In presenza di rilevanti modifiche intervenute tra lo stadio della progettazione preliminare e quello della progettazione definitiva

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 13 febbraio 2020, n. 1164.

La massima estrapolata:

In presenza di rilevanti modifiche intervenute tra lo stadio della progettazione preliminare e quello della progettazione definitiva, da cui derivino nuovi e/o ulteriori impatti significativi sull’ambiente prima non previsti, si deve effettuare una nuova procedura di Via, in conformità alle direttive europee, per cui la valutazione ambientale deve sempre coincidere con l’atto che autorizza alla realizzazione dell’intervento.

Sentenza 13 febbraio 2020, n. 1164

Data udienza 28 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7176 del 2019, proposto dalla società To. Ae. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Bi. e Du. Ma. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale (…);
contro
l’Associazione VAS, Vita Ambiente Salute Onlus, Comitato “No Aeroporto”, Comitato Mente Locale della Piana, Medicina Democratica Movimento di Lotta della Salute Onlus, Associazione Forum Ambientalista, Comitato Chiusura Inceneritore di Montale, Comitato Oltre, Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Prato, Comitato Ambientale di Casale, Associazione Politico Culturale Farecittà, Comitato Campigiano No Aeroporto, Associazione Pisa in Comune, Circolo Territoriale di Campi Bisenzio di Sinistra Italiana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., signori Gi. Ba., ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Gu. Gi. e Ma. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio, Partito della Rifondazione Comunista – Comitato Regionale della Toscana, Comitato Difendiamo La Nostra Salute Prato Sud, signori Fr. As., ed altri, non costituitisi in giudizio;
nei confronti
del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dell’ENAC – Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
della Regione Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Bo. e Ba. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sergio Fidanzia in Roma, Piazzale (…);
del Comitato Sì Aeroporto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Marco Annoni e Andrea Zoppini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Marco Annoni in Roma, via Udine 6;

sul ricorso numero di registro generale 7448 del 2019, proposto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ENAC – Ente Nazionale Aviazione Civile, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
l’Associazione VAS, Vita Ambiente Salute Onlus, Comitato “No Aeroporto”, Comitato Mente Locale della Piana, Medicina Democratica Movimento di Lotta della Salute Onlus, Associazione Forum Ambientalista, Comitato Chiusura Inceneritore di Montale, Comitato Oltre, Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Prato, Comitato Ambientale di Casale, Associazione Politico Culturale Farecittà, Comitato Campigiano No Aeroporto, Associazione Pisa in Comune, Circolo Territoriale di Campi Bisenzio di Sinistra Italiana, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., signori Gi. Ba., ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Gu. Gi. e Ma. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Rete dei Comitati per la Difesa del Territorio, Partito della Rifondazione Comunista – Comitato Regionale della Toscana, Comitato Difendiamo La Nostra Salute Prato Sud, signori Fr. As., ed altri, non costituitisi in giudizio;
nei confronti
della To. Ae. S.p.A., in persona del legale rappresentate p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Bi. e Du. Ma. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale (…);
della Regione Toscana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Bo. e Ba. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sergio Fidanzia in Roma, Piazzale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 789 del 2019.
Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Associazione Vas – Vita Ambiente Salute Onlus e consorti, della Regione Toscana, del MATTM, del MIBAC e dell’ENAC, del Comitato Si Aeroporto (appello n. 7176 del 2019); della Regione Toscana, della To. Ae. e dell’Associazione Vas – Vita Ambiente Salute Onlus e consorti (appello n. 7448 del 2019);
Visto l’appello incidentale della Regione Toscana;
Visti gli appelli incidentali di Associazione Vas – Vita Ambiente Salute Onlus e consorti
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 28 novembre 2019 il cons. Silvia Martino;
Uditi per le parti rispettivamente rappresentate gli avvocati Du. Ma. Tr., Gu. Gi., Ma. Gi., Lu. Bo., Sergio Fidanzia (su delega dell’avvocato Ba. Ma.) e Maria Letizia Guida (per l’Avvocatura dello Stato);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

APPELLO n. 7176 del 2019.
1. Con ricorso proposto innanzi al TAR per la Toscana, alcune associazioni tra cui “Vita Ambiente Salute O.N.L.U.S.” (V.A.S) e alcuni cittadini, residenti nei Comuni di Prato, Campi Bisenzio e Firenze, impugnavano il decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 377 del 28 dicembre 2017 con il quale era stata decretata “la compatibilità ambientale del “Master Plan 2014 – 2029” dell’Aeroporto “Vespucci” di Firenze, progetto quest’ultimo presentato dall’ENAC e diretto alla realizzazione di una nuova pista a orientamento monodirezionale, il tutto subordinatamente al rispetto delle condizioni ambientali di cui all’art. 1, sezioni A, B e C dello stesso decreto.
Essi esponevano che il progetto prevede la realizzazione dell’opera nelle immediate vicinanze di una pianura periurbana, nota come “Piana fiorentina”, area quest’ultima che, pur essendo stata bonificata, ha conservato alcune zone umide, qualificate a loro volta come siti e zone di protezione speciale di importanza comunitaria (cd. aree SIC, SIR 45 e ZPS).
La Piana costituisce ancora oggi un fondamentale insieme di aree agricole, aree a verde e aree destinate alla compensazione ambientale e, proprio per questa sua inestimabile rilevanza, è stata oggetto del progetto per la realizzazione del Parco Agricolo della Piana, un parco della superficie complessiva di 7.000 ettari che dovrebbe costituire il “cuore verde” dell’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia.
I ricorrenti evidenziavano che la vicenda relativa all’ampliamento dell’aeroporto di Firenze era stata già esaminata dallo stesso TAR, laddove con la sentenza n. 1310 dell’8 agosto 2016 era stata annullata, seppur in parte qua, la delibera n. 61/2014 di integrazione al P.I.T. regionale, in relazione all’esistenza di alcune lacune del procedimento di VAS.
Detta pronuncia è stata impugnata in appello dalla Regione Toscana e il relativo ricorso (R.G. 9414/2016) è attualmente pendente presso la IV Sezione del Consiglio di Stato.
Nelle more della definizione di detto giudizio, il 24 marzo 2015 l’ENAC aveva presentato al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, una domanda di accertamento di compatibilità ambientale per il progetto denominato “Aeroporto di Firenze -Master Plan aeroportuale 2014 – 2029”, finalizzato alla riqualificazione dello scalo.
Nel dicembre del 2016 la Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale aveva espresso il parere definitivo del 2 dicembre 2016 (prot. 2235) circa la compatibilità dell’opera.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2017 l’ENAC aveva quindi presentato, ai sensi dell’articolo 23, comma 2, dello stesso provvedimento, un’istanza di applicazione, al procedimento in corso, della sopra citata disciplina sopravvenuta.
La Commissione Tecnica di VIA aveva successivamente emanato il parere n. 2570 del 5 dicembre 2017 con il quale aveva ritenuto adeguata la documentazione integrativa proposta dall’ENAC e confermato l’assenza di profili di incompatibilità ambientale, in analogia a quanto contenuto nei precedenti pareri nn. 2235, 2336 e 2422.
A conclusione del procedimento il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con provvedimento del 28 dicembre 2017 (prot. 377), aveva quindi sancito la compatibilità ambientale del “Master Plan 2014-2029” dell’aeroporto di Firenze, nello scenario 2029 corrispondente al cosiddetto “scenario B (crescita MEDIA)” e con utilizzo esclusivamente monodirezionale della pista a orientamento “12-30”, subordinatamente al rispetto delle prescrizioni contenute nelle sezioni A, B e C dell’art. 1 dello stesso decreto.
2. Avverso il decreto di valutazione di Impatto Ambientale n. 377 del 28.12.2017, i ricorrenti deducevano, con il ricorso instaurato in primo grado:
I. Illegittimità dei provvedimenti impugnati derivata dall’incostituzionalità del d.lgs. 104/2017. Questione di costituzionalità .
L’art. 23, comma 2, del d.lgs. 104/2017 sarebbe illegittimo per superamento del termine massimo della delega legislativa, nella parte in cui lo stesso ha eliminato la necessità di presentare ai fini della V.I.A. un progetto con dettaglio pari al progetto definitivo;
II. Illegittimità derivata dei provvedimenti impugnati in quanto adottati in applicazione del d.lgs. n. 104 del 2017 attraverso una disposizione (art. 23, comma 2, secondo periodo d.lgs. n. 104 del 2017) contrastante con l’art. 3, paragrafo 2 della direttiva 2014/52/UE. Disapplicazione della normativa nazionale incompatibile, in tesi. Rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE in ipotesi.
La predetta disposizione sarebbe altresì in contrasto con l’art. 3 paragrafo 2 della direttiva 2014/52/UE, circostanza quest’ultima che avrebbe imposto di procedere alla disapplicazione della normativa nazionale, disponendo comunque il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE;
III. Violazione dell’art. 21 d.lgs. 152/2006. Tardiva attivazione della procedura di scoping per la definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale. Illegittima integrazione postuma dello studio di impatto ambientale. Insufficienza originaria dello studio di impatto ambientale. Mancata attivazione della procedura di consultazione sulla integrazioni documentali. Mancata acquisizione del parere delle amministrazioni interessate sulla documentazione integrativa. Violazione dell’art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 15272006. A seguito della trasmissione della documentazione integrativa l’Autorità competente avrebbe dovuto riaprire l’istruttoria e procedere ad una nuova fase di consultazione.
III.1. Violazione dell’art. 21 D.Lgs. 152/2006. Tardiva attivazione della procedura di
scoping per la definizione dei contenuti dello Studio di Impatto Ambientale. Illegittima integrazione postuma dello Studio di Impatto Ambientale. Insufficienza originaria dello Studio di Impatto Ambientale.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2017, ENAC richiedeva “di poter dare avvio ad una fase consultiva atta a verificare l’opportunità di adesione alla nuova normativa e a definirne i correlati aspetti tecnico-procedurali”. A tale richiesta, l’Autorità competente rispondeva positivamente, comunicando “il nulla osta all’avvio della fase consultiva prevista dall’art 20 c. 1 del D.Lgs. 152/2006 come modificato dal D.Lgs. 104/2017”.
L’art. 20 del Codice dell’ambiente, nella sua attuale formulazione, introduce una innovativa procedura di scoping, attivabile dal proponente “in qualsiasi momento” e riguardante le informazioni relative agli elaborati progettuali, al precipuo fine di verificarne la compatibilità rispetto al livello di dettaglio stabilito dall’art. 5 comma 1 lett. g) del Codice (anch’esso modificato dal d.lgs. n. 104/2017).
Trattandosi di una procedura di scoping “progettuale”, l’oggetto della consultazione avrebbe dovuto riguardare esclusivamente la compatibilità degli elaborati progettuali presentati da ENAC con l’istanza ex art. 23 del Codice.
Tuttavia, con la propria nota del 21 luglio 2017, ENAC rilevava che “Per quanto attiene, nello specifico, le informazioni di carattere progettuale si ritiene che il livello di dettaglio della documentazione progettuale già agli atti del procedimento sia coerente con quanto indicato dall’art. 5, lett. g) e dall’art. 12, co. 1, lett. a) del D.Lgs 104/2017”.
La tesi di ENAC veniva condivisa dalla DVA, nella relazione allegata alla nota del 18 settembre 2017, conclusiva della fase di consultazione,
Non essendo necessaria alcuna integrazione progettuale, la fase di scoping ex art. 20 del
Codice avrebbe dovuto essere dichiarata esaurita, con conseguente rimessione del procedimento alla fase finale ex art. 25.
Sennonché, nella stessa relazione conclusiva l’Autorità competente, anziché concludere la procedura di scoping, richiedeva al soggetto proponente una serie di ulteriori integrazioni.
Dietro il “velo” formale costituito dal richiamo all’art. 20 del d.lgs. n. 152/206 si sarebbe celata, in realtà, la volontà di attivare anche la ben diversa procedura di scoping disciplinata dall’art. 21 del medesimo decreto.
Trattandosi, dunque, di aprire una fase di consultazione diretta a definire la portata delle informazioni concernenti lo Studio di Impatto ambientale, lo scoping di cui all’art. 21 del ripetuto decreto n. 152/2006 deve necessariamente precedere la successiva fase decisionale, che prende avvio con l’istanza ex art. 23, alla quale deve essere allegato il SIA.
Né un siffatto modo di procedere avrebbe potuto trovare giustificazione nell’art. 23 comma 2, secondo periodo del d.lgs. n. 104/2017. Secondo i ricorrenti, gran parte delle modifiche apportate da tale decreto, nulla avrebbero aggiunto rispetto alle informazioni precedentemente contenute nell’Allegato VII alla parte II e nel D.P.C.M. 27 dicembre 1988.
In sostanza, l’Autorità competente avrebbe illegittimamente sfruttato l’entrata in vigore del d.lgs. n. 104/2017 per consentire un’indebita integrazione postuma dello Studio di Impatto Ambientale, che evidentemente (e nonostante una prima richiesta di integrazione ex art. 24 del Codice dell’ambiente, avvenuta il 21 luglio 2015) continuava a presentare numerose carenze;
III.2. Violazione dell’art. 21 commi 2 e 3 del D.Lgs. 152/2006 come modificati dal d.lgs. n. 104/2017. Mancata attivazione della procedura di consultazione sulle integrazioni documentali. Mancata acquisizione dei pareri delle “amministrazioni interessate” sulla documentazione integrativa.
III.3. Violazione dell’art. 24 comma 5 del D.Lgs. 152/2006.
A seguito della trasmissione della documentazione integrativa, l’autorità competente avrebbe dovuto riaprire l’istruttoria e procedere ad una nuova fase di consultazione;
IV. Violazione degli artt. 5, comma 1, lett. g) del d.lgs. 152/2006. Insufficiente contenuto informativo del Masterplan aeroportuale. Violazione dell’art. 191 TFUE. Violazione del principio di prevenzione. Violazione dell’art. 3 ter del d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per illogicità e sviamento. Eccesso di potere per illogicità manifesta, sviamento, istruttoria insufficiente e contraddittorietà .
IV.1. L’applicazione ratione temporis della disciplina di cui all’art. 5 comma 1 lett. g) del
D.lgs. 152/2006 nella formulazione, antecedente alle modifiche di cui al D.Lgs. 107/2017.
Il decreto n. 377/2018 sarebbe illegittimo in quanto porrebbe a fondamento della valutazione di impatto ambientale un progetto che non conterrebbe un livello informativo e di dettaglio almeno equivalente a quello previsto dall’articolo 93, commi 3 e 4 d.lgs. 163/2006 cui rinvia l’art. 5 comma 1 lett. g) d.lgs. n. 52/2006 nella versione, secondo i ricorrenti, ratione temporis applicabile; il Masterplan 2014-2029 sarebbe comunque illegittimo nella parte in cui rinvia sostanzialmente la valutazione ambientale all’esecuzione di alcune prescrizioni che risulterebbero in gran parte prive di contenuto precettivo, attribuendo così all’Osservatorio istituito con il medesimo decreto il potere di procedere a valutazioni che invece avrebbero dovuto essere espletate prima della conclusione del procedimento di VIA dalla competente Commissione.
Secondo i ricorrenti, la nuova formulazione dell’art. 5, comma 1, lett. g) del Codice dell’ambiente, come introdotta dal D.Lgs. 104/2017, non sarebbe compatibile con la Direttiva 2011/92/UE ed in particolare con il livello informativo richiesto dal diritto europeo,
IV.2. Il livello informativo e di dettaglio previsto dall’art. 5 comma 1 lett. g) del D.lgs. 152/2006 nella formulazione antecedente alle modifiche di cui al D.Lgs. 104/2017.
IV.3. L’evidente carenza del Masterplan presentato originariamente da ENAC, le successive integrazioni richieste dalla Commissione VIA/VAS e le contraddizioni interne all’istruttoria. Eccesso di potere per contraddittorietà tra provvedimenti.
Essi sottolineavano peraltro che il progetto sottoposto a VIA da parte di ENAC consiste in un “Masterplan Aeroportuale”, documento che il MATTM ha sin dall’origine ritenuto assimilabile ad un “progetto definitivo”, consentendo la sua sottoposizione alla procedura di compatibilità ambientale con la nota DVA/8869/2015 dell’1 aprile 2015.
Le richieste di integrazioni effettuate dalla Commissione VIA nel corso del procedimento, sarebbero tuttavia già sintomatiche del fatto che il livello informativo del Masterplan fosse insufficiente.
IV. 4. La natura generale e pianificatoria del Piano di Sviluppo Aeroportuale (Masterplan) e l’impossibilità di qualificarlo alla stregua di “progetto definitivo”.
Al riguardo, i ricorrenti richiamavano, tra l’altro, il parere rilasciato dal Consiglio di Stato sul ricorso straordinario proposto dall’Università degli Studi di Firenze secondo cui il Masterplan Aeroportuale rappresenta “lo strumento che individua le principali caratteristiche degli interventi di adeguamento e potenziamento di ciascuno scalo, tenendo conto delle prospettive di sviluppo dell’aeroporto, delle infrastrutture, delle condizioni di accessibilità e dei vincoli imposti sul territorio”.
Il Masterplan non potrebbe quindi, per sua natura, contenere un livello di dettaglio ana ad un progetto definitivo di un’opera.
Sul punto, del tutto inconferente se non addirittura controproducente sarebbe stato il richiamo effettuato da ENAC, nella “Relazione Generale: chiarimenti di Integrazioni e Controdeduzioni”, alla Circolare del Ministero dei Trasporti e dei lavori pubblici del 23 febbraio 1996, n. 1408.
La citata Circolare fornisce infatti solo indicazioni in merito all’interpretazione dell’art. 1 comma 6 del d.l. n. 251/1995 in materia di Piani di Sviluppo Aeroportuale, norma questa che – peraltro – nulla dispone in ordine al contenuto progettuale dei suddetti Piani.
IV. 5. Il Raffronto tra il contenuto informativo del Masterplan a seguito delle integrazioni e il livello di dettaglio del “progetto definitivo descritto dall’art. 93 D.Lgs. 163/2006. Violazione dell’art. 5 comma 1 lett. g) D.Lgs. 152/2006.
I ricorrenti sottolineavano come la Relazione tecnica generale non rechi l’indicazione di tutte le opere e le categorie di intervento che saranno in concreto eseguite per realizzare il piano di sviluppo, ma illustri solo quelle “principali”.
Anche la descrizione delle singole categorie di intervento presenterebbe significative lacune informative, se rapportate al livello di dettaglio prescritto dall’art. 93 del d.lgs. n. 163/2006 e dall’art. 24 del D.P.R. n. 207/2010.
Quanto alle rilevantissime opere propedeutiche all’intervento – quali la deviazione e spostamento di un tratto del Fosso Reale con sotto-attraversamento dell’Autostrada A11, la riorganizzazione dello svincolo della A11 per Sesto Fiorentino e Osmannoro, e della relativa viabilità, la rilocalizzazione degli interventi di compensazione idraulica (bacino di laminazione) del Polo Scientifico Universitario di Sesto Fiorentino, la rilocalizzazione nelle aree limitrofe (Focognano e Renai), del bacino denominato “Lago di Peretola” e di alcuni bacini del sito “La Querciola”, bacini artificiali con finalità naturalistiche e la delocalizzazione di parte dei “boschi della piana” con aumento della superficie complessiva – la Relazione tecnica generale avrebbe fornito indicazioni estremamente sommarie, non coerenti con quanto richiesto dall’art. 93, comma 4, del d.lgs. n. 163/2006.
Le carenze progettuali non avrebbero poi consentito di effettuare alcuna valutazione paesaggistica da parte della Regione Toscana, né avrebbero consentito al MIBACT di valutare la compatibilità dell’opera progettata con le previsioni del PIT regionale con valenza di piano paesaggistico (tanto poteva desumersi, ad esempio, dalla prescrizione n. 5 di cui al parere del MIBACT);
IV. 6. L’inserimento di prescrizioni ambientali che rinviano la valutazione degli aspetti ambientali a fasi successive all’espletamento della procedura di VIA ed aventi l’obiettivo di colmare le lacune originarie del progetto. Violazione dell’art. 191 TFUE. Violazione del Principio di prevenzione. Violazione dell’art. 3 ter del D.Lgs. 152/2006. Eccesso di potere per illogicità e sviamento.
Le prescrizioni contenute nel decreto impugnato evidenzierebbero comunque il rinvio ad una fase progettuale successiva (erroneamente indicata come “esecutiva”) dell’analisi e della valutazione degli impatti ambientali derivanti dalla realizzazione del Masterplan.
In sostanza, tali prescrizioni sarebbero sintomatiche dell’impossibilità di effettuare sul progetto, per come presentato, una compiuta valutazione di impatto ambientale ex ante, svilendo e svuotando di significato le finalità di quest’ultima.
La necessaria e completa valutazione ex ante degli impatti ambientali si lega indissolubilmente al grado di definizione e di dettaglio del progetto, i cui effetti sull’ambiente l’autorità competente è chiamata a valutare.
Tale aspetto della VIA è stato chiarito Corte di Giustizia UE, secondo cui “nel caso di una procedura di autorizzazione articolata in più fasi, la detta valutazione [di VIA ndr.] deve essere effettuata, in linea di principio, non appena sia possibile individuare e valutare tutti gli effetti che un progetto può avere sull’ambiente” (così C.G.U.E., sentenza 4 maggio 2004, Causa C-508/03).
L’integrazione sostanziale di un progetto e la valutazione degli impatti ambientali posticipata all’ottenimento della compatibilità ambientale, si pone altresì in aperto contrasto con il principio della necessaria partecipazione del pubblico alla Procedura di VIA, sancito dall’art. 6 della Convenzione di Aarhus, richiamato nel considerando n. 20 alla Direttiva 2011/92/UE (sul carattere fondamentale della partecipazione del pubblico interessato si vedano anche i considerando nn. 1, 18 e 36, nonché art. 6 della Direttiva 2011/92/UE).
In tal senso i ricorrenti richiamavano in particolare le prescrizioni nn. 3, 4, 28, 29, 33, 34, 46 e 49 del Decreto di VIA nonché le prescrizioni nn. 1, 3 e 5 del Parere reso dal MIBACT.
Evidenziavano altresì che, a prescindere dalla normativa presa in considerazione (e quindi anche dopo le modifiche al procedimento di VIA introdotte dal d.lgs. n. 104 del 2017), il “progetto esecutivo” costituisce un livello di progettazione di dettaglio che cura aspetti specifici dei lavori da realizzare. Esso dunque non può rappresentare la sede progettuale nella quale effettuare nuove “scelte progettuali” (prescrizione n. 29) o nuove “valutazioni” circa gli impatti dell’opera progettata sulle componenti ambientali o in merito ai rischi derivanti dall’esecuzione del progetto (prescrizioni nn. 3, 4, 29, 33 34, 46, 48 e 49, doc. 1, nonché le prescrizioni del MIBACT, doc. 5 bis).
