Procedure concorsuali finalizzate all’assunzione nel pubblico impiego

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 17 luglio 2020, n. 4622.

La massima estrapolata:

Nei procedimenti amministrativi in generale ed in particolare nelle procedure concorsuali finalizzate all’assunzione nel pubblico impiego non vi è un obbligo specifico di preventiva ricusazione né dei componenti delle commissioni giudicatrici né degli altri funzionari o dirigenti che abbiano posto in essere atti in esso incidenti e che pur si trovano in situazione di incompatibilità; nei procedimenti concorsuali amministrativi il candidato ha una mera facoltà in proposito; egli infatti può altresì attendere l’esito del concorso e dedurre il vizio di illegittimità della composizione della commissione giudicatrice al fine di far annullare le prove di concorso ed il loro esito.

Sentenza 17 luglio 2020, n. 4622

Data udienza 23 giugno 2020

Tag – parola chiave: Pubblico impiego – Assunzione dirigenti – Selezione per titoli ed esami – Mobilità – Inidoneità – Impugnazione – Fondatezza – Composizione commissione esaminatrice – Conflitto di interessi

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4871 del 2012, proposto dal dottor Ni. Br., rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Dell’A. e Le. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,
contro
la Provincia di Barletta-Andria-Trani, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Do. Mo., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Ol. in Roma, via (…)
nei confronti
i dottori Ma. De Fi. ed altri, non costituiti in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 587/2012, resa tra le parti, concernente l’inidoneità alla selezione per titoli ed esami per l’assunzione di n. 6 dirigenti con professionalità amministrativa.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Barletta-Andria-Trani;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le brevi note depositate ai sensi dell’art. 84 comma 5, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. in L. 24 aprile 2020, n. 27;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2020, il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. in L. 24 aprile 2020, n. 27) gli avvocati delle parti costituite in appello;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Sez. II, con sentenza del 20 marzo 2012, n. 587, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento della determinazione n. 79 in data 3 giugno 2010, avente ad oggetto “Presa d’atto dei verbali della Commissione relativi alla mobilità di n. 6 dirigenti con professionalità amministrativa”, con la quale è stato sancito che nessuno dei candidati partecipanti al concorso, tra i quali il ricorrente, è stato valutato idoneo.
Secondo il TAR, sinteticamente:
– il ricorso in esame è anzitutto irricevibile per tardività, risultando documentato in atti che il ricorrente ha avuto piena conoscenza del giudizio di non idoneità già in data 14 aprile 2010, subito dopo l’espletamento della prova orale;
– è inammissibile, oltre che infondato, il motivo di censura con cui si contesta il presunto illegittimo ampliamento delle materie oggetto di prova: inammissibile, in quanto non impugnato il relativo verbale della commissione con cui è stato stabilito in via integrativa lo specifico oggetto delle prove d’esame; infondato, in quanto “la normativa in materia di contratti pubblici relativamente a lavori, servizi e forniture” e “la normativa nazionale e regionale in materia di espropriazione per pubblica utilità ” devono ritenersi perfettamente ricomprese nelle materie indicate nel bando, all’art. 4;
– la pretesa del ricorrente ad una articolazione della prova solo in termini generalistici muove dall’erroneo presupposto del ritenere integrata una adeguata capacità manageriale in assenza di specifica cognizione delle materie, atteso che viceversa la capacità di sintesi presuppone invece adeguata conoscenza specialistica;
