L’autorizzazione unica ambientale

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 29 aprile 2020, n. 2733.

La massima estrapolata:

L’autorizzazione unica ambientale costituisce il provvedimento finale di un procedimento, nel quale convergono tutti gli atti di autorizzazione, di valutazione e di assenso afferenti i campi dell’ambiente, dell’urbanistica, dell’edilizia, delle attività produttive. L’autorizzazione integrata ambientale non costituisce quindi la mera “sommatoria” dei provvedimenti di competenza degli enti chiamati a partecipare alla Conferenza di Servizi, ma è un titolo autonomo caratterizzato da una disciplina specifica che, per quanto qui interessa, consente la costruzione e la gestione dell’impianto alla stregua delle prescrizioni e delle condizioni imposte dall’autorizzazione medesima.

Sentenza 29 aprile 2020, n. 2733

Data udienza 13 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Trattamento di rifiuti – Impianto – Autorizzazione unica ambientale – Natura – Titolo autonomo – Disciplina specifica

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 806 del 2019, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Lu. Er., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la Città Metropolitana di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata difesa dagli avvocati Gi. Cr. e Ma. Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
l’Agenzia Regionale Protezione Ambientale Campania (ARPAC), in persona del legale rappresentante pro tempore, l’Ente d’Ambito Sarnese Vesuviano, in persona del legale rappresentate pro tempore, la Asl Na 2 Nord, in persona del legale rappresentate pro tempore, non costituiti in giudizio;
nei confronti
la società Ra. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Pa., Si. Sc. e Fr. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
l’Associazione “An. Gu. Ne. Te. dei Fu.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato En. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, Sezione quinta, n. 4304 del 28 giugno 2018, resa tra le parti, concernente un’autorizzazione integrata ambientale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania, della Città Metropolitana di Napoli e della società Ra. s.p.a.;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione “An. Gu. Ne. Te. dei Fu.”;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il consigliere Nicola D’Angelo e uditi, per il Comune appellante, l’avvocato Ma. Lu. Er., per la Regione appellata, l’avvocato Al. Ar., su delega dell’avvocato An. Ma., per la società Ra., l’avvocato En. Io. e, per l’Associazione interveniente, l’avvocato An. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il Comune di (omissis) ha impugnato dinanzi al Tar per la Campania il decreto dirigenziale n. 263 del 17 ottobre 2011, con cui la Regione ha rilasciato alla società Ra., in esito ad una conferenza di servizi, l’autorizzazione integrata ambientale per il trattamento di rifiuti pericolosi e di rigenerazione di olii usati presso un impianto già esistente nel territorio comunale.
1.1. In particolare, il procedimento oggetto di giudizio si è svolto ai sensi della disciplina contenuta nel d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, sulla prevenzione dall’inquinamento.
Nell’ambito della stessa procedura, il Comune ha espresso parere contrario, impugnando, anche con motivi aggiunti, le relative conclusioni.
2. Il Tar per la Campagna, Sede di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso ed i relativi motivi aggiunti, rilevando come l’autorizzazione integrata ambientale (di seguito AIA) rilasciata dalla Regione fosse stata adeguatamente motivata e come fosse coerente con la disciplina urbanistica dell’area interessata.
3. Contro la decisione del Tar, il Comune di (omissis) ha quindi proposto appello sulla base dei seguenti motivi di censura.
3.1. Error in iudicando. Ingiustizia manifesta.
3.1.1. Il giudice di prime cure ha ritenuto, in relazione all’incompatibilità urbanistica dello stabilimento industriale della società Ra., che “la parziale, sopravvenuta incompatibilità urbanistica dell’attuale ubicazione non poteva di certo giustificare il diniego di rilascio dell’AIA, trattandosi non di nuovo opificio ma di un impianto industriale già esistente, realizzato ed operante in virtù di titoli edilizi legittimi ed efficaci”. Secondo il Comune appellante, tuttavia tale conclusione non sarebbe fondata. Come emergerebbe dalla perizia di parte depositata in primo grado, lo stabilimento di cui è causa svolge la propria attività su una superficie di 49.000 mq, su particelle catastali originariamente identificate con i nn. (omissis) del foglio n. (omissis), poi confluite in un’unica particella identificata con n. 1214. Tale ultima particella ricadrebbe nel vigente Piano Regolatore Generale in parte nelle zone territoriali omogenee:
-(omissis) residenziale satura;
-(omissis) stralciata Comune di (omissis) di (omissis) industria ed artigianato;
-(omissis) aree per spazi pubblici attrezzati a verde o a parco;
-(omissis) aree per attrezzature collettive;
-(omissis) aree per l’istruzione superiore all’obbligo;
-Strade di progetto e verde di rispetto.