In ogni caso, i ricorrenti, prospettavano, in via subordinata, la seguente questione pregiudiziale da sottoporre alla Corte di Giustizia:
(i) “se l’articolo 191 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, i principi di precauzione e azione preventiva richiamati nel considerando n. 2 della Direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla Direttiva 2014/52/UE, ostino all’interpretazione di una normativa nazionale ed in particolare dell’art. 5 comma 1 lett. g) D.Lgs. 152/2006, letta congiuntamente con l’art. 25 comma 4 D.Lgs. 152/2006, che consenta alle Autorità Competenti degli Stati membri, mediante l’apposizione di particolari condizioni e prescrizioni nel provvedimento di compatibilità ambientale reso all’esito della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale, di rinviare l’approfondimento progettuale di alcuni aspetti dell’opera ed il relativo giudizio di compatibilità ambientale alle fasi successive alla procedura di VIA”;
(ii) “se i considerando nn. 1, 18 e 36, l’art. 6 della Direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla Direttiva 2014/52/UE, nonché l’art. 6 della convenzione di Aarhus ostino ad una normativa di uno Stato membro quale quella dettata dal D.Lgs. 152/2006, che esclude la partecipazione del pubblico interessato all’esecuzione di un progetto sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale alle successive fasi di attuazione esecuzione e monitoraggio, laddove in queste fasi al Proponente sia consentito modificare sostanzialmente il progetto sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale e venga altresì rinviata alle predette fasi la valutazione circa gli impatti ambientali delle modifiche effettuate”.
I ricorrenti evidenziavano poi che, a loro parere, l’inadeguatezza dell’istruttoria svolta ai fini del procedimento di VIA altro non era che la diretta – e inevitabile – conseguenza dell’illegittimità della VAS, effettuata dalla Regione Toscana ai fini dell’approvazione della variante al PIT, la quale, avendo mancato di far emergere tutte le implicazioni secondarie, cumulative e indirette della variante al piano territoriale per l’inserimento della nuova infrastruttura, aveva reso impossibile una compiuta valutazione dell’impatto ambientale del progetto.
Si sarebbe trattato, in sostanza, di “prescrizioni” vaghe e generiche, poiché esse prevedono una serie di azioni diverse, non semplicemente correlabili, da effettuarsi in tempi e fasi non ben identificate e, soprattutto, tali da richiedere ulteriori valutazioni e/o autorizzazioni (come l’opera di sottoattraversamento del Fosso Reale);
V. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, lett. a) del d.lgs. n. 152 del 2006. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 88 della l.r. Toscana n. 65 del 10.11.2014. Illegittimità del decreto del Ministro dell’Ambiente n. 377 del 28.12.2013 per avere ritenuto compatibile con l’ambiente un progetto non supportato da alcuna procedura di VAS a livello di pianificazione territoriale.
Il “Master Plan 2014-2029” non era comunque supportato da alcun procedimento di VAS; infatti, a seguito della sentenza del TAR Toscana n. 1310/2016, di annullamento della delibera di approvazione della Variante al PIT per la riqualificazione dell’aeroporto di Firenze, il procedimento di VIA sul Master Plan 2014-2029 avrebbe dovuto essere immediatamente definito con provvedimento negativo; non essendo più sorretto “a monte” dalla VAS del piano territoriale che aveva provveduto a verificare come poter inserire un nuovo aeroporto in una zona così già densamente urbanizzata, il procedimento di VIA sul progetto di riqualificazione dell’aeroporto di Firenze avrebbe dovuto essere immediatamente definito con provvedimento negativo o, quantomeno, sospeso sino alla conclusione della nuova valutazione ambientale strategica da parte della Regione Toscana. Solo in tal modo, infatti, la Regione avrebbe potuto nuovamente individuare quei requisiti essenziali che la nuova infrastruttura dovrà avere per poter essere considerata sostenibile sotto il profilo ambientale e compatibile con tutte le strutture e gli insediamenti già esistenti sul territorio. L’inserimento di una grande infrastruttura come un nuovo scalo potrebbe infatti essere eventualmente realizzato soltanto individuando “a monte” (in sede di VAS), in modo puntuale e capillare, tutti i punti di equilibrio con le altre opere esistenti o in via di realizzazione.
Il Master Plan sarebbe peraltro in contrasto anche con le disposizioni della variante al PIT non annullate (in particolare in ordine al Parco Agricolo della Piana e alla lunghezza della pista che su questo inciderebbe ove fosse confermata la misura di 2400 metri anziché quella di 2000 come autorizzati dalla variante);
VI. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241 del 7.8.1990. Difetto assoluto di motivazione. Eccesso di potere per illogicità . Eccesso di potere per contraddittorietà tra atti amministrativi. Sviamento. Illogicità e irrazionalità della modifica dell’Osservatorio Ambientale.
VII. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 22, del d.lgs. 152 del 30 aprile 2003. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Eccesso di potere per omessa e/o insufficiente motivazione in ordine alla valutazione della c.d. opzione zero. Eccesso di potere per sviamento.
VIII. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, lett. b) e dell’art. 5, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 152/2006. Eccesso di potere per difetto di istruttoria in riferimento agli effetti dell’opera sull’assetto idrologico – idraulico della piana fiorentina. Eccesso di potere per insufficienza di motivazione. Eccesso di potere contraddittorietà tra atti amministrativi. Eccesso di potere per sviamento.
Il Decreto VIA n. 377 del 28.12.2017 di compatibilità ambientale del Master Plan 2014-2029 dell’aeroporto di Firenze sarebbe stato illegittimo anche nella parte in cui è stato emesso senza considerare gli effetti significativi e negativi del progetto sull’assetto idrologico-idraulico della Piana fiorentina e, soprattutto, in totale difetto della previsione di puntuali misure volte ad evitarli, prevenirli, ridurli o possibilmente compensarli.
La prima interferenza prodotta dalla realizzazione della nuova pista è quella che comporta lo spostamento della principale dorsale del reticolo idrico della Piana, il Fosso Reale, che dovrà essere deviato per un tratto lungo 3 chilometri e, inoltre, dovrà essere incanalato in un nuovo sottoattraversamento dell’autostrada A11.
Nessuna di queste due criticità sarebbe stata effettivamente risolta dal proponente.
Come si evince dalla tavola ING-PGT-03-TAV-006 (Planimetria a sezione del nuovo Fosso Reale) il nuovo corso del Fosso Reale è stato progettato in modo tale da far sì che il corso d’acqua abbandoni il suo alveo naturale e aggiri la pista in corrispondenza della testata “12”, per poi reimmettersi nel suo letto originario.
La modifica dell’alveo del Fosso Reale comporterà – come ha osservato il Consorzio di
Bonifica 3 del Medio Valdarno nella nota del 18.5.2015 allegata al parere NURV 106) – quale opera maggiormente impegnativa, la realizzazione di un nuovo percorso per l’attraversamento del corso d’acqua sotto il tracciato dell’autostrada A11.
L’attraversamento di progetto proposto da ENAC prevede la realizzazione di una batteria di 4 tombini che imporrebbero al canale un funzionamento in pressione. I tombini utilizzabili in loco avrebbero delle dimensioni piuttosto ridotte (5×3 metri) e – per mitigare questo aspetto e la conseguente riduzione di portata – ENAC avrebbe proposto la realizzazione di una cassa di linea e di una cassa di espansione in derivazione, in modo da mitigare l’effetto di restringimento della sezione del fiume, causata dal sottoattraversamento stesso.
I ricorrenti sottolineavano come il progetto fosse stato subito bocciato dal Consorzio di Bonifica 3 Medio Valdarno, il quale aveva rilevato che “il proposto manufatto di attraversamento autostradale, in contrasto con le norme richiamate, è del tutto inusuale e non risulta avere precedenti analoghi nell’ambito del comprensorio” e quindi concludeva affermando che “non sussistono le condizioni per poter autorizzare o dare pareri positivi” (per i motivi tecnici indicati nella nota del 18.5.2015: mancanza del franco per eventi con tempo di ritorno duecentennale e incompatibilità con il D.M. 14.1.2008).
Dopo le integrazioni documentali presentate da ENAC nel settembre del 2015, il Consorzio di Bonifica aveva poi espresso il nuovo parere del 9.10.2015, con il quale aveva constatato che il proponente non aveva elaborato alcuna soluzione alternativa e confermato pertanto il contrasto del progetto con la normativa vigente.
Dalla data di presentazione della domanda di VIA all’attualità, ENAC non sarebbe mai riuscita ad elaborare una soluzione progettuale atta a risolvere l’interferenza tra il nuovo corso del Fosso Reale e l’autostrada. Tanto si potrebbe evincere dalla prescrizione n. 29 del Decreto VIA 377/2017 secondo cui “il proponente in sede di progettazione esecutiva dovrà correttamente sviluppare la soluzione di attraversamento dell’autostrada A11 presentata nel SIA (e documentazione integrativa) risolvendo la problematica tecnica evidenziata nel parere del Genio Civile di Bacino Arno Toscana del 19.10.2015”.
Quest’ultimo documento citato nelle condizioni ambientali è il documento con cui l’Ufficio del Genio Civile della Regione Toscana ha confermato tutto quanto osservato dal Consorzio di Bonifica in ordine al contrasto del progetto di sottoattraversamento rispetto alla normativa vigente.
In buona sostanza, ENAC avrebbe rinunciato a elaborare una soluzione da allegare al progetto e – incomprensibilmente – il Ministero dell’Ambiente, che avrebbe dovuto chiudere la VIA con parere negativo, ha invece ritenuto di poter rinviare l’individuazione della soluzione dell’interferenza tra l’autostrada A11 e il Fosso Reale, alla fase della progettazione esecutiva.
La prescrizione n. 29 del Decreto VIA impugnato avrebbe quindi chiaramente costituito una forma di rinvio di una valutazione che avrebbe dovuto essere effettuata nel corso del procedimento di VIA. Né sarebbe sostenibile che l’individuazione di una soluzione praticabile alla criticità in parola possa essere rimandata ad una fase successiva rispetto alla VIA stessa, perché essa rappresenta una delle condizioni imprescindibili per poter considerare realizzabile e utilizzabile la nuova pista.
La realizzazione della nuova pista andrà anche a interferire con la realizzazione di alcune opere idrauliche di primaria importanza, già programmate dalle amministrazioni comunali competenti.
Fra le interferenze quelle più rilevanti elencate nel SIA e riportate nel parere della
Commissione VIA n. 2235/2016 vi sono:
– lo spostamento della vasca di compensazione del PUE di Castello – Area Caserma dei
Marescialli, già localizzata e programmata per bilanciare, ai sensi di legge, l’impermeabilizzazione dei suoli derivante dalla realizzazione delle nuove lottizzazioni in questione;
– la nuova localizzazione della cassa di espansione del Canale di Cinta Orientale (di 190.000 mc e 4 ettari di estensione), necessaria per la messa in sicurezza idraulica del Polo Universitario di Sesto Fiorentino.
A peggioramento della situazione della pericolosità idraulica della Piana, la costruzione della nuova pista comporterà anche l’impermeabilizzazione/cementificazione di una notevole quantità di terreni che attualmente sono a destinazione agricola, la quale, ai sensi del Piano Generale di Bonifica, comporta la necessità di realizzare ulteriori volumi di compensazione per il cosiddetto “autocontenimento dei maggiori deflussi” prodotti dall’aeroporto e che si andranno a sommare a quelli di cui sopra, necessari alla lottizzazione del PUE di Castello e della Scuola dei Marescialli. Dunque, non solo il nuovo aeroporto comporterà lo spostamento di un fiume, ma impedirà la realizzazione di due importanti vasche di compensazione e di laminazione già previste dal Piano di Bonifica, e comporterà anche la necessità di reperire ulteriori volumi di compensazione idraulica per la cementificazione delle aree agricole. Tuttavia, sebbene la Commissione VIA nel parere 2235 abbia qualificato come fondamentali le opere di risoluzione delle interferenze della nuova pista con le opere idrauliche già programmate (pag. 56 parere 2235 CTVA), in considerazione delle numerose criticità idrauliche, di fatto dette interferenze non sono state risolte e non sono state individuate soluzioni concrete dalla efficacia verificabile, o quantomeno ipotizzabile, ex ante che possano fondare il provvedimento favorevole di VIA impugnato.
L’intervento per la risoluzione dell’interferenza con la vasca di compensazione del PUE di Castello, infatti, non è stato definito in nessun elemento essenziale, giacché non è ancora stata definita l’effettiva localizzazione della vasca, né è stata verificata la sua funzionalità idraulica, come affermato dalla Commissione Tecnica di VIA n. 2235 (pag. 65).
Così come non è stata verificata neppure l’efficacia e la fattibilità della cassa di espansione del Canale di Cinta Orientale per la messa in sicurezza del Polo Universitario, rispetto alla quale la Commissione Tecnica di VIA conferma la necessità che la soluzione progettuale proposta da ENAC sia verificata dalle competenti Autorità (cfr. parere CTVIA 2235, pag. 63).
Il tenore delle condizioni ambientali dalla n. 28 alla n. 34 rinvia dunque alla fase di progettazione esecutiva la quasi totalità delle determinazioni per la concreta risoluzione degli effetti negativi della nuova pista con l’assetto idraulico della Piana;
IX. Violazione dell’art. 4, comma 4, lett. b), e art. 5, comma 1, lett. c), del d.lgs. 152 del 3 aprile 2006. Eccesso di potere per difetto di istruttoria in riferimento agli effetti dell’opera in termini di inquinamento acustico. Eccesso di potere per insufficienza di motivazione. Eccesso di potere per contraddittorietà tra atti amministrativi. Sviamento.
X. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, per travisamento e per errata valutazione dei fatti, per conseguente assoluta carenza di istruttoria in ordine all’effettivo carattere bi-direzionale della nuova pista;
XI. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, comma 4, lettera b) e dell’art. 5, comma 1, lettera c), del d.lgs. 152/2006. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 22, comma 3, lett. b) e c) del d.lgs. n. 15272006. Eccesso di potere per difetto di istruttoria in riferimento agli effetti dell’opera sulla qualità dell’aria della Piana Fiorentina. Eccesso di potere per insufficienza di motivazione.
XII. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4, comma 4, lett, b), del d.lgs. 152 del 3 aprile 2006. Violazione dell’Annex XIV ICAO e del capitolo 5 del Regolamento ENAC per la costruzione e l’esercizio di aeroporti. Violazione dell’art. 711 del Codice della Navigazione. Eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria in relazione al rischio di bird strike o wildlife strike.
L’amministrazione avrebbe omesso di procedere alla valutazione circa il rischio di bird strike.
L’importanza di tale aspetto si evince dal fatto che il progetto del Master Plan 2014-2029 prevede la realizzazione, nell’intorno della nuova pista, di molti interventi di mitigazione che inevitabilmente costituiranno fonte di attrazione per i volatili.
Dall’analisi dei documenti SIA-PRM-00TAV-005 “Carta del rischio e della pericolosità idraulica” e INT-PRM-03-TAV-002 “Piano Strutturale del Comune di Sesto Fiorentino – Carta della Pericolosità idraulica ai sensi del DPGR 53/R” si evince che il Proponente ha previsto, nell’ambito dell’opera di deviazione del corso del Fosso Reale, al fine di garantire le “invarianze idrauliche” connesse all’impermeabilizzazione di terreni agricoli e contenere la pericolosità idraulica della zona, una cassa di espansione ed una di compensazione che rappresenteranno un gravissimo pericolo per l’esercizio del nuovo scalo sotto il profilo della sicurezza del volo.
Dai suindicati elaborati potrebbe evincersi infatti che in corrispondenza della prima curvatura “ad angolo retto” del fiume, in testa alla pista, all’estremità “12”, è prevista la realizzazione di una cassa di espansione, denominata “cassa di laminazione A”, della capacità di circa 600.000 metri cubi. Un ulteriore invaso, indicato nella grafica come “vasca di compenso idraulico B”, della capacità di circa 150.000 metri cubi, sarà creato sul lato ovest, all’estremità “30” della pista, al fine di garantire la corretta regimazione delle acque del Fosso Reale nel suo percorso artificialmente modificato.
E’ nozione di comune esperienza quella secondo cui le zone umide e gli specchi d’acqua costituiscono richiamo naturale per lo stanziamento e la nidificazione di volatili.
La valutazione di impatto ambientale sul Master Plan non avrebbe potuto prescindere dalla preventiva valutazione del rischio di bird strike, perché l’apprezzamento di questo fattore incide direttamente sulla fattibilità delle opere di compensazione e di mitigazione del progetto stesso (casse di espansione e aree verdi di compensazione) e, in conclusione, sulla effettiva realizzabilità dell’opera in sé . In altri termini, poiché la valutazione del rischio di bird strike in sede di redazione del progetto esecutivo potrebbe comportare l’esigenza di modificare e ripensare gli interventi di mitigazione e di compensazione dell’opera, l’unica sede in cui tale valutazione può e deve avvenire è il procedimento di valutazione di impatto ambientale. Più in particolare l’Annex XIV ICAO, al Capitolo 9.4 contiene tre paragrafi sulla riduzione del rischio di bird strike (più genericamente definito wildlife strike). Quello di interesse è il 9.4.4. che impone di evitare qualsiasi attività che possa avvicinare volatili all’aeroporto e alle sue pertinenze e obbliga i gestori a porre in essere atti di intervento di mitigazione del rischio di wildlife strike, attraverso definite procedure di prevenzione che, nella fattispecie, non si conciliano con la presenza di Parchi, aree a verde, corsi d’acqua e aree umide (i ricorrenti allegavano, all’uopo, il testo del capitolo 9 del documento in allegato 53).
Identiche previsioni sono contenute nel “Regolamento per l’esercizio e per la costruzione di aeroporti” di ENAC, al Capitolo 4, par. 12 e al Capitolo 5, nonché nella relativa circolare interpretativa Circolare ENAC APT-01B.
ENAC avrebbe quindi inspiegabilmente omesso di analizzare questo dirimente aspetto di realizzabilità dell’opera, sicché il progetto sarebbe stato palesemente carente in uno dei suoi aspetti essenziali;
XIII. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 del d.P.R. n. 120 del 12 marzo 2003 e della L. n. 503/1981 (di ratifica della convenzione di Berna del 19 settembre 1979). Violazione della l.r. Toscana n. 56/2000 di recepimento della Direttiva Habitat 92/43/CE. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, sviamento e violazione del principio di economicità dell’azione amministrativa.
XIV. Violazione del piano di indirizzo territoriale della regione toscana, con valenza di piano paesaggistico, approvato con delibera del consiglio regionale n. 37 del 27.3.2015 e dell’art. 7 della “disciplina dei beni paesaggistici”;
XV. Eccesso di potere per motivazione insufficiente e difetto di istruttoria. Assenza di valutazione comparativa del Masterplan con le prescrizioni imposte dal provvedimento del MATTM del 4.11.2001 che concludeva il procedimento di VIA sul Piano Generale di Sviluppo dell’Aeroporto di Firenze orizzonte 2005-2010 e con le prescrizioni del provvedimento n. 26139 del 20.10.2011.
3. Nella resistenza del MATTM, del MIBACT, dell’ENAC, della società To. Ae. s.p.a., della Regione Toscana, e con l’intervento ad opponendum del Comitato Sì Aeroporto, dopo avere respinto le eccezioni preliminari, il TAR:
– dava atto che all’udienza di discussione del 6 aprile 2019, “le parti ricorrenti hanno espressamente rinunciato, in vista dello svolgimento dell’udienza pubblica, ai primi due motivi, al paragrafo III.3 del terzo motivo e, ancora, al sesto motivo (sui poteri dell’Osservatorio), al settimo, al nono (sull’impatto acustico), al decimo (sul carattere asseritamente bidirezionale della pista), all’undicesimo, al tredicesimo e al quattordicesimo motivo, evidenziando che l’eliminazione di dette parti consentirebbe di parificare il ricorso alla memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato e agli altri atti depositati dalle parti resistenti”;
– nel merito accoglieva il ricorso, ritenendo fondati e assorbenti i motivi nn. IV, VIII e XII.
Gli snodi logico – argomentativi della pronuncia possono essere così sintetizzati.
Secondo il TAR, il progetto sottoposto a VIA “non conteneva quel grado di dettaglio minimo e sufficiente affinché il Ministero dell’Ambiente addivenisse ad una corretta valutazione di compatibilità ambientale, non essendosi individuati compiutamente le opere da realizzare”.
Il primo giudice è partito dalla constatazione che trattasi “di opere di considerevole impatto ambientale che implicano, tra l’altro, lo spostamento di un tratto del Fosso Reale, il sotto-attraversamento dell’Autostrada A11; la riorganizzazione dello svincolo della A11 per Sesto Fiorentino e Osmannoro e la ricollocazione del bacino denominato “Lago di Peretola” e di alcuni bacini del sito “La Querciola”, oltre alla delocalizzazione di parte dei “boschi della piana”.
Ha poi soggiunto che “L’incidenza della realizzazione di dette opere sul sistema ambientale risulta evidente laddove si consideri che l’area di compensazione di “Mollaia” consiste nella “creazione di un sistema di nuovi ambienti ad acquitrino e bosco idrofilo, mentre l’area di compensazione di Santa Croce concerne la sostituzione del Lago di Peretola, prevedendo l’interramento di quest’ultimo e la creazione ex novo di un’area umida di circa 9,7 ettari con trasferimento della fauna e della vegetazione”.
Il primo giudice ha tratto ulteriori elementi di convincimento da “una serie di variazioni e integrazioni rispetto agli atti in possesso del Ministero dell’Ambiente nel momento in cui è stato adottato il giudizio di compatibilità ambientale”.
Solo successivamente infatti “è stata dettagliata la realizzazione delle opere idrauliche esterne all’area di sedime aeroportuale comprendenti, tra le altre, l’opera di deviazione del Fosso Reale, l’attraversamento dell’Autostrada A11, la realizzazione delle casse di espansione (aree di laminazione) e le opere di compensazione ambientale funzionali alla mitigazione dell’impatto sui siti protetti. In particolare per quanto concerne le opere idrauliche va evidenziato che la documentazione progettuale originariamente prodotta in sede di VIA non conteneva l’indicazione delle relazioni geologiche, sismiche ed idrologiche, nonché le verifiche geotecniche”.
Secondo il TAR, la documentazione presentata nell’ambito del procedimento urbanistico confermerebbe come in sede di VIA “sia stato presentato un progetto parziale e comunque insufficiente a consentire una compiuta valutazione degli impatti ambientali, essendosi rinviato detto giudizio alle fasi progettuali successive, devolvendo le attività di verifica della corretta esecuzione delle prescrizioni al costituendo Osservatorio Ambientale”.
L’assenza dell’esperimento di una corretta fase istruttoria risulterebbe dimostrata dal fatto che il decreto impugnato contiene circa 70 prescrizioni che “per le loro caratteristiche, hanno l’effetto di condizionare la valutazione di compatibilità ambientale contenuta nel provvedimento impugnato”.
Il primo giudice ha in particolare valorizzato il fatto che è stato rinviato alla fase esecutiva:
– lo studio riferito agli scenari probabilistici del rischio di incidente aereo (prescrizione n. 3) e la stima del rischio di incidente rilevante con strutture soggette alla Direttiva Seveso, presenti sulle direttrici di atterraggio e decollo (prescrizione n. 4);
– la verifica della conformità delle nuove aree di laminazione previste dal SIA (prescrizione n. 28);
– l’individuazione di una soluzione progettuale che consenta di realizzare il sotto attraversamento dell’autostrada A11 da parte del nuovo corso del Fosso Reale (prescrizione n. 29); è stata infatti posticipata l’individuazione delle soluzioni a tutte le interferenze della nuova pista con l’assetto idraulico e con le infrastrutture stradali della zona interessata dal progetto (prescrizione n. 33);
– l’individuazione delle soluzioni per risolvere l’interferenza tra la pista e la già programmata cassa di laminazione del PUE di Castello, nonché di quella già prevista dal Comune di Sesto Fiorentino sul Canale di Cinta Orientale per la messa in sicurezza del Polo Universitario di Sesto Fiorentino (prescrizione n. 34);
– non è stata posta in essere la progettazione esecutiva e l’analisi del rischio di bird strike (prescrizione n. 46), così come la redazione di un progetto di massima degli ambienti umidi previsti a compensazione della distruzione delle aree naturali, di cui al punto precedente (prescrizione n. 49).
