Incentivo economico di cui l’impianto di produzione di fonte di energia rinnovabile

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 febbraio 2020, n. 1031.

La massima estrapolata:

L’incentivo economico di cui l’impianto di produzione di fonte di energia rinnovabile può fruire si calcola sul risultato utile dello stesso, ovvero, sottraendo dall’energia prodotta globalmente dallo stesso l’energia assorbita dai servizi ausiliari di impianto.

Sentenza 10 febbraio 2020, n. 1031

Data udienza 19 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9074 del 2016, proposto da
Be. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. Mi. e Se. Gr., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, via (…);
contro
Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
ed altri;
per la riforma
della sentenza 15 luglio 2016, n. 2625del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Seconda
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Autorità per L’Energia Elettrica e il Gas e di Gestore dei Servizi Energetici – Gs. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2019 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati dello Stato Fa. To., Mi. Lo. e Ar. Po..

FATTO

1.? La società Be. s.p.a. era titolare di tre impianti di produzione di energia elettrica alimentati da biogas da discarica, situati nel territorio del Comune di (omissis).
L’energia così prodotta era soggetta al regime incentivante cd. Cip 6 (su cui si v. oltre nella parte in diritto).
Senza soffermarsi sui subentri che si sono succeduti nel tempo, è sufficiente rilevare che tale energia è stata acquistata dal Gestore dei servizi energetici s.p.a. (d’ora innanzi anche “Gs.”) sulla base di quanto disposto da tre convenzioni: convezione “Cogeneratore Legoli” del 21 giugno 1996; convenzione “Peccioli Sezione I” del 20 giugno 2005 e convenzione “Peccioli Sezione II” del 4 dicembre 2006, riguardanti ciascuna rispettivamente i tre summenzionati impianti.
Con atto del 14 febbraio 2014, emanato a seguito di apposita attività ispettiva, la Direzione Verifiche ed Ispezioni del Gs. ha comunicato alla ricorrente gli esiti di tale attività, rilevando che, per alcuni anni di vigenza delle succitate convenzioni, l’energia elettrica netta prodotta dai tre impianti è risultata inferiore rispetto all’energia incentivata.
L’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (d’ora innanzi Autorità o Aeegsi), con deliberazione n. 305/2014/E/EFR del 26 giugno 2014, ha recepito le risultanze dell’atto di verifica del Gs. (rettificandolo solamente nella parte in cui è stata quantificata l’energia elettrica assorbita dai servizi ausiliari) ed ha, conseguentemente, disposto che la Cassa conguaglio per il settore elettrico (d’ora innanzi anche Ccse; oggi Cassa pe i servizi energetici e ambientali, Csea) provvedesse al recupero degli incentivi indebitamente corrisposti.
2.? La società ha impugnato tale atto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia.
Nelle more della decisione, e precisamente in data 3 luglio 2015, la Ccse ha adottato il provvedimento attuativo della suindicata delibera dell’Aeegsi, intimando alla ricorrente il versamento di una somma complessiva pari ad euro 1.171.880,40.
Tale atto è stato impugnato con motivi aggiunti.
3.? Il Tribunale amministrativo, con sentenza 15 luglio 2016, n. 2625, ha rigettato il ricorso.
4.? La ricorrente ha impugnato tale sentenza.
5.? La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 29 dicembre 2019.