– parimenti inammissibile è anche la censura relativa alla pretesa illegittimità della formulazione della domanda posta al ricorrente, non limitata al mero riferimento normativo all’art. 22-bis del Testo Unico delle espropriazioni e alla L.R., bensì preceduto da un chiaro riferimento all’espropriazione d’urgenza, in quanto impinge nei contenuti di discrezionalità riservati alla commissione giudicatrice e non sindacabili dal giudice amministrativo, se non per profili di macroscopica illegittimità, che non ricorrono nel caso in esame;
– il giudizio di inidoneità risulta invece supportato da adeguata motivazione, evidenziandosi la carenza di conoscenze puntuali ovvero la conoscenza solo generica e a volte parziale dell’argomento, attraverso un colloquio caratterizzato da incertezza espositiva, a prescindere quindi dalla valutazione della risposta alla singola domanda;
– è altresì infondato il terzo motivo di censura con cui si deduce violazione dell’art. 9, comma 2, del regolamento sull’accesso ai pubblici impieghi approvato con d.P.R. n. 487-1994, regolamento anzitutto di diretta applicazione solo con riferimento ai concorsi indetti dalle Amministrazioni statali, attesa anche l’impossibilità logica di equivalere la posizione del Segretario Generale della Provincia con quella di componente dell’organo di direzione politica;
– proprio l’art. 8 del predetto regolamento, peraltro non impugnato, prevede espressamente che la presidenza delle commissioni di concorso sia attribuita al Segretario Provinciale;
– inammissibile ed infondata è infine la censura relativa ad un presunto conflitto di interessi relativamente alla posizione del controinteressato dottor Di. Ni., atteso che lo stesso ha partecipato alla medesima procedura concorsuale ed è stato a sua volta giudicato non idoneo, tenuto peraltro conto che l’Amministrazione provinciale avrebbe ben potuto conferire direttamente l’incarico al predetto dott. Di., prescindendo del tutto dalla procedura di mobilità, che è configurata dalla legge come meramente facoltativa.
La parte appellante contestava la sentenza del TAR, eccependone l’erroneità e riproducendo, nella sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.
Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.
Si costituiva la Provincia appellata chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 23 giugno 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Rileva il Collegio che l’attuale appellante, dipendente dell’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei Segretari Comunali e Provinciali, già Segretario comunale dal 1977 e, dall’Aprile 1993, Segretario Generale comunale, ha esposto di aver partecipato al procedimento concorsuale per titoli e colloqui, indetto dalla Provincia di Barletta-Andria-Trani, con determinazione dirigenziale n. 8 dell’8 febbraio 2010 per l’assunzione in mobilità ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.lgs. n. 165-2001 di n. 6 dirigenti con professionalità amministrativa.
L’appellante, ammesso al concorso, ha sostenuto la prova orale con esito negativo (determinazione impugnata n. 79 del 3 giugno 2010), essendo stato valutato non idoneo, così come tutti gli altri sette candidati ammessi, con il punteggio di 20/30, inferiore rispetto a quello minimo previsto dal bando.
Ai sensi dell’art. 4 del bando sulle modalità di selezione, la prova colloquiale doveva essere “finalizzata ad accertare le qualità manageriali, organizzative e direzione dei servizi complessi, oltre che le conoscenze operative in materia di ordinamento degli enti locali, con particolare riferimento all’ordinamento provinciale, norme sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento alle più recenti riforme ed evoluzioni legislative succedutesi in materia”.
Come si evince dal verbale n. 1 del 12 aprile 2010, la Commissione aveva stabilito che gli argomenti del colloquio avrebbero riguardato i seguenti “raggruppamenti di materie”: 1) legislazione sull’ordinamento delle autonomie locali; 2) ordinamento contabile delle autonomie locali; 3) ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche con particolare riferimento alle novità introdotte dal d.lgs. n. 150-2009, organizzazione e rapporto di impiego negli enti locali, diritti ed obblighi dei dipendenti pubblici; 4) normativa in materia di contratti pubblici relativamente a lavori, servizi e forniture; 5) normativa nazionale e regionale in materia di espropriazioni per pubblica utilità .
