La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 8 ottobre 2019, n. 6852.

La massima estrapolata:

La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione. In quella sede, l’interessato potrà ampiamente dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato derivante dall’esecuzione della demolizione delle opere abusive.

Sentenza 8 ottobre 2019, n. 6852

Data udienza 26 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 336 del 2019, proposto da
An. Ce., rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Se. Pe. e Br. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Br. Me. in Salerno, via (…);
nei confronti
Gi. Sa. e Na. To., rappresentati e difesi dall’avvocato An. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Salerno, n. 1417/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Le. Ve., su delega dell’avv. Vi. Ma., e Fr. La., su delega degli avvocati Se. Pe. e Br. Me.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1 – Nel 1987 Sa. Co. (dante causa dell’appellante) realizzava un fabbricato sito alla via (omissis) di (omissis), costituito da un livello interrato, un seminterrato, un livello terraneo e da due piani fuori terra destinati ad abitazione.
Nel titolo edilizio era previsto, al piano terra, un semplice portico, non computato ai fini della volumetria e delimitato da una ringhiera metallica, successivamente sostituita con un parapetto.
2 – Il predetto, in data 1 marzo 1995, presentava istanza di condono, ai sensi della l. n. 724/94, per il cambio di destinazione d’uso da porticato ad autorimessa, riferibile alle opere di cui ai punti 4, 5 e 6 della tabella allegata alla l. 47/1985, ovvero, alle “modifiche di destinazione d’uso e opere che non abbiano comportato aumento della superficie utile o del volume assentito”.
2.1 – L’amministrazione emetteva la concessione edilizia in sanatoria n. 38 del 1999, ma erroneamente riteneva che l’abuso rientrasse nella diversa tipologia 1, “opere realizzate in assenza del titolo o in difformità da questo”.
3 – In forza di tale provvedimento, il Co., in data 14 giugno 2000, presentava un’istanza volta al rilascio della concessione edilizia per procedere alla modifica della destinazione d’uso dell’autorimessa in abitazione.
3.1 – Il Comune, con il provvedimento n. 8684 del 2002, negava il rilascio del titolo, perché la modifica della destinazione d’uso del piano terra (in abitazione) comportava anche una variazione di volumetria.
Tale determinazione era impugnata con ricorso (R.G. n. 2576/2002) al T.A.R. per la Campania, sezione di Salerno.
3.2 – Con determina n. 28 del 2003, il Comune annullava la concessione edilizia in sanatoria n. 38 del 1999 sul presupposto che, per errore, essa era stata riferita a un abuso di “tipologia 1”, mentre, in realtà, si trattava di un mero cambio di destinazione d’uso – da porticato ad autorimessa – riconducibile alla “tipologia 4”. Conseguentemente, veniva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 3 del 2003 riferito al solo cambio di destinazione d’uso dell’immobile da porticato ad autorimessa.
3.3 – Con determina n. 46 del 2003, l’amministrazione respingeva la richiesta di rilascio della concessione edilizia presentata dal Co. il 14 giugno del 2000, per il cambio di destinazione d’uso da autorimessa ad abitazione.
Tale provvedimento era impugnato con ricorso per motivi aggiunti.
3.4 – Il T.A.R. adito accoglieva l’istanza cautelare, a seguito della quale il Comune rilasciava la concessione edilizia in sanatoria n. 57 del 2003 “per la modifica di destinazione d’uso con opere del piano terra da autorimessa in abitazione” con la seguente espressa previsione: “Fatto salvo, altresì, l’esito del giudizio di merito del procedimento giuridico amministrativo dinanzi al TAR Salerno”.
4 – Con la sentenza n. 98 del 2006, il T.A.R. Salerno respingeva il ricorso.
Nel giudizio di appello avverso tale decisione (R.G. n. 2652/2007), questo Consiglio, con ordinanza n. 4041 del 31 luglio 2007, respingeva l’istanza di sospensione della sentenza n. 98 del 2006, precisando che: “(…) dalla costruzione di un semplice parapetto, che non esprime volume, si intende pervenire al risultato di scambiare usi dell’immobile dal carattere accessorio (portico e autorimessa – deposito) in progressive destinazioni principali (locale terraneo e residenze), così realizzando volumi funzionalmente autonomi”.
Tale giudizio si è poi estinto, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza del T.A.R. n. 98 del 2006.
4.1 – In ottemperanza a quest’ultima pronuncia, con i provvedimenti n. 59 del 2006 e n. 9556 del 2008, il Comune annullava il permesso di costruire n. 57 del 2003.
5 – In data 29 ottobre 2008, il Comune disponeva la demolizione delle opere, consistenti nella trasformazione del locale da autorimessa ad abitazione, al fine di riportare “il predetto piano terra – rialzato al pristino stato e destinazione d’uso”.
5.1 – In data 30 gennaio 2009, l’appellante, divenuto proprietario dell’immobile a seguito della compravendita del 12 aprile 2006, presentava al Comune un’istanza asseritamente finalizzata all’emissione del permesso di costruire in sanatoria.
5.2 – L’amministrazione, in data 9 marzo 2009, notificava l’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza di demolizione (provvedimento n. 3852). Successivamente, con l’atto n. 6792 del 24 aprile 2009, il Comune emetteva l’avviso di immissione in possesso.
6 – Tali provvedimenti – annullamento del permesso di costruire n. 57/2003, ordinanza di demolizione (n. 17788 del 29 ottobre 2008), accertamento dell’inottemperanza (n. 3852 del 09 marzo 2009) – erano impugnati con ricorso, e successivi motivi aggiunti, dinanzi al T.A.R. per la Campania, sezione di Salerno (R.G. n. 2107/2007) che, con la sentenza n. 1417 del 2018, rigettava le domande del ricorrente ritenendole infondate.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il ricorrente originario per i motivi di seguito esaminati.
All’udienza del 26 settembre 2019 la causa è stata introitata in decisione.

