che illegittimamente il progetto prevede l’utilizzazione di n. 6 primati non umani, in violazione del principio della riduzione, nonché del fatto che gli atti impugnati sarebbero in contrasto anche con il principio del perfezionamento, prevedendo la sperimentazione interventi che necessariamente cagioneranno un danno permanente agli animali utilizzati; lamenta altresì la violazione dell’art. 13, ultimo comma, d.lgs. n. 26 del 2014, laddove prescrive che va evitata la morte nelle procedure che prevedono l’impiego di animali vivi.
2. Con sentenza 1° giugno 2020, n. 5771 la sez. terza quater del Tar Lazio ha respinto i ricorsi sul rilievo che, diversamente da quanto rappresentato da parte ricorrente, sia l’Organismo preposto al benessere degli animali della Università di Parma che il Consiglio Superiore di Sanità hanno riconosciuto il carattere innovativo del progetto di ricerca e la sua valenza traslazionale (ossia la possibilità di trasferire sull’uomo gli elementi della ricerca acquisiti sul modello animale). Ha aggiunto che nella valutazione tecnico scientifica effettuata, ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n. 26 del 2014, dal Css – Sez. IV nella seduta dell’11 settembre 2018 sono espressamente richiamate le relazioni predisposte dalla prof.ssa Gloria Pelizzo (componente e relatrice pro tempore del Css) e del prof. Antonio Crovace (esperto a supporto del predetto organo consultivo). Le conclusioni e le raccomandazioni formulate dalla relatrice prof.ssa Gloria Pelizzo sono state integralmente recepite dal Css nel parere favorevole condizionato espresso nella seduta dell’11 settembre 2018. Ha quindi concluso che sia l’Organismo preposto al benessere degli animali della Università di Parma, nell’emettere il parere di cui all’art. 26, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 26 del 2014, che il Consiglio Superiore di Sanità, nella valutazione tecnico scientifica di cui all’art. 31, commi 3 e 4, d.lgs. n. 26 del 2014, hanno valutato la sussistenza dei presupposti per il rilascio della autorizzazione alla esecuzione del progetto di ricerca contestati da parte ricorrente.
3. La sentenza del Tar Lazio 1° giugno 2020, n. 5771 è stata impugnata con appello notificato e depositato in data 9 settembre 2020. Erroneamente il giudice di primo grado non ha rilevato che l’autorizzazione rilasciata al progetto dell’Università di Torino è stata resa al termine di un procedimento palesemente errato in cui i passaggi normativamente richiesti sono stati rispettati solo formalmente. Sia il parere dell’Organismo preposto al benessere animale che la valutazione tecnico scientifica del Consiglio Superiore di Sanità, infatti, non hanno in alcun modo motivato sul progetto limitandosi a riportare alcune considerazioni senza approfondimento critico né a favore né contrario al progetto stesso, e ciò su nessuno dei 14 punti individuati dall’art. 31, d.lgs. n. 26 del 2014. La stessa autorizzazione è del tutto priva di motivazione, non permettendo in alcun modo di ricostruire l’iter logico seguito. Inoltre, contrariamente a quanto tenta di sostenere il Tar Lazio, sia il parere dell’Opba che la valutazione del Css non contengono alcuna motivazione in ordine al progetto valutato, ma si limitano a riportare parte della relazione di presentazione del progetto da parte del gruppo di ricerca, citandone alcuni passaggi sintetizzati senza alcun approfondimento ulteriore. La sentenza del Tar Lazio è altresì illegittima anche nel prosieguo laddove, al punto 11, afferma che: “La sussistenza dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione ha trovato ulteriore conferma nel supplemento di istruttoria effettuato dal Ministero della Salute, a seguito dell’ordine istruttorio impartito dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 230 del 2020”; si sofferma sulle molteplici contraddittorietà emerse dall’approfondimento svolto dal Ministero, ma le supera senza fornire alcuna motivazione. La sentenza del Tar Lazio è errata anche nel prosieguo laddove afferma che: “Il prof. Vi. Ma. evidenzia inoltre che il progetto in questione è stato esaminato sia sotto il profilo scientifico che sotto quello etico dall’European Research Council…”. Il riferimento alla valutazione svolta dall’Erc è però del tutto irrilevante e priva di pregio ai fini dell’esame della validità dell’autorizzazione rilasciata dal Ministero della Salute, oggetto del contenzioso. Le valutazioni svolte dall’Erc, infatti, oltre ad essere successive al rilascio dell’autorizzazione sono del tutto irrilevanti ai fini del procedimento di cui al d.lgs. n. 26 del 2014. Un ulteriore profilo su cui il Tar Lazio ha omesso del tutto di pronunciarsi, viziando irrimediabilmente la sentenza, riguarda la censura inerente la mancata considerazione da parte del Ministero della Salute degli altri due principi costituenti il principio delle 3R contenuto al considerando n. 11 della direttiva 2010/63. La sentenza è errata anche laddove al punto 12 afferma che: “Anche le censure dedotte dalle parti ricorrenti avverso i report trasmessi dall’Università di Parma, relativi alle condizioni degli animali utilizzati nella sperimentazione si rivelano infondate in fatto e in diritto”. Nel report dell’11 settembre 2019, prot. 0000096, diversamente da quanto rappresentato dalle ricorrenti, l’Università di Parma non si è limitata ad una generica descrizione dello stabulario, in quanto nella relazione si dà conto dei seguenti elementi:…”. Il giudice di prime cure non fornisce, neanche su questo profilo, alcuna ulteriore motivazione a sostegno della decisione, nonostante l’articolata censura presente nel ricorso per motivi aggiunti. Infine, non si comprende il motivo per cui l’Università di Parma, nonostante il citato art. 19, d.lgs. n. 26 del 2014 sia chiaro nel prevedere che vengano fornite cure adeguate agli animali destinati ad essere utilizzati nelle procedure, abbia deciso al contrario di restituirli all’allevatore invece di valutarne la liberazione ed il conseguente reinserimento in un habitat adeguato, secondo le previsioni del citato art. 19.
4. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Salute, l’Università degli Studi di Parma e l’Università degli Studi Torino, che hanno sostenuto l’infondatezza dell’appello.
5. Il Ministero della Salute, Direzione Generale della Sanità Mentale e dei Farmaci Veterinari – Ufficio 6, il Consiglio Superiore di Sanità e il Consiglio Superiore di Sanità – Sezione Sesta non si sono costituiti in giudizio.
6. Con ordinanza cautelare 23 gennaio 2020, n. 230 la Sezione ha sospeso l’ordinanza del Tar Lazio, sede di Roma, sez. III quater, 5 novembre 2019, n. 7130, sospendendo così l’autorizzazione alla sperimentazione.
7. Con successiva ordinanza n. 5914 del 9 ottobre 2020 la Sezione ha disposto una verificazione, con incarico assegnato alla IRCCS “Fo. Bi.” nella persona del suo Presidente, Prof. Ma. St., coadiuvato dal Prof. En. Ga..
8. All’udienza del 28 gennaio 2021, tenutasi in videoconferenza con collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, la Lega Antivivisezione Ente morale Onlus ha impugnato dinanzi al Tar Lazio l’autorizzazione del progetto di ricerca “Meccanismi anatomo-fisiologici soggiacenti il recupero della consapevolezza visiva nella scimmia con cecità corticale”, rilasciata dal Ministero della Salute.
Al fine di chiarire le questioni sottese alla vicenda contenziosa giova premettere che gli esperimenti oggetto dell’autorizzazione rientrano – come è dato evincere dalla presentazione del progetto stesso – nel più ampio contesto di un progetto di ricerca traslazionale quinquennale, finanziato dallo European Research Council – Consolidator Grant 2017, che comprende anche una linea di ricerca su pazienti umani con lesioni alla corteccia visiva primaria. Per la sperimentazione è previsto l’impiego di sei animali (Macaca mulatta), di cui quattro destinati ad essere sottoposti a tutte le fasi della sperimentazione e due, invece, tenuti come “riserva”. Dei quattro animali sottoposti a tutte le fasi della sperimentazione, dopo la fase di addestramento e successiva ablazione omolatrale di Vl, due saranno sottoposti a neurostitnolazione diretta e due a stimolazione magnetica transcranica (TMS), con obiettivo ultimo di individuare e valutare un protocollo riabilitativo traslabile nell’uomo.
Il fine sotteso al progetto – che ha la durata di sessanta mesi – è di fornire una risposta al quesito di come si possa rendere consapevoli abilità visive residue rese inconsce dalla lesione della corteccia visiva primaria; è, in altri termini, la ricerca sulla possibilità di recuperare la funzione visiva nella forma della cecità corticale al fine di migliorare la qualità di vita nei pazienti emianoptici.
La problematica sorge perché la lesione della corteccia visiva primaria (VI) in un singolo emisfero rende il soggetto clinicamente cieco rispetto agli stimoli presentati nella porzione controlaterale del campo visivo. Tuttavia, la maggior parte dei pazienti con lesioni di questo tipo, testati in compiti nei quali si richiede di discriminare tra stimoli in un paradigma di scelta forzata o di svolgere azioni guidate visivamente (come muoversi in un ambiente in cui vi sono diverse tipologie di ostacoli), mostrano capacità visive residue che dimostrano abilità percettive preservate, sebbene in assenza di consapevolezza (Poeppel et al. 1973, Nature; Weiskrantz et al. 1974, Brain Weiskrantz 1986, Oxford University Press; Ajina et al. 2015, Elife). Questa condizione è nota come “blindsight” o “visione cieca” ed indica che, nonostante i pazienti siano clinicamente ciechi nella parte lesionata del campo visivo, in cui affermano di non vedere nulla, mostrano la presenza di preservate capacità visive nei test o in alcune situazioni quotidiane.
La risposta al quesito se sia possibile rendere consapevoli abilità visive residue rese inconsce dalla lesione della corteccia visiva primaria si può ottenere promuovendo processi di plasticità neuronale riconducibili a regioni corticali già responsabili delle funzioni percettive risparmiate nel paziente, le quali possono essere portate a vicariare l’assenza di VI nel recupero della consapevolezza visiva. In particolare, il fenomeno potrebbe dipendere da strutture nervose non compromesse (aree visive extrastriate) che acquisiscono e vicariano le proprietà di risposta della corteccia danneggiata (VI), oppure potrebbe derivare dal recupero delle proprietà funzionali pre-lesionali delle regioni extrastriate connesse con la corteccia (VI) danneggiata. Il progetto dirimerà la questione poiché le risposte delle stesse aree neurali agli stessi stimoli in condizione di presenza vs. assenza di consapevolezza visiva verranno comparate direttamente, permettendo di esaminare e confrontare il modo in cui queste risposte cambiano quando lo stesso stimolo viene elaborato con o senza consapevolezza visiva.
Dalla presentazione del progetto risulta che per il conseguimento dell’obiettivo manca: lo sviluppo e la validazione di un modello animale idoneo a studiare e comprendere i meccanismi neurofisiologici e neuroanatomici soggiacenti i processi che portano uno stimolo a superare la soglia dell’elaborazione inconscia, e che quindi possono essere sfruttati nel processo di recupero; lo sviluppo, la validazione e l’ottimizzazione sul modello animale, di interventi riabilitativi in grado di ripristinare la consapevolezza visiva nell’animale affetto da blindsight (visione cieca o non conscia), per poi passare all’applicazione dei protocolli risultati più validi sui pazienti.
Il protocollo riabilitativo utilizzerà in modo congiunto la stimolazione magnetica transcranica (TMS), per modulare la plasticità neurale tra le regioni visive risparmiate dalla lesione, e procedure comportamentali per la selezione di stimoli ecologicamente rilevanti e idonei ad evocare risposte specifiche anche quando proiettati nel campo cieco: le tipologie (es. espressioni emotive) e i parametri (es. alto contrasto, bassa frequenza spaziale) di questi stimoli visivi saranno ottimizzati per indurre la massima risposta nelle aree visive risparmiate e determinare una ulteriore plasticità neurale a supporto del recupero funzionale.