Come risulta dal verbale di commissione n. 2 del 14 aprile 2010, delle tre domande rivolte per sorteggio all’attuale appellante, la terza ha riguardato “occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione. Art. 22-bis T.U.E. n. 327-2001 e Legge Regionale n. 3-2005”; peraltro, a tutti i candidati è stata rivolta una domanda concernente l’espropriazione per pubblica utilità (come doveroso in base al raggruppamento delle materie n. 5 disposto con il citato verbale n. 1 del 12 aprile 2010 della Commissione).
2. La tesi centrale dell’atto di appello si impernia, sostanzialmente nella considerazione (già oggetto di un procedimento penale, risoltosi con l’assoluzione disposta dalla Corte d’appello di Bari) che la nomina della commissione esaminatrice del concorso di mobilità esterna in oggetto, effettuata dal dott. Di. con determinazione dirigenziale n. 22 in data 19 marzo 2010, fosse illegittima, in quanto il dott. Di. stesso aveva interesse specifico che il concorso fallisse (come in effetti è avvenuto) avendo nel frattempo lo stesso dott. Di. presentato la sua domanda di partecipazione alla selezione per le assunzioni a tempo determinato, assunzione che presupponeva proprio l’assenza di vincitori al concorso oggetto della presente procedura per cui è giudizio.
3. L’appello, sotto il profilo evidenziato nel precedente paragrafo, è da ritenersi fondato.
In primo luogo, seguendo un opportuno e doveroso ordine logico di trattazione dei motivi di appello, deve parimenti ritenersi fondato il motivo di appello connesso alla pronuncia di tardività del ricorso di primo grado, nel senso che il motivo sopra evidenziato tende a sostenere un’incompatibilità e, quindi, un dovere di astensione, del dott. Di. che, quindi, non avrebbe potuto procedere alla nomina della Commissione, con conseguente caducazione dell’intero procedimento selettivo.
Di conseguenza, in questa prospettiva e in relazione a tale intento impugnatorio, è corretta l’impugnazione sia della determinazione n. 79 in data 3 giugno 2010 a firma del dr. Ni. Di., nella sua qualità di dirigente a tempo determinato della Direzione Risorse Umane, avente ad oggetto “Presa d’atto dei verbali della Commissione relativi alla mobilità di n. 6 dirigenti con professionalità amministrativa”, rappresentando tale atto il provvedimento conclusivo e finale del procedimento selettivo contestato; sia l’impugnazione della determinazione dirigenziale n. 22 in data 19 marzo 2010 che, in quanto atto endoprocedimentale illegittimo, inficia la legittimità del provvedimento finale anzidetto.
4. Ritiene il Collegio che non sussiste in materia di pubblici concorsi una norma specifica in materia di astensione/ricusazione, risultando quindi applicabili i principi generali in materia di azione amministrativa e, per analogia, le norme settoriali vigenti.
Per i primi assumono rilievo diretto i principi costituzionali (di cui principalmente all’art. 97) recepiti e sviluppati nella L. n. 241-1990 (soprattutto all’art. 1 e, poi, anche all’art. 6-bis introdotto dalla legge anticorruzione n. 190-2012, che ha normato il principio in materia di conflitto di interessi).
Per i secondi occorre richiamare l’art. 51, commi 1 e 2, e 52 c.p.c., specificamente dettati per i giudici, in regime processuale.
Le norme vanno quindi coordinate, avendo l’evoluzione giurisprudenziale identificato limiti ulteriori rispetto alle cause tipiche e tassative ex art. 51, comma 1, c.p.c., estendendo il principio di astensione tutte le volte che possa manifestarsi un sospetto, consistente, di violazione dei principi di imparzialità, di trasparenza e di parità di trattamento, (comunque inquadrabile nell’art. 51, comma 2, c.p.c.).
Dunque tutte le volte che sia ipotizzabile un potenziale conflitto di interessi, il soggetto giudicante si deve astenere, in caso contrario riverberandosi la mancata astensione sulla legittimità del provvedimento adottato.
