Il perito può anche prendere visione di atti processuali

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 30 maggio 2019, n. 24145.

La massima estrapolata:

Il perito, oltre a richiedere direttamente notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altro soggetto, può anche prendere visione di atti processuali nei quali le predette notizie siano state già raccolte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, a nulla rilevando il divieto di inserimento degli atti visionati nel fascicolo per il dibattimento posto che le informazioni in tal modo acquisite non costituiscono prova, essendo utilizzabili solo ai fini dell’accertamento peritale.

Sentenza 30 maggio 2019, n. 24145

Data udienza 14 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/03/2018 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dr. Salzano Francesco, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte civile avv. (OMISSIS), che si e’ associato alle conclusioni del Procuratore generale depositando conclusioni scritte e nota spese;
udito il difensore dell’imputato avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 marzo 2018, la Corte d’appello di Milano, giudicando sul gravame proposto dall’odierno ricorrente, dichiarando la prescrizione del reato di violenza sessuale contestato al capo a) in danno di un altro minorenne e riducendo conseguentemente la pena, ha per il resto confermato la sentenza con cui l’imputato era stato ritenuto responsabile del reato di violenza sessuale continuata ed aggravata commesso, nell'(OMISSIS), per aver costretto un bambino che in allora aveva otto anni a subire atti sessuali.
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo si deduce il vizio di illogicita’, contraddittorieta’ e carenza della motivazione, con travisamento dei fatti, nella parte in cui e’ stata ritenuta l’attendibilita’ delle dichiarazioni rese, a distanza di anni dall’accaduto, dalla persona offesa di cui al