DIRITTO

1 – Con il primo motivo di appello si deduce l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto le censure di cui ai primi motivi aggiunti, con i quali è stata contestata l’illegittimità del provvedimento di annullamento del permesso di costruire n. 57/2003, per violazione dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990.
A tal fine, l’appellante prospetta che l’annullamento è intervenuto successivamente al decorso del termine di 18 mesi di cui all’art. 21 nonies della legge citata e nei confronti di un soggetto terzo, estraneo alla vicenda giurisdizionale da cui muove l’annullamento del titolo. Ne consegue che, a prescindere dalla sussistenza di un interesse pubblico, l’intervenuto annullamento sarebbe tardivo e, quindi, illegittimo.
Da un altro punto di vista, secondo l’appellante, l’affidamento ingenerato per effetto del decorso dei predetti termini dovrebbe prevalere sull’interesse pubblico ad un tardivo annullamento. Inoltre, il provvedimento di autotutela impugnato avrebbe del tutto omesso di valutare l’interesse del destinatario, che aveva acquistato l’immobile in oggetto, edificato sulla base di apposito titolo edilizio.
2 – La censura è infondata.
In primo luogo, appare improprio il richiamo ai presupposti di cui all’art. 21 nonies della l. n. 241/1990, posto che, nella peculiarità del caso in esame, l’amministrazione non si è -spontaneamente – determinata per l’annullamento della precedente autorizzazione a seguito di una autonoma valutazione circa l’illegittimità della stessa, come nella usuale dinamica dell’istituto dell’annullamento d’ufficio.
Viceversa, l’atto in questione ben può essere qualificato un mero atto di ritiro, necessitato dall’esito del giudizio che ha respinto il ricorso giurisdizionale del privato.
Invero, è pacifico che il permesso di costruire n. 57/2003 è stato emesso su impulso (cautelare) del T.A.R.
E’ altrettanto pacifico che il relativo giudizio si è concluso con la sentenza n. 98 del 2006 del T.A.R. Salerno, passata in giudicato, che ha respinto il ricorso proposto avverso il diniego al cambio di destinazione d’uso.
In altri termini, l’atto con il quale sono stati annullati gli effetti del permesso di costruire n. 57/2003, essendo stato emesso in forza di un provvedimento propulsivo e cautelare del Giudice, era necessariamente destinato ad essere confermato o travolto dalla successiva sentenza di merito.
Ciò, a differenza della fattispecie di cui all’art. 21 nonies citato, non ha implicato l’esercizio di alcun margine di discrezionalità da parte dell’amministrazione, trattandosi solo di adeguare (doverosamente) la situazione venutasi a creare all’esito del giudizio, ovvero al giudicato che si è formato in senso opposto alla prognosi effettuata in sede cautelare.
2.1 – Da un altro punto di vista, anche volendo aderire all’impostazione teorica proposta dall’appellante, le circostanze già riferite escludono radicalmente la sussistenza di un affidamento tutelabile in capo alla parte privata in riferimento alla stabilità della situazione derivante dal permesso di costruire n. 57/2003, dal momento che l’efficacia dello stesso era stata esplicitamente subordinata all’esito del giudizio di merito relativo alla legittimità (o meno) del cambio di destinazione d’uso.
Non può superare tale evidenza il fatto che l’appellante abbia acquistato l’immobile successivamente al rilascio del permesso di costruire, dal momento che il titolo edilizio – e di tale evenienza l’appellante doveva essere consapevole – era testualmente subordinato all'”esito del giudizio di merito del procedimento giuridico amministrativo dinanzi al TAR Salerno”.
2.2 – Per le ragioni già esposte, non può inoltre trovare applicazione la modifica dell’art. 21 nonies che specifica il termine di 18 mesi per l’esercizio, in determinati casi, del potere di autotutela.
Oltretutto, tale novella è stata introdotta nella l. n. 241/1990 solo nel 2015 e dunque non può trovare applicazione al caso in esame (cfr. anche Cons. St. n. 4823 del 2019).