Il conflitto di interessi, ad esempio, può esprimersi non solo in termini di grave inimicizia (caso espressamente previsto dall’art. 51, comma 3, c.p.c.) nei confronti di un candidato, ma anche in tutte le ipotesi di peculiare amicizia o assiduità nei rapporti (personali, scientifici, lavorativi, di studio), rispetto ad un altro concorrente, in misura tale che possa determinare anche solo il dubbio di un sostanziale turbamento o offuscamento del principio di imparzialità (caso non previsto dall’art. 51, comma 3, c.p.c.).
Il dovere di astensione dei pubblici dipendenti e degli amministratori vale a preservare anzitutto la credibilità e la fiducia dell’Amministrazione, scattando, perciò, a fronte di situazioni di mero pericolo e verificandosi in tutti i casi in cui sussistano condizioni che, avuto riguardo al particolare oggetto della decisione da assumere, appaiano anche potenzialmente idonee a porre in pericolo l’assoluta imparzialità e la serenità di giudizio dei titolari dell’ente stesso, a prescindere dai profili o dalle conseguenze penali che possono implicare, essendo indipendenti le valutazioni circa la situazione di illegittimità del provvedimento amministrativo, da quelle dell’illiceità (penale) della condotta.
Al contempo, il dovere di astensione in materia di concorsi pubblici riguarda anche chi è chiamato ad espletare compiti di natura gestionale, ex art. 6-bis L. n. 241-1990, aggiunto dall’art. 1, comma 41, l. 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione).
Il legislatore, infatti, ha per tal via coniato un canone di generale applicazione che postula ineludibili esigenze di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento.
L’alveo applicativo dei menzionati principi va ricondotto alle determinazioni dal contenuto discrezionale (e tipicamente lo è la scelta dei membri della commissione di concorso da nominare), che implicano quindi apprezzamenti di stampo soggettivo che ben possono, anche solo in astratto, essere condizionati dal fatto che chi concorre all’adozione dell’atto versa nella vicenda un interesse personale, ma non anche quando l’atto si fondi sulla oggettiva verifica di requisiti, presupposti o condizioni predeterminati da rigide previsioni normative (il che non ricorre nel caso di specie).
Pertanto, lo stesso riferimento al conflitto anche solo potenziale vale a dimostrare un’esplicita volontà ` del legislatore di impedire ab origine il verificarsi di situazioni di interferenza, rendendo assoluto il vincolo dell’astensione, a fronte di qualsiasi posizione che possa, anche in astratto, pregiudicare il principio di imparzialità .
Pertanto, l’obbligo di astensione non ammette deroghe ed opera per il solo fatto che il dipendente pubblico risulti portatore di interessi personali che lo pongano inequivocabilmente in conflitto con quello generale affidato all’Amministrazione di appartenenza.
5. Nel caso di specie, è evidente che il dott. Di. fosse inequivocabilmente portatore di un interesse contrario al buon esito della procedura selettiva oggetto del presente giudizio (che, infatti, si è conclusa senza alcun vincitore) con la conseguenza che, sul piano amministrativo, aveva l’obbligo di astenersi dal compiere atti discrezionali incidenti sul procedimento selettivo, stesso, quale la nomina di una commissione di concorso.
Il dr. Di. non ha, infatti, partecipato al concorso di mobilità volontaria al quale hanno partecipato il ricorrente e gli altri concorrenti, tutti dichiarati inidonei; ha partecipato invece, e con successo, alla selezione per assunzioni triennali ex art. 110 TUEL indetta contemporaneamente per l’eventualità che avesse avuto esito negativo il predetto concorso di mobilità volontaria.
Il dr. Di. era già dipendente precario della BAT in virtù di un precedente contratto in scadenza quando sia il concorso che la selezione sono stati decisi e, nella sua qualità di dirigente del personale, ha adottato la determinazione di nomina di due dei tre componenti della commissione esaminatrice del concorso di mobilità al quale il concorrente e gli altri candidati hanno infruttuosamente partecipato (e non di tutti e tre perché il presidente della commissione è, per regolamento, il Segretario Generale della Provincia).