DIRITTO

1.? La questione all’esame della Sezione attiene alla legittimità degli atti di determinazione della somma che deve essere restituita dall’appellante per avere percepito somme indebite in ragione della produzione di energia, soggetta a cessione con prezzi incentivanti, inferiore a quella per la quale sono state applicate le tariffe incentivanti.
2.? In via preliminare, occorre ricostruire il quadro normativo rilevante.
Il legislatore nazionale ha previsto, nel tempo, diversi regimi di incentivazione della produzione di energia elettrica mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili o assimilate.
L’art. 22 della legge 9 gennaio 1991 n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale) dispone che il produttore di tale energia la cede all’En., oggi al Gs., sulla base di apposite convenzioni stipulate tra le suddette parti.
Tale cessione avviene mediante “prezzi incentivanti” che sono definiti dal Comitato interministeriale dei prezzi (Cip). In particolare la determinazione è avvenuta con il provvedimento Cip n. 6/92, successivamente integrato e modificato dal decreto ministeriale 4 agosto 1994.
Lo scopo di tale normativa è quello di incoraggiare la produzione di energia attraverso impianti che raggiungano realmente dati livelli di efficienza (Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 2019, n. 7427).
L’energia prodotta dall’impianto incentivabile si considera “al netto dell’energia assorbita dai servizi ausiliari”.
I corrispettivi erogati dal Gs. sono posti a carico del “Conto per i nuovi impianti da fonti rinnovabili ed assimilate ” (art. 3 del decreti ministeriale 2 agosto 2010) amministrato dal Cassa Conguaglio per il settore elettrico, il quale ha la funzione di coprire la differenza tra i costi sostenuti dal cessionario pubblico per il ritiro dell’energia elettrica incentivata e i ricavi derivanti dalla vendita della medesima energia sul mercato.
La suddetta differenza è posta a carico dei clienti finale del servizio elettrico, attraverso la componente tariffaria A3 (ora Asos).
3.? Con il primo motivo di ricorso, l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha rilevato l’illegittimità del provvedimento dell’Autorità per mancanza di base legale, in quanto nessuna norma attribuisce all’Autorità il potere di effettuare verifiche ispettive quando la convenzione è cessata. Si è aggiunto che la cessione è stata determinata non da un recesso unilaterale ma da una decisione concordata tra le parti.
Il motivo non è fondato.
Il provvedimento “Cip 6/92” ha attribuito al Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato il compito di accertare, anche nel corso dell’esercizio, la sussistenza delle condizioni tecniche di ammissibilità al beneficio, anche svolgendo verifiche sugli impianti.
Tale compito è stato poi trasferito in capo all’Autorità dall’art. 2, comma 14, della legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità . Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità ).
L’art. 27, comma n. della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) prevede che “l’Autorità per l’energia elettrica e il gas si avvale del Gestore dei servizi elettrici Spa e dell’Acquirente unico s.p.a. per il rafforzamento delle attività di tutela dei consumatori di energia, anche con riferimento alle attività relative alle funzioni di cui all’articolo 2, comma 12, lettere l) e m), della legge 14 novembre 1995, n. 481, nonché per l’espletamento di attività tecniche sottese all’accertamento e alla verifica dei costi posti a carico dei clienti come maggiorazioni e ulteriori componenti del prezzo finale dell’energia”.
L’art. 30, comma 20, della legge 23 luglio 2009, n. 99 dispone che l’Autorità “propone al Ministro dello sviluppo economico adeguati meccanismi per la risoluzione anticipata delle convenzioni Cip n. 6/92, da disporre con decreti del medesimo Ministro, con i produttori che volontariamente aderiscono a detti meccanismi. Gli oneri derivanti dalla risoluzione anticipata da liquidare ai produttori aderenti devono essere inferiori a quelli che si realizzerebbero nei casi in cui non si risolvano le convenzioni”.
In attuazione di tale legge è stato emanato il decreto ministeriale 2 agosto 2010, il quale all’art. 3 dispone che “Resta ferma la facoltà dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas di effettuare ispezioni sugli impianti oggetto della risoluzione anticipata delle convenzioni Cip 6 di cui al presente decreto, anche dopo la risoluzione stessa, al fine di verificare, per gli anni trascorsi in vigenza della convenzione, il rispetto delle condizioni che hanno dato titolo alle tariffe Cip 6”.
La norma da ultimo richiama è chiara nell’attribuire all’Autorità il potere di effettuare verifiche anche dopo la interruzione anticipata del rapporto convenzionale. L’affermazione dell’appellante secondo cui tale norma presuppone che l’impianto rimanga in funzione dopo la risoluzione della convenzione non trova alcuna rispondenza nel dato normativo, sopra riportato.
In definitiva, pertanto, deve ritenersi che l’Autorità e il Gs. hanno effettuato verifiche e controlli in attuazione di norme attributive di un esplicito potere pubblico.