In definitiva, sulla scorta dei principi affermati dalla giurisprudenza (cfr. Cons. St., Ad. Plen. n. 8 del 2017) e del contesto nel quale deve essere collocato il provvedimento impugnato: in primo luogo, la necessità di adeguare il regime giuridico del bene alla pronuncia passata in giudicato deve in ogni caso ritenersi prevalente rispetto ad ogni ipotetico interesse privato confliggente; secondariamente, non è in ogni caso ravvisabile una posizione di affidamento tutelabile da parte dell’appellante.
2.3 – Il motivo di appello in esame risulta invece inammissibile nella parte in cui prospetta che il titolo edilizio conseguito in sede di condono, atto presupposto al permesso di costruire n. 57/2003, sarebbe sicuramente riconducibile alla tipologia 1.
La questione risulta infatti coperta dal giudicato rappresentato dalla già citata sentenza n. 98/2006, che, a norma dell’art. 2909 c.c., esplica efficacia anche nei confronti dell’appellante, terzo acquirente dell’immobile.
3 – Con il secondo motivo di appello si contesta la sentenza impugnata nel punto in cui ha respinto i secondi motivi aggiunti, con i quali l’appellante aveva evidenziato la mancata valutazione del pregiudizio derivante all’intero fabbricato dall’abbattimento delle opere abusive e, quindi, l’applicabilità della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. n. 480/2001.
Più precisamente, secondo l’appellante, la demolizione dell’immobile sarebbe tale da compromettere l’equilibrio strutturale dell’intero edificio, legittimamente realizzato; sicché l’amministrazione, prima di adottare l’ordinanza di demolizione, avrebbe dovuto effettuare tale preventiva verifica strutturale, e ciò, a prescindere dalla mancata dimostrazione del pregiudizio da parte dell’appellante.
3 – La censura è infondata, posto che l’ordinanza di demolizione è atto necessitato a seguito della constatazione dell’abuso. Trattasi infatti di un atto vincolato, rispetto al quale all’amministrazione non è attribuito alcun margine di discrezionalità (cfr. Cons. St., Sez. V, 17 settembre 2008, n. 4446).
Nel caso in cui non sia concretamente possibile procedere al ripristino, sarà il Comune a valutare, in un secondo tempo, tale eventualità, senza che ciò incida sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione oggetto del presente giudizio; invero, come più volte precisato dalla giurisprudenza, tale questione deve essere valutata a valle del provvedimento di demolizione, senza incidere sulla legittimità dello stesso, laddove ne sussistano i relativi presupposti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 novembre 2017, n. 5472; Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2017, n. 5585).
Anche recentemente la Sezione (Cons. St., sez. VI, n. 4939 del 2019), a questo riguardo, ha ribadito che: “la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria, disciplinata dalla disposizione appena citata, deve essere valutata dall’Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione. In quella sede, l’interessato potrà ampiamente dedurre in ordine alla situazione di pericolo di stabilità del fabbricato derivante dall’esecuzione della demolizione delle opere abusive”.
3.1 – In ogni caso, deve rilevarsi che l’appellante non ha comprovato che la demolizione sia idonea ad arrecare danno alla parte legittimante edificata.
Al riguardo, il Comune ha invece precisato che l’appellante dovrà demolire solo le opere realizzate per trasformare il locale da autorimessa ad abitazione, per ricondurre l’immobile alla sua originaria destinazione (autorimessa); ciò non comporterà alcun pregiudizio per la parte dell’opera eseguita in conformità, dovendo demolire: ” tramezzature, intonaco civile, impianti idro – termo – sanitari ed elettrici, pavimenti e rivestimenti, porte interne, infissi esterni e tutte le opere di rifiniture occorrenti per l’agibilità degli alloggi”.