Ad eccezione della zona (omissis), su cui insiste una parte dell’impianto avente superficie di soli 9.000 mq, la restante parte dell’impianto ricadrebbe quindi su zone sostanzialmente incompatibili con l’attività svolta.
3.2. Error in iudicando. Violazione di legge ed eccesso di potere.
3.2.1. La sentenza impugnata avrebbe erroneamente statuito che “Contrariamente a quanto prospettato nel costrutto attoreo, non risulta poi che l’autorità procedente abbia inteso realizzare una variante della strumentazione urbanistica, sicché si palesano inconferenti anche le doglianze con cui è stata lamentata la violazione delle relative norme procedimentali”. La tesi del Tar per la ricorrente non sarebbe condivisibile in ragione del fatto che con il rilascio del provvedimento impugnato si è invece realizzata una variante automatica della destinazione dell’area su cui insiste l’impianto.
3.3. Error in iudicando. Violazione di legge. Violazione dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990.
3.3.1. La tesi del Tar secondo cui il parere contrario espresso dal Comune al rilascio dell’AIA non avrebbe imposto alla Regione una motivazione rafforzata sarebbe infondata. Il ruolo preminente dell’Ente territoriale si imponeva infatti nel procedimento ai sensi dell’art. 14 ter, comma 4, della legge n. 241/90 (nella versione ratione temporis vigente).
3.4. Error in procedendo. Omessa pronuncia su uno specifico motivo di ricorso.
3.4.1. Secondo l’appellante il giudice di primo grado non si sarebbe pronunciato sulla censura di cui ai primi motivi aggiunti, relativa alla violazione dell’art. 14 ter, comma 8, della legge n. 241/90.
3.5. La società ricorrente ripropone poi tutti i motivi di censura contenuti nel ricorso di primo grado e nei motivi aggiunti.
3.5.1. In particolare, quanto al ricorso principale:
– violazione art. 3 L. 241/1990 – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere – istruttoria carente – difetto di motivazione;
– violazione art. 14 ter L. 241/1990 – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere – travisamento – istruttoria carente – difetto di motivazione;
– violazione P.R.G. vigente – violazione L.R. 16/2004 – eccesso di potere – travisamento – carenza di istruttoria;
– violazione art. 32 Cost. – violazione del piano approvato con la delibera della Regione Campania n. 167/2006 – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere per travisamento, contraddittorietà, carenza di istruttoria.
3.5.2. Quanto ai primi motivi aggiunti:
– violazione art. 14 ter L. 241/1990 – violazione del giusto procedimento – sviamento;
– violazione art. 32 Cost. – violazione del piano approvato con la delibera della Regione Campania n. 167/2006 – violazione del giusto procedimento – eccesso di potere per travisamento, contraddittorietà, carenza di istruttoria.
3.5.2. Quanto ai secondi motivi aggiunti, relativi all’atto datato 28 dicembre 2015, con cui la Regione Campania ha preso atto della “modifica non sostanziale” dell’AIA, comunicata dalla Ra.: A – violazione artt. 6, 29-nonies e 187 d.lgs. 152/2006 e delibera di G.R. n. 81 del 9.3.2015 – eccesso di potere – istruttoria carente, difetto di motivazione – erroneità dei presupposti.
4. La Regione Campania e la Citta Metropolitana di Napoli si sono costituite in giudizio rispettivamente il 15 febbraio 2019 ed il 22 febbraio 2019, chiedendo il rigetto dell’appello.
5. La società Ra. si è costituita in giudizio il 26 febbraio 2019, chiedendo anch’essa il rigetto dell’appello, ed ha poi depositato ulteriori scritti difensivi e documenti, per ultimo una memoria di replica il 20 gennaio 2020.
6. L’Associazione “An. Gu. Ne. Te. dei Fu.” ha depositato il 13 gennaio 2020 un atto di intervento ad adiuvandum, chiedendo l’accoglimento dell’appello, ed ha poi depositato ulteriore documentazione il 3 febbraio 2020.
7. Anche il Comune appellante ha depositato ulteriore documentazione e memorie, per ultimo una replica il 22 gennaio 2020.