3.? Con un secondo motivo si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimi gli atti impugnati per la mancata attivazione delle garanzie procedimentali. Si assume che l’omissione ha riguardato tutti gli impianti ed, in particolare, l’impianto “Cogeneratore Legoli”.
Il motivo non è fondato.
Dagli atti del procedimento, acquisiti al processo, risulta che l’appellante ha ricevuto comunicazioni in ordine alle date di sopralluogo e verifica in relazione a tutti gli impianti (cfr. comunicazione Gs. 8 maggio 2013 e anche nota 22 aprile 2013). Inoltre, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, con nota del 16 febbraio 2014 sono state comunicate alla società appellante le risultanze delle attività istruttorie, nelle quali si fa espresso riferimento anche ai rilievi riguardanti il “Cogeneratore Legoli”.
4.? Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza e la illegittimità degli atti impugnati nella parte in cui non si è ritenuto che: i) gli impianti “Peccioli Sezioni I” e “Peccioli Sezione II” devono essere considerati in modo unitario, essendo stati realizzati in esecuzione di una medesima convenzione preliminare; ii) i tre impianti sono stati connessi ad un unico punto che era l’unico possibile, che viene individuato non dal produttore ma dal gestore della rete, En., con la conseguenza che non sarebbe stato necessario installare misuratori fiscali ulteriori; iii) si era creato un legittimo affidamento della società appellante in ragione del comportamento costantemente tenuto dal Gs., che non avrebbe rilevato irregolarità nella gestione degli impianti; iv) non ha ritenuto di effettuare le dovute compensazioni tra gli impianti che, comunque, anche singolarmente non avrebbe superato il limito di massimo di produzione.
Il motivo, così articolato, non è fondato, in quanto: i) dal contenuto delle convenzioni in atti risulta che i tre impianti, ai fini della corresponsione degli incentivi, debbano essere considerati separatamente; ii) i punti di connessione avrebbero dovuto essere, pertanto, diversi, con strumenti di cui è responsabile il produttore (art. 10 convenzioni “Peccioli Sezioni I e II”); iii) non è consentita la creazione di un legittimo affidamento in ordine ad una situazione non conforme alle regole di disciplina della materia; iv) l’amministrazione non era obbligata ad effettuare compensazioni in ragione della accertata violazione delle suddette convenzioni, le quali dispongono che l’eventuale energia ceduta dal produttore in eccedenza a quella netta convenzionata con il Gs. rientra nel caso di “cessione di eccedenze” e, nella specie, non è mai stato stipulato un contratto di vendita delle suddette eccedenze, essendosi solo previsto il ritiro dell’energia “corrispondente alla potenza”.
5.? Con un altro motivo si assume l’errata ripartizione dell’energia elettrica assorbita dai servizi ausiliari. In particolare, secondo la ricorrente, applicando l’art. 1, punto 1.1., lett. n), della deliberazione dell’Autorità n. 42/02, l’imputazione avrebbe dovuto essere effettuata in proporzione alla produzione lorda dei singoli impianti e non già, come avvenuto, in proporzione alle quote di potenza convenzionate, con conseguente violazione della delibera della stessa Autorità n. 42 del 2002.
Il motivo non è fondato.
In via preliminare, deve rilevarsi che, base all’inequivoca interpretazione del titolo I del provvedimento Cip 6/92, l’energia prodotta dall’impianto incentivabile si considera “al netto dell’energia assorbita dai servizi ausiliari”. Pertanto, l’incentivo economico di cui l’impianto può fruire si calcola sul risultato utile dello stesso, ovvero, sottraendo dall’energia prodotta globalmente dallo stesso l’energia assorbita dai servizi ausiliari di impianto (Cons. Stato, sez. VI, n. 7427 del 2019, cit).
Nella fattispecie in esame risulta che la ripartizione effettuata dall’Autorità non si sia basata solo sulle potenze convenzionate, ma anche sui periodi di funzionamento degli impianti.
Si tenga conto, inoltre, che la misurazione effettuata era l’unica tecnicamente possibile, in quanto l’eccessiva potenza installata in relazione a taluni impianti ha reso inapplicabile la regola del riferimento alla produzione lorda degli impianti, che, nella specie, risulta inclusiva delle eccedenze prodotte.
6.? Con l’ultimo motivo l’appellante assume l’erroneità della sentenza e degli atti impugnati, in quanto la Ccse, avrebbe arbitrariamente ed in contrasto con quanto disposto con la delibera n. 305 del 2014, frazionato i quantitativi annuali di energia indebitamente incentivata (indicati nella suddetta delibera) in quantitativi mensili, determinandosi così un ingiustificabile scostamento rispetto ai valori medi annuali dell’energia.
Il motivo non è fondato.
La Ccse, nel non irragionevole esercizio di poteri di valutazione tecnica, ha ripartito l’energia incentivata in eccesso su base mensile proporzionalmente all’energia ritirata dal Gs.. Tale metodo ha consentito, come rilevato correttamente anche dal primo giudice, una maggiore precisione nella determinazione dell’indebito, in quanto gli importi ricavati dal Gs. sono disponibili su base mensile.
7.? La natura della questione trattata giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso in appello indicato in epigrafe;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere

 

 

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