4 – Con il terzo motivo di appello si rappresenta che, dopo la notifica dell’ordinanza n. 81 del 2008, con cui il Comune ha disposto il ripristino dello stato dei luoghi, l’appellante ha comunicato all’amministrazione di voler demolire il volume eccedente, pari a mc. 66,76 (eccedente, cioè, i 750 mc., volume massimo consentito in sede di condono ex L. n. 724/1994), ostativo all’accoglimento della domanda di condono ed ha chiesto al Comune di (omissis) di rideterminarsi sull’istanza di condono n. 2446 dell’1 marzo 1995 (previa demolizione del volume eccedente la cubatura massima consentita di 750 mc. e, quindi, sul conseguente cambio di destinazione d’uso a parità di volume).
L’appellante prospetta che, in pendenza del suddetto procedimento di regolarizzazione, sarebbe inibito all’amministrazione disporre l’acquisizione.
L’appellante precisa che quella proposta non è un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del T.U. dell’Edilizia, ma una richiesta di conformazione delle opere oggetto di condono di cui all’art. 39 della L. n. 724/1994.
4.1 – Il motivo di appello è inammissibile, introducendo in giudizio una nuova censura ai provvedimenti impugnati non proposta con il ricorso di primo grado.
Deve infatti osservarsi che, con i terzi motivi aggiunti in primo grado, il ricorrente aveva dedotto la violazione degli artt. 31 e 36 del T.U. dell’Edilizia, facendo leva sull’orientamento (superato) della giurisprudenza di primo grado secondo cui la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, comporterebbe il superamento dell’ordine di demolizione.
Il T.A.R. aveva rigettato la censura rilevando, correttamente, che: “la presentazione dell’istanza, sopravvenuta all’emissione dell’ordinanza di demolizione n. 81 del 29 ottobre 2008 (quando, peraltro, l’inutile decorso del prescritto termine di 90 giorni per l’esecuzione aveva prodotto i suoi automatici effetti ablatori), ha potuto, al più, comportare un arresto temporaneo dell’efficacia dell’adottata misura repressivo ripristinatoria, la quale ha riacquistato il proprio vigore in seguito al tacito diniego di sanatoria ex art. 36, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001, così assicurando la fonte provvedimentale di legittimità delle attività amministrative poste in essere in via susseguente”; e specificando ulteriormente che: “le deduzioni attoree di sanabilità delle opere de quibus non possono trovare ingresso in questa sede per non essere stato tempestivamente impugnato il silenzio diniego formatosi ai sensi e per gli effetti dell’art. 36, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001 sulla richiesta di loro accertamento di conformità urbanistico-edilizia”.
Con l’appello, invece di svolgere una critica alla sentenza impugnata, si cambia radicalmente la prospettazione di primo grado, precisando che quella proposta non è un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del T.U. dell’Edilizia, ma una richiesta di conformazione delle opere oggetto di condono ai limiti di cui all’art. 39 della L. n. 724/1994.
Come anticipato, tale mutatio è inammissibile, in quanto in violazione dell’art. 104 c.p.a.
Come noto, non possono essere proposti in sede di appello nuovi motivi di ricorso (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 19 dicembre 1983, n. 26). Pertanto, non sono ammissibili nuove censure contro gli atti già impugnati, se era possibile proporle sin dal primo grado di giudizio, in quanto la novità dei motivi equivale ad una domanda nuova (cfr. Cons. St., Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2977).
5 – In definitiva, l’appello non deve trovare accoglimento.
Le spese di lite sono liquidate come in dispositivo

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Comune, che si liquidano in Euro3.000, oltre accessori come per legge se dovuti, compensandole per il resto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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