8. Con l’ordinanza cautelare n. 2084 del 18 aprile 2019, questa Sezione ha respinto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza impugnata, presentata contestualmente al ricorso, con la seguente motivazione: “Ritenuto, allo stato sommario della cognizione e salvo il necessario approfondimento nell’opportuna sede del merito, che l’istanza cautelare non meriti accoglimento, giacché :
– la modifica della destinazione urbanistica dei suoli è di molti anni successiva all’inizio dell’operatività in situ dello stabilimento;
– la conferenza di servizi è retta da un criterio maggioritario e, comunque, non conosce poteri di veto in capo alle singole Amministrazioni partecipanti;
– le Amministrazioni istituzionalmente preposte alla tutela della salute hanno espresso parere positivo al rilascio dell’autorizzazione;
– il Comune, Ente non specificamente preposto alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute (di talché non si applica la procedura della devoluzione dell’affare alla Presidenza del Consiglio), ha basato la propria contrarietà al rilascio del titolo esclusivamente su motivazioni di carattere urbanistico;
– l’atto gravato presenta un corredo motivazionale a supporto del rilascio dell’autorizzazione;
– nel bilanciamento degli interessi, prevale quello alla continuazione di una risalente attività produttiva (ed al mantenimento dei connessi livelli occupazionali) rispetto a generici timori di nocività ambientale non suffragati, allo stato, da chiare evidenze idonee a lumeggiare un preciso nesso causale fra operatività dello stabilimento e peggioramento della salute degli abitanti dei luoghi circonvicini”.
9. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 13 febbraio 2020.
10. Preliminarmente, il Collegio esamina la ritualità dell’intervento ad adiuvandum del 13 gennaio 2020 dell’Associazione “An. Gu. Ne. Te. dei Fu.”.
10.1. Tale intervento è stato proposto ritualmente, essendo stato depositato in giudizio nel rispetto dei termini di cui all’art. 50, comma 3, c.p.a.
Inoltre, lo stesso risulta ammissibile, tenuto conto che l’Associazione deduce che il provvedimento impugnato lederebbe interessi ambientali e sanitari collegati al suo scopo statutario (tutela soprattutto dei diritti dell’infanzia in una zona ad alto tasso di mortalità tumorale, quale quella della cosiddetta Terra dei Fuochi).
10.2. Nel caso di specie, sussistono dunque i tre requisiti tradizionalmente utilizzati al riguardo in giurisprudenza, rispettivamente relativi alle finalità statutarie dell’ente, alla stabilità del suo assetto organizzativo, nonché alla c.d. vicinitas rispetto all’interesse sostanziale che si deduce leso per effetto dell’azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 4233/2013).
10.3. Seppure l’intervento sia da considerarsi ammissibile, vanno comunque dichiarati tardivi, per violazione dei termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a, gli ulteriori depositi documentali della stessa Associazione del 3 febbraio 2020. Tali documenti non sono pertanto posti a base della presente sentenza.
11. Ciò premesso, l’appello non è fondato.
12. Il Comune di (omissis) ha impugnato l’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) rilasciata il 17 ottobre 2011 alla Ra. per il trattamento di rifiuti pericolosi e di rigenerazione di oli usati in suo preesistente impianto sito nel territorio dello stesso Comune.
12.1. In particolare, il Comune ha lamentato che sarebbe mancata una congrua valutazione delle sue osservazioni critiche, formulate nell’ambito della conferenza di servizi indetta per il rilascio dell’autorizzazione, soprattutto con riferimento:
– all’incompatibilità urbanistica dell’impianto (il sito, avente una superficie complessiva di circa 49.000 mq., è classificato nel P.R.G. solo in parte per circa 9.000 mq., come zona industriale (omissis), ricadendo per il resto in zona (omissis) istruzione superiore e d’obbligo, (omissis) attrezzature collettive, (omissis) verde a parco, (omissis) residenziale esistente dichiarata satura, (omissis) stralciata, nonché in aree destinate a strade di progetto e verde di rispetto);
– alla volontà dell’ente di delocalizzare dal centro abitato le industrie insalubri e pericolose;
– alle carenze del progetto rispetto alle “Linee guida regionali” circa la descrizione dei processi di lavorazione, della portata dell’approvvigionamento idrico, del tipo e del numero di serbatoi presenti, del sistema per il controllo delle emissioni sonore, degli impianti di energia, delle modalità di incenerimento dei rifiuti nonché della raccolta, stoccaggio e rigenerazione degli oli usati.