Inoltre, la prescrizione n. 29 prevede che “il proponente in sede di progettazione esecutiva dovrà correttamente sviluppare la soluzione di attraversamento dell’autostrada A11 presentata nel SIA (e documentazione integrativa) risolvendo la problematica tecnica evidenziata nel parere del Genio Civile di Bacino Arno Toscana del 19.10.2015”.
II TAR ha poi ritenuto “Particolarmente incidenti […] le opere previste nelle prescrizioni n. 28, 30 e 33, laddove si rinvia alla fase di progettazione esecutiva la verifica dell’adeguatezza delle nuove aree di laminazione” come pure quelle “relative all’assetto idrologico-idraulico della Piana fiorentina (in questo senso si veda l’ottavo motivo del ricorso)”.
Inoltre “con la prescrizione n. 46 (dodicesimo motivo) viene integralmente rimandata alla fase di progettazione esecutiva l’analisi del rischio di “bird strike””.
Per tale profilo, il TAR ha rinviato alla propria sentenza n. 1310/2016 nella quale aveva avuto modo di chiarire “la necessità di una preventiva realizzazione di detto studio, disponendo che “la localizzazione della pista di volo può di per sé porre un problema di intercettazione dei volatili. Il rischio di bird strike attiene infatti all’ubicazione dell’aeroporto, e quindi la sua valutazione si rende necessaria già al momento della scelta di piano. Non si tratta, cioè, di impatto sull’ambiente evidenziabile solo in sede di predisposizione del progetto, ovvero in fase di VIA, essendo già evincibile al momento della localizzazione dell’opera la possibilità o meno di intercettazione di passaggi dell’avifauna, sia in relazione ai percorsi migratori, sia in relazione alla vicinanza di aree alberate o di corsi d’acqua, che notoriamente attraggono gli uccelli”.
In questo senso è anche la prescrizione A3 “rischio di incidente aereo”, laddove si richiede la predisposizione di uno studio “riferito agli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei”, finalizzato a “descrivere e quantificare i rischi per la salute umana e l’ambiente derivanti dalla vulnerabilità aeroportuale a gravi incidenti”.
Il TAR ha soggiunto che il progetto esecutivo non può costituire “il momento in cui effettuare “scelte progettuali” o nuove “valutazioni” circa gli impatti dell’opera sulle componenti ambientali o in merito i rischi derivanti dall’esecuzione del progetto (si vedano ad esempio le prescrizioni nn. 3, 4, 29, 33 34, 46, 48 e 49)”.
Secondo il TAR, l’art. 25, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 riguarda esclusivamente le prescrizioni “eventuali e accessorie, che si pongono a valle di un progetto comunque definito e compiuto, quanto meno in tutti quegli elementi indispensabili per effettuare un giudizio sull’impatto delle opere rispetto all’ambiente circostante”.
Il primo giudice ha infine stigmatizzato il fatto che “la verifica dell’ottemperanza a dette condizioni non è stata demandata ai due Ministeri che hanno emesso il provvedimento di VIA, bensì ad un organismo a composizione mista dove è presente (con diritto di voto) lo stesso proponente ENAC (e senza diritto di voto) la società To. Ae. (e quindi il soggetto che gestisce l’aeroporto), mentre è stata esclusa dall’Osservatorio la presenza di ogni rappresentante dei Comuni ricorrenti, circostanza che ha impedito a questi ultimi di presentare specifici rilievi una volta approvati i progetti esecutivi”.
In sostanza, “le azioni da compiere non sono sufficientemente definite” ed esse pertanto richiederanno “inevitabilmente nuove valutazioni conseguenti all’esame istruttorio ancora da svolgere” con la conseguenza che “se le opere da realizzare non sono state compiutamente definite è la stessa valutazione di compatibilità ambientale a risultare parziale, non essendo stato possibile verificare in che misura l’ambiente ne risulterebbe modificato”.
4. La sentenza è stata impugnata dalla società To. Ae., sulla base delle deduzioni che possono essere così sintetizzate.
I) Violazione dell’art. 13 ter dell’allegato II al d.lgs. 104/2010 e degli artt. 5, 6. 7 d.P.C.S. 22.12.2016, n. 167. Violazione art. 11 Cost. Nullità della sentenza.
L’appellante ha ricordato che il ricorso in primo grado, escluse le parti irrilevanti, constava di ben 114 pagine. L’odierna appellante nella memoria depositata in primo grado il 5 ottobre 2018 aveva eccepito la violazione dell’art. 13 ter dell’allegato II al c.p.a. non avendo gli originari ricorrenti chiesto l’autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali ed aveva quindi chiesto che il ricorso fosse esaminato solo fino a pag. 60, e cioè nei soli primi 4 motivi di diritto.
Nella memoria di replica depositata il 16 ottobre 2018, aveva poi fatto presente che il Giudice di primo grado l’aveva autorizzata a derogare i limiti fino ad un massimo di 100.000 caratteri (decreto Presidenziale n. 417/2018), e quindi aveva chiesto che anche ai ricorrenti fosse rilasciata, a tutto concedere, l’autorizzazione ex post nei medesimi limiti. I ricorrenti in primo grado sono così corsi ai ripari chiedendo di “ridurre” il ricorso. La riduzione, oltre ai motivi di diritto già ricordati, riguardava anche parte della narrazione in fatto: precisamente le righe dalla quarta (compresa) alla 32esima compresa del paragrafo 20 della parte in fatto; i paragrafi da 25 a 30. In tal modo, affermavano i ricorrenti, si sarebbe arrivati a 68 pagine, pari a 133.019 caratteri, spazi esclusi, equiparabili alla memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato che constava di 72 pagine nel medesimo formato.
Secondo gli appellanti, nella parte in cui il TAR ha consentito ai ricorrenti di rinunciare ad alcuni argomenti e motivi di ricorso, non avrebbe affatto rispettato il principio della parità delle armi.
Ai ricorrenti in primo grado si sarebbe infatti consentito uno spazio processuale di circa 1/3 superiore a quello dell’odierna appellante.
In base a quanto sopra esposto, pertanto, ha chiesto che al fine di rispettare la parità delle armi, secondo quanto prevede l’art. 111 Cost., la sentenza venga:
– in tesi: riformata nella parte in cui ha ritenuto assorbito anziché non esaminabile o inammissibile il motivo XV (essendo stati rinunciati i motivi I, II, III.3, VI, VII, IX, X, XI, XIII e XIV); sempre in tesi: riformata nella parte in cui ha accolto anziché dichiarare non esaminabili o inammissibili l’VIII motivo sub B (Interferenze con il reticolo delle acque basse, con le vasche di compensazione e di laminazione già programmate) e il XII motivo (Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4, comma 4, lett. b), del d.lgs. 152 del 3.4.2006. Violazione dell’Annex XIV ICAO e del capitolo 5 del Regolamento ENAC per la costruzione e l’esercizio di aeroporti. Violazione dell’art. 711 del Codice della Navigazione. Eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria in relazione al rischio di bird strike e o wild life strike. Eccesso di potere per difetto e/o insufficienza di istruttoria in merito alle attività rischiose per la sicurezza dei voli. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Eccesso di potere per sviamento);
– in ipotesi: annullata in toto con rimessione al primo giudice in diversa composizione per consentire all’odierna ricorrente di predisporre le proprie difese utilizzando gli stessi spazi processuali (133.000 caratteri anziché 100.000) consentiti ai ricorrenti.
Nel merito, ha dedotto un unico, complesso mezzo di gravame, rubricato:
II) Falsa applicazione dell’art. 25 del d.lgs. n. 152/2006. Carenza di motivazione.
Il TAR avrebbe travisano i contenuti delle prescrizioni, ignorato il puntuale nesso causale sussistente fra le valutazioni ambientali effettuate dalla Commissione VIA e le correlate/conseguenti prescrizioni (il quadro prescrittivo deve, infatti, sempre essere letto in combinato disposto con le valutazioni istruttorie da cui lo stesso scaturisce).
In sostanza, avrebbe ignorato lo sforzo enorme composto dai progettisti e dalla Commissione Tecnica VIA per illustrare ed esaminare un piano di sviluppo che consta di centinaia di elaborati e di studi ambientali addirittura in sovrabbondanza.
La società evidenzia che censurare la VIA per non aver “compiutamente definito” le opere da realizzare significa pretendere un grado di progettualità che è invece la stessa legge ad escludere. L’art. 2 del d.lgs. n. 104/2017 stabilisce che il livello progettuale adeguato per la VIA è rappresentato dal progetto di fattibilità di cui all’art. 23 comma 6 del d.lgs. 50/2016.
Pertanto, la verifica della completezza/adeguatezza della documentazione progettuale da parte della Commissione Tecnica VIA-VAS deve riferirsi esclusivamente alla finalità di valutazione degli impatti ambientali e non alla puntuale rispondenza ai requisiti indicati dal Codice degli Appalti.
L’appellante ha quindi sottolineato che agli atti del procedimento VIA in esame risultano prodotti dal proponente i documenti relativi alle avvenute indagini geologiche e geognostiche, alla verifica preventiva dell’interesse archeologico, lo studio di impatto ambientale e relativi allegati cartografici, la documentazione tecnica di progetto con esplicitazione delle caratteristiche dimensionali e prestazionali delle opere, nonché delle opere e interventi di compensazione e mitigazione ambientale, tutte puntualmente identificate e definite. Il tutto con livello di definizione progettuale tale da consentire, tra l’altro, l’univoca individuazione della localizzazione di tutte le opere di Masterplan, comprese quelle compensative o di mitigazione dell’impatto ambientale e sociale.
L’appellante ha poi sottolineato che l’inserimento di prescrizioni o condizioni ambientali nel provvedimento di VIA ai sensi dell’art. 26 del Codice dell’Ambiente è del tutto fisiologico.
Nella fattispecie andrebbe adeguatamente considerato che il Masterplan in esame non ha per oggetto una puntuale opera infrastrutturale, ma contempla un insieme organico di più opere e interventi di tipologia differente, tra l’altro previsti su un orizzonte pluriennale, comprensivo delle correlate opere di compensazione e di mitigazione. La VIA ha valutato un’opera composita e complessa in relazione alla quale sarebbe naturale l’apposizione di molteplici prescrizioni.
Nel rendere il giudizio di valutazione ambientale l’Amministrazione “esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico” (Cons. Stato Sez. V Sent., 2 ottobre 2014, n. 4928) sicché il sindacato giurisdizionale in materia è ammissibile solo “per macroscopici vizi di irrazionalità ” (Cons. Stato Sez. IV, 27 marzo 2017, n. 1392; in termini id, sez. IV, 27 marzo 2017 n. 1392; id. Sez. IV, 24 gennaio 2013 n. 468.
Secondo l’appellante, nella fattispecie, la valutazione ambientale c’è ed è contenuta nella VIA, non rinviata ad un momento successivo. Solo che – come è pacificamente consentito – essa non si esaurisce in un semplice atto di assenso, ma conforma anche l’attività (progettuale e esecutiva/realizzativa) futura al fine di eliminare, ridurre o compensare l’incidenza dell’opera sull’ambiente e consentire una costante, prolungata e puntuale azione di controllo e sorveglianza ambientale, sia in fase di esecuzione dei lavori, sia preliminarmente all’avvio degli stessi (c.d. fase ante operam, convenzionalmente riferita al livello esecutivo della progettazione, essendo questo immediatamente antecedente all’inizio delle lavorazioni di trasformazione dell’ambiente).
L’appellante ha poi esaminato le 8 prescrizioni che il TAR ha ritenuto elusive dell’obbligo di effettuare la VIA. Tutte le 8 prescrizioni si riferirebbero alla fase della progettazione esecutiva delle opere (ante operam), senza eccezioni o particolarità rispetto all’intero quadro prescrittivo del parere CTVA n. 2235/2016 che, così come asserito dalla stessa CTVA (cfr. parere n. 2570/2017, pag. 23), fa esplicito riferimento alla progettazione esecutiva allorquando intende identificare la fase progettuale immediatamente precedente all’avvio dei lavori (segnando il passaggio dalla fase ante operam a quella di corso d’opera).
a) Prescrizioni nn. 3 e 4 (redazione di uno studio riferito agli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei e del rischio di incidenti rilevanti). Nel primo parere della Commissione Tecnica VIA erano state inserite due prescrizioni (le nn. 3 e 4) relative alla redazione di “uno studio riferito agli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei” (n. 3), “che metta in evidenza la probabilità di accadimento di un impatto aereo sugli stabilimenti circostanti l’aeroporto” (n. 4).
Si trattava di uno studio non previsto dalla normativa sulla VIA allora in vigore, ma che si sarebbe reso necessario a seguito del recepimento della direttiva VIA 2014/52/UE, poi avvenuta con il d.lgs. 104/2017.
Ed infatti, come risulta dal documento “verifica dei contenuti del d.lgs. 104/2017” con cui si è dato avvio all’applicazione della nuova disciplina ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 104/2017, la verifica degli effetti derivanti dal rischio di incidenti (nel caso specifico, aerei) – che prima non era richiesta – è stata inserita nell’art. 5, lett. c) del d.lgs. 152/2016 fra gli impatti ambientali da verificare.
L’analisi del rischio, pertanto, è stata effettuata nella seconda fase della VIA, in totale aderenza a quanto indicato dalle prescrizioni nn. 3 e 4 del primo parere della CTVA, coinvolgendo nella predisposizione degli studi più Atenei nazionali di chiara e indiscussa competenza e di ciò si ha ampio riscontro nel parere CTVA 5.12.217, n. 2570 (pagg. 16-22).
A pag. 23 di tale parere la CTVA chiarisce che al riguardo la documentazione prodotta è “coerente con le indicazioni espresse nella Relazione Conclusiva […] e conforme a quanto richiesto dall’allegato VII, ai punti 5 lett. d e 9 del D.Lgs 104/2017” (p. 22), valutando inoltre la stessa “esaustiva”.
Più precisamente la CTVA afferma che “limitatamente agli studi riferiti agli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei e alle conseguenze per la salute umana e per l’ambiente circostante, la nuova documentazione presentata dal Proponente è esaustiva, pur rimanendo ad ENAC – in virtù delle specifiche competenze – l’obbligo di redigere tutta la documentazione richiesta dalle prescrizioni 3 e 4, presentando al MATTM le relazioni finali, sintesi e conclusioni ai fini dell’ottemperanza in fase di “Ante operam di fase I”.
Non sarebbe per carenza della documentazione prodotta, pertanto, che la CTVA ha proposto di mantenere il “quadro prescrittivo” contenuto nel parere n. 2355/2016, ma in quanto esso va “riferito alla fase della progettazione esecutiva delle opere (ante operam) e alle fasi successive (in corso d’opera e in esercizio e richiede (…) l’approvazione dei diversi Enti/Autorità che il suddetto parere coinvolge in loco …”:
Sarebbe quindi evidente che la CTVA ha ritenuto di mantenere le prescrizioni 3 e 4 non per “rinviare” la valutazione del rischio, già effettuata e ritenuta “esaustiva” ma (solo) per non venir meno al proposito di definire un successivo percorso di vigilanza e controllo “partecipato” con gli Enti/Amministrazioni locali e territoriali. Analogamente, eliminare le prescrizioni 3 e 4 avrebbe significato rinunciare alla possibilità, da parte dell’Autorità ambientale, di verificare l’aggiornamento delle informazioni relative a eventuali conseguenze per gli stabilimenti presenti nell’intorno aeroportuale (la cui declinazione veniva richiesta anche in termini di costi necessari per azioni di indennizzo, espropriazione o delocalizzazione), azioni che risultavano non necessarie al momento della formulazione del parere n. 2336/2017 e che sono ulteriormente risultate non necessarie in sede di procedimento di Verifica di Ottemperanza, atteso che il potenziale pericolo di perdita di vite umane è risultato inferiore rispetto ai valori di riferimento indicati dalla CTVA;
b) Prescrizioni nn. 28 (nuove aree di laminazione) e 29 (attraversamento dell’autostrada A11 da parte del nuovo corso del Fosso Reale).
La ricorrente ha premesso che il profilo accolto dal TAR non sarebbe stato in realtà sviluppato nel ricorso di primo grado. Nel merito, ha poi fatto osservare che la prescrizione n. 28, per come è formulata, già chiarisce che in sede di progettazione esecutiva dovrà essere non “verificata” (come afferma erroneamente il TAR al § 3.1 della sentenza impugnata), ma semplicemente “riverificata” l’adeguatezza delle nuove aree di laminazione previste nel SIA. Adeguatezza – peraltro – da intendersi non in termini tecnico-progettuali, bensì in termini di coerenza di tipo pianificatorio e programmatorio rispetto a quanto definito da altri strumenti, piani e progetti di natura idraulica vigenti e/o in corso e/o in previsione nei medesimi ambiti di intervento.
Lo stesso dicasi per la prescrizione n. 29: non si tratterebbe di proporre e definire per la prima volta una soluzione progettuale per il sottoattraversamento, che già c’è e che è stata valutata positivamente (v. parere CTVA 2235/2016, pag. 61, primo “preso atto”), ma solo di “sviluppare” e risolvere, in sede di progettazione esecutiva, la problematica tecnica sollevata nel parere del Genio Civile 19.10.2015 (parere positivo) e di accrescere la sicurezza idraulica per le condizioni particolari di piena mediante una soluzione di cui la stessa CTVA indica le caratteristiche.
Sarebbe dunque evidente che le prescrizioni A28 e A29 non rinviano le valutazioni di carattere ambientale, ma fanno riferimento esclusivamente ad analisi e integrazioni di livello tipicamente esecutivo.
La prescrizione n. 29, in particolare, mirerebbe solo ad orientare la progettazione esecutiva verso soluzioni migliorative dal punto di vista ambientale e tali da semplificare la successiva fase autorizzativa.
La società ha poi ricordato che le prescrizioni nn. 28 e 29 ad oggi sono già risultate oggetto di preventiva verifica da parte degli Enti competenti – Genio Civile, Consorzio di Bonifica, Autorità di Bacino e sottoposte all’esame dell’Osservatorio Ambientale, che le ha validate;
c) Prescrizione n. 33 (interferenze idrauliche).
Anche in questo caso è stata articolata una eccezione di inammissibilità per mancato svolgimento del motivo.
Nel merito, la società ha evidenziato che il TAR avrebbe forzato il tenore della prescrizione poiché essa non rimanda ai progetti esecutivi per “introdurre le soluzioni” alle interferenze della pista con l’assetto idraulico e le infrastrutture stradali, ma, assai più semplicemente, indica con precisione i contenuti che, sotto tali profili, dovranno presentare i progetti esecutivi relativi alle opere già individuate e definite compatibili in fase di VIA, rispetto alle quali viene richiesto, come è fisiologico, la “soluzione di dettaglio”, non la soluzione “sic et simpliciter”;
d) Prescrizione n. 34 (specifiche progettuali riguardanti le opere idrauliche).
Anche in questo caso è stata articolata una eccezione di inammissibilità per mancato svolgimento del motivo.
Nel merito, la prescrizione in oggetto atterebbe esclusivamente ad aspetti e “specifiche” di dettaglio esecutivo/realizzativo, di gestione e di manutenzione delle opere, e ad aspetti di carattere autorizzativo, che non necessitano di ulteriori valutazioni ambientali rispetto a quelle già espletate e che potranno, invece, rendere più efficace la successiva azione di sorveglianza ambientale da parte delle Autorità a ciò preposte.
Secondo il TAR, tuttavia, da essa emergerebbe il “rinvio” dell’individuazione delle soluzioni per risolvere l’interferenza tra la pista e la già programmata cassa di laminazione del PUE di Castello, nonché di quella già prevista dal Comune di Sesto Fiorentino sul Canale di Cinta Orientale per la messa in sicurezza del Polo Universitario di Sesto Fiorentino.
Ma di ciò non vi sarebbe traccia nella prescrizione in oggetto tanto da far dubitare che il TAR abbia inteso fare riferimento ad altra problematica, sollevata nell’VIII motivo del ricorso in I grado, laddove si afferma in verità una cosa parzialmente diversa, e cioè che la realizzazione della nuova pista interferisce con le opere idrauliche sopraindicate, che tali interferenze non sono risolte e che, dal complesso delle prescrizioni dalla n. 28 alla n. 34, si evince che le valutazioni sarebbero state rinviate alla fase della progettazione esecutiva.
Fermo restando quanto esposto nel I motivo di appello, anche in questo caso il TAR si sarebbe appiattito sulla prospettazione dei ricorrenti, senza adeguatamente confutare le deduzioni dell’odierna appellante.
La società ha ribadito che il Master Plan non impedirà la realizzazione di alcun intervento di laminazione e/o compensazione idraulica già previsto dal Piano di Bonifica con particolare riferimento a: 1) vasca di compensazione del PUE di Castello – Area Caserma dei Marescialli; 2) cassa di espansione del Canale di Cinta Orientale necessaria per la messa in sicurezza idraulica del Polo Universitario di Sesto Fiorentino.
Riguardo all’intervento di cui al punto 1), il Proponente dedica uno specifico capitolo della relazione idraulica all’argomento, provvedendo anche alla verifica dell’effettiva fattibilità tecnica della risoluzione dell’interferenza che, ovviamente, non poteva sviluppare in termini progettuali di dettaglio in quanto non di propria competenza.
In sede di VIA si è, pertanto, correttamente provveduto a verificare la fattibilità tecnica della risoluzione dell’interferenza in coerenza con l’attuazione del Masterplan, fornendo anche al soggetto direttamente interessato (soggetto attuatore degli interventi del PUE di Castello) tutti gli strumenti per poter operare detta soluzione. E, invero, detta soluzione ha trovato poi la completa attuazione, così come reso evidente dal permesso di costruire n. 2373/2018 del 31.08.2018 rilasciato dal Comune di Firenze e relativo alla “Variante al permesso di costruire n. 1812/2017 (B. 6645/2016) per la realizzazione di opere di urbanizzazione e regimazione idraulica al PUE Castello”. E se il procedimento di cui sopra è stato avviato il 6 luglio 2018 e si è positivamente concluso il 31 agosto 2018, evidentemente non era caratterizzato da alcuna complessità tecnico-amministrativa tale da poterlo considerare addirittura irrealizzabile.
In merito all’intervento di cui al punto 2), la relazione tecnica idraulica generale dà adeguata evidenza di detto intervento e le opere idrauliche previste risultano non solo coerenti con la perimetrazione di detta cassa di laminazione, ma anche complete degli interventi di risoluzione dell’interferenza con i sistemi di svuotamento di fondo della cassa stessa, così come ben evidente dalla planimetria generale. La certa fattibilità dell’intervento è stata poi confermata dallo stesso soggetto attuatore (Università degli Studi di Firenze) che, con propria nota prot. n. 83277 del 21 maggio 2018 ha comunicato di aver già espletato la Conferenza di Servizi (18 gennaio 2018) e che “a seguito della Convenzione con il Comune di Sesto Fiorentino l’opera dovrà essere realizzata entro il mese di dicembre 2020”. La certa fattibilità dell’intervento trova riscontro anche nel parere positivo che la stessa Università di Firenze ha rilasciato in sede di procedimento autorizzativo del Masterplan ai sensi del DPR n. 383/1994.