L’obiettivo ultimo del progetto comprende 3 principali sotto-obiettivi: sviluppo del modello sperimentale di primate non-umano per lo studio della consapevolezza visiva: la mappatura dettagliata del campo visivo cieco e delle risposte neurali associate; il recupero della consapevolezza visivo mediante attivazione di processi di plasticità cerebrale.
Come chiarito dalla Prof.ssa Gloria Pelizzo, componente e relatrice pro tempore della Sezione IV del Consiglio Superiore di Sanità nella Relazione tecnico scientifica redatta ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n. 26 del 2014, il ricorso ad un modello animale chirurgicamente indotto è ampiamente riconosciuto in letteratura e rappresenta la metodologia di studio più idonea per esplorare i meccanismi soggiacenti al fenomeno
blindsight in prospettiva di una ricerca di traslazione in clinica umana. Il modello viene riportato in letteratura come “blindsight in VI lesioned monkeys” e prevede l’induzione di una lesione unilaterale VI. Scimmie con lesioni unilaterali VI mostrano una elaborazione visiva residua comprovata. Questi dati fanno presagire che una parte delle competenze visive residue siano mediate dal Collicolo Superiore (CS). Pertanto, i soggetti portatori di simili lesioni sono capaci di discriminare e localizzare stimoli visivi presentati nel campo visivo controlaterale se il compito diviene un esercizio interattivo e con una scelta forzata. Cowey e Stoerig confermano che questi pazienti si comportano come se non fossero coscienti di fronte alla richiesta di rispondere agli stimoli Si/No in cui sono posti, ma sottoposti ad un quesito ripetitivo localizzano l’oggetto.
2. Delineati i contorni del progetto oggetto di autorizzazione, il Collegio può passare all’esame delle eccezioni sollevate dalle Amministrazioni resistenti.
Non è suscettibile di positiva valutazione l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata sul rilievo che la Lega Antivivisezione non sarebbe legittimata ad impugnare l’autorizzazione alla sperimentazione.
E’ sufficiente leggere lo Statuto della L.A.. per verificare che si tratta di associazione che ha per fine la liberazione animale, l’affermazione dei diritti degli animali non umani e la loro protezione, alla zoomafia e la difesa dell’ambiente. Si batte per l’abolizione della vivisezione, della pesca, della caccia, delle produzioni animali, dell’allevamento, del commercio, degli spettacoli con animali e dell’utilizzo di qualsiasi essere vivente (art. 2 dello Statuto). Tale essendo lo scopo statutario della Lega, le questioni dedotte in giudizio – che, contrariamente a quanto affermano le Amministrazioni resistenti, sono tutt’altro che generiche – sono volte alla tutela della salute degli animali e non sono un “manifesto politico” finalizzato alla mera diffusione dei propri orientamenti in materia di benessere del mondo animale.
Non è suscettibile di positiva valutazione neanche l’eccezione relativa all’uso strumentale del ricorso, che sarebbe volto solo all’acquisizione del parere del Consiglio Superiore della Sanità, già acquisito dalla L.A…
Infine, non è condivisibile neanche l’eccepita inammissibilità dell’atto di motivi aggiunti, correttamente depositati dopo che la L.A.. aveva acquisito documentazione ostesa dal Ministero della salute a seguito di accesso ai documenti ex art. 22 l. 7 agosto 1990, n. 241 e, dunque, solo in quel momento conosciuta dalla Osa Ol. La Sp. An. Onlus, co-ricorrente nel giudizio n. 10394/2019.
3. Passando al merito, nell’atto di appello la L.A.. ha precisato che erroneamente il Tar ha inteso il gravame come volto a censurare i ragionamenti svolti dall’Organismo preposto al benessere animale o dal Consiglio Superiore di Sanità, essendo stata invece contestata la modalità con cui si è svolto il procedimento e la totale assenza di motivazione dell’autorizzazione, in palese violazione della direttiva 2010/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 settembre 2010 sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici e del d.lgs. 4 marzo 2014, n. 26, che l’ha recepita. In altri termini, la L.A.. ha inteso sollecitare l’accertamento sul se il procedimento per il rilascio di un’autorizzazione alla sperimentazione, mediante uso di animali, si sia svolto secondo le regole dettate dal d.lgs. n. 26 del 2014, quale disciplina di recepimento della direttiva 2010/63/UE, che ha introdotto l’autorizzazione espressa allo svolgimento di progetti di sperimentazione che coinvolgono animali, e del principio fondamentale dell’art. 13 del TFUE. Si è inteso, dunque, chiedere di verificare se il potere amministrativo, nell’ambito del procedimento che ha portato al rilascio dell’autorizzazione, sia stato esercitato in maniera corretta dal momento che il provvedimento finale è del tutto privo di motivazione e non è possibile quindi ricostruire l’iter logico che ha portato al suo rilascio (primo motivo). Ed invero, contrariamente a quanto tenta di sostenere il Tar Lazio, sia il parere dell’Organismo preposto al benessere animale che la valutazione del Consiglio Superiore di Sanità non contengono alcuna motivazione in ordine al progetto valutato, ma si limitano a riportare stralci della relazione di presentazione del progetto da parte del gruppo di ricerca, citandone alcuni passaggi sintetizzati senza ulteriore approfondimento (secondo motivo).