12.3. Inoltre, secondo il Comune, non sarebbero stati esplicitati nella motivazione del provvedimento impugnato i profili relativi alle posizioni dell’ARPAC e dell’ATO, entrambi assenti nell’ultima seduta della conferenza di servizi del 5 aprile 2011, non sarebbe stato tenuto in adeguata considerazione il ruolo preminente della stessa Amministrazione quale ente esponenziale degli interessi dei cittadini residenti in quel territorio, sarebbe stata illegittimamente approvata una sorta di variante urbanistica automatica, in violazione del procedimento previsto dall’art. 47 della L.R. n. 16 del 2004; sarebbe stato violato il Piano regionale di risanamento e mantenimento della qualità dell’aria (delibera di Consiglio regionale del 27 giugno 2007), che include il territorio comunale tra le zone di risanamento ambientale in cui è stato registrato il superamento dei valori limite di NO2 (diossido di azoto) e vietata l’attivazione di nuove fonti di emissione del suddetto inquinante. Vi sarebbe stata poi una illegittima dilatazione dei tempi del procedimento, causata dalle carenze documentali della domanda, che hanno dato luogo a tre integrazioni istruttorie, in violazione del termine finale fissato in 90 giorni e del principio di concentrazione sotteso all’istituto della conferenza di servizi; non tutti i rilievi formulati dell’ARPAC e dell’ATO sarebbero infine risultati superati dalla documentazione integrativa (in particolare, circa le tecniche adottate per evitare gli incidenti di carattere ambientale).
12.4. Il Tar per la Campania, con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso e i connessi motivi aggiunti, rilevando la legittimità degli atti della procedura seguita ai sensi del d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, la non incoerenza delle attività oggetto di A.I.A. con la destinazione urbanistica dell’area e l’assenza di contrasto con il piano regionale di risanamento.
13. Contro la suddetta sentenza, il Comune di (omissis) ha proposto appello sulla base di una serie di profili di censura, in parte ripetitivi di quelli formulati in primo grado.
13.1. Nell’esaminare congiuntamente gli stessi, il Collegio prende le mosse innanzitutto dalle conclusioni riportate nell’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 2084 del 18 aprile 2019.
14. In particolare, è già stato evidenziato come la modifica della destinazione urbanistica dei suoli, evocata dalla parte appellante, ovvero l’alterazione dello stato dei luoghi sulla base di provvedimenti divenuti inoppugnabili e non seguiti da atti di annullamento, sia di molti anni successiva all’inizio dell’operatività in situ dello stabilimento.
Il Comune appellante ha infatti rilasciato alla società Ra. tra il 1962 e il 2004 una serie di autorizzazioni edilizie, anche in sanatoria, rendendo stabili le modifiche dello stato dei luoghi e inattuate le destinazioni urbanistiche delle aree su cui è stata realizzata la parte dell’impianto non ricadente in area industriale.
L’approvazione regionale del medesimo impianto, avvenuta con DGR n. 1370 del 4 marzo 1989, e le successive autorizzazioni di esercizio, rilasciate ai sensi prima dell’art. 28 del d.lgs. n. 22/1997 e poi dell’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006, hanno ancor più consolidato la situazione (con atti non impugnati e a loro volta non oggetto di ritiro).
14.1. D’altra parte, il rilascio dell’A.I.A. sostituisce anche l’autorizzazione ambientale di cui all’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 per gli impianti di recupero dei rifiuti pericolosi e di rigenerazione degli oli usati, sostituendo ogni altro parere regionale, provinciale o comunale e costituendo, nel caso sia necessario, una variante urbanistica.
14.2. In ogni caso, l’autorizzazione unica ambientale costituisce il provvedimento finale di un procedimento, nel quale convergono tutti gli atti di autorizzazione, di valutazione e di assenso afferenti i campi dell’ambiente, dell’urbanistica, dell’edilizia, delle attività produttive (cfr. Cons. Stato sez. IV, 4 luglio 2018, n. 4091). L’autorizzazione integrata ambientale non costituisce quindi la mera “sommatoria” dei provvedimenti di competenza degli enti chiamati a partecipare alla Conferenza di Servizi, ma è un titolo autonomo caratterizzato da una disciplina specifica che, per quanto qui interessa, consente la costruzione e la gestione dell’impianto alla stregua delle prescrizioni e delle condizioni imposte dall’autorizzazione medesima (cfr., in tal senso, il cit. art. 208, che, al comma 11, individua il contenuto “minimo” di tali prescrizioni tra cui “[…] d) la localizzazione dell’impianto autorizzato […]; g) le garanzie finanziarie richieste, che devono essere prestate solo al momento dell’avvio effettivo dell’esercizio dell’impianto[…]; h) la data di scadenza dell’autorizzazione, in conformità con quanto previsto al comma 12; […]”).