Anche le citate prescrizioni nn. 28 e 29, relative alla deviazione del Fosso Reale e alle vasche di laminazione idraulica, sono già state sottoposte all’esame dell’Osservatorio Ambientale, che ha favorevolmente valutato il progetto esecutivo ai fini dell’ottemperanza;
e) Prescrizione n. 46 (progettazione esecutiva e analisi del rischio di bird strike).
Tale questione è trattata nel XII motivo del ricorso in primo grado, il quale, secondo l’appellante, sarebbe destinato ad essere dichiarato inammissibile per quanto esposto nel I motivo di appello.
Nella specie, in relazione al cd. “bird strike” viene in evidenza solo il rischio per la salute umana, sub specie di rischio derivato da eventi incidentali già esaminati e trattati in relazione alle prescrizioni nn. 3 e 4, tra le cui cause, in ipotesi (molto remote), vi può essere anche l’impatto con l’avifauna.
Tale rischio e le associate conseguenze, anche ambientali, sono stati ampiamente valutati.
L’appellante ha fatto in particolare riferimento alla relazione, predisposta dall’Università di Pisa, sugli “Impatti e rischi su ambiente, salute umana, patrimonio culturale e paesaggio potenzialmente generati da eventi incidentali aeronautici”, documentazione che è stata ritenuta esaustiva dalla CTVA ed evidenzia la totale assenza di elementi di criticità tali da incidere, ad esempio, sulla localizzazione della pista di volo e sull’ubicazione dell’aeroporto.
Inoltre la specifica analisi redatta nel settembre 2016 dal Prof. Baldaccini dell’Università di Pisa già evidenziava la totale assenza di elementi di criticità o di allarme. Anzi, secondo questa relazione, il Masterplan avrà sicuri “effetti positivi derivanti dall’eliminazione di molteplici fonti attrattive” e, quanto alle nuove fonti attrattive, esse saranno “comunque mitigabili e gestibili già a partire dalla fase di progettazione esecutiva di dettaglio”, attraverso adeguate “soluzioni tecniche, manutentive e gestionali”.
La prescrizione 46 del decreto VIA, pertanto, non rinvia la valutazione ad un momento successivo, ma semplicemente avrebbe inteso garantire un controllo sull’adeguatezza delle misure di mitigazione del rischio, di preminente carattere gestionale e, come tali, proprie della fase di esercizio dell’infrastruttura aeroportuale.
Al riguardo, la società ha sottolineato che dalla specifica normativa primaria relativa a tale tipologia di rischio (ICAO Annex 14 e il Regolamento ENAC per la Costruzione e l’Esercizio degli Aeroporti, Cap.5 (“Rischio da impatto con volatili”), Cap.4, par.12 (“Pericoli per la navigazione aerea” richiamati ex adverso), si trae che la previsione e il controllo del rischio in esame attengono alla fase di esercizio dell’aeroporto. In sostanza, sarebbe un’ipotesi “da pura fantascienza hitchcockiana” che un aeroporto non possa costruirsi o essere gestito per la presenza di avifauna, la quale rappresenta un fattore di rischio che, per specifica normativa nazionale ed internazionale aeronautica, è sempre gestibile. Tanto sarebbe dimostrato dai docc. 82 e 83 recentemente predisposti dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa in relazione a quanto indicato dalla prescrizione A.46 del Decreto VIA. Dalla loro consultazione risulta evidente, come era più che prevedibile, che l’aumento di rischio determinato dalla maggiore lunghezza della pista è facilmente mitigabile con le apposite misure ivi indicate;
f) Prescrizione n. 49 (redazione progetto degli ambienti umidi a compensazione delle aree naturali).
Anche in questo caso, il motivo accolto non sarebbe stato svolto.
Nel merito, l’affermazione che la prescrizione in oggetto richiede la redazione di un “progetto di massima” è tratta direttamente dal ricorso in primo grado (cfr. pag. 60).
Essa non trova pertanto alcun riscontro nel tenore della prescrizione in cui si parla di “progetto esecutivo” (nell’accezione che allo stesso dà la CTVA, inteso quale ultima fase di carattere tecnico-progettuale antecedente all’avvio dei lavori, c.d. fase ante operam), e si detta tutta una serie di indicazioni operative che, traendo origine dalle proposte progettuali già definite nel Masterplan, non decamperebbero minimamente dai confini della progettazione esecutiva.
La CTVA, in altri termini, ha esaminato e approvato il progetto delle compensazioni, ritenendole idonee a superare l’impatto ambientale dell’opera e si sarebbe limitata ad indicare, in modo molto dettagliato, i contenuti e i criteri da seguire nella progettazione esecutiva per assicurare il miglior inserimento ambientale delle opere e la più efficace strategia di gestione, manutenzione e monitoraggio delle stesse e dei positivi effetti ambientali attesi.
L’appellante ha poi sottolineato che circostanza che gli elaborati progettuali posti a base della procedura di accertamento di conformità urbanistica ex d.P.R. 383/1994 siano più dettagliati del Masterplan esaminato in sede di VIA, rilevata dal TAR a pretesa dimostrazione dell’insufficienza della VIA, sarebbe agevolmente spiegabile con la necessità di dare ottemperanza alle condizioni ambientali recate nel provvedimento del Ministro, molte delle quali collocate a monte del procedimento ex d.P.R. 383/1994.
L’ottemperanza alle condizioni è stata verificata dall’apposito Osservatorio costituito dal MATTM, e il proponente ha ritenuto opportuno che l’Osservatorio e la Conferenza di servizi ex d.P.R. 383/1994 potessero esprimersi fondando le proprie valutazioni sulla medesima documentazione tecnica, almeno per le sezioni progettuali afferenti ad opere ed interventi che, già previsti dal Masterplan oggetto di VIA, risultino anche oggetto di specifiche condizioni ambientali.
La documentazione tecnica di livello esecutivo agli atti della Conferenza di Servizi è stata, quindi, predisposta dal Proponente in totale coerenza con le indicazioni recate dal quadro prescrittivo del Decreto VIA, così come già verificato dall’Osservatorio Ambientale in relazione alle prescrizioni A.17, A.28, A.29, A.44, A.46, A.49 (documenti di parte appellante nn. 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 92, 93, 94).
Infine, relativamente alle opere idrauliche esterne all’area di sedime aeroportuale e alle opere di compensazione ambientale, l’appellante ha fatto rilevare che la documentazione tecnica riferita alle opere idrauliche depositata in fase di VIA risponde puntualmente alla specifica richiesta di integrazioni avanzata dall’Autorità Competente ed evidentemente è stata ritenuta dalla CTVA adeguata rispetto alla finalità delle valutazioni ambientali. La ricostruzione geologica presentata in fase di VIA si fonda su indagini sito-specifiche e risulta contenuta all’interno dell’elaborato SIA AMB 02 REL 001 “Caratteristiche attuali del suolo e del sottosuolo”, pagg. 70-82; “Condizionamenti geologici e geomorfologici” e “Siti potenzialmente inquinati”, pagg. 83-95; “Caratterizzazione idrogeologica”, pagg. 96-110; “Caratterizzazione geologico-tecnica dei terreni”, comprensiva degli “Aspetti geodinamici-sismici”, pagg. 127-154), così come la ricostruzione idrogeologica, supportata da indagini sito-specifiche condotte dal Proponente in fase di VIA e ampiamente documentate all’interno degli elaborati INT GEN 00 REL 002 e INT AMB 02 TAV 006 (consultabile al link: http://www.va.minambiente.it/File/Documento/160333).
La relazione idrologica e idraulica risulta anch’essa già agli atti del procedimento VIA (elaborato INT PGT 03 REL 002), così come i particolari dimensionali e strutturali del citato attraversamento dell’autostrada A11 (elaborati INT PGT 03 TAV 009 e INT PGT 03 TAV 010). Si ricorda, tra l’altro, che le prescrizioni A.28 e A.29 del Decreto VIA, riferite agli aspetti idraulici, sono già state verificate dall’Osservatorio Ambientale.
La documentazione tecnica inerente le opere di compensazione depositata in fase di VIA dal Proponente risponde puntualmente alla specifica richiesta di integrazioni avanzata dall’Autorità Competente ed evidentemente anch’essa è stata ritenuta dalla CTVA adeguata rispetto alla finalità delle valutazioni ambientali. Le opere di compensazione depositate agli atti della Conferenza di Servizi coincidono con quelle già previste e definite in fase di VIA (“Mollaia”, “Santa Croce”, “Prataccio” e “il Piano”), come risulta dagli elaborati di cui ai docc. 26, 87, 88, 89 e 90. Lo stesso parere n. 2235/2016 della CTVA contiene una specifica sezione istruttoria riferita a dette opere e alla loro localizzazione, estensione, funzionalità, tipologia di habitat, ecc. (cfr. pagg. 163-167).
La consultazione degli elaborati di progetto esecutivo citati dai ricorrenti consente, tra l’altro, non solo di verificare l’assoluta coerenza di quanto trasmesso agli atti della Conferenza di Servizi rispetto a quanto già agli atti del procedimento VIA, ma anche di apprezzare il fatto che gli habitat oggetto di nuova realizzazione confermano le previsioni di VIA (in termini di tipologia, localizzazione ed estensione) e, talvolta, le migliorano. L’appellante ha ricordato infine, che le prescrizioni A.44, A.47 e A.49 del Decreto VIA, riferite alle opere di compensazione, sono già state verificate dall’Osservatorio Ambientale.
5. La sentenza è stata impugnata – in forma incidentale – anche dalla Regione Toscana, che ha dedotto:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, lett. G) e 25 D.Lgs. 152/2006. Erroneità ed illogicità della sentenza del TAR; omessa, insufficiente contraddittoria ed illogica motivazione; travisamento dei fatti.
Il Masterplan aeroportuale 2014-2029 rientra tra quelli di cui all’Allegato II, punto 10) (“[…] aeroporti con piste di atterraggio superiori a 1.500 metri di lunghezza”) della Parte II del d.lgs n. 152 del 2006, ed è pertanto soggetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale di competenza statale, ai sensi dell’art. 7, comma 3, dello stesso Decreto.
In particolare, le procedure di approvazione dei Master Plan aeroportuali tengono conto delle previsioni della legge 351/95 e della relativa circolare applicativa 1408/96 del Ministero delle Infrastrutture: sulla base di tali previsioni la procedura di impatto ambientale viene svolta sui Master Plan corredati dagli elementi progettuali ed ambientali necessari ad una completa valutazione degli impatti.
Nello specifico, la Regione ha sottolineato che con l’ultimo parere n. 2570 del 5 dicembre 2017, la Commissione VIA ha ribadito il parere positivo anche in relazione alle valutazioni aggiuntive in adempimento delle ulteriori indicazioni di cui al d.lgs. n. 104/2017, dando atto che la documentazione presentata dal proponente, integrativa di quella già valutata dalla Commissione nel parere 2235, risulta adeguata rispetto alla nuova normativa ed idonea alla valutazione degli ulteriori ambiti di indagine indicati dal nuovo regime normativo.
Non sarebbe quindi vero che il progetto presentato dal Proponente avrebbe omesso di individuare compiutamente le opere da realizzare e ciò non avrebbe consentito una esaustiva disamina degli impatti ambientali dell’intervento di riqualificazione dello scalo fiorentino.
Ha comunque rilevato la peculiarità dei Masterplan aeroportuali rispetto ai progetti che normalmente vengono sottoposti a VIA,
Anche la Regione ha evidenziato che il maggior dettaglio degli elaborati progettuali posti a base della procedura di accertamento di conformità urbanistica ex d.P.R. n. 383/1994 rispetto al Masterplan sottoposto a VIA, invocato erroneamente dal TAR a pretesa dimostrazione della carenza dell’istruttoria ambientale, è una diretta conseguenza della approfondita valutazione ambientale svolta e del quadro prescrittivo che ne è scaturito contenuta nel provvedimento di VIA il quale ha imposto al Proponente, in totale aderenza al principio di precauzione e prevenzione, di dare ottemperanza alle predette condizioni ambientali già in una fase antecedente il procedimento ex d.P.R. 383/1994.
L’ottemperanza alle condizioni è stata quindi verificata dall’apposito Osservatorio costituito dal MATTM così che l’Osservatorio e la Conferenza di Servizi ex d.P.R. n. 383 hanno espresso le proprie valutazioni sulla medesima documentazione tecnica con riferimento a quegli aspetti progettuali afferenti ad opere ed interventi, comunque già previsti dal Masterplan sottoposto a VIA;
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 19 e 25 D.Lgs. 152/2006. Erroneità ed illogicità della sentenza del TAR; omessa, insufficiente contraddittoria ed illogica motivazione; travisamento dei fatti.
La previsione di prescrizioni ambientali, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non inficia l’esito positivo della valutazione ambientale, ciò anche in ragione del fatto che tale valutazione non si esaurisce in semplice atto di assenso, ma è preordinata a conformare anche la successiva attività progettuale e realizzativa, al fine di eliminare, ridurre o compensare gli impatti ambientali negativi: infatti, nel caso di specie, il quadro prescrittivo formulato dalla Commissione tecnica di VIA costituisce un modulo operativo indispensabile per il proponente al fine del miglior sviluppo del piano previsto e, per le autorità preposte, uno strumento per esercitare la propria azione di controllo e vigilanza ambientale in tutte le fasi di realizzazione del Master Plan (ante operam, corso d’opera e post operam).
6. Si sono costituiti in giudizio, con comparsa di stile, il MATTM, il MIBAC e l’ENAC.
7. L’Associazione VAS, e gli altri ricorrenti indicati in epigrafe, oltre a costituirsi in giudizio, in resistenza, hanno riproposto il terzo e il quinto motivo di ricorso, assorbiti dal TAR, nonché articolato appello incidentale.
Nello specifico, con l’appello incidentale, hanno dedotto:
I. Erroneità della sentenza nella parte in cui non si è pronunciata sull’istanza di superamento dei limiti dimensionali, presentata dai ricorrenti nell’atto introduttivo. Violazione dell’art. 7, D.P.C.S. n. 167/2016.
Il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado notificato e ritualmente depositato dagli esponenti constava di quindici distinti motivi e si articolava in 114 pagine redatte secondo il format, il layout e le specifiche tecniche previste dall’art. 8 del DPCS n. 167/2016 (la circostanza non è contestata dall’appellante).
In testa al predetto atto introduttivo, i ricorrenti formulavano sin da subito istanza ex art. 7 DPCS 167/2016 chiedendo l’autorizzazione ex post a derogare ai limiti dimensionali previsti dal suddetto decreto, motivando ed argomentando circa la sussistenza di “gravi e giustificati motivi”.
All’udienza pubblica del 3 aprile 2019 i ricorrenti:
(i) insistevano, in tesi, per la concessione della deroga “totale” al superamento dei limiti dimensionali ai sensi dell’art. 7 DPCS 167/2016, sussistendone i “gravi e giustificati motivi”;
(ii) richiamando la seconda parte dell’art. 7 DPCS 167/2016, secondo cui “è in ogni caso fatta salva la facoltà della parte di indicare gli argomenti o i motivi cui intende rinunciare”, indicavano, in ipotesi, gli argomenti e i motivi da espungere dal ricorso, in caso di mancato accoglimento dell’istanza ex art. 7 DPCS 167/2016.
Il TAR Toscana ha implicitamente rigettato l’istanza ex art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167/2016 svolta dai ricorrenti, affermando che “Pur considerando che l’istanza di autorizzazione è necessariamente preventiva al deposito del ricorso o delle memorie che superano i limiti dimensionali, di cui all’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167/2016, l’art. 7 dello stesso provvedimento prevede che, “in caso di superamento dei limiti dimensionali non autorizzato” resta “salva la facoltà della parte di indicare gli argomenti o i motivi cui intende rinunciare”.
Il Collegio di primo grado sembra ritenere che l’istituto processuale previsto dall’art. 7 del citato DPCS 167/2016 consenta alla parte di chiedere sì una deroga ai limiti più ampia rispetto a quella prevista dall’art. 6 del medesimo decreto, ma ciò sul presupposto che la richiesta sia fatta “prima del deposito del ricorso e delle memorie che superano i limiti dimensionali”. Si tratterebbe di un assunto non condivisibile, anzitutto perché, sotto il profilo letterale, il citato art. 7 delimita il proprio ambito applicativo ai casi di “superamento dei limiti dimensionali non autorizzato preventivamente ai sensi dell’articolo 6”, con ciò mostrando chiaramente l’alternatività dello strumento rispetto all’istanza preventiva.
In secondo luogo, laddove si ritenesse che anche il potere di deroga, di cui all’art. 7, sia esercitabile solo a seguito di istanza preventiva, tale potere in nulla si differenzierebbe da quello previsto dall’art. 5, comma 2, del DPCS 167/2016 e la disposizione si rivelerebbe priva di una effettiva portata applicativa.
Sarebbe dunque errata la motivazione addotta dal TAR Toscana per rigettare o, comunque, non esaminare l’istanza ex art. 7 DPCS 167/2016.
Gli appellanti hanno quindi riproposto la suddetta istanza, adducendo l’esistenza dei “gravi e giustificati motivi”, che legittimano la proponibilità e la concessione di un’autorizzazione successiva al superamento dei limiti dimensionali.
Nell’ambito dell’appello incidentale, hanno quindi espressamente riproposto, tra i motivi che il TAR ha erroneamente ritenuto rinunciati, i soli motivi II, X, XI e XIII del ricorso di primo grado.
8. In data 9 settembre 2019, la Regione Toscana ha depositato una memoria difensiva, relativa ai motivi riproposti dagli originari ricorrenti nella quale, oltre a sottolineare che la procedura di cui all’art. 21 del d.lgs. 152/2006 non è mai stata attivata da ENAC in quanto non necessaria né pertinente in fase di integrazione della VIA ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha argomentato in ordine all’irrilevanza della mancanza di un procedimento di VAS e comunque della conformità del progetto agli strumenti di pianificazione regionale.
In merito all’appello incidentale proposto dalla parte ricorrente in primo grado, la Regione Toscana ha sottolineato che la riproposizione in secondo grado delle censure e/o delle domande rinunciate in primo grado costituisce una evidente violazione del divieto dei nova in appello.
In ogni caso i motivi in questione erano anche infondati nel merito.
9. Con memoria del 9 settembre 2019, gli appellati si sono difesi sui motivi di appello.
Essi hanno fatto rilevare, in primo luogo, che la sentenza impugnata ha annullato i provvedimenti gravati in primo grado accogliendo anche il IV e l’VIII motivo di ricorso che, per stessa ammissione dell’appellante, si collocano, a seguito della riduzione, nei 100.000 caratteri autorizzati dal TAR.
In ogni caso, per i motivi dedotti con l’appello incidentale, il superamento dei limiti dimensionali dell’intero ricorso introduttivo sarebbe stato comunque giustificato ed avrebbe dovuto indurre il TAR ad accogliere integralmente l’istanza di deroga ai limiti dimensionali.
Nel merito, hanno ribadito le proprie argomentazioni circa l’insufficienza della documentazione allegata all’istanza di VIA ai fini di una compiuta valutazione degli effetti sulle matrici ambientali.
10. In data 11 settembre 2019 si è costituito il Comitato Sì Aeroporto.
11. In data 16 ottobre 2019 la To. Ae. ha depositato in giudizio una relazione della CTVA (prot. n. 3079 del 12 luglio 2019).
12. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica
12.1. To. Ae., relativamente ai motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal TAR e riproposti dalla parte appellata, ha rimarcato che, nella fattispecie, non è stata fatta applicazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 152 del 2006, bensì della disposizione transitoria, contenuta nell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 104/2017, secondo il quale, “l’autorità competente può disporre, su istanza del proponente da presentare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l’applicazione al procedimento in corso della disciplina recata dal presente decreto, indicando eventuali integrazioni documentali ritenute necessarie e stabilendo la rimessione del procedimento alla sola fase della valutazione”.
Per quanto concerne il quinto motivo del ricorso di primo grado, anche l’appellante ha ricordato che, ai sensi dell’art. 6, comma 12 del Codice dell’ambiente, per le modifiche agli atti di pianificazione conseguenti ai provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l’effetto di variante (come nel caso di specie), la VAS non è necessaria.
Quanto al preteso contrasto con il PIT, la parte appellata confonderebbe i profili ambientali da valutare in sede di VIA e i profili di conformità urbanistica da valutare in sede di approvazione definitiva delle opere.
La conformità al PIT viene in rilievo esclusivamente nella procedura di verifica di conformità ex d.P.R. 384/1998 (in corso di effettuazione), la quale consente di localizzare l’opera di interesse statale anche in difformità dai piani urbanistici, tra cui si collocherebbe anche il PIT, cui, peraltro, fa espresso riferimento anche l’art. 9 bis della l. reg. Toscana n. 65/2014.
Quanto al primo motivo dell’appello incidentale, l’appellante ha fatto notare che la ragione del rigetto implicito dell’istanza di deroga “integrale” ai limiti dimensionali non è da individuare solo nel fatto che l’istanza debba essere formulata preventivamente al deposito del ricorso o delle memorie, ma soprattutto nel fatto che all’odierna appellante era stato consentito di derogare solo nei limiti dei 100.000 caratteri, e quindi, per assicurare la “parità delle armi”.
Per consentire una deroga integrale il TAR avrebbe peraltro dovuto rinviare l’udienza di discussione e revocare il precedente decreto con cui alla società la deroga era stata consentita nei limiti dei 100.000 caratteri, per modo tale da consentire alla comparente di sviluppare le proprie difese senza limiti di spazio.
Nel merito del proprio appello ha richiamato i contenuti della surrichiamata Relazione della CTVA.
Ha poi rimarcato che, secondo la dottrina, dopo il provvedimento di VIA, il relativo “processo” continua attraverso il monitoraggio, le verifiche di ottemperanza e l’eventuale riesame, tutti collegati al medesimo provvedimento di VIA ed alle condizioni ivi contenute.
Nel caso di specie, gli approfondimenti progettuali richiesti non mirerebbero a colmare le lacune presenti nella documentazione di VIA sulla quale è stata effettuata una valutazione di compatibilità causa cognita, ma solo a richiedere la prosecuzione delle verifiche in sede di progettazione di dettaglio, in modo da salvaguardare al massimo l’interesse ambientale.
12.2. La Regione Toscana, dal canto suo, ha ricordato che la disciplina comunitaria in materia di VIA, sin dalla originaria Direttiva 85/337, richiedeva, proprio in ossequio al principio di prevenzione e precauzione, che la valutazione intervenisse nella fase più anticipata possibile.
L’anticipazione delle valutazioni ambientali consente infatti – in aderenza ai principi comunitari di prevenzione e precauzione – di conformare i successivi sviluppi progettuali indirizzandoli verso la soluzione di minor impatto ambientale, anche nell’ottica dell’efficienza dell’azione amministrativa.
Ha poi sottolineato che la norma transitoria di cui all’art. 23, comma 2, d.lgs. n. 104/2017 è pienamente coerente con la disciplina transitoria di cui all’art. 3 della Direttiva 2014/52/UE (la quale prevede che per i progetti avviati a VIA anteriormente al 16.5.2017, rimane in vigore la disciplina previgente). E’ infatti evidente che l’art. 23, comma 2, nell’estendere ad un numero più ampio di soggetti la possibilità di avvalersi dei nuovi istituti previsti dalla Direttiva non solo non si pone in contrasto con gli obiettivi ma ne integra ulteriormente le finalità . Infatti, poiché la nuova Direttiva VIA aggrava le verifiche di compatibilità ambientale ed è strumentale ad una maggiore tutela ambientale, la disciplina transitoria prevista dall’art. 3 e dal relativo Considerando 39 della medesima Direttiva è posta a presidio dell’affidamento del proponente nella stabilità del quadro normativo in vigore al momento della presentazione della domanda di VIA.
