I muri perimetrali non possono essere usati senza il consenso di tutti i comproprietari

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 27 agosto 2020, n. 17942.

La massima estrapolata:

I muri perimetrali, poiché destinati al servizio esclusivo del palazzo condominiale, non possono essere usati senza il consenso di tutti i comproprietari per l’utilità di un altro immobile che sia di proprietà di un condomino e costituisca unità distinta rispetto all’edificio stesso. In quel caso, verrebbe a crearsi una servitù a carico dello stabile.

Ordinanza 27 agosto 2020, n. 17942

Data udienza 19 febbraio 2020

Tag/parola chiave: Condominio – Muri perimetrale – Servizio esclusivo del palazzo condominiale – Consenso di tutti i comproprietari per l’utilità di un altro immobile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 26392-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3504/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 31/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), proprietario di un fabbricato sito in (OMISSIS), citava in giudizio i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendone la condanna all’eliminazione di un finestrino che si apriva nel bagno della loro proprieta’. La pretesa era fondata sull’atto per notaio (OMISSIS) del 27 luglio 1967, con il quale (OMISSIS), dante causa dell’attore, aveva acquistato da (OMISSIS), dante causa dei convenuti, la comunione del muro in cui si apriva il finestrino in questione e (OMISSIS) si obbligava a chiudere il finestrino in caso di vendita dell’appartamento.
I convenuti costituiti eccepivano la nullita’ dell’atto posto a fondamento della domanda dell’attore perche’ si trattava di un muro condominiale e la vendita della comunione era stata fatta solo da uno dei condomini.
I convenuti spiegavano anche domanda riconvenzionale per la condanna dell’attore e di (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS), proprietaria dell’immobile, che chiedevano di chiamare in causa, all’eliminazione dell’appoggio della struttura in ferro realizzata a copertura del terrazzo nel muro condominiale, all’eliminazione delle lastre di marmo con le quali era stato rivestito il muro divisorio a confine tra i due fabbricati, all’eliminazione delle opere realizzate sulla facciata del fabbricato di (OMISSIS) per lesione del decoro architettonico. Si costituiva (OMISSIS) chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale.
2. Il Tribunale, pur ritenendo la nullita’ dell’atto del 29 luglio 1967 perche’ avente ad oggetto la vendita della comunione di beni condominiali da parte di una sola condomina, affermava, per il principio di conservazione degli effetti giuridici dell’atto, la validita’ della clausola concernente la chiusura del finestrino, essendovi indipendenza funzionale tra comunione e veduta, e condannava i convenuti alla chiusura del suddetto finestrino. Inoltre, accoglieva, per quanto di ragione, la domanda riconvenzionale e condannava l’attore ad eliminare l’appoggio della tettoia nel muro di proprieta’ dei convenuti, alla rimozione delle lastre di marmo poste sul muro di proprieta’ degli stessi e all’eliminazione delle scritte “nero giardini” dalla facciata del fabbricato.
3. Avverso tale sentenza proponeva appello l’attore (OMISSIS). Si costituivano (OMISSIS) e gli eredi di (OMISSIS) nelle more deceduto, chiedendo il rigetto dell’impugnazione e proponendo appello incidentale per l’accoglimento delle domande riconvenzionali rigettate in primo grado.
4. La Corte d’Appello rigettava l’appello principale e accoglieva l’appello incidentale.
In particolare, la Corte d’Appello, dopo aver rigettato l’eccezione di inammissibilita’ sollevata dall’appellata, dichiarava infondato il primo motivo di appello, perche’ trattandosi di un muro condominiale, in quanto perimetrale all’edificio, il contratto del 27 settembre 1967 era nullo, non potendosi cedere la comunione del muro da parte di uno solo dei condomini.
Dall’invalidita’ di tale cessione della comunione del muro derivava la nullita’ della clausola concernente la chiusura del finestrino.
Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, doveva escludersi l’indipendenza funzionale e logica della clausola concernente la chiusura del finestrino rispetto a quella avente ad oggetto l’acquisto della comunione.