14.3. In sostanza, le determinazioni delle amministrazioni coinvolte vengono “assorbite” nel provvedimento conclusivo, con la conseguenza che la efficacia delle prime non può che soggiacere al regime previsto per il secondo, non potendovi essere una pluralità di termini di efficacia, suscettibile di ledere il principio di certezza delle situazioni giuridiche, in contrasto con la ratio di semplificazione e concentrazione sottesa all’individuazione dello specifico modulo procedimentale rappresentato dalla Conferenza dei servizi ed alla unicità del provvedimento conclusivo.
15. Anche l’asserita intenzione del Comune di delocalizzare l’impianto non è stata suffragata dall’indicazione delle nuove aree, circostanza che avrebbe potuto portare al rilascio di un’A.I.A. provvisoria, efficace fino alla delocalizzazione.
16. Quanto poi alla prevalenza del parere contrario del Comune, va rilevato che la conferenza di servizi è retta da un criterio maggioritario e, comunque, non conosce poteri di veto in capo alle singole Amministrazioni partecipanti. Peraltro, le Amministrazioni istituzionalmente preposte alla tutela della salute hanno espresso parere positivo al rilascio dell’autorizzazione e comunque il provvedimento impugnato si è basato su una articolata motivazione, che risulta adeguata, a supporto del rilascio dell’autorizzazione.
17. Al quadro sopra delineato va poi aggiunto, come profilo dirimente, che il Comune non è Amministrazione specificamente preposta – con poteri aventi portata prevalente – alla tutela di interessi paesistico-ambientali o della salute (con possibile devoluzione del caso alla Presidenza del Consiglio).
17.1. Nel caso di specie, il Comune appellante ha basato le proprie contestazioni al rilascio del titolo sostanzialmente su motivazioni di carattere urbanistico, contestazioni peraltro non coerenti con la precedente attività amministrativa che ha comportato il mancato rispetto della disciplina urbanistica dell’area interessata, in assenza di condoni straordinari, che la legislazione statale ha previsto dal 1985 (come si è sopra rilevato, dal 1962 una serie di titoli edilizi, anche in sanatoria, sono stati rilasciati alla società Ra., mentre poi l’area su chi insiste l’impianto è stata parzialmente oggetto di una diversa pianificazione dal 1999 con il nuovo PRG).
17.2. In sostanza, il Comune si è opposto solo con l’avvio della procedura di A.I.A. senza farsi carico in precedenza, sia nell’attività di gestione degli aspetti edilizi dell’area, sia in fase di pianificazione urbanistica, delle questioni problematiche, conseguenti alla vicinanza dell’impianto a strutture “sensibili”.
18. In ordine alle lamentate carenze documentali della domanda della società Ra., risultano poi convincenti le statuizioni del Tar nel riferimento operato ai contenuti del rapporto tecnico dell’impianto (aggiornato al 28 settembre 2011, come da prot. 2011.0722783 della Regione Campania), che descrive l’intero ciclo produttivo.
19. Vanno poi condivise anche le osservazioni del giudice di primo grado relativamente all’ipotizzata incompatibilità col Piano regionale di risanamento e mantenimento della qualità dell’aria, ritenute inammissibili “in quanto genericamente dedotte senza dimostrare la concreta violazione di specifiche prescrizioni, pure a fronte della compiuta descrizione della tematica in vari punti del già citato rapporto”.
20. Né possono ritenersi fondate le ribadite censure già mosse nei secondi motivi aggiunti circa la modifica sostanziale dell’A.I.A. comunicata in un secondo momento dalla Ra. (inserimento tra le sostanze da trattare di due nuovi codici CER (Cata europeo rifiuti): 19.02.08 (rifiuti combustibili liquidi contenenti sostanze pericolose) e 19.08.10 (miscele di olii e grassi prodotti dalla separazione olio/acqua).
20.1. La Regione Campania ha ritenuto la modifica ‘non sostanzialè, in quanto l’incremento dei codici CER (Codice Europeo Rifiuti), conseguente all’inserimento dei nuovi due codici 19 02 08* e 19 08 10*, rientrava nel limite ammesso del 10% ed era compatibile con le potenzialità dell’impianto.
21. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.
22. In ragione della complessità della vicenda e degli interessi coinvolti, le spese del secondo grado di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello (n. 806/2019), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Silvia Martino – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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