Essa tuttavia non preclude che, su richiesta dello stesso proponente, come prevede l’art. 23 del d.lgs. 104/2017, si passi al nuovo regime, con ciò determinando l’estensione della valutazione con riferimento a profili di impatto ambientale prima non richiesti.
Per quanto riguarda l’omessa adeguata verifica del rischio di incidente aereo, le prescrizioni mantenute in sede di VIA riguarderebbero solo l’onere in capo al proponente di ulteriormente dettagliare le indagini già contenute nel progetto e nello SIA affinché “nella successiva fase progettuale venga ulteriormente approfondito lo studio degli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei, al fine di dettagliatamente stimare le somme necessarie per eventuali indennizzi, espropriazioni o delocalizzazioni conseguenti”, ovvero ai fini espropriativi.
Detto studio, non obbligatorio per legge per volumi di traffico aereo inferiore ai 50.000 movimenti/anno quale è quello relativo agli scenari del Masterplan di cui si tratta, sarebbe stato quindi del tutto correttamente imposto nell’ambito del quadro prescrittivo dalla Commissione tecnica di VIA, in considerazione della specifica situazione urbanistica/abitativa del territorio nell’intorno dell’aeroporto di Firenze.
In sede di verifica di ottemperanza, è stata accertata l’esaustività e la coerenza dello studio presentato con quanto prescritto dalla condizione A.3. Dall’esame delle mappe di rischio svolto nell’area interessata al Master Plan, lo studio ha evidenziato che il potenziale pericolo per la perdita di vite umane è largamente inferiore a 1 x 10-4 e che il rischio massimo calcolato lungo l’asse della pista di volo e all’interno del sedime aeroportuale è pari a 6,6 x 10-6 (eventi anno).
E’ stato altresì verificato che, in relazione alla condizione A.4, il rischio stimato di un probabile impatto aereo sugli stabilimenti circostanti classificati “a rischio di incidente rilevante” dalla Direttiva Seveso è nettamente inferiore rispetto ai valori associati ai tipici incidenti derivanti da attività industriali e/o a malfunzionamenti dei processi produttivi.
La verifica di ottemperanza anche sotto tale profilo si è conclusa con esito positivo.
Non vi sarebbe poi alcuna carenza neanche nella valutazione degli impatti in ordine agli Habitat interferiti dall’opera: è stata svolta infatti la specifica procedura di VINCA, la quale ha incluso tutti i Livelli (Livello I, II, III e IV) previsti dalla direttiva Habitat e dalla normativa nazionale, con conseguente definizione progettuale e valutazione delle relative misure compensative.
In particolare, la condizione A.49 non prevede revisioni, modifiche o integrazioni sostanziali delle opere già proposte e già compiutamente esaminate dalla Commissione tecnica di VIA che le ha ritenute idonee a superare l’impatto ambientale dell’opera (cfr. p. 163-167 del parere
2235/2016, ove si dà atto “che l’opera generi un’incidenza negativa sulle funzioni ecologiche del sito, che potrà essere compensata dagli interventi previsti”).
Si tratterebbe piuttosto di oneri attinenti il mero aggiornamento relativo a misure tecniche e gestionali di aspetti già valutati ed il monitoraggio continuo in ordine all’effettiva mitigazione e/o compensazione degli habitat di interesse comunitario interferenti con gli interventi previsti.
12.3 Con la memoria conclusionale gli appellati hanno dedotto l’inammissibilità dell’appello principale della società To. Ae. e di quello incidentale della Regione Toscana.
Tanto, ai sensi dell’art. 102, c.p.a., secondo cui il potere di appellare compete alle “parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado”, precisando, tuttavia, al comma 2, che “l’interventore può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma”.
Al riguardo, hanno evidenziato che, nel giudizio di primo grado, oltre a notificare il ricorso introduttivo al Proponente (ENAC) ed all’autorità competente (il MATTM) quali parti processuali necessarie, avevano esteso il contraddittorio anche, tra gli altri, a To. Ae. Spa (Gestore in concessione totale dello scalo “Amerigo Vespucci”) ed alla Regione Toscana.
Hanno tuttavia ricordato che nel processo amministrativo, il potere di impugnazione non è attribuito a tutti i “terzi”, ma solo a coloro che rivestono la qualifica di controinteressati in quanto titolari di una situazione giuridica soggettiva sostanziale autonoma opposta o coincidente rispetto a quella del ricorrente. Nel caso di specie, i provvedimenti impugnati in primo grado non attribuiscono alcuna diretta posizione di vantaggio né a To. Ae., né tantomeno alla Regione Toscana.
La notifica del ricorso di primo grado agli odierni appellanti non sarebbe pertanto idonea, ex se, ad attribuire a quest’ultimi la qualifica di controinteressati in senso sostanziale, come tale titolari di una posizione autonoma ai fini dell’impugnazione della sentenza resa all’esito dello stesso.
12.4. Sul punto, la società appellante ha replicato (nell’ambito di una memoria unica presentata relativamente ai ricorsi RG. nn. 7176/2019, 7177/2019, 7181/2019, 7182/2019, 7184/2019) di essere stata “parte” del giudizio di primo grado e di esser per ciò stesso legittimata all’appello ai sensi dell’art. 102 c.p.a., per come interpretato in dottrina e giurisprudenza.
La società sarebbe tuttavia parte anche in senso sostanziale in qualità di concessionaria del servizio aeroportuale negli aeroporti di Pisa e di Firenze, e soggetto gestore dei medesimi.
12.5. Anche la Regione Toscana ha depositato una memoria di replica unica.
Ha sottolineato di essere titolare, nella vicenda di cui trattasi, di una propria ed autonoma posizione giuridica sostanziale (e non di un interesse di mero fatto) con conseguente legittimazione ad impugnare le sentenze del TAR Toscana, anche in relazione ai due ricorsi in primo grado in cui ha dovuto proporre intervento ad opponendum stante la mancata vocatio in ius.
La riqualificazione dell’aeroporto di Firenze (in vista della gestione integrata con lo scalo di Pisa) è considerata opera strategica anche a livello regionale, in considerazione del ruolo centrale svolto dal sistema aeroportuale per l’organizzazione della mobilità e l’attrattiva del territorio, rappresentando un importante fattore di sviluppo e di competitività territoriale.
12.6. Dal canto suo l’Associazione VAS, in sede di replica, ha in particolar ripreso il motivo relativo alla mancanza della VAS.
Laddove, tuttavia, residuassero dubbi circa l’interpretazione delle pertinenti disposizioni europee, ha prospettato un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, chiedendo alla Corte di Giustizia se gli artt. 1 e 3, par. 2, della Direttiva VAS debbano essere interpretati nel senso di impedire o comunque precludere l’effettuazione di una VIA, secondo la Direttiva 2011/92/UE, su un progetto di cui agli allegati II e III della direttiva medesima, qualora non sia stata effettuata o sia stata annullata in sede giurisdizionale la VAS sul piano o programma, che detta il “quadro di riferimento” del progetto medesimo.
Relativamente all’interpretazione dell’art. 6, comma 12, del d.lgs. 152 del 2006, ha poi richiamato alcuni precedenti della Sezione.
Anche in questo caso, ha comunque prospettato una questione di compatibilità comunitaria, intesa ad accertare, attraverso il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, se l’art. 3, par. 2, della Direttiva VAS osti ad una disposizione nazionale, come quella testé richiamata, nell’ipotesi in cui la stessa sia interpretata nel senso di escludere la necessità della valutazione strategica su varianti pianificatorie derivanti ex lege dall’autorizzazione di progetti rientranti negli allegati II e III della Direttiva VIA, anche quando tale valutazione non sia stata effettuata (o sia stata annullata) a monte in sede di pianificazione generale.
L’appello è passato in decisione alla pubblica udienza del 28 novembre 2019.
APPELLO n. 7448 del 2019.
13. La sentenza del TAR per la Toscana n. 789 del 2019 è stata impugnata anche, con separato appello, dal MATTM, dal MIBAC e dall’ENAC, alla stregua delle deduzioni che possono essere così sintetizzate:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, lett. G) e 25 del D.lgs. n. 152/2006. Insufficiente, illogica e contradditoria motivazione.
Il piano di sviluppo Aeroportuale o Master Plan costituisce lo strumento che individua le principali caratteristiche di adeguamento e potenziamento di ciascuno scalo, tenendo conto delle prospettive di sviluppo dell’aeroporto, delle infrastrutture, delle condizioni di accessibilità e dei vincoli sul territorio. Tale piano trova la sua disciplina nell’art. 1, comma 6, del d.l. n. 251 del 28 giugno 1995 convertito in legge 3 agosto 1995, n. 352, nonché nella circolare del Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici 23 febbraio 1996, n. 1408 che precisa l’iter approvativo del piano stesso.
Diversamente dai consueti progetti esaminati in sede di VIA, i Master Plan aeroportuali sono connotati – stante la posizione intermedia tra la pianificazione e la progettazione di singole opere – da indicazioni di larga massima che, pur dovendo essere idonee a consentire la valutazione dei singoli impatti, ai sensi dell’art. 5, lett. g) del d.lgs. n. 152/2006 (anche nel testo ante riforma effettuata con il d.lgs. n. 104/2017) prevedono la realizzazione cadenzata negli anni di una serie di interventi. L’approccio programmatico e prospettico consegue allo sviluppo futuro (ed incerto) del traffico aeroportuale.
I livelli di progettazione preliminare e definitiva sono applicabili alle progettazioni dei singoli sottosistemi infrastrutturali e soggiacciano ai molteplici procedimenti di approvazione da parte di soggetti istituzionali diversi.
Il livello di dettaglio del Master Plan in questione, anche prima che l’ENAC formulasse istanza per avvalersi dell’istituto di cui all.art. 23 del d.lgs. n. 104 del 2017, risulta dalla copiosa documentazione depositata nel corso dell’istruttoria, ed in particolare dalla “relazione tecnica generale” allegata al progetto stesso in cui sono puntualmente indicate tutte le opere da realizzare (in particolare alle pagg. 50-52), dalle relazioni tecniche specialistiche e dallo studio di impatto ambientale in cui sono riassunte le principali categorie di intervento progettuale che caratterizzano il Master Plan con l’indicazione delle opere da realizzare in tre periodi temporali (pagg. 65 e ss.).
Tale progetto è stato ritenuto sufficiente ed idoneo dal Ministero dell’Ambiente ai fini del giudizio di compatibilità ambientale.
Quindi, contrariamente a quanto ha ritenuto il TAR, il progetto sottoposto a VIA contiene la puntuale descrizione delle opere da realizzare, come comprovato anche dal fatto che la CTVA ha espresso le proprie valutazioni ambientali declinandole proprio per tipologie di opere (piste ciclabili e interferenze con la viabilità per Sesto Fiorentino, cantierizzazione e terre da scavo, dune artificiali, aree di laminazione idraulica, opere di attraversamento autostrada A l1, interferenze idrauliche, linee elettriche, misure di compensazione ecologica, misure di mitigazione e ripristino, parco area ex aeroporto; piano di monitoraggio ambientale, sistema di gestione ambientale, rischio di incidente aereo; componenti e fattori ambientali: atmosfera, rumore, vibrazioni, ambiente idrico, suolo e sottosuolo, campi elettromagnetici, salute pubblica, anfibi e rettili, chirotteri, habitat e specie protette), sempre prevedendo la divisione in “fasi” delle ottemperanze da svolgersi.
La sentenza impugnata sarebbe errata perché ai fini della legittimità della VIA sembra esigere un grado di progettualità che invece la legge non richiede. Infatti, il progetto di fattibilità di cui all’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016 (richiamato dall’art. 5 del d.lgs. n. 152/2006), è redatto sulla base dell’avvenuto svolgimento di indagini geologiche e geognostiche, di verifiche preventive dell’interesse archeologico, di studi preliminari sull’impatto ambientale ed evidenzia con apposito elaborato cartografico, le aree impegnate, le eventuali fasce di rispetto e le occorrenti misure di salvaguardia nonché le caratteristiche prestazionali, le specifiche funzionali, le esigenze di compensazioni e di mitigazioni dell’impatto ambientale, nonché i limiti di spesa delle infrastrutture da rivalutare ad un livello tale da consentire, già in sede di approvazione del progetto, salvo circostanze imprevedibili, l’individuazione della localizzazione o del tracciato delle infrastrutture nonché le opere compensative o di mitigazione dell’impatto ambientale e sociale necessarie.
Le amministrazioni appellanti hanno altresì evidenziato che nel caso di progetto concernente -come nella specie – il Master Plan di un aeroporto, la caratterizzazione degli elaborati progettuali, in linea con quanto stabilito dal d.lgs. 104/2017 all’art. 2 punto c), consente una lettura integrata dell’insieme dei sottosistemi collegati ed integrati tra loro in riferimento all’assetto dell’aeroporto, sia nello stato di fatto che in quello futuro riferito all’orizzonte temporale assunto nel progetto di piano di sviluppo aeroportuale.
Peraltro, lo sviluppo di una progettazione a livello “definitivo” comporterebbe costi assai rilevanti (tanto più se svolta contemporaneamente per tutti i sottosistemi infrastrutturali dell’aeroporto) e non trova perciò ragionevole applicazione, né risulta sopportabile quando ancora non è certa la compatibilità ambientale ed urbanistica dell’ipotizzato disegno futuro dell’aeroporto stesso.
La decisione del TAR sarebbe poi contraddittoria laddove, da un lato, ritiene che il progetto sottoposto a VIA non abbia compiutamente individuato le opere da realizzare, dall’altro rileva che dalla documentazione in atti si evince che “si è in presenza di opere di considerevole impatto ambientale che implicano, tra l’altro, lo spostamento di un tratto del Fosso Reale, il sotto-attraversamento dell’Autostrada A11; la riorganizzazione dello svincolo della A11 per Sesto Fiorentino e Osmannoro e la ricollocazione del bacino denominato “Lago di Peretola” e di alcuni bacini del sito “La Querciola”, oltre alla delocalizzazione di parte dei “boschi della piana””;
2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 5 del D.lgs. n. 152/2006. Illogica motivazione su fatti decisivi e rilevanti della controversia.
La pronuncia positiva di compatibilità ambientale resa all’esito dell’istruttoria tecnica, include le condizioni atte a limitare al massimo l’insorgenza degli effetti indesiderati stimati nel SIA sulla base di informazioni di dati che, per loro natura, possono risultare incerti.
Le prescrizioni possono riguardare: 1) atti procedurali (quali provvedimenti che dispongono la trasmissione di documentazione tra Enti ed Amministrazioni interessate alla realizzazione dell’opera); 2) limitazioni del rischio (operazioni volte a limitare la possibilità che si verifichi un impatto su una o più componenti ambientali e procedure di sicurezza); 3) contenuti di progetto (prescrizioni riguardanti limitazioni al progetto originario sottoposto a VIA); 4) mitigazioni (opere di varia e propria mitigazione, ottimizzazione e di compensazione; 5) monitoraggi (prescrizioni che impongono il controllo dello stato in cui si trova l’ambiente rispetto alla situazione “ante opera”).
In relazione alla fase temporale, le prescrizioni possono essere imposte “ante operam”, in corso d’opera e “post operam”.
L’imposizione di prescrizioni ambientali non contraddice l’esito positivo della valutazione ambientale ove si consideri che tale valutazione non si esaurisce in semplice atto di assenso, ma conforma anche l’attività (progettuale e realizzativa) futura al fine di eliminare, ridurre o compensare gli impatti ambientali significativi e negativi, nel rispetto del principio di precauzione.
Tale quadro prescrittivo non rappresenta un rinvio a livello di progettazione esecutiva di nuove scelte progettuali o nuove valutazioni circa gli impatti delle opere sui vari profili ambientali o in merito ai rischi derivanti dall’esecuzione degli interventi, bensì l’opportuna e consapevole imposizione di ulteriori controlli e verifiche proprie dell’azione di “sorveglianza ambientale”, da effettuarsi anche prima che il Proponente dia avvio alle operazioni di trasformazione del territorio. Detta fase, ovviamente successiva alla procedura VIA e definita tecnicamente ante operam, è stata convenzionalmente individuata dalla CTVA attraverso il riferimento alla fase della progettazione esecutiva, ovvero alla fase in cui, ai sensi di legge, il livello di progettazione è quello immediatamente precedente all’affidamento e all’avvio dei lavori.
La quantità delle prescrizioni imposte risulta direttamente proporzionata alla complessità del progetto esaminato.
In particolare, sui presunti rischi di incidente aereo e sulle conseguenze per gli stabilimenti presenti nell’intorno aeroportuale, il parere della CTVA 2235/2016- pur avendo svolto le valutazioni sugli impatti potenziali – ha ritenuto di rinviare alla successiva fase progettuale l’approfondimento dello studio degli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei anche al fine di stimare dettagliatamente le somme necessarie per eventuali indennizzi, espropriazioni o delocalizzazioni conseguenti; questo Studio è stato infatti successivamente predisposto, presentato (in fase di ottemperanza) ed approvato dall’Osservatorio Ambientale in data 30 maggio 2018.
L’Osservatorio ha verificato che il rischio stimato di un probabile impatto aereo sugli stabilimenti circostanti classificati “a rischio di incidente rilevante” dalla Direttiva Seveso è nettamente inferiore rispetto ai valori associati ai tipici incidenti derivanti da attività industriali e/o a malfunzionamenti dei processi produttivi;
La prescrizione A28 chiede di “riverificare l’adeguatezza delle nuove aree di laminazione” nella successiva fase di Progettazione esecutiva, la quale dovrà tener conto della situazione esistente nella Piana Fiorentina e di tutte le criticità, peraltro evidenziate nel Master Plan 2014-2029.
L’opportunità di una aggiornata verifica dell’adeguatezza delle aree di laminazione non è da intendersi quale verifica tecnica e/o ambientale, volta a sopperire a valutazioni mancanti al momento della procedura VIA, ma quale verifica di comparazione con i caratteri pianificatori e programmatici rispetto ad altri interventi esistenti e/o pianificati nel medesimo contesto territoriale, così come diffusamente argomentato nella sezione istruttoria del Parere 2235/2016. L’ulteriore verifica di cui sopra, per risultare adeguatamente efficace ed opportunamente complementare rispetto a quanto già verificato in sede di VIA, dovrà prevedere il coinvolgimento degli Enti competenti sul territorio e dell’Autorità Idraulica per l’approvazione, che obbligatoriamente potrà avvenire in fase ante operam e a livello di progettazione esecutiva.
La prescrizione A29 non chiede di individuare una soluzione per l’attraversamento dell’autostrada A11 non già agli atti del procedimento VIA, ma più semplicemente richiede, in fase di progettazione esecutiva, di “sviluppare, la problematica tecnica evidenziata nel parere del Genio Civile” in modo tale da garantire la sicurezza idraulica richiesta. In data 26 luglio 2018 l’Osservatorio, ottemperando la prescrizione ha preso atto che la progettazione esecutiva ha risolto sia le criticità segnalate dal Genio Civile, prevedendo la nuova inalveazione del Fosso Reale nell’alveo originale del corso d’acqua ed in totale sicurezza idraulica, sia dimensionando le opere, riflettendo i calcoli Idrologici di cui alle LSPP/2012 e nel rispetto del D.M. del 16 gennaio 2018.
La prescrizioni A28 e A29 non rinviano una valutazione di compatibilità ambientale sulla realizzazione degli interventi nella Piana Fiorentina e nella nuova inalveazione del Fosso Reale con il sotto-attraversamento dell’A11, bensì richiedono opportuni maggiori dettagli ed approfondimenti da definire al meglio nello sviluppo esecutivo degli elaborati di progetto che solitamente è il passaggio tecnico che garantisce la dovuta precisione ed un miglior risultato.
La prescrizione A33 non boccia né rinvia le soluzioni segnalate nel Master Plan 2014- 2029, relative alle interferenze idrauliche con la nuova pista di volo e le infrastrutture stradali, ma obbliga a definire, durante la progettazione esecutiva, le opere da realizzare con una maggiore precisazione tecnica di dettaglio.
La prescrizione A34 rinvia al Progetto esecutivo la precisazione circa le “specifiche… riguardanti le opere idrauliche”, cioè degli aspetti di maggior dettaglio, di tecnica particolareggiata nel disegno degli interventi e delle opere d’arte in programma, nonché di tutte le modalità per le previste successive manutenzioni.
Nella fattispecie, pertanto, non si tratta di rinviare le valutazioni sui probabili impatti ambientali nella realizzazione della vasca di compensazione del PUE di Castello/area dei Marescialli o della cassa/vasca di auto-contenimento idraulico dimensionata in riferimento al previsto sviluppo insediativo del Polo Scientifico/Tecnologico di Sesto Fiorentino.
Invero già il Master Pian 2014-2029 nella Relazione Idraulica sosteneva la fattibilità tecnica delle soluzioni realizzative per superare i problemi della interferenza, decisioni che poi hanno trovato riscontro sia negli atti autorizzativi rilasciati dal Comune di Firenze per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e regimazione idraulica al PUE di Castello, sia nel parere positivo della Università di Firenze in merito alla coerenza delle opere idrauliche in progetto con l’area di laminazione e il sistema di svuotamento della vasca.
Con riferimento al fenomeno dello “bird strike”, si osserva che la gestione del relativo rischio è regolamentata, sia in termini di responsabilità che di attività tecnico – operativo a livello internazionale e nazionale.
A livello nazionale l’ENAC ha disciplinato la materia attraverso il Regolamento per la Costruzione e l’Esercizio degli Aeroporti (cap. 5 “Rischio da impatto con volatili”), Cap. 4, par.12 (“Pericoli per la navigazione aerea”), e dal relativo materiale interpretativo contenuto nella Circolare Enac APT-01B.
Sulla base delle regolamentazioni richiamate, le responsabilità sono in capo ai gestori aeroportuali cui compete il controllo del rischio di wildlife strike all’interno degli aeroporti e che sono obbligati a mantenere il costante controllo della situazione legata alla presenza di avifauna sulle piste.
Inoltre, il Codice della Navigazione (riformato con il d.lgs. n. 151 del 15 marzo 2006) all’art. 711 (Pericoli per la navigazione) prevede che “nelle zone di cui all’art. 707, sono soggette a limitazione le opere, le piantagioni e le attività che costituiscono un potenziale richiamo per la fauna selvatica o comunque un pericolo per la navigazione aerea”.
Il rischio di bird strike è “presidiato” con attività concrete, dirette ed attuali svolte dal gestore dell’aeroporto, sotto il controllo dell’ENAC quale autorità dell’aviazione civile.
Nel caso di specie il Master Plan segnalava come il fenomeno in esame non rappresentasse per l’attuale scalo un fattore di criticità, nonostante l’immediata vicinanza a diverse aree umide.
Tuttavia, le importanti trasformazioni territoriali, ambientali e infrastrutturali previste da Master Plan 2014-2029, alle quali restano associate la nuova direzione della pista di volo e quindi delle rotte hanno reso opportuna la richiesta di approfondire il fenomeno e, quindi predisporre uno studio specialistico, nella successiva fase di progettazione esecutiva.