Ha aggiunto l’appellante che nella Relazione del Gruppo di Lavoro permanente, composto dalla dott.ssa Emanuela D’Amore, dal dott. Guerino Lombardi, dal prof. Rodolfo Lorenzini e dal prof. Gian Luigi Mancardi, allegata al parere del Consiglio Superiore di Sanità del 23 marzo 2020, sono state sollevate perplessità in ordine alla traslabilità dei risultati acquisiti sull’uomo, evidenziando che “… sono moltissime le variabili e gli studi che appaiono in letteratura (di cui molti eseguiti su primati, ma considerevoli anche direttamente sull’uomo) e pertanto non si può affermare con certezza che non esistano metodi od approcci alternativi allo studio del fenomeno, e che non sia possibile utilizzare altro metodo o una strategia di sperimentazione scientificamente valida, ragionevolmente e praticamente applicabile che non implichi l’impiego di animali vivi” e ancora: “Si ritiene che prima di procedere ad un esame definitivo, che porti a riconsiderare tutti gli aspetti valutativi della Fase 1 del progetto, sia quantomeno necessario fornire, da parte dei proponenti, uno studio di metanalisi certificata, fornito da un ente di comprovata affidabilità, indipendenza e terzietà, sulla modellistica proposta rispetto alle finalità generali perseguite”. Contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado tali perplessità, sempre ad avviso dell’appellante, non sono state adeguatamente superate dalla relazione del Prof. Vi. Ma. che, al contrario, pur prendendo atto delle criticità sollevate dal Gruppo di Lavoro afferma soltanto che, nonostante tutte queste criticità non si può rallentare la sperimentazione, perché si metterebbe a rischio il finanziamento europeo e che, comunque, i dubbi in ambito scientifico devono essere considerati perfettamente normali e non compromettenti l’intera ricerca. L’appellante, dal tenore della relazione evince che è stata evidenziata la necessità di dichiarare le necessità di svolgere ulteriori approfondimenti, senza i quali non sarebbe possibile affermare che suddetta attività di ricerca, sui primati non umani, sia indispensabile. Erroneamente, dunque, il Tar Lazio non avrebbe rilevato la contraddittorietà e illogicità della motivazione della relazione del Prof. Martella che, da un lato evidenzia le criticità sollevate dal gruppo di lavoro e dall’altro, invece, le supera con argomentazioni tautologiche prive di rilievo scientifico (terzo motivo).
Infine, il Ministero della Salute non avrebbe garantito il rispetto degli altri due principi costituenti il principio delle 3R: sostituzione, riduzione e perfezionamento. Non sarebbe stato, ad esempio, approfondito in alcun modo il problema legato al numero di animali coinvolti. Il d.lgs. n. 26 del 2014, all’art. 31, comma 4, lett. i), espressamente richiede l’utilizzo “del minor numero di animali per il raggiungimento delle finalità di progetto”, mentre la sperimentazione autorizzata prevede l’impiego di ben sei primati non umani. Di conseguenza, oltre a provare l’assoluta necessità della ricerca (prova peraltro non fornita) si sarebbe dovuto anche svolgere un approfondimento sul rispetto del principio della riduzione, spiegando le ragioni per cui è necessario utilizzare ben sei primati non umani (terzo motivo).
Dall’esame dei primi tre motivi di appello emerge come, in effetti, ad essere contestato non è il merito del progetto di ricerca “Meccanismi anatomo-fisiologici soggiacenti il recupero della consapevolezza visiva nella scimmia con cecità corticale”, presentato dall’Università degli Studi di Parma (con conseguente reiezione dell’eccezione di inammissibilità sollevata dalle amministrazioni resistenti) ma il procedimento che ha condotto il Ministero ad autorizzarlo, asseritamente carente degli opportuni ed indispensabili approfondimenti.
Tale impostazione data dall’appellante alla difesa delle proprie ragioni si fonda (correttamente) sul principio, pacifico nella giurisprudenza del giudice amministrativo, secondo cui le valutazioni condotte dal Ministero – e, prima ancora, dagli altri soggetti intervenuti nel procedimento – restano fuori dal sindacato del giudice amministrativo, essendo frutto di nozioni scientifiche e di valutazioni tecnico-discrezionali che non possono essere messe in discussione, se non in caso di manifesta irragionevolezza o di palese travisamento di fatti. Corollario obbligato di tale premessa è che il giudice amministrativo potrebbe essere adito solo per censurare un comportamento dell’Amministrazione irrispettoso delle regole dettate per il procedimento, che vede la necessità che l’autorizzazione alla sperimentazione sia data motivando sull’avvenuto rispetto del principio delle 3R contenuto al considerando n. 11 della direttiva 2010/63, in base al quale, al fine di svolgere una ricerca involgente la sperimentazione sugli animali (ed a maggior ragione per quelle autorizzate in deroga), sussiste l’obbligo di rispettare i principi della sostituzione, della riduzione e del perfezionamento nel rigido rispetto della gerarchia dell’obbligo di ricorrere a metodi alternativi.
4. Per dare una risposta ai motivi dedotti dall’appellante, nei limiti del proprio sindacato, la Sezione ha disposto, nella fase cautelare (ordinanza n. 5914 del 9 ottobre 2020), una verificazione, incaricando l’IRCCS “Fo. Bi.”, nella persona del suo Presidente, Prof. Ma. St., coadiuvato dal Prof. En. Ga..
Ai verificatori la Sezione ha posto le seguenti domande: 1) il progetto in esame rispetta il principio di sostituzione, nel senso che i risultati attesi sono perseguibili soltanto mediante sperimentazione sulla specie animale “primati non umani” vivi? 2) il progetto in esame rispetta il principio di riduzione, nel senso che il numero di sei primati è quello minimo indispensabile? 3) il principio eurounitario della sostituzione è rispettato in relazione alla originalità scientifica dei risultati attesi dal progetto, e della trasmissibilità dei risultati agli esseri umani, considerato lo stato attuale della ricerca scientifica sui profili e risultati attesi dalla ricerca posta a base della impugnata autorizzazione? 4) ad avviso dei verificatori le risultanze scientifiche dei pareri tutti sopra indicati – sui quali l’autorizzazione si fonda per relationem – hanno considerato tutti e tre gli elementi (come indicati in motivazione) che la direttiva UE e il d.lgs. n. 26 del 2014 pongono quale condizioni per la sperimentazione, altrimenti vietata, su primati vivi non umani?.
L’incarico è stato eseguito e la verificazione è stata depositata in data 18 dicembre 2020.
Le risposte date ai quattro quesiti consentono al Collegio di respingere i primi tre motivi di appello.
Peraltro, prima di esaminare l’esito della verificazione, preme al Collegio – in considerazione delle osservazioni rivolte, prima ancora che sulle risposte date ai verificatori, sulla decisione della Sezione di disporla – fare alcune puntualizzazioni.