Peraltro, nella fattispecie, trattandosi di luce che si apriva nel muro che le parti ritenevano essere divenuto comune, (OMISSIS), in relazione al disposto dell’articolo 903 c.c. aveva prestato il consenso a mantenere la luce, specificando che la stessa doveva essere chiusa in caso di vendita della proprieta’ da parte di (OMISSIS). Pertanto, esclusa la comunione del muro, la pattuizione strettamente dipendente da quella concernente la vendita della comunione restava priva di valore e per il finestrino che una luce doveva applicarsi l’articolo 902 c.c. che esclude la possibilita’ di chiudere la luce se non nel caso di costruzione in aderenza e consente al vicino solo di chiedere in qualsiasi tempo la sua regolarizzazione a norma dell’articolo 901 c.c.
Con riferimento alla tettoia era infondato il motivo di appello con il quale il (OMISSIS) aveva sostenuto che essendo proprietario esclusivo del terreno al civico n. (OMISSIS), facente parte dello stabile di (OMISSIS), ed essendo comproprietario del muro perimetrale dello stesso, aveva legittimamente appoggiato la struttura della tettoia nel muro ex articolo 1102 c.c.
Il fatto che il (OMISSIS) fosse proprietario di un’unita’ del fabbricato di via durante (OMISSIS) non consentiva allo stesso di utilizzare la struttura dello stabile a vantaggio di una sua diversa proprieta’ estranea al condominio, non potendosi cedere a favore di soggetti estranei al condominio il godimento di un bene comune che ne altera la destinazione, imponendo sul muro un peso che da’ luogo a una servitu’ per la cui costituzione e’ necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti alla comunione.
Lo stesso valeva per quanto riguarda la posizione delle lastre di marmo.
La Corte d’Appello rigettava l’appello incidentale relativo alla richiesta di condanna del (OMISSIS) al risarcimento dei danni causati dall’illegittima apposizione delle lastre di marmo per mancanza di prova del danno.
4. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.
5. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 1419, 1421, 1424 e 1470 c.c. omesso esame, insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
A parere dei ricorrenti il contratto di vendita di un bene immobile in proprieta’ indivisa che, come nella specie, sia stato stipulato da uno solo dei comproprietari, non e’ nullo ma solamente incompleto, quindi soggetto ad inefficacia relativa. Questa puo’ essere fatta valere solo dal titolare dell’interesse all’acquisto del bene per l’intero che puo’ anche chiedere l’accertamento dell’efficacia del contratto nei limiti della quota dello stipulante, senza che questo possa opporvisi, salvo che non risulti che le parti abbiano inteso effettuare una vendita unitaria. In tale evenienza ciascuno degli stipulanti che vi abbia interesse e’ legittimato a far valere la nullita’ ed il giudice puo’ rilevarla d’ufficio. Nella specie, il giudice del merito, sebbene gli fosse stata posta la questione con uno specifico motivo di doglianza, non aveva verificato se nell’intento comune degli stipulanti il contratto fosse stato considerato come vendita unitaria e non per una sua quota ideale. All’esito positivo del suddetto accertamento non avrebbe potuto negarsi la dedotta nullita’ della stipulazione del 27 settembre 1967 mentre, in caso contrario, il contratto sarebbe stato colpito da inefficacia relativa con diritto a farla valere solo da parte dell’acquirente e dei suoi aventi causa.
1.2 Il motivo e’ inammissibile.
In primo luogo il ricorrente richiede una diversa interpretazione del contratto dichiarato nullo nel giudizio di merito, ritenendo violate le norme in materia di nullita’ parziale ecc. ma omette di riportare il contenuto del contratto e di lamentare la violazione di canoni di ermeneutica contrattuale, il che rende inammissibile il motivo, da un lato, perche’ in mancanza del testo integrale del contratto, non e’ possibile valutarne il suo contenuto per affermare che la nullita’ era solo parziale oppure che si poteva dedurre un altro contratto di diverso contenuto e forma e, dall’altro, perche’ l’interpretazione del contratto e’ attivita’ demandata al giudice del merito sindacabile dal giudice di legittimita’ solo per la violazione di uno dei criteri interpretativi di cui agli articoli 1362 c.c. e ss. che, come si e’ detto, nella specie non risultano neanche evocati.
Inoltre, ricorre anche un altro motivo di inammissibilita’ in quanto il ricorrente non indica in quale atto o momento processuale la suddetta questione era stata effettivamente sollevata e, dunque, preclude a questa Corte la necessaria verifica circa il carattere di novita’ o meno della questione.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 1102 c.c. articoli 112, 115 e 845 c.p.c., nullita’ della sentenza, pronuncia ultra petita (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4).