La prescrizione A49 (Misure di compensazione-Progetto esecutivo), nel prendere atto delle compensazioni previste dal Master Plan 2014-2029 “Il Piano”, “Il Prataccio”, “S. Croce” e “Mollaia” si limita a richiedere di verificare tutte quelle ulteriori misure tecniche e gestionali atte ad assicurare l’effettiva mitigazione e/ o compensazione degli habitat di interesse comunitario interferenti con gli interventi previsti.
Infine, relativamente alla composizione dell’Osservatorio ambientale, il TAR ha trascurato di considerare che l’art. 28 del d.lgs. n. 152 del 2006 non reca specifiche prescrizioni e che, comunque, nella fattispecie, la partecipazione dei Comuni appellanti è stata garantita dal rappresentante della Città Metropolitana.
14. In questo giudizio si sono costituite la società To. Ae., la Regione Toscana, nonché l’Associazione VAS e consorti.
Questi ultimi hanno depositato anche appello incidentale, ana a quello in precedenza esaminato in relazione all’appello n. 7176 del 2019.
15. Nel costituirsi in giudizio la Regione Toscana ha richiamato le deduzioni svolte nel proprio appello incidentale depositato nel giudizio RG n. 7176/2019.
Ha altresì analiticamente controdedotto ai motivi dell’appello incidentale della parte appellata con evidenziandone l’improcedibilità, l’inammissibilità e/o comunque l’infondatezza nel merito.
16. Anche le amministrazioni appellanti si sono difese sui motivi assorbiti dal TAR e riproposti con l’appello incidentale (in particolare, per quanto attiene le prescrizioni di diritto intertemporale contenute nel d.lgs. n. 104 del 2017).
Per quanto riguarda i rapporti tra VAS e VIA, le appellanti hanno messo in luce che, se è vero che in base all’art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2016 la valutazione di impatto ambientale deve conformarsi alle conclusioni emerse in sede VAS (ove questa sia stata effettuata), tuttavia la VAS non costituisce un presupposto necessario ed indefettibile della VIA.
17. Con la propria memoria conclusionale la parte appellata ha eccepito l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse e/o acquiescenza.
In tal senso, ha valorizzato le seguenti circostanze:
– con nota prot. 19246 del 9 agosto 2019, il Capo di Gabinetto del Ministro, ha comunicato all’Avvocato Generale dello Stato l’insussistenza di un interesse all’impugnativa della sentenza oggi appellata;
– con il Comunicato Stampa n. 50/2019, ENAC ha reso noto di aver richiesto all’Avvocatura dello Stato di “ritirare l’appello, erroneamente presentato dall’Ente, avverso la sentenza del TAR Toscana con la quale è stato disposto l’annullamento della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) in merito al Master Plan dell’Aeroporto di Firenze”;
– secondo quanto riferito dagli organi di stampa, anche il MIBAC, il 27 maggio 2019, ha comunicato all’Avvocatura l’intenzione di non proporre impugnazione.
La parte appellata ha dedotto altresì, come già fatto nell’ambito del giudizio n. 7176 del 2019, l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalla Regione Toscana.
18. La Regione Toscana ha depositato una memoria conclusionale sottolineando come, secondo la disciplina comunitaria vigente (ma anche pregressa) la VIA deve essere vista come un percorso metodologico, disciplinato nei tempi e nei modi dalla normativa vigente, che parte dall’analisi delle alternative strategiche, per passare poi ad alternative tecniche, localizzative e di mitigazione in modo iterativo, il che comporta la evidente necessità di effettuare la VIA nella fase iniziale, ovvero sul progetto preliminare (CGUE causa C-201/02), così da “guidare” l’elaborazione degli ulteriori sviluppi progettuali a garanzia della maggior tutela ambientale.
19. In sede di replica, la parte appellata si è in particolare soffermata sul rapporto tra VIA e VAS, sottolineando che, coerentemente con la già richiamata finalità di tutela della VAS, l’art. 6, comma 12, del d.lgs. n. 152/2006, può essere efficacemente invocato solo nel caso in cui la variante modificativa del piano abbia carattere esclusivamente localizzativo (Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 263), mentre, nel caso di specie, la variante automatica al PIT non ha (né può avere) effetti meramente localizzativi, andando a modificare radicalmente la destinazione del territorio.
20. Anche questo appello, è passato in decisione alla pubblica udienza del 28 novembre 2019.
21. In via preliminare, ai sensi dell’art. 96 del c.p.a., deve procedersi alla riunione degli appelli in epigrafe, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
22. E’ possibile prescindere dalle eccezioni in rito articolate dalla parte appellata (nonché appellante incidentale) in quanto gli appelli della società To. Ae., della Regione Toscana, delle amministrazioni statali e dell’ENAC sono infondati.
23. Nell’ordine logico delle questioni va affrontato il primo mezzo dell’appello della società To. Ae., poiché esso attiene ad una questione pregiudiziale relativa all’ammissibilità e/o procedibilità del ricorso instaurato in primo grado.
23.1. Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016 (successivamente modificato dal decreto del 16 ottobre 2017), in applicazione dell’art. 13 – ter delle norme di attuazione del c.p.a. (inserito dall’art. 7 – bis, comma 1, lett. b) n. 2 del d.l. n. 168 del 2016, convertito in l. n. 197 del 2016), sono stati per la prima volta disciplinati i criteri di redazione e i limiti dimensionali dei ricorsi e degli altri atti difensivi nel processo amministrativo.
La giurisprudenza prevalente ritiene tuttavia che il citato art. 13 – ter, al comma 5 (“Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L’omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione.”) non introduca un requisito di ammissibilità dell’intero atto difensivo, bensì si limiti “degradare” la parte eccedentaria a contenuto che il giudice ha la mera facoltà di esaminare. (Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 2018, n. 2190).
La Sezione ha già avuto modo di osservare (sentenza n. 2651 del 24 aprile 2019) che in base al principio di chiarezza e sinteticità espositiva di cui all’art. 3, comma 2, del c.p.a., non è la prolissità in sé ad essere sanzionata bensì, semmai, la mancanza di chiarezza (in tal senso, cfr. anche Cass. civ., sez. I, sentenza n. 9570 del 13 aprile 2017). E’ infatti la suddetta disposizione a dettare un principio generale valevole anche per il processo civile, la cui inosservanza “espone il ricorrente al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’intera impugnazione o del singolo motivo di ricorso. Ciò non già per l’irragionevole estensione dell’atto o del motivo (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata (ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai n. 3 (esposizione sommaria dei fatti di causa) e 4 (motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano) dell’art. 366 c.p.c., assistite, queste si, da una sanzione testuale d’inammissibilità . Il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva espone il ricorrente per cassazione al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente a una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111, comma 2, cost. e in coerenza con l’articolo 6 della Cedu, nonché di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui” (Cass. civ., sentenza ultima cit.).
Per il processo amministrativo, previsioni analoghe sono contenute nell’art. 40 del c.p.a., il quale prescrive che il ricorso deve contenere “distintamente”, tra l’altro “i motivi specifici su cui si fonda” (comma 1, lett. d) e che “I motivi proposti in violazione del comma 1, lett. d) sono inammissibili”.
23.2. Nel caso di specie, a fronte dell’obiettivo superamento dei limiti dimensionali da parte del ricorso introduttivo, il TAR ha in primo luogo valutato la richiesta della parte ricorrente, formalizzata nella stessa udienza di discussione del 3 aprile 2019, di autorizzare il superamento di siffatti limiti in misura “almeno pari a quell’autorizzata all’avvocatura erariale […] per il principio di parità delle armi” e quindi fino a 72 pagine.
In verità, agli atti del processo di primo grado risulta che soltanto la società To. Ae. sia stata espressamente autorizzata dal Presidente del TAR a derogare ai limiti dimensionali prescritti dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167/2016, “nei limiti di cui all’art. 5, primo comma, del suddetto decreto” (d.p. n. 417 del 19.9.2018) pari a 100.000 caratteri (corrispondenti a circa 50 pagine).
Il TAR ha considerato che sebbene “l’istanza di autorizzazione” sia “necessariamente preventiva al deposito del ricorso o delle memorie che superano i limiti dimensionali di cui all’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167/2016” tuttavia l’art. 7 dello stesso provvedimento prevede che “in caso di superamento dei limiti dimensionali non autorizzato resta salva la facoltà della parte di indicare gli argomenti o i motivi cui intende rinunciare”.
Nell’istanza depositata all’udienza di discussione, la parte ricorrente ha infatti correlato la richiesta di autorizzazione alla deroga alla contestuale rinuncia “ai primi due motivi, al paragrafo III.3 del terzo motivo e, ancora, al sesto motivo (sui poteri dell’Osservatorio), al settimo, al nono (sull’impatto acustico), al decimo (sul carattere asseritamente bidirezionale della pista), all’undicesimo, al tredicesimo e al quattordicesimo motivo, evidenziando che l’eliminazione di dette parti consentirebbe di parificare il ricorso alla memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato e agli altri atti depositati dalle parti resistenti”.
Il primo giudice ha soggiunto che “la facoltà prevista dall’art. 7 sopra citato di rinunciare ad alcune censure, consente di fatto e seppur ex post, che tutte le parti di un giudizio possano avvalersi nella stessa misura degli strumenti processuali a loro disposizione, rispettando il principio della parità di mezzi contenuto anch’esso nel DPCS sopra citato, laddove e all’art. 6 comma 3, sancisce che a seguito del decreto favorevole e che autorizza il superamento “i successivi atti difensivi di tutte le parti seguono, nel relativo grado di giudizio, il medesimo regime dimensionale”.
23.3. A fronte del descritto “modus procedendi”, reputa il Collegio che – in disparte quanto testé rilevato circa l’assenza, nell’art. 13 – ter, comma 5, dell’Allegato II al c.p.a., di una previsione di inammissibilità in tutte le ipotesi di superamento dei limiti dimensionali – attraverso la presa d’atto della rinuncia ai motivi e alle parti del ricorso indicate nell’istanza depositata il 3 aprile 2019, il TAR abbia sostanzialmente autorizzato la parte ricorrente al superamento dei limiti dimensionali nella richiesta misura di 72 pagine.
Rimane tuttavia da valutare se vi sia stata una lesione delle prerogative difensive della società odierna appellante, la quale era stata autorizzata a derogare ai limiti dimensionali nella misura, più contenuta, prevista dall’art. 5, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio di Sato n. 167 del 2016.
Al riguardo, è tuttavia agevole rilevare che siffatta doglianza è rimasta su un piano esclusivamente formale poiché la società non ha dato alcuna prova del fatto che tale limitazione le abbia impedito di controdedurre adeguatamente proprio e soltanto alle censure accolte dal TAR o comunque non ha nemmeno accennato a quale ulteriore argomento avrebbe potuto introdurre per ribaltare il convincimento del primo giudice.
Al contrario, dall’esame delle difese spiegate in primo grado, si evince che esse corrispondono ampiamente alle argomentazioni spese in sede di appello.
Né siffatta corrispondenza può dipendere dal c.d. divieto dei “nova” in appello, ex art. 104, comma 1, c.p.a., poiché esso, come noto, si applica solo all’originario ricorrente; infatti, solo a quest’ultimo, una volta delimitato il thema decidendum con i motivi di impugnazione articolati in primo grado, è precluso un ampliamento dello stesso nel giudizio d’appello; viceversa, rispetto alle parti resistenti il medesimo divieto va inteso come riferito alle sole eccezioni in senso tecnico, non rilevabili d’ufficio, ma non anche alle mere difese rispetto agli altrui motivi di impugnazione (cfr. Cons. Stato, sez. II, 31 ottobre 2019, n. 7467).
In definitiva, può tranquillamente escludersi che l’asimmetria determinatasi, per effetto delle diverse autorizzazioni concesse, tra l’ampiezza degli scritti difensivi delle parti, renda necessario rimettere la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.a. per violazione del diritto di difesa.
23.4. Sempre in via preliminare, va precisato che, come ricavabile ictu oculi dalla sintesi del ricorso instaurato in primo grado, in precedenza riportata, tutti i motivi accolti dal TAR erano stati adeguatamente sviluppati dalla parte originaria ricorrente e odierna appellata.
Va poi considerato che le prescrizioni richiamate dal TAR non erano state censurate in sé, bensì in quanto sintomatiche dell’inadeguatezza della VIA.
Anche gli ulteriori rilievi di inammissibilità svolti dalla società To. Ae. vanno pertanto disattesi.
24. Nel merito, le censure proposte dalle parti appellanti sono largamente coincidenti, per cui è possibile un esame congiunto delle medesime.
25. In primo luogo, rileva il Collegio che sempre più spesso l’efficacia del provvedimento di VIA è sottoposta ad una serie di “prescrizioni”, talora correlate anche agli esiti della consultazione del pubblico.
Ad esempio, con riferimento alle numerose condizioni apposte al provvedimento positivo di VIA per la realizzazione della centrale termoelettrica da 1980 MW di Porto Tolle, la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che la VIA si presenta come una “autorizzazione a struttura aperta”, con prescrizioni correlate alla complessità della vicenda di interesse (TAR Lazio, Sez. II, sentenza n. 32176 dell’8 settembre 2010).
Più recentemente, anche questo Consiglio, nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio della valutazione di impatto ambientale sul progetto di realizzazione del gasdotto denominato “Trans Adriatic Pipeline – DN 900 (36) – TAP”, ha considerato legittimo il giudizio positivo di compatibilità ambientale subordinato all’ottemperanza di prescrizioni o condizioni, poiché “una valutazione condizionata di impatto costituisce un giudizio, allo stato degli atti, integrato dall’indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio ai principi di economicità dell’azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento” (sez. IV, sentenza n. 1392 del 27 marzo 2017).
L’attività di monitoraggio e controllo ambientale, successiva al rilascio del provvedimento di VIA, ha formato oggetto, tra le altre, delle modifiche apportate alla direttiva 2011/92/UE dalla direttiva 2014/52/UE del 16 aprile 2014.
In tal senso, il considerando n. 35 ha posto l’attenzione sulla necessità per gli Stati membri di procedere alla “definizione di procedure adeguate in materia di monitoraggio degli effetti negativi significativi sull’ambiente derivanti dalla costruzione e funzionamento di un progetto anche al fine di identificare effetti negativi significativi imprevisti, così da poter adottare opportune misure correttive. Tale monitoraggio non dovrebbe né duplicare né appesantire il monitoraggio richiesto ai sensi della normativa dell’Unione diversa dalla presente direttiva e della normativa nazionale”. La nuova direttiva, in particolare, valorizza il ruolo delle misure di monitoraggio, che dovranno essere descritte sia in sede di studio di impatto ambientale che in sede di provvedimento di VIA.
In attuazione della direttiva 2014/52/UE il d.lgs. n. 104 del 2017 ha introdotto nell’ordinamento nazionale il concetto di “condizione ambientale” apposta al provvedimento di VIA non più limitata ai soli “requisiti per la realizzazione del progetto” ovvero alle “misure per prevenire, ridurre e compensare gli impatti ambientali negativi”, ma estesa alla descrizione puntuale delle misure di monitoraggio ambientale (art. 5, lett. o-quater), del d.lgs. n. 152/2006, come introdotto dal d.lgs. n. 104/2017).
Correlativamente la nuova formulazione dell’art. 25, comma 4, del d.lgs. n. 152/2006, prevede che il provvedimento di VIA contenga eventuali e motivate “condizioni ambientali” che definiscono, tra l’altro, le misure per il monitoraggio degli impatti ambientali significativi e negativi.
All’autorità pubblica competono poi le “verifiche di ottemperanza” delle condizioni ambientali, allo scopo di identificare tempestivamente gli impatti ambientali significativi e negativi imprevisti e di adottare le opportune misure correttive (art. 28, comma 2).
Le prescrizioni, come osservato in dottrina, sono dunque regole finalizzate a mitigare l’impatto di un progetto sull’interesse ambientale assunto come oggetto di prioritaria attenzione da parte del decisore pubblico, sulla base della misurazione del tipo di impatto qualitativo e quantitativo derivante dall’attività assentita.
25.1. Per quanto concerne il livello di sviluppo del progetto idoneo a consentire la valutazione ambientale, la disciplina europea, sin dalla direttiva 85/337/CE, prevede che essa debba essere svolta ad uno stadio della progettazione tale da rendere possibile da subito la previsione di scenari alternativi, e comunque da consentirne l’incorporazione nelle scelte progettuali, eventualmente anche per effetto delle osservazioni e degli apporti derivanti dal procedimento di consultazione pubblica.
E’ per tale ragione che il d.lgs. n. 152 del 2006, nella versione adottata per dare attuazione alla direttiva 85/337/CE in tema di VIA, aveva inizialmente previsto, all’art. 5, lett. e) che la valutazione d’impatto ambiente dovesse essere svolta sul progetto preliminare.
Tuttavia, la preoccupazione che in tale fase progettuale il SIA non fosse articolabile compiutamente ha portato, nella successiva revisione del Codice dell’Ambiente di cui alla novella apportata dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 4/2008, all’assoggettamento a VIA del progetto definitivo.
Come noto, peraltro, la VIA restava anticipata al preliminare per le infrastrutture strategiche e gli insediamenti produttivi di cui all’art. 162 del previgente Codice dei contratti (d.lgs. n. 163/2006) e per le grandi opere, di cui agli artt. 181 e ss. dello stesso Codice.
Al riguardo, la giurisprudenza amministrativa ha respinto i dubbi di compatibilità comunitaria della scelta di tale livello progettuale, basati sul fatto che il progetto preliminare non garantirebbe una sufficiente conoscenza delle caratteristiche dell’opera e, di conseguenza, degli impatti provocati sull’ambiente. Si è rilevato infatti che “Gli art. 3 e 18 d.lg. n. 190 del 2002, nella parte in cui raccordano la V.I.A. al progetto preliminare delle opere da essi regolate, e non al progetto definitivo (come la normativa nazionale prevede per la generalità dei lavori), non contrastano con la direttiva comunitaria n. 85/337 del 27 giugno 1985, in quanto questa non opera distinzioni formali tra i livelli di progettazione ma pone una questione sostanziale di necessità di esame e valutazione dei fattori da essa presi in considerazione (siccome suscettibili di ripercuotersi sull’ambiente) prima che vengano iniziati i lavori, ed in definitiva rimette a ciascuno Stato membro la scelta della fase procedurale cui avere riguardo, con l’unico limite che ai fini della V.I.A. siano effettivamente disponibili gli elementi conoscitivi prescritti” ((TAR Lazio, sez. I, 31 maggio 2004, n. 5118; cfr. anche, da ultimo, Cons. Stato, IV, 11 dicembre 2016, n. 389).
Tuttavia, la stessa giurisprudenza ha anche evidenziato che in presenza di rilevanti modifiche intervenute tra lo stadio della progettazione preliminare e quello della progettazione definitiva, da cui derivino nuovi e/o ulteriori impatti significativi sull’ambiente prima non previsti, si debba procedere ad una nuova procedura di VIA (cfr., ad esempio Cons. St., Sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6667 nonché IV Sez., 11 ottobre 2016, n. 4179).
Se infatti è fisiologico che tra progetto preliminare e progetto definitivo vi siano delle differenze, specie nella parte in cui la progettazione definitiva recepisca gli apporti procedimentali e partecipativi emersi nel corso del procedimento, dall’altro, tuttavia, qualora in sede di approvazione del progetto definitivo vi sia stata una sensibile variazione rispetto al preliminare ed una significativa modificazione dell’impatto globale del progetto sull’ambiente, la VIA deve essere rinnovata e ripetuta.
Ciò, del resto, è conforme alle direttive europee, per cui la valutazione ambientale deve sempre coincidere con l’atto che autorizza alla realizzazione dell’intervento (cfr. Cons. St., Sez. IV, 7 luglio 2011, n. 4072 ).
Nella stessa ottica, è stato evidenziato che quando l’intervento si fondi su di un progetto, anche di livello definitivo, non adeguato alle reali necessità e oggetto di osservazioni e prescrizioni tali da comporre un quadro complessivo di elementi concordemente negativi su tutti gli aspetti fondamentali dell’impatto ambientale, il giudizio di VIA risulta viziato sotto il profilo funzionale (Consiglio di Stato sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 361).
25.2. Anche la direttiva 2014/52/UE, non ha preso esplicita posizione in ordine al livello della progettazione da sottoporre a VIA, lasciando quindi ai legislatori nazionali, nella loro discrezionalità, di provvedere in merito.
E’ stato tuttavia osservato che la nuova disciplina si premura al contempo di dettagliare, più che in passato, le informazioni che devono essere racchiuse nello studio di impatto ambientale, e di prescrivere (cfr., in particolare, i considerando 7, 14, 15 e 30; l’art. 1, par. 3 che modifica l’art. 3 della direttiva, nonché il nuovo Allegato IV) che la VIA debba dar conto anche degli effetti significativi sui fattori ambientali che derivino dalla vulnerabilità del progetto a rischi di gravi incidenti e/o calamità ; ed inoltre imponendo che il SIA, e quindi la VIA, debbano anche paragonare lo stato dell’ambiente precedente al progetto, quello previsto a seguito dell’attuazione del progetto e quello previsto nel caso di sua mancata realizzazione.
25.3. Il tema del livello progettuale da sottoporre a VIA è strettamente correlato a quello del divieto di artificioso frazionamento, o scomposizione artificiosa del progetto per evitarne la sottoposizione a VIA.
Secondo la giurisprudenza europea, qualora il diritto nazionale preveda che il procedimento di autorizzazione si articoli in più fasi, la valutazione dell’impatto ambientale di un progetto dev’essere effettuata, in linea di principio, non appena sia possibile individuare e valutare tutti gli effetti che il progetto può avere sull’ambiente (Corte di Giustizia UE, sentenza 7 gennaio 2004, causa C- 201/02, Wells, punto 53, nonché 28 febbraio 2008, causa C- 2/07, Abraham punto 26).
In particolare, qualora la normativa di uno Stato membro preveda che la procedura si svolga in più fasi, consistenti l’una in una decisione principale e l’altra in una decisione di attuazione (che deve rispettare i parametri stabiliti alla prima), gli effetti devono essere individuati e valutati nel segmento relativo alla decisione principale e solo quando i detti effetti siano individuabili unicamente nel segmento relativo alla decisione di attuazione, la valutazione deve essere effettuata in tale ultima fase (Corte di giustizia UE, 7 gennaio 2004, causa C-201/02, e 28 febbraio 2008, causa C-2/07, cit.).
Parimenti, la Corte ha statuito che una disposizione nazionale che prevede che una valutazione dell’impatto ambientale possa essere effettuata esclusivamente nel corso della fase inziale del procedimento di autorizzazione, e non nel corso di una fase successiva, non è compatibile con la direttiva 85/337 (v., in tal senso, sentenza 4 maggio 2006, causa C- 508/03, Commissione/Regno Unito, punti 105 e 106).
L’obiettivo della normativa dell’Unione non può infatti essere eluso tramite il frazionamento di un progetto e la mancata presa in considerazione dell’effetto cumulativo di più progetti non deve avere il risultato pratico di sottrarli nel loro insieme all’obbligo di valutazione laddove, presi insieme, essi possono avere un notevole impatto ambientale ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 85/337 (sentenza Abraham e a., cit., punto 27 nonché 17 marzo 2011 in causa C- 275/09, punti 27-33).