Il provvedimento di nomina è, evidentemente, un provvedimento delicato sul piano delle scelte da effettuare e fondamentale per l’andamento del concorso, attesa la nota giurisprudenza amministrativa che nega la sindacabilità delle valutazioni finali delle commissioni di concorso (salvo che ricorrano profili macroscopici), il che rende evidente la necessità di sceglierne i membri in modo che sembri imparziale e scongiuri ogni rischio di parzialità, a prescindere dalla dimostrazione concreta che la scelta sia stata effettivamente parziale e volta a pilotare l’esito del concorso (che spetta, invece, alla giurisdizione penale eventualmente accertare).
Pertanto, la situazione di incompatibilità in essere prescinde dal positivo riscontro dell’illegittimità dei singoli atti della commissione di gara (oggetto degli altri motivi di appello).
L’obbligo di astensione per incompatibilità si verifica, infatti, per il solo fatto che questi siano portatori di interessi personali atti ad inverare una posizione di conflittualità o anche di divergenza rispetto a quello, generale, affidato alle cure della Pubblica Amministrazione, indipendentemente dalla circostanza che, nel corso del procedimento, l’Organo abbia proceduto in modo imparziale, o che non vi sia prova di condizionamento per effetto del potenziale conflitto d’interessi.
6. Inoltre, deve evidenziarsi che nei procedimenti amministrativi in generale ed in particolare nelle procedure concorsuali finalizzate all’assunzione nel pubblico impiego non vi è un obbligo specifico di preventiva ricusazione né dei componenti delle commissioni giudicatrici né degli altri funzionari o dirigenti che abbiano posto in essere atti in esso incidenti e che pur si trovano in situazione di incompatibilità .
La ricusazione, infatti, costituisce un obbligo soltanto in sede giurisdizionale in cui l’interessato deve far valere le proprie ragioni con lo speciale procedimento preventivo, mentre nei procedimenti concorsuali amministrativi il candidato ha una mera facoltà in proposito.
Egli infatti può altresì attendere l’esito del concorso e dedurre il vizio di illegittimità della composizione della commissione giudicatrice al fine di far annullare le prove di concorso ed il loro esito, come nell’ipotesi di specie.
Peraltro, anche nell’ambito dei procedimenti in cui sia espressamente previsto un obbligo di ricusazione è stato comunque escluso che lo stesso possa configurarsi come necessario presupposto ovvero elemento ostativo della successiva azione giurisdizionale per chi intenda dolersi del mancato rispetto del dovere di astensione.
E’ stato in proposito affermato che le cause di astensione “si possono far valere per la prima volta in sede di impugnazione del provvedimento finale”, in considerazione del fatto che la procedura concorsuale è retta dal generale principio costituzionale di imparzialità, di cui all’art. 97 della Costituzione.
7. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere accolto in relazione alla ricevibilità del ricorso di primo grado e al motivo di appello connesso al conflitto di interessi, assorbenti di ogni altro profilo dedotto, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.
Per quanto riguarda la domanda risarcitoria, occorre ricordare il principio generale dell’onere della prova previsto dall’art. 2697 c.c., che si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo, con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento manchi della prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta (cfr., da ultimo, ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 9 marzo 2020, n. 1674).
Le deduzioni della parte appellante in materia di danno risarcibile e di quantum risarcitorio sono contenute in poche righe a pag. 21 dell’atto di appello e sono palesemente generiche.
In assenza di indicazione di qualunque attendibile parametro quantitativo funzionale al risarcimento del danno è evidente che tale danno non potrebbe neppure essere liquidato in via equitativa, come pretende parte appellante.
Le spese di lite del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo accoglie ai sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.
Respinge la domanda di risarcimento dei danni.
Condanna la Provincia appellata al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore della parte appellante, spese che liquida in euro 5.000,00, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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