La verificazione ha corrisposto alle esigenze di approfondire alcuni profili scientifici su cui gli atti impugnati, autorizzativi della ricerca, richiedevano una analisi più ampia dei censurati profili di incongruità e irragionevolezza: profili su cui il Collegio ha ritenuto di affidarsi a scienziati di profilo pienamente indiscusso su cui oggi può fondarsi una meditata decisione su materia di estrema delicatezza e tecnicità .
La complessità della verificazione è confermata dal fatto che i verificatori di parte hanno contribuito depositando, per l’attenzione dei verificatori operanti presso l’Istituto Bietti, ben 10 documenti scientifici di indubbio rilievo, redatti da scienziati italiani e stranieri.
È in effetti evidente che la verificazione non era affatto intesa, come invece erroneamente adombra la difesa erariale, ad un sindacato sul contenuto scientifico della contestata ricerca, bensì sugli atti che, autorizzandone l’avvio, erano stati attinti da plurime censure meritevoli di approfondimento tecnico con strumenti non in possesso della cognizione di questo Collegio, limitata alla legittimità e non alle caratteristiche scientifiche, pure evocate per negare la congruità delle motivazioni con cui diversi organi scientifici pubblici si erano espressi.
Anticipando le conclusioni alle quali il Collegio perviene in ordine al rilievo, di parte appellante, che i verificatori non avrebbero tenuto conto dei contributi scientifici dei tecnici di parte, vale osservare che la relazione conclusiva, che il Collegio ritiene esaustiva sui punti richiesti, non necessariamente avrebbe dovuto analizzare e confutare specificamente i documenti di parte, che certo sono stati considerati ancorché non condivisi nelle loro conclusioni.
L’utilità della verificazione risulta nella specie pienamente confermata giacché, come chiarito dalla Sezione con l’ordinanza n. 5914 del 9 ottobre 2020, si trattava e si tratta di valutare un interesse – quale il diritto/dovere della ricerca scientifica – in rapporto ad altro interesse, anch’esso presidiato da tutela normativa nazionale ed europea, cioè il benessere animale e le condizioni che, per la sperimentazione su talune specie di animali vivi, la stessa ricerca deve rispettare per poter essere legittimamente condotta e autorizzata, e per questo profilo sindacata, valutando gli atti autorizzativi e non, ovviamente, il contenuto scientifico del progetto, dal giudice naturale che per nessuna materia può mancare in un ordinamento basato sulle regole del diritto.
Sfugge, ancora, alla difesa erariale, nella propria “vis polemica” avverso l’impostazione asseritamente ideologica dell’associazione appellante, che in realtà una verificazione di altissimo profilo scientifico, quale quella depositata in giudizio, nella fattispecie ha corroborato, esprimendosi sui censurati profili motivazionali degli atti autorizzatori della ricerca, proprio la contestata ricerca, permettendo di far cadere argomenti che, per le emozioni suscitabili dal tema della sperimentazione animale, si sarebbero, essi sì, potuti prestare a facili strumentalizzazioni da entrambe le parti in causa: la “sacralità della ricerca”, come tale insindacabile da ogni Autorità giudicante, da un lato; la natura di esseri senzienti degli animali scelti per la sperimentazione, con i conseguenti appelli alla emozione di larghi strati di popolazione del tutto inconsapevole del corretto equilibrio tra effetti positivi di una ricerca medico-scientifica sulla salute umana e il presidio legale volto a garantire anche nella sperimentazione – che dalla legge vigente è consentita a determinate condizioni – il benessere animale.
Ritiene perciò il Collegio che l’obiettivo cui era indirizzato l’ordine di verificazione sia stato ampiamente raggiunto.
5. Tutto ciò doverosamente chiarito per sgomberare il campo sul profilo della utilizzabilità o meno dell’esito della disposta verificazione, vale rilevare che al primo quesito – e cioè se il progetto in esame rispetti il principio di sostituzione, nel senso che i risultati attesi sono perseguibili soltanto mediante sperimentazione sulla specie animale “primati non umani” vivi – i due verificatori hanno dato risposta affermativa.
Ha chiarito la relazione che ai fini del rispetto del principio della “sostituzione” occorre fornire risposte a due interrogativi. Deve innanzitutto chiedersi se l’obiettivo del progetto possa essere realizzato con metodologie effettuate direttamente sull’uomo.
Alla domanda è stata data risposta negativa, sul rilievo che le metodologie proposte nel progetto permettono di ottenere nel Macaco Mulatta informazioni non ottenibili, allo stato attuale delle conoscenze, con metodologie effettuate direttamente sull’uomo. Infatti, per caratterizzare l’attività funzionale e le connessioni cerebrali, dalle evidenze della letteratura, non sono ad oggi riportate metodologie non invasive applicabili direttamente all’uomo che possano fornire informazioni totalmente esaustive.
Sia la “risonanza magnetica funzionale” (fMRI) che la “trattografia e tensori di diffusione” sono metodologie che presentano limiti rispetto a quanto ottenibile con le metodologie proposte nel progetto sperimentale nel modello animale. Quanto alla risonanza magnetica funzionale, ha chiarito la relazione che la risoluzione spaziale e temporale rilevabile nell’uomo e incomparabile con quella raggiungibile nel macaco in cui si ottengono informazioni relative a singoli neuroni. Quanto, invece, alla trattografia e tensori di diffusione, diversamente dalla tecniche neuroanatomiche applicate nel progetto, tali metodiche non misurano direttamente le reali connessioni tra le diverse aree del cervello ma forniscono una loro ricostruzione probabilistica.
Pertanto, le metodologie proposte nel progetto, permettono di ottenere nel Macaco Mulatta informazioni non ottenibili, allo stato attuale delle conoscenze, con metodologie effettuate direttamente sull’uomo.
L’altro interrogativo è se il progetto potrebbe essere realizzato ricorrendo a modelli animali a minor sviluppo neurologico. Anche in questo caso la risposta è negativa, dal momento che né i roditori né le scimmie del Nuovo Mondo dispongono di aree visive associative che potrebbero essere considerate in alternativa a quelle presenti nel macaco nel quale invece hanno caratteristiche del tutto simili a quelle dell’uomo. Aggiungasi che i roditori e le scimmie del Nuovo Mondo presentano dimensioni del cervello troppo piccole per un campionamento sufficientemente accurato dell’attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale. Tali piccole dimensioni potrebbero dar luogo ad “aggregazione di dati” provenienti dalle regioni cerebrali adiacenti, con mancanza di una valutazione selettiva delle aree visive oggetto delle valutazioni; infine, i roditori e le scimmie non sono in grado di eseguire compiti di discriminazione percettiva e rilevazione della consapevolezza visiva previsti dal progetto, con la conseguenza che sarebbe pregiudicato il raggiungimento dell’obiettivo.
6. Il secondo quesito posto ai verificatori è relativo al rispetto del principio di “riduzione”, nel senso che il numero di sei primati è quello minimo indispensabile.
A questo quesito i verificatori hanno dato risposta affermativa, alla luce della complessità del progetto, dell’importanza dei risulti attesi e della loro validazione in ambito scientifico, dall’analisi della letteratura rilevante. È stata chiarita la necessità di condurre le due tipologie di disegni sperimentali, di valutazione dell’attività cerebrale e di neurostimolazione, su animali diversi. Al fine di valutare l’attività cerebrale, nel progetto sono infatti previste due differenti metodiche, entrambe necessarie e complementari per le informazioni ottenute: una di carattere neurofisiologico (registrazione di risposte dell’attività cerebrale attraverso elettrodi intracranici) ed una di carattere morfo-funzionale (esecuzione di risonanza magnetica funzionale). Poiché la presenza di elettrodi in corteccia altera i dati ottenuti con la risonanza magnetica funzionale, le due differenti valutazioni devono essere condotte su differenti animali. Quanto al numero di animali da coinvolgere nella sperimentazione, nella relazione i verificatori hanno chiarito che nella letteratura neurofisiologica, e richiesta come standard di base, la dimostrazione di un effetto ana a quello osservato sul primo animale in base ai dati ottenuti da un secondo animale. Pertanto, il numero minimo di animali necessaria e sufficiente per ciascuno dei due esperimenti è pari a due (per un totale di quattro Macachi) ai quali devono aggiungersi due animali di riserva
7. Il terzo quesito posto ai verificatori è se il principio eurounitario della “sostituzione” è rispettato in relazione alla originalità scientifica dei risultati attesi dal progetto e della trasmissibilità dei risultati agli esseri umani, considerato lo stato attuale della ricerca scientifica sui profili e risultati attesi dalla ricerca posta a base della impugnata autorizzazione.
I verificatori hanno dato risposta affermativa a tale interrogativo, sul rilievo che
i risultati attesi riguardano: la comprensione dei meccanismi neurofisiologici e neuroanatomici; l’integrazione delle analisi delle proprietà dell’attività corticali; la mappatura dettagliata del campo visivo cieco e delle risposte neurali associate; l’ottimizzazione di innovative metodologie degli interventi riabilitativi. Tutti questi risultati hanno tutti carattere di originalità scientifica e sono ottenibili esclusivamente utilizzando un modello animale.
Quanto alla trasferibilità dei risultati ottenuti con la sperimentazione agli uomini, i verificatori hanno premesso che il progetto prevede di definire un protocollo efficace nell’animale per la riabilitazione visiva. Ciò permetterà di ottimizzare i parametri di stimolazione magnetica transcranica più idonei in relazione a specifiche strutture bersaglio. L’identificazione di tali parametri, potrà migliorare quanto oggi esistente in termini di neurostimolazione nei pazienti con deficit visivi emianoptici riducendo così il numero delle sperimentazioni condotte nell’uomo che finora non hanno fornito, con certezza, protocolli con caratteristiche di efficacia riabilitativa.
Ciò chiarito, la relazione ha affermato che la ricerca – sia basata su sperimentazione animale che condotta nell’uomo – non sempre riesce a fornire i risultati attesi.
Data la premessa, la conseguenza è che lo svolgimento del progetto non assicura con certezza il raggiungimento dei risultati attesi, ma saranno i risultati ottenuti a far sì che tutta la procedura sperimentale prevista possa essere considerata valida dalla comunità scientifica per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Peraltro, poiché il modello animale permetterà sia di valutare i cambiamenti nel sistema visivo indotti dalla stimolazione tramite TMS che di delineare dei protocolli di stimolazione altamente specifici per lo sviluppo preclinico di paradigmi avanzati di neuroplasticita, le informazioni ottenute potrebbero ridurre l’uso eccessivo dei test pilota sui soggetti umani con conseguente aumento di benefici per i pazienti. Quanto esposto pone delle solide basi per Ia trasferibilità dei risultati del progetto nella pratica clinica nell’ambito della riabilitazione visiva.
8. I verificatori, infine, in relazione all’ultimo quesito hanno affermato che alla luce della complessità del progetto, dell’importanza dei risulti attesi e della loro validazione in ambito scientifico, dall’analisi della letteratura rilevante, dopo aver incontrato gli esperti delle parti, dopo aver esaminato le integrazioni scritte fatte prevenire dagli esperti delle parti, giungono alla conclusione che le risultanze scientifiche dei pareri dell’Organismo preposto al benessere animale, del Consiglio Superiore della Sanità e dello stesso Css in risposta all’Ordinanza del Consiglio di Stato n. 230 del 2020, sui quali l’autorizzazione si fonda per relationem, hanno considerato tutti e tre gli elementi che la direttiva UE e il d.lgs. n. 26 del 2014 pongono quale condizioni per la sperimentazione su primati vivi non umani, elementi la cui mancanza sarebbe ostativa alla sperimentazione stessa, ad eccezione del parere del Css in risposta all’Ordinanza del Consiglio di Stato n. 230 del 2020, che su specifica richiesta dello stesso Consiglio di Stato, si è espresso solo uno dei tutti i criteri.
9. L’esito della verificazione consente di superare i primi tre motivi di appello.
Giova premettere che, contrariamente a quanto afferma l’appellante, il progetto sarebbe astrattamente assentibile perché la sperimentazione sui macachi mulatti non è ex se vietata dalla normativa europea ed italiana, purchè siano rispettate determinate condizioni; prescrizioni che, grazie alla verificazione, si è accertato essere state rispettate dal progetto elaborato dall’Università di Pavia.
Si è dimostrato, infatti, non assecondabile l’assunto secondo cui non sarebbe stato provato che la sperimentazione rispetta i principi della sostituzione, unitamente a quello della riduzione e del perfezionamento nel rigido rispetto della gerarchia dell’obbligo di ricorrere a metodi alternativi, e ciò in palese violazione dell’art. 13 del TFUE, secondo il quale occorre tenere pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti, che è ormai diventato, proprio grazie al suo inserimento nel Trattato, principio vincolante per tutti gli Stati membri.
I verificatori hanno infatti puntualmente argomentato come il progetto presentato dall’Università degli Studi di Parma rispetti il principio delle 3R, e cioè sostituzione, riduzione e perfezionamento.
Ed invero, sebbene la motivazione sottesa all’autorizzazione ministeriale sia effettivamente scarna, e non consenta di evincere con immediata evidenza le ragioni che hanno condotto a ritenere suscettibile di positiva valutazione il progetto, la verificazione disposta dalla Sezione – dimostratasi essenziale al fine del decidere – ha consentito di avere la conferma della correttezza della conclusione alla quale erano pervenuti il Consiglio Superiore della Sanità e l’Organismo preposto al benessere animale, e cioè che il progetto rispetta i principi di sostituzione, nel senso che i risultati attesi sono perseguibili soltanto mediante sperimentazione sulla specie animale “primati non umani” vivi; di riduzione, nel senso che il numero di sei primati è quello minimo indispensabile; della sostituzione, in relazione alla originalità scientifica dei risultati attesi dal progetto, e della trasmissibilità dei risultati agli esseri umani.
Come più volte chiarito dallo stesso appellante, il thema decidendum del ricorso “era, ed è, quello di controllare che il procedimento per il rilascio di un’autorizzazione alla sperimentazione, mediante uso di animali, si sia svolto secondo i dettami del d.lgs. n. 26 del 2014, della direttiva 2010/63/UE e del principio fondamentale dell’art. 13 del TFUE” (memoria depositata dalla L.A.. il 28 dicembre 2020).
Tale essendo il presupposto da cui muove l’appellante e accertato, attraverso la verificazione, che l’obiettivo del progetto non potrebbe essere raggiunto con metodologie effettuate direttamente sull’uomo e che non sussistono metodi alternativi o la possibilità di effettuare la sperimentazione su un numero inferiore di macachi, non può che concludersi per la legittimità della sperimentazione. La verificazione disposta dalla Sezione ha dimostrato, infatti, che la sperimentazione oggetto del progetto rispetta tutti i requisiti per essere autorizzata, con la conseguenza che non può e non deve essere annullata solo perché non esterna congruamente le ragioni per cui il progetto è assentibile, una volta dimostrato, come è stato dimostrato, che è effettivamente autorizzabile.
10. Con il quarto motivo di appello si deduce che il Consiglio Superiore di Sanità aveva rilasciato un parere favorevole c.d. condizionato in base al quale l’autorizzazione poteva essere rilasciata solamente a condizione che, ogni sei mesi, venissero inviati “All’Ufficio 6 della DGSAF [Direzione generale della Sanità Animale e dei Farmaci Veterinari] dei dati relativi alle condizioni di stress rilevate durante le singole fasi del progetto, nonché le misure intraprese per limitare gli effetti avversi”.
Si tratta di una prescrizione resasi evidentemente necessaria in considerazione della delicatezza del progetto e delle possibili conseguenze negative che potrebbe avere sui primati non umani coinvolti.
L’appellante deduce che dalla lettura dei suddetti report si evince la mancanza di adeguate informazioni sulle condizioni in cui versano gli animali; sarebbero rese, infatti, notizie estremamente generiche che non forniscono alcun elemento sulla reale condizione degli animali, sul loro livello di interazione e di adattamento al nuovo ambiente, violando quindi la condizione posta dal Consiglio Superiore di Sanità e quanto descritto nel progetto autorizzato.
Rileva il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto dalle Amministrazioni negli scritti difensivi, il motivo è ammissibile, atteso che ad essere denunciato è l’asserito mancato rispetto delle condizioni alle quali era stata sottoposta l’autorizzazione.
Nel merito, il motivo è suscettibile di positiva valutazione.
Ed invero, i report effettuati sono effettivamente scarni. Manca, ad esempio, una fotografia dello stato dei macachi, che puntualizzi anche i parametri di monitoraggio dello stress. Appare dunque condivisibile, anche alla luce dei pareri resi dagli esperti in particolare della dott.ssa Federica Amici e della Dott.ssa Baistrocchi) come da un lato tali report risultino carenti proprio su quanto avrebbero dovuto documentare in ordine alle condizioni fisiche, ma soprattutto psichiche dei macachi oggetto di sperimentazione.
Leggendo attentamente i report depositati agli atti di causa emerge come gli stessi rappresentino piuttosto un diario delle attività svolte e dell’ambiente circostante. Ferma restando la necessità di conoscere anche tali dati, emerge con tutta evidenza come gli stessi non possano considerarsi sufficienti, mancando la “reazione” dei macachi ad ogni “azione” esercitata su di essi dall’uomo. In altri termini, occorre registrare lo stato fisico e psichico dei macachi ad ogni singola attività o stimolazione o terapia ai quali sono sottoposti.
Vale infatti rammentare che la sperimentazione è effettuata con primati vivi, senzienti, dei quali è indotta la cecità, con indubbia sofferenza. Pertanto, se è vero che è stata dimostrata la necessità di tale sperimentazione per la messa a punto di protocolli per la riabilitazione della cecità corticale nell’uomo, non di meno tale sperimentazione non può non essere condotta nel pieno rispetto delle cavie utilizzate, esseri dotati di particolare sensibilità neurologica, ancora di più considerando la tutela rafforzata dalla speciale protezione accordata ai primati non umani. In altri termini, se per la ricerca scientifica – che, come chiarito nell’ordinanza della Sezione n. 5914 del 9 ottobre 2020, costituisce “valore come tale universale e in generale non suscettibile di compressione” – è necessario sacrificare animali dotati di elevata sensibilità fisica e, dunque, alta percezione del dolore, è doveroso e imprescindibile condurre gli esperimenti assicurando di infliggere alle cavie la minore sofferenza possibile. Solo con tale impegno, che deve essere posto a presupposto dell’inizio dell’attività, è possibile accettare il sacrificio di animali, esseri senzienti.
Corollario obbligato di tale premessa è l’obbligo imprescindibile, che fa capo all’Università di Pavia, di effettuare e depositare rapporti periodici e frequenti, che includano – considerato che i macachi hanno una intelligenza sviluppata – gli aspetti di competenza dell’eto, e che si soffermino anche sulle condizioni di stress e di possibile interazione tra specie animali che basano uno dei cardini della loro esistenza sulla interazione reciproca; i report da effettuare devono cioè attestare che, nonostante le pratiche condotte sui macachi, è rispettato il “benessere animale” di cui all’art. 13 del vigente Trattato europeo; del contenuto di questi report il Ministero della salute deve fare attento studio, per rilevare tutte le eventuali criticità e per porvi tempestivo rimedio.
11. Non è invece ravvisabile un interesse attuale al quinto motivo, con il quale si deduce la violazione dall’art. 19, d.lgs. n. 26 del 2014 sul rilievo che i due primati non più utilizzabili per la sperimentazione perché malati sono stati riconsegnati al fornitore (RC Hartelust), che ha sede in Olanda, invece di essere reinseriti o reintrodotti in un habitat adeguato.
Risulta agli atti di causa che i due primati sono stati effettivamente restituiti al fornitore, provider internazionale, europeo, autorizzato. Ne consegue che una pronuncia di merito non avrebbe alcun effetto giacché “factum infectum fieri nequit”, e dunque L.A.. denuncia una violazione che esiste ma alla quale non potrebbe più essere posto rimedio.
Unica alternativa a tale conclusione in rito sarebbe una pronuncia che ordinasse ai responsabili della ricerca di richiedere la restituzione dei due primati – se ancora vivi – per destinarli ad idonea struttura in Italia, ma tale soluzione costringerebbe i due macachi ad affrontare un nuovo viaggio dall’Olanda per venire in Italia, gravandoli quindi di quello stress psico-fisico che l’appellante denuncia essere stato illegittimamente inflitto ai due primati con la loro riconsegna al fornitore olandese.
Peraltro, stante l’importanza delle questioni dedotte e al fine di informare la futura attività dell’amministrazione, preme chiarire che, come correttamente rilevato dall’appellante, l’art. 19, d.lgs. n. 26 del 2014 non prevede il reinserimento nell’habitat naturale dei soli animali utilizzati per la sperimentazione ma anche per quelli “destinati a essere utilizzati”, tali dovendo intendersi quelli che erano stati scelti come cavie ma sui quali non è stato poi possibile iniziare la ricerca.
È ben vero che la norma prevede la “possibilità ” e non l'”obbligo” di reinserire questi animali nell’habitat naturale (“gli animali utilizzati o destinati a essere utilizzati nelle procedure… ‘possonò essere reinseriti o reintrodotti in un habitat adeguato…) ma è altresì vero che la scelta di come esercitare tale facoltà (id est, restituitone al fornitore o reinserimento nell’habitat naturale) richiede una seppur minima motivazione, non essendo alcuna delle due opzioni automatiche.
Nonostante le conclusioni alle quali il Collegio è pervenuto nel merito del motivo dedotto, vale chiarire che non è correttamente invocato dall’appellante l’art. 544 ter cod. pen, secondo cui: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro”. Non è infatti provato che l’aver scelto di restituire al fornitore i due macachi abbia comportato “lesione… sevizie o… comportamenti o.. fatiche o a lavori insopportabili”, che costituiscono presupposti per la rilevanza penale dei comportamenti, non integrandosi tali fattispecie per il solo fatto che i due animali sono stati restituiti al fornitore. Diversamente opinando, infatti, si arriverebbe a considerare consumati gli estremi della condotta penalmente rilevante con riferimento a tutti gli animali da questi detenuti.
12. L’appello, in conclusione, deve essere: a) accolto con riferimento al quarto motivo, ai fini della messa a punto delle prescrizioni dettate; b) dichiarato carente di interesse in relazione al quinto motivo; c) respinto per la restante parte.
Sussistono giusti motivi, in considerazione della complessità della vicenda contenziosa e tenuto della non totale infondatezza dell’appello, come chiarito in motivazione, per compensare tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Quanto al compenso per l’attività di verificazione, si dispone la liquidazione a ciascun verificatore di un importo di diecimila euro, che si aggiunge all’acconto di euro tre mila a ciascun professionista, già liquidato con ordinanza della Sezione n. 5914 del 9 ottobre 2020.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto: a) accoglie il quarto motivo, ai fini delle prescrizioni di cui in motivazione; b) dichiara improcedibile il quinto motivo di appello; c) respinge per la restante parte l’appello.
Compensa tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.
Liquida a ciascun verificatore un importo di diecimila euro, che si aggiunge all’acconto di euro tre mila a ciascun professionista, già liquidato con ordinanza della Sezione n. 5914 del 9 ottobre 2020.
Le spese della verificazione, che con l’ordinanza n. 5914 del 2020 erano state poste, in pari misura, a carico delle due parti, sono definitivamente poste per il 75% a carico dell’appellante e per il 25% a carico del Ministero della salute.
Ordina alla segreteria della Sezione di provvedere alla comunicazione della presente sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2021, tenutasi in videoconferenza con collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulia Ferrari – Consigliere, Estensore
Raffaello Sestini – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Giovanni Tulumello – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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