Alle stesse conclusioni è pervenuta anche la giurisprudenza nazionale, per cui la decisione dell’amministrazione di frazionare il progetto complessivo di tali impianti in singole opere che, isolatamente considerate, non sarebbero sottoposte a valutazione di impatto ambientale, appare lesiva dell’interesse tutelato quando in tal modo la decisione se sottoporre a valutazione di impatto ambientale determinati progetti sia trasferita dal legislatore, che ha introdotto in via generale soglie e criteri prefissati, ai soggetti redattori dei progetti o all’amministrazione, che di volta in volta, mediante l’eventuale surrettizia suddivisione di parti del progetto, potrebbero operare una sostanziale elusione delle finalità perseguite dalla legge (Cons. St., Sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5760; id., Sez. VI, 30 agosto 2002, n. 4368; cfr. anche Corte Costituzionale n. 209 del 13 luglio 2011).
25.4. Nel caso di specie, per quanto riguarda l’adeguatezza progettuale, ai fini VIA, del “Master Plan 2014 – 20129”, il primo giudice ha svolto un ragionamento di tipo induttivo, basato sull’esame delle prescrizioni apposte al provvedimento di VIA.
Al riguardo, la pronuncia impugnata si è soprattutto incentrata sul motivo IV. 6 del ricorso di primo grado (“L’inserimento di prescrizioni ambientali che rinviano la valutazione degli aspetti ambientali a fasi successive all’espletamento della procedura di VIA ed aventi l’obiettivo di colmare le lacune originarie del progetto. Violazione dell’art. 191 TFUE. Violazione del Principio di prevenzione. Violazione dell’art. 3 ter del D.Lgs. 152/2006. Eccesso di potere per illogicità e sviamento”), senza esplicitamente pronunciarsi né sull’applicabilità alla fattispecie della versione previgente dell’art. 5 del d.lgs. n. 152/2006 (che sottoponeva a VIA il progetto definitivo) né sul carattere di “piano” piuttosto che di “progetto” dei Piani di Sviluppo degli Aeroporti (così come dedotto dai ricorrenti in primo grado).
Al riguardo, il Collegio condivide le argomentazioni delle parti appellanti in ordine al fatto il Piano di sviluppo di un aeroporto – in quanto strumento complesso che individua le principali caratteristiche di adeguamento e potenziamento di ciascuno scalo, tenendo conto delle prospettive di sviluppo dell’aeroporto, delle infrastrutture, delle condizioni di accessibilità e dei vincoli sul territorio in un ampio orizzonte temporale – non consenta di redigere immediatamente la progettazione definitiva di tutti i singoli sottosistemi infrastrutturali e che, comunque, tale livello di progettazione non è più richiesto, dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n. 104 del 2017, per la generalità delle opere e degli interventi sottoposti a VIA.
Tuttavia le stessi parti appellanti hanno sottolineato che rimane pur sempre necessario che la caratterizzazione degli elaborati progettuali consenta “una lettura integrata dell’insieme dei sottosistemi collegati ed integrati tra loro in riferimento all’assetto dell’aeroporto, sia nello stato di fatto che in quello futuro riferito all’orizzonte temporale assunto nel progetto di piano di sviluppo aeroportuale” (così, ad esempio, l’appello n. 7448 del 2019).
La questione centrale è quindi se, nel caso di specie, il Proponente abbia, in concreto, effettivamente approfondito tutti gli aspetti progettuali necessari al fine della definizione di un completo ed esaustivo quadro di valutazione degli impatti ambientali, potenzialmente correlabili agli interventi programmati, e comunque se le soluzioni sottoposte alla Commissione fossero da considerare – in base a criteri di ragionevolezza – come effettivamente adeguate e sostenibili dal punto di vista ambientale.
Di tanto, in sede procedimentale, si era peraltro dimostrato consapevole lo stesso ENAC, laddove, nella “Relazione Generale: chiarimenti di Integrazioni e Controdeduzioni”, aveva fatto rilevare che, sebbene la normativa di settore (art. 1, comma 6, del d.l. 251 del 1995, conv. in l. n. 351 del 3 agosto 1995), non richieda né indichi espressamente che il Master Plan aeroportuale “debba necessariamente essere equiparato ad un progetto definitivo ai sensi della normativa vigente in materia di lavori pubblici (D.Lgs 162/2006 e smi e DPR 207/2010)”, nel contempo aveva rimarcato che lo stesso debba comunque “essere corredato da tutti gli elementi progettuali ed ambientali necessari ad una completa valutazione degli impatti”.
26. Ciò posto, reputa il Collegio che – come denunciato dagli originari ricorrenti – la lettura congiunta delle valutazioni svolte dalla Commissione VIA unitamente al contenuto delle correlate “prescrizioni” denoti la manifesta irragionevolezza del giudizio positivo da questa espresso, e quindi dell’impugnato decreto che lo recepisce.
In tal senso, appare anzitutto corretto il rilievo del primo giudice, secondo cui le “condizioni ambientali”, disciplinate dall’art. 25, comma 4, del d.lgs. 152 del 2006 “si pongono a valle di un progetto comunque definito e compiuto, quanto meno in tutti quegli elementi indispensabili per effettuare un giudizio sull’impatto delle opere rispetto all’ambiente circostante”, con la conseguenza che “le opere e gli interventi da realizzare non possono che avere un carattere “accessorio” rispetto al giudizio di compatibilità, attenendo alla fase di esecuzione del progetto” e che, conseguentemente, nel caso di specie essi non potevano “riguardare aspetti che dovevano essere valutati e risolti in sede di VIA”.
In sostanza, le prescrizioni devono attenere o a “condizioni” per la realizzazione e l’esercizio del progetto (unitamente ad eventuali misure di mitigazione e compensazione), ovvero alle misure per il monitoraggio, il cui scopo è di “identificare tempestivamente gli impatti ambientali significativi e negativi imprevisti”, allo scopo di “adottare le opportune misure correttive” (cfr. i già richiamati art. 25, comma 4 art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006).
In entrambi i casi, deve trattarsi, come rilevato dal TAR, di “azioni” già definite, e quindi tali da non richiedere ulteriori valutazioni ambientali, e non già dell’individuazione e/o dello sviluppo di ulteriori soluzioni progettuali.
Al riguardo è bene ricordare, che, secondo l’attuale disciplina dei livelli di progettazione – cui rinvia l’art. 5 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. n. 104 del 2017 – è il progetto di fattibilità che deve individuare “tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire” (art. 23, comma 5, del d.lgs. n. 50 del 2016); e ciò “sulla base dell’avvenuto svolgimento di indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche, di verifiche relative alla possibilità del riuso del patrimonio immobiliare esistente e della rigenerazione delle aree dismesse, di verifiche preventive dell’interesse archeologico, di studi di fattibilità ambientale e paesaggistica […]”, oltre ad indicare “le caratteristiche prestazionali, le specifiche funzionali, la descrizione delle misure di compensazioni e di mitigazione dell’impatto ambientale, nonché i limiti di spesa, calcolati secondo le modalità indicate dal decreto di cui al comma 3, dell’infrastruttura da realizzare ad un livello tale da consentire, già in sede di approvazione del progetto medesimo, salvo circostanze imprevedibili, l’individuazione della localizzazione o del tracciato dell’infrastruttura nonché delle opere compensative o di mitigazione dell’impatto ambientale e sociale necessarie” (comma 6)
Le successive fasi progettuali sono invece deputate a “individuare compiutamente i lavori da realizzare, nel rispetto delle esigenze, dei criteri, dei vincoli, degli indirizzi e delle indicazioni stabiliti dalla stazione appaltante e, ove presente, dal progetto di fattibilità […] (comma 7, relativo al progetto definitivo), ovvero a specificare i dettagli e le modalità delle lavorazioni “ad un livello di definizione tale che ogni elemento sia identificato in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo […]” (comma 8, relativo al progetto esecutivo).
Appare quindi condivisibile la considerazione del TAR secondo cui le scelte progettuali, relative ad aspetti qualificanti del progetto, devono essere verificate in sede di VIA, e non già in sede di verifica di ottemperanza alle prescrizioni.
Nel caso di specie, come meglio si dettaglierà al par. n. 27 della presente decisione, le prescrizioni su cui si è focalizzato il TAR riguardano aspetti qualificanti del “Master Plan 2014 – 2029”, ritenuti tali dalla stessa Commissione, ed esulano dal concetto di “condizione ambientale” quale si è in precedenza delineato.
26.1. A tale, contraddittorio ed illogico esito della VIA ha poi contribuito anche l’assenza a monte di un valido procedimento di VAS.
Si tratta di un profilo che, assorbito dal TAR e riproposto in appello dai ricorrenti originari, merita di essere approfondito nella misura in cui consente di inquadrare meglio il vizio funzionale del giudizio di compatibilità ambientale in esame.
26.2. Per quanto concerne i rapporti tra VIA e VAS, la Sezione ha già avuto modo di evidenziare (sentenza n. 2651 del 24 aprile 2019) che ai sensi del considerando 4 della direttiva VAS (2001/42/CE), “La valutazione ambientale costituisce un importante strumento per l’integrazione delle considerazioni di carattere ambientale nell’elaborazione e nell’adozione di taluni piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente negli Stati membri, in quanto garantisce che gli effetti dell’attuazione dei piani e dei programmi in questione siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro adozione”.
L’articolo 1 della medesima direttiva, prevede poi che “La presente direttiva ha l’obiettivo di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione e dell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, assicurando che, ai sensi della presente direttiva, venga effettuata la valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti significativi sull’ambiente”.
L’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, recepisce l’art. 3 della direttiva VAS, stabilendo, per quanto qui interessa, che “1. La valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale.
2. Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi:
a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV del presente decreto;
b) per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d’incidenza ai sensi dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni.
3. Per i piani e i programmi di cui al comma 2 che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al comma 2, la valutazione ambientale è necessaria qualora l’autorità competente valuti che producano impatti significativi sull’ambiente, secondo le disposizioni di cui all’articolo 12 e tenuto conto del diverso livello di sensibilità ambientale dell’area oggetto di intervento.
3-bis. L’autorità competente valuta, secondo le disposizioni di cui all’articolo 12, se i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti, producano impatti significativi sull’ambiente […]”.
Secondo il comma 12 della medesima disposizione “Per le modifiche dei piani e dei programmi elaborati per la pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli conseguenti a provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l’effetto di variante ai suddetti piani e programmi, ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere”
Secondo la Corte di Giustizia, in considerazione della finalità della direttiva VAS, consistente nel garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente, le disposizioni che delimitano il suo ambito di applicazione e, in particolar modo, quelle che enunciano le definizioni degli atti ivi previsti devono essere interpretate in senso ampio (Corte giustizia UE, sez. II, 7 giugno 2018, causa C – 671/15, par. 34, che richiama anche la sentenza 27 ottobre 2016, D’Oultremont e a., C290/15, EU: C:2016:816, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
L’obiettivo principale perseguito consiste nel sottoporre a valutazione ambientale i “piani e programmi” che possono avere effetti significativi sull’ambiente durante la loro elaborazione e prima della loro adozione (in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2012, Inter-Environnement Wallonie e Terre wallonne, C41/11, EU:C:2012:103, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
Inoltre, “se l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva VAS prevede la possibilità di utilizzare le informazioni pertinenti ottenute nell’ambito di altri livelli decisionali o attraverso altre disposizioni della normativa dell’Unione, l’articolo 11, paragrafo 1, di tale direttiva precisa che la valutazione ambientale effettuata ai sensi della stessa lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva VIA”. Pertanto, “una valutazione dell’impatto ambientale effettuata a norma della direttiva VIA non può dispensare dall’obbligo di effettuare la valutazione ambientale prescritta dalla direttiva VAS allo scopo di rispondere ad aspetti ambientali ad essa specifici” (così ancora Corte Giustizia UE, 7 giugno 2018, parr. 64 e 65).
In questo senso, anche il giudice amministrativo italiano ha messo in evidenza che “La differenza sostanziale fra VAS e VIA risiede nel fatto che la prima prende in esame l’incidenza che i piani e i programmi urbanistici, paesaggistici, etc., possono avere su un'”area vasta”. Questo perché un p.r.g. o un piano delle attività estrattive o uno qualsiasi degli altri piani e programmi indicati dall’art. 6, comma 2 del D.Lgs. n. 152 del 2006 implicano un potenziale stravolgimento dell’intero territorio al quale il piano o programma si riferisce. […]. La VAS analizza quindi tutte le possibili interrelazioni che simili decisioni possono arrecare alla salute umana, al paesaggio, all’ambiente in genere, al traffico, all’economia, etc. di tutto il territorio coinvolto dal piano. L’analisi tuttavia, è condotta ad un livello più astratto, perché non è sicuro se il piano sarà effettivamente attuato nella sua integralità, se tale attuazione avverrà in un arco temporale circoscritto e/o se sarà del tutto conforme a quanto ipotizzato, e così via. La VIA, al contrario, analizza l’impatto ambientale del singolo progetto, il che vuol dire che essa prende in esame impatti inevitabilmente più circoscritti – perché il progetto riguarda una porzione del territorio in ogni caso più ridotta rispetto a quella investita dal piano – ma maggiormente valutabili – perché il progetto, rispetto al piano, si basa su dati concreti, necessariamente definiti e più attuali rispetto a quelli avuti presenti in sede di redazione del piano e quindi di effettuazione della VAS […]” (TAR per le Marche, sez. I, sentenza n. 291 del 6 marzo 2014).
Per quanto riguarda il significato dell’espressione “quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto”, secondo l’interpretazione invalsa in sede europea, non è richiesto che “determinati progetti costituiscano esplicitamente o implicitamente oggetto del piano o del programma”, essendo all’uopo sufficiente che vengano assunte “decisioni che possono influire sulla successiva autorizzazione di progetti, specialmente con riguardo all’ubicazione, alla natura, alle dimensioni e alle condizioni operative o attraverso la ripartizione delle risorse” (così ad esempio il punto 67 delle Conclusioni dell’avvocato generale Kokott del 4 marzo 2010, nelle cause riunite C- 105/09 e C- 110/09).
In tal senso è peraltro esplicito l’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, per il quale è sufficiente che il piano contenga una disciplina idonea a regolare anche solo la futura “area di localizzazione” di uno di tali interventi. E’ questo ad esempio il caso del piano regolatore generale che, secondo la legge urbanistica fondamentale nazionale, “deve considerare la totalità del territorio comunale” (art. 7, comma 1, l. n. 1150 del 1942).
Un’altra conferma di tale interpretazione, si ricava poi dal comma 12, del citato art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006 secondo cui “Per le modifiche dei piani e dei programmi elaborati per la pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli conseguenti a provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l’effetto di variante ai suddetti piani e programmi, ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere”.
La Sezione ha sottolineato, al riguardo, che se la localizzazione di un’opera soggetta a VIA comporta una modifica puntuale del “quadro di riferimento” della pianificazione territoriale, l’esenzione dalla VAS si spiega, o, quantomeno, presuppone logicamente che quest’ultima sia stata già effettuata in sede di pianificazione generale (sentenza n. 2651/2019, cit.).
Allo stesso modo, l’art. 16, ultimo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 (aggiunto dall’art. 5, comma 8, D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106) prevede espressamente che “Lo strumento attuativo di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica non è sottoposto a valutazione ambientale strategica né a verifica di assoggettabilità qualora non comporti variante e lo strumento sovraordinato in sede di valutazione ambientale strategica definisca l’assetto localizzativo delle nuove previsioni e delle dotazioni territoriali, gli indici di edificabilità, gli usi ammessi e i contenuti piani volumetrici, tipologici ecostruttivi degli interventi, dettando i limiti e le condizioni di sostenibilità ambientale delle trasformazioni previste. Nei casi in cui lo strumento attuativo di piani urbanistici comporti variante allo strumento sovraordinato, la valutazione ambientale strategica e la verifica di assoggettabilità sono comunque limitate agli aspetti che non sono stati oggetto di valutazione sui piani sovraordinati”.
Il Codice dell’ambiente, in conformità alla normativa europea, stabilisce poi espressamente che “Nella redazione dello studio di impatto ambientale di cui all’articolo 22, relativo a progetti previsti da piani o programmi già sottoposti a valutazione ambientale, possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale. Nel corso della redazione dei progetti e nella fase della loro valutazione, sono tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS” (art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006; in sede europea vedi l’art. 11 della direttiva 2001/42/CE e l’art. 2, comma 3, dir. 2011/92/UE.)
26.3. Nel caso di specie, la Commissione VIA, nel valutare gli effetti della sentenza n. 1310/2016 del TAR per la Toscana, si è limitata ad osservare che la stessa “riguarda solo la legittimità della procedura di VAS limitatamente agli atti che da essa risultano annullati e dunque in nessuna parte appare di impedimento al prosieguo della procedura di VIA nazionale oggetto dei presente parere” (pag. 26 parere 2235 del 2016) ed ancora che “i vizi della procedura di VAS regionale sull’integrazione al PIT che prevede la soluzione progettuale della pista parallela convergente 12-30 di 2.000 metri dell’aeroporto di Firenze non producono effetti sulla procedura di VIA statale sul Masterplan dell’aeroporto di Firenze in quanto si tratta di due procedure:
– di diversa natura (VAS e VIA), di diverso livello (rispettivamente regionale e statale),
– condotte da Autorità competenti diverse (la Regione ed il Ministro dell’Ambiente),
– condotte sulla base di documentazione diversa (nella VAS la proposta di Piano, il Rapporto ambientale e la Sintesi non tecnica, nella VIA il Progetto e lo Studio di impatto ambientale),
– con oggetto non coincidente, nonostante l’evidente parziale sovrapposizione, trattandosi nel primo caso non della VAS del Masterplan aeroportuale (che dovendo essere approvato da ENAC sarebbe stato soggetto a VAS nazionale), bensì di un “Piano” di indirizzo territoriale regionale avente ad oggetto la definizione del Parco agricolo della Piana e la qualificazione dell’aeroporto di Firenze nella parte in cui prevede la soluzione progettuale della pista parallela convergente 12-30 di 2.000 metri, nel secondo di un “Progetto” puntuale di rilevanza nazionale avente ad oggetto il Masterplan aeroportuale 2014-2029 dell’aeroporto di Firenze, che prevede tra l’altro la realizzazione di una pista parallela convergente 12-30 di 2.400 metri;
– autonome in quanto il Masterplan non è conforme alla variante al PIT annullata e comunque, qualora fosse approvato, avrebbe valore di variante ai previgenti piani territoriali”.
Pur essendo tale ragionamento valido sul piano formale – poiché il giudizio di compatibilità ambientale non ha ad oggetto la conformità dell’opera agli strumenti di pianificazione, ma la sostenibilità ambientale – e pur potendo convenirsi che, in base all’attuale quadro normativo, interno ed europeo, l’effettuazione di un procedimento di VAS sulla programmazione territoriale (PIT regionale) o settoriale (Piano nazionale degli aeroporti) non è un presupposto di legittimità della VIA (trattandosi di subprocedimenti autonomi e non collegati da vincolo giuridico di presupposizione), è tuttavia innegabile che l’esistenza di un coerente quadro programmatico costituisca un fattore positivo ai fini della valutazione ambientale e che, viceversa, l’assenza di una valutazione strategica debba essere ragionevolmente considerata, quantomeno, quale elemento “critico”.
In tal senso, la Sezione (sentenza n. 2569 del 20 maggio 2014) ha messo in luce che quando il progetto sia conforme alla localizzazione prevista dal Piano già oggetto di VAS, è espressamente previsto che “nella redazione dello studio di impatto ambientale […] possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale” così come, nella fase di valutazione dei progetti “debbono essere tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS” (art. 10, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006).
Ciò significa “che il progetto non dovrebbe, in linea di massima, essere inibito in ragione della sua già vagliata localizzazione”.
Nel più delicato caso in cui, invece, il progetto comporti variante localizzativa al Piano, la disposizione secondo cui “ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere” (art. 6 comma 12, del d.lgs. n. 152 del 2006,) deve interpretarsi nel senso che “quando la modifica al Piano, derivante dal progetto, sia di carattere esclusivamente localizzativo, la VIA è sufficiente a garantire il principio di sviluppo sostenibile, non essendo necessaria una preliminare fase strategica che evidenzi altre opzioni localizzative. Logico corollario è che qualora la localizzazione proposta dovesse essere, secondo la VIA, pregiudizievole per l’ambiente nonostante ogni cautela, il progetto andrà incontro ad una mera inibizione” (sentenza n. 2569/2014, cit.).
La Sezione ha anche chiarito che tale soluzione normativa “avendo principalmente ad oggetto il progetto (e non il Piano da variare), è caratterizzata da un approccio “non” preventivo, ossia non finalizzato alla ricerca di opzioni localizzative alternative (com’è tipico dell’approccio concomitante e collaborativo della VAS), ma focalizzato esclusivamente alla valutazione dell’impatto ai fini di un’alternativa si/no”.
Sviluppando il ragionamento testé evidenziato con ulteriore pronuncia (Sez. V, sentenza 22 gennaio 2015, n. 263), questo Consiglio ha poi evidenziato che l’esenzione dalla VAS prevista dall’art. 6, comma 12, del d.lgs. n. 152/2006, ha ragion d’essere solo “laddove il singolo progetto importi varianti relative alla sola ubicazione dell’impianto potenzialmente pregiudizievole per l’ambiente nell’ambito territoriale considerato dallo strumento pianificatorio di settore”, non essendo, per contro, “consentito apportare alla pianificazione settoriale alcuna modifica della destinazione di un sito in esso compreso, attraverso il rilascio in sede di esame di singoli progetti di autorizzazioni concernenti attività antropiche estranee al novero di quelle considerate nella prodromica attività di pianificazione”.
In sostanza, modifiche alla pianificazione attraverso scelte progettuali non prefigurate dalla prima possono essere legittimate dalla valutazione di impatto ambientale, senza la necessità di rinnovare quella ambientale strategica, solo se dette modifiche abbiano carattere “esclusivamente localizzativo” mentre, per contro, “non è consentito apportare alla pianificazione settoriale alcuna modifica della destinazione di un sito in esso compreso, attraverso il rilascio in sede di esame di singoli progetti di autorizzazioni concernenti attività antropiche estranee al novero di quelle considerate nella prodromica attività di pianificazione. Pur rispondendo alla medesima logica, la valutazione ambientale strategica e quella di impatto ambientale si collocano in snodi differenti dell’esame delle possibili ricadute sull’ecosistema di attività potenzialmente nocive: la prima attiene alla verifica dei possibili impatti derivanti dall’attuazione di piani, mentre la seconda è circoscritta al singolo progetto. Conseguentemente, la prima sarebbe vanificata laddove possano essere apportate variazioni connesse ad attività non considerate” (sentenza n. 263/2015, cit.).
26.4 Ciò posto, nel caso di specie, poiché il Masterplan contempla opere di considerevole impatto ambientale – tra cui lo spostamento di un tratto del Fosso Reale, il sotto-attraversamento dell’Autostrada A11 e la rilocalizzazione del Lago di Peretola – l’assenza di una valutazione strategica del piano territoriale che costituisce il “quadro di riferimento” per la relativa approvazione (ai sensi dell’art. 6 della l. n. 152 del 2016), doveva essere logicamente considerata non già un fattore neutro, come ritenuto dalla Commissione VIA, bensì un fattore obiettivamente critico, se non ostativo, ai fini dell’approvazione del Masterplan.