A parere del ricorrente la Corte d’Appello, nell’accogliere la domanda riconvenzionale riproposta con l’appello incidentale relativamente alla installazione della tettoia e delle lastre di marmo, ha pronunciato ultra petita perche’ ha deliberato su una questione nuova rispetto alla domanda riconvenzionale svolta in primo grado.
Le appellate avevano limitato la loro doglianza alla pretesa illegittimita’ dell’appoggio della tettoia e della posizione delle lastre di marmo ma non sotto il profilo della costituzione di una servitu’ ma per la violazione del pari uso del bene comune del mutamento della sua destinazione.
Le opere eseguite dal (OMISSIS) erano del tutto legittime, potendo gli altri condomini fare uso del muro perimetrale o comunque non potendone fare il medesimo uso perche’ impossibilitate dalla localizzazione del muro.
2.1 I secondo motivo e’ fondato con riguardo all’installazione delle lastre di marmo e infondato nel resto.
In primo luogo, deve affermarsi che la Corte d’Appello non ha accolto l’appello incidentale con il quale si chiedeva la condanna del ricorrente al risarcimento del danno causato dall’illegittima apposizione delle lastre di marmo, ma ha rigettato l’appello principale dell’odierno ricorrente sulla condanna alla rimozione delle stesse.
Cio’ premesso deve evidenziarsi l’evidente infondatezza della censura relativa alla violazione dell’articolo 112 c.p.c. dovendosi ribadire che: “In tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, ne’ incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Sez. 6 – L, Ord. n. 513 del 2019)”. Cio’ e’ quanto avvenuto nel caso di specie con il rigetto del motivo di appello avente ad oggetto la condanna alla rimozione della tettoia e delle lastre di marmo.
2.2 La censura di violazione dell’articolo 1102 c.c. con riguardo alla installazione della tettoia e’ infondata.
La pronuncia e’ conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale: “I muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati al servizio esclusivo dell’edificio stesso, sicche’ non possono essere usati, senza il consenso di tutti i comproprietari, per l’utilita’ di altro immobile di proprieta’ esclusiva di uno dei condomini e costituente un’unita’ distinta rispetto all’edificio comune, in quanto cio’ costituirebbe una servitu’ a carico di detto edificio. Pertanto, costituisce uso indebito di cosa comune l’appoggio praticato da un condomino sul muro perimetrale dell’edificio condominiale per realizzare locali di proprieta’ esclusiva, mettendoli in collegamento con altro suo immobile, in quanto siffatta opera viene ad alterare la destinazione del muro perimetrale e ad imporvi il peso di una vera e propria servitu'” Sez. 2, Sent. n. 15024 del 2013.
Peraltro, deve richiamarsi anche il precedente in termini, citato dalla Corte d’Appello, circa la violazione dell’articolo 1102 c.c. nell’apposizione di una tettoia sul muro condominiale da parte di uno dei comproprietari nel caso in cui la stessa sia posta a copertura di un’area di esclusiva proprieta’ di quest’ultimo, in quanto in tal modo, infatti, si viene a costituire una servitu’, in quanto il bene e’ posto a servizio esclusivo di altro immobile (Sez. 2, Sent. n. 17868 del 2003).
2.3 Il collegio, invece, ritiene fondata la censura di violazione dell’articolo 1102 c.c. limitatamente all’apposizione delle lastre di marmo sul muro perimetrale, in quanto tale condotta e’ compatibile con quanto previsto dall’articolo 1102 c.c. circa l’utilizzazione della cosa comune e i relativi miglioramenti senza alterarne la destinazione e senza impedire agli altri condomini di continuare a fare uso del medesimo bene in conformita’ alla sua destinazione. Peraltro, la motivazione della Corte d’Appello sul punto e’ sostanzialmente inesistente, avendo richiamato le diverse e inconferenti ragioni per le quali doveva ritenersi sussistente la violazione dell’articolo 1102 c.c. con riferimento alla tettoia.
3. In conclusione la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso per quanto esposto in motivazione, rigetta il primo motivo di ricorso, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli che decidera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso per quanto esposto in motivazione, rigetta il primo motivo di ricorso, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli che decidera’ anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

 

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