Va poi soggiunto che, al riguardo, non appare sufficiente quanto fatto rilevare dalla stessa Commissione (pag. 26 del parere n. 2235) secondo cui “le tematiche di carattere ambientale prese in considerazione nei motivi di ricorso accolti dal TAR […] hanno comunque trovato trattazione e analisi nell’ambito della presente procedura e del collegato quadro prescrittivo”.
Va infatti ricordato che il TAR con la sentenza n. 1310 del 2016 aveva annullato la variante al PIT regionale per l’incompletezza della VAS ed in particolare proprio perché questa aveva rinviato la valutazione della sostenibilità ambientale della integrazione del PIT alla successiva procedura di VIA sul Piano di sviluppo aeroportuale.
Sicché, nonostante la rilevata autonomia delle due procedure (e le distinte, sebbene correlate, finalità ), la Commissione – in base a criteri di esigibile ragionevolezza- avrebbe dovuto prendere debitamente atto dell’incompletezza del quadro di riferimento programmatico per assenza di una valida VAS.
27. Tanto chiarito in generale, occorre ora verificare se il contenuto delle prescrizioni sulle quali si è focalizzato il TAR denoti effettivamente il difetto di istruttoria rilevato in primo grado e, comunque, l’irragionevolezza di un giudizio positivo espresso nonostante l’individuazione di gravi carenze progettuali e/o dello studio di impatto ambientale.
Un primo concludente sintomo in tal senso è dato dal fatto – opportunamente evidenziato dal TAR – che esse obiettivamente riguardano tutte aspetti non secondari e cioè profili qualificanti del Master Plan, espressamente considerati tali dalla Commissione nella parte “motivazionale” del provvedimento di VIA.
Il raffronto tra le valutazioni della Commissione e il contenuto delle prescrizioni consente poi di concludere che essa non si è limitata a dettare condizioni ambientali ma, da un lato, ha imposto la ricerca e/o lo sviluppo di nuovi soluzioni progettuali, dall’altro ha richiesto l’effettuazione e/o l’approfondimento di studi che avrebbero dovuto invece essere presentati ex ante ai fini dell’ottenimento della VIA e non semplicemente verificati ex post in sede di ottemperanza.
27.1. Per quanto riguarda il rischio di incidente aereo, la Commissione (pagg. 45 e 46 del parere 2235), è partita dalla considerazione che con l’entrata in vigore della direttiva 2014/52/UE del 16 aprile 2014 è stato previsto esplicitamente che la valutazione degli impatti comprende la descrizione dei probabili effetti rilevanti sull’ambiente del progetto dovuti a “rischi per la salute umana, il patrimonio culturale o l’ambiente (ad esempio in caso di incidenti o calamità )” ed in particolare è richiesta “una descrizione dei previsti effetti significativi del progetto sull’ambiente, derivanti dalla vulnerabilità del progetto ai rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti al progetto in quesitone”.
Inoltre, “Il rischio di incidenti aerei è stimabile ed previsto dal Codice della Navigazione all’art. 715 e dal collegato Regolamento Enac. Quest’ultimo richiede la valutazione di rischio per volumi di traffico superiori ai 50.000 movimenti/anno relativamente a previsioni di nuovi insediamenti e per ubicazioni in tessuti urbani sensibili e fortemente urbanizzati nelle vicinanze aeroportuali”.
Pur prendendo atto che, nel caso dell’aeroporto di Firenze, questa soglia di traffico non è raggiunta, la Commissione ha ritenuto che siffatta valutazione dovesse comunque essere svolta in via precauzionale “sulla base delle curve di isorischio calcolate secondo l’art. 715 del Codice della Navigazione”.
Ha poi ritenuto necessario “altresì, che nella successiva fase progettuale venga ulteriormente approfondito lo studio degli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei, al fine di dettagliatamente stimare le somme necessarie per eventuali indennizzi, espropriazioni o delocalizzazioni conseguenti (si veda il quadro prescrittivo)”.
Le prescrizioni correlate a siffatte valutazioni sono la A3 e la A4.
Secondo la prescrizione A3 “Prima dell’approvazione del progetto da parte del MIT dovrà essere redatto uno studio riferito agli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei considerato anche l’uso esclusivamente monodirezionale della pista di progetto e dei volumi di traffico previsti dal Master Plan 2014 – 2029. Tale studio sarà finalizzato alla delimitazione delle curve di isorischio, tenuto conto del Codice della Navigazione integrato con D.L. 15 marzo 2006, n. 151 – art. n. 715 e della Circolare ENAC 12/1/2010. Lo studio dovrà essere redatto da un soggetto terzo pubblico con esperienza per la previsione del rischio di incidenti aerei mediante modelli di calcolo. Lo studio dovrà descrive e quantificare i possibili rischi per la salute umana e per l’ambiente, derivanti dalla vulnerabilità dell’attività aeroportuale a gravi incidenti, con stima dei danni materiali attesi nella varie Zone di rischio, nell’area ad alta tutela, nell’aera interna e nell’area intermedia ed esterna. Lo studio dovrà anche individuare le misure, a carico del proponente, per eliminare o ridurre il danno, misure inclusive della delocalizzazione delle preesistenze qualora emerga un rischio per la perdita di vite umane superiore ad 1 x 10-4 in base ai risultati degli scenari probabilistici. Lo studio dovrà essere presentato per approvazione al MATTM che si esprimerà anche in merito alla necessità di sottoporre lo studio ad eventuali valutazioni ambientali”.
Secondo la prescrizione A4 (“Stabilimenti a rischio di incidente rilevante presenti nell’intorno portuale”), “in base allo studio di cui alla prescrizione precedente, il Proponente dovrà predisporre una stima di rischio con metodologia semplificata, riguardante la probabilità di incidente aereo nello Scenario 2018, 2023 e 2029, che metta in evidenza la probabilità di accadimento di un impatto aereo sugli stabilimenti circostanti l’aeroporto in particolare su quelli classificati dalla Direttiva Seveso come “a rischio di incidente rilevante”. Questa stima sarà finalizzata a valutare tutti i possibili effetti domino o di amplificazione e a definire idonee procedure di sicurezza, incluse, se possibile, l’adattamento delle rotte aeree o le specifiche modalità di sorvolo degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante. La stima dovrà essere presentata a Regione Toscana e ARPAT per le proprie valutazioni e provvedimenti, secondo le rispettive competenze, e poi trasmessa al MATTM”.
Correlata a tali prescrizioni è quella elencata al n. A46 (“Analisi del rischio di bird strike”) secondo cui “in fase di progettazione esecutiva dovrà essere effettuata da un organismo terzo indipendente, secondo le metodologie più avanzate del settore, l’analisi del rischio bird-strike e dovrà essere redatto il relativo piano di gestione del rischio, tenendo in debita considerazione la funzione attrattiva per l’avifauna esercitata dalla aree umide esistenti e in progetto (interventi di compensazione) e gli effetti che le misure di mitigazione del rischio di bird – strike potrebbero generare sulle funzionalità e gli obiettivi primari degli interventi di compensazione stessi. Questa documentazione dovrà essere inviata al MATTM per l’approvazione prima dei lavori di fase 1”.
Nel parere n. 2336/2017, reso su sollecitazione di ENAC che chiedeva chiarimenti in ordine alle testé riportate prescrizioni, la Commissione precisava che “la prescrizione n. 3 non intende interferire con le prerogative assegnate dalla legge ad ENAC (né peraltro potrebbe farlo) nella settore della sicurezza del trasporto aereo. La prescrizione invece, in considerazione della specifica situazione urbanistico/abitativa del territorio nell’intorno dell’aeroporto di Firenze, richiede che lo studio venga effettuato anche nel caso, come quello in esame, in cui non sia richiesto dalla legge in quanto i previsti volumi di traffico aereo risultano, per tutti e tre gli scenari, inferiori alla soglia dei 50.000 movimenti/anno; che fermo restando quanto è in capo ad ENAC in virtù delle proprie specifiche competenze, la prescrizione richiede che lo studio descriva e quantifichi “i possibili rischi per la salute umana e per l’ambiente, derivanti dalla vulnerabilità dell’attività aeroportuale a gravi incidenti…”; che pertanto essendo il focus della prescrizione indirizzato in particolare alla tutela della salute umana e dell’ambiente, temi intrinseci della valutazione di impatto ambientale di competenza del MATTM (a cui lo studio dovrà essere trasmesso per le opportune valutazioni), la Commissione ha ritenuto opportuno che l’elaborazione di uno studio approfondito con le specifiche analisi e valutazioni, necessarie in relazione ai temi indicati nella prescrizione, fosse affidata ad un “soggetto terzo pubblico con esperienza nella previsione del rischio di incidenti aerei” (Università, ente di ricerca o altro organismo nazionale, straniero o internazionale) scelto da ENAC tra gli enti di propria fiducia”.
Anche relativamente alla prescrizione n. 46 la Commissione ha precisato che essa “afferisce a temi ambientali, oggetto della valutazione di impatto ambientale di competenza del MATTM (a cui lo studio dovrà essere trasmesso per le opportune valutazioni)” e che “fatte salve le prerogative di legge di ENAC nel settore della sicurezza del trasporto aereo, l’indicazione di un organismo terzo indipendente […] risponde all’esigenza di finalizzare l’analisi e la gestione del rischio di bird strike anche con riferimento ai temi ambientali indicati nella prescrizione […]”-
Dopo la richiesta di applicazione, da parte di ENAC, dell’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, e la trasmissione delle integrazioni documentali, è stata riaperta la fase di valutazione ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Con il parere n. 2570 del 5 dicembre 2017, la Commissione VIA si è espressa sull’ulteriore documentazione prodotta da ENAC.
Per quanto qui interessa, relativamente al “Report di valutazione dei potenziali rischi indotti dall’esercizio aeronautico su salute umana, patrimonio culturale, paesaggio e stabilimenti industriali in direttiva Seveso”, comprensivo di tre studi condotti dalle Università di Firenze e Pisa, la Commissione ha valutato che “la documentazione presentata è […] conforme a quanto richiesto dall’allegato VII, ai punti 5 lett. d) e 9 del d.lgs. n. 104/2017” (pag. 22) nonché “esaustiva, pur rimanendo ad ENAC – in virtù delle specifiche competenze – l’obbligo di redigere tutta la documentazione richiesta dalle prescrizioni 3 e 4 presentato al MATTM le relazione finali, sintesi e conclusioni ai fini dell’ottemperanza in fase “Ante opera di fase 1”.
Le prescrizioni n. 3 e n. 4 – come rimarcato dalla stesse parti appellanti – non riguardavano però lo studio previsto dall’art. 715 del Codice della Navigazione bensì proprio gli studi necessari a valutare in sede di VIA “i rischi per la salute umana, il patrimonio culturale, il paesaggio o l’ambiente (quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, in caso di incidenti o di calamità ” ovvero “Una descrizione dei previsti impatti ambientali significativi e negativi del progetto, derivanti dalla vulnerabilità del progetto ai rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti per il progetto in questione”.
Il mantenimento delle prescrizioni appare dunque palesemente contraddittorio rispetto alla enunciata “esaustività ” degli studi prodotti da ENAC ai fini della sostenibilità ambientale del Master Plan, per il profilo in esame.
Le parti appellanti si sono sforzate di dimostrare, con grande dovizia di argomenti, che le prescrizioni farebbero in realtà riferimento a meri approfondimenti progettuali necessari per “eventuali indennizzi, espropriazioni o delocalizzazioni” conseguenti allo studio sugli scenari probabilistici sul rischio di incidenti aerei.
Tale necessità è stata in effetti incidentalmente richiamata nel parere n. 2235/2016, (cfr. la pag. 46), ma essa non costituisce, come si è appena riportato, l’oggetto principale del quadro prescrittivo, il cui “focus”, come ricordava la stessa Commissione nel parere n. 2336/2016, era da intendersi indirizzato “alla tutela della salute umana e dell’ambiente”, in quanto “temi intrinseci della valutazione di impatto ambientale” e quindi tali da richiedere l’affidamento dell’incarico ad un soggetto terzo, di natura pubblica.
Il mantenimento della stesse identiche prescrizioni, anche dopo le integrazioni documentali di ENAC, consente quindi di affermare – in base a criteri di ragionevolezza – che la Commissione non disponesse in realtà di elementi sufficienti per esprimere un compiuto giudizio di compatibilità ambientale.
In ogni caso, come ulteriormente ed esattamente rilevato dal TAR, è mancata del tutto l'”analisi di rischio di bird strike” che la Commissione aveva specificamente richiesto non solo in quanto attinente “a temi oggetto della valutazione di impatto ambientale” ma anche perché strettamente legata alla funzionalità degli interventi di compensazione previsti.
La società appellante ha invocato, al riguardo, le “Valutazioni preliminari” redatte dal proprio consulente (doc. n. 81, primo grado).
E’ tuttavia evidente che, se la Commissione ha mantenuto integralmente la prescrizione così come originariamente formulata, esse non sono state ritenute adeguate allo scopo.
Ed è altresì significativo che lo studio prodotto in sede di ottemperanza, pur esso agli atti del giudizio di primo grado (doc. n. 82), risulti – a giudizio del Collegio – di ben altra profondità e consistenza rispetto al primo report.
27.2. Per quanto riguarda il sistema idrologico e idraulico la Commissione ha messo in evidenza (pag. 56) che “l’area in cui si colloca l’intervento presenta numerose criticità idrauliche, per far fronte alle quali divengono fondamentali non solo le opere di cui sopra [n. d.r. la risoluzione delle interferenze idrauliche] ma anche gli interventi nelle aree di laminazione esistenti e la realizzazione delle nuove aree già previste nei piani di settore, ad oggi non ancora realizzate […]” prendendo atto che “Il proponente analizza le interferenze individuate proponendo […] interventi di risoluzione diretta delle interferenze stesse e ove ciò non sia possibile (come nel caso dell’interferenza dei bacini naturalistici) interventi compensativi ai sensi della normativa vigente (si veda il quadro prescrittivo)”.
Nella parte relativa al quadro progettuale, vengono poi analizzate le interferenze con il reticolo idrografico.
Tra queste, di particolare rilievo è l’intervento di deviazione del Fosso Reale, in relazione al quale la Commissione ha in particolare valutato (pag. 61 e ss.) che “per quanto attiene l’attraversamento della A11, la soluzione proposta debba essere ulteriormente sviluppata previa acquisizione del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici o, in alternativa, che il Proponente debba prevedere una soluzione alternativa nel rispetto delle condizioni di cui ai punti 5.1.2.4. del D.M.16/01/2008 “Norme Tecniche per le Costruzioni” e della relativa Circolare n. 617 del 02/02/2009″.
Sotto il profilo del rischio idraulico, ha poi considerato (pag. 63) che “data la complessità del sistema idraulico della Piana in via precauzionale sia necessario dotare la progettazione di un adeguato livello di ridondanza, in particolare per l’attraversamento della Autostrada A11 e che perciò sia da valutare l’utilizzo – almeno in caso di piena – della fascia di territorio a Sud della nuova pista al fine di poter immettere le acque del Fosse reale nell’attraversamento oggi esistente a pelo libero o – in alternativa – presenti soluzioni diverse di pari efficacia (si veda il quadro prescritto)”.
Per quanto riguarda gli interventi rispetto ai bacini di laminazione esistenti e a quelli in progetto, la Commissione ha ritenuto necessaria “la condivisione delle soluzioni progettuali esecutive con gli Enti di gestione/Autorità deputati al controllo delle acque sul territorio, nonché l’approvazione della stesse da parte delle competenti Autorità idrauliche”.
In relazione a tali valutazioni, il quadro prescrittivo risulta, in estrema sintesi, così congegnato.
La prescrizione A28 richiede al Proponente “in sede di progettazione esecutiva ed in funzione delle possibilità operative” di “riverificare l’adeguatezza delle nuove aree di laminazione previste nel SIA ai fini di garantire l’invarianza idraulica, anche in relazione alle aree di laminazione già esistenti nella Piana Fiorentina, alle altre aree di laminazione previste nei piani di settore vigenti e al progetto presentato dal Comune di Firenze per il PUE di Castello […[“.
La prescrizione A29 richiede al Proponente “in sede di progettazione esecutiva” di “correttamente sviluppare la soluzione di attraversamento della Autostrada A11 presentata nel SIA (e documentazione integrativa) risolvendo la problematica tecnica evidenziata nel parere del Genio Civile di Bacino Arno Toscana Centro del 19.10.2015. Inoltre, con un approccio in favore di sicurezza idraulica dovrà prevedere un adeguato livello di ridondanza utilizzando – in condizioni particolari di piena – la fascia di territorio a Sud della nuova pista al fine di immettere le acque anche nell’attraversamento oggi percorso a pelo libero dal Fosso Reale o, in alternativa, dovrà presentare soluzioni diverse di pari efficacia […]”.
Secondo la prescrizione n. 33 “Il Proponente dovrà presentare i progetti esecutivi di tutte le opere che interferiscono con l’assetto idraulico di tutta l’area interessata dal Masterplan con soluzione di dettaglio delle interferenze rispetto ad infrastrutture stradali esistenti e di previsione ed agli altri interventi attuativi dei piani urbanistici esecutivi con edifici già realizzati […]”.
La prescrizione A34 concerne le “specifiche progettuali riguardanti le opere idrauliche” e richiede al proponente, tra l’altro, di “prevedere l’attuazione in via preliminare o contestuale rispetto agli interventi aeroportuali della cassa di espansione del Canale di Cinta Orientale progettata dall’Università degli Studi di Firenze oltre che degli interventi tesi alla messa in sicurezza del canale stesso per eventi duecentennali. Tra gli interventi già programmati per la messa in sicurezza del canale di Cinta Orientale restano da eseguire anche quelli previsti nell’ambito del PUE di Castello (per la tratta in Comune di Firenze) […] Laddove tali interventi non vengano realizzati dai soggetti a ciò competenti preliminarmente o contestualmente agli interventi di cui al Masterplan il Proponente dovrà prima dell’avvio dei lavori provvedere alla verifica della coerenza tra le opere idrauliche di propria competenze e quelle sopra indicate in modo che le stesse possano successivamente trovare una concreta e adeguata attuazione sinergica […]”.
Anche in questo caso, è agevole rilevare che al Proponente non è stato chiesto semplicemente di indicare il dettaglio delle lavorazioni in sede esecutiva bensì, in base agli scenari che si verranno a determinare (anche per effetto delle iniziative di altri enti competenti in materia idraulica), di individuare ulteriori soluzioni progettuali, finalizzate ad assicurare la risoluzione delle interferenze idrauliche tra la nuova pista e il reticolo idrografico della Piana fiorentina.
Anche in questo caso pertanto, come rilevato dal TAR, il giudizio positivo risulta viziato per illogicità e difetto di istruttoria, essendo stato espresso senza che la Commissione avesse elementi adeguati per valutare l’effettiva incidenza sull’ambiente dei richiamati aspetti qualificanti del Master Plan.
27.3. Un altro profilo critico stigmatizzato dal ricorso in primo grado riguarda il tema dei c.d. “interventi compensativi”.
In relazione ad essi (pag. 168), ed in particolare relativamente al SIC/ZPS IT5140011, “Stagni della Piana Fiorentina e Pratese”, la Commissione ha valutato che l’opera genera “un’incidenza negativa sulle funzioni ecologiche del sito che potrà essere compensata dagli interventi previsti. A tal fine occorre però che l’efficacia di essi sia costantemente verificata e monitorata sin dalle prime fasi della loro progettazione esecutiva e che gli habitat presenti nelle aree interne al sito “Lago di Peretola” e “Podere la Querciola” non siano interessati dalle attività di cantiere finché non sia dimostrato che le quattro aree di compensazione abbiano raggiunto caratteristiche ecologiche, strutturali e funzionali comparabili a quelle delle aree che saranno sottratte in relazione agli obiettivi di conservazione del sito e la coerenza globale della rete Natura 2000. Inoltre le misure di compensazione dovranno essere realizzate nel rispetto delle norme tecniche e delle misure di conservazione di cui alla DGRT n. 1223/2015 nonché delle “Linee Guida Prestazionali per il progetto di ri-localizzazione del Lago di Peretola” della Regione Toscana e dovranno garantire [n. d.r. l’annessione] delle tre aree di compensazione “Il Piano”, “S. Croce” e “Mollaia” al sito SIC SIC/ZPS IT5140011[…]”.
Nella prescrizione A49 viene poi richiesto al Proponente di redigere il “progetto esecutivo” delle compensazioni “Il Piano”, “Il Prataccio”, “S. Croce” e “Mollaia”.
Di fatto però, se si guarda all’articolato oggetto della prescrizione, in essa figurano non già “soluzioni di dettaglio” bensì, ad esempio, “a) il sistema dei diversi ambienti umidi che saranno realizzati […] b) le modalità di ricostruzione e manutenzione degli habitat di interesse comunitario […] c) le misure che saranno attuate per l’attrazione/ripopolamento delle aree da parte della specie di interesse comunitario […]” ovvero interventi la cui valutazione – per il loro decisivo rilievo ai fini ambientali – risulta non ragionevole rinviare ad una fase meramente esecutiva, come correttamente statuito dal TAR.
28. Nell’appello dell’Avvocatura dello Stato n. 7448 del 2019 è stata infine censurata la sentenza del TAR anche nella parte in cui la stessa critica la composizione dell’Osservatorio Ambientale, quale approvata con il decreto di VIA.
Al riguardo, è tuttavia agevole osservare che il passaggio che il primo giudice ha dedicato all’argomento rappresenta non già un rilievo diretto a stigmatizzare la legittimità di tale previsione, quanto un rafforzamento della motivazione relativa al difetto funzionale del giudizio positivo di VIA per difetto di istruttoria e di irragionevolezza (“4.4 Si consideri, peraltro, che la verifica dell’ottemperanza a dette condizioni non è stata demandata ai due Ministeri che hanno emesso il provvedimento di VIA, bensì ad un organismo a composizione mista dove è presente (con diritto di voto) lo stesso proponente ENAC (e senza diritto di voto) la società To. Ae. (e quindi il soggetto che gestisce l’aeroporto), mentre è stata esclusa dall’Osservatorio la presenza di ogni rappresentante dei Comuni ricorrenti, circostanza che ha impedito a questi ultimi di presentare specifici rilievi una volta approvati i progetti esecutivi.
4.5 Detta modalità di procedere contrasta con la finalità primaria del procedimento di VIA, diretta com’è a dare concreta applicazione ai fondamentali principi di precauzione e prevenzione del diritto dell’ambiente”).
Peraltro, è inutile ulteriormente indugiare su tale profilo atteso che l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, per gli aspetti sostanziali già evidenziati, comporta la necessità di rinnovare il procedimento (ivi compresa la valutazione relativa all’eventuale istituzione di un Osservatorio Ambientale e alla sua composizione).
29. In definitiva, per quanto testé argomentato, gli appelli principali della società To. Ae., del MATTM, del MIBAC e di ENAC, nonché l’appello incidentale della Regione Toscana, debbono essere respinti.
Gli appelli incidentali dell’Associazione VAS (e consorti) sono invece improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.
Data la complessità delle questioni vagliate, appare equo compensare integralmente le spese del grado.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, n. 7176 del 2019 e n. 7448 del 2019, di cui in premessa, così provvede:
1) respinge l’appello n. 7176 del 2019;
2) respinge l’appello incidentale della Regione Toscana;
2) respinge l’appello n. 7448 del 2019;
3) dichiara improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse gli appelli incidentali dell’Associazione VAS e consorti.
Compensa tra le parti le spese del grado.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore
Giuseppa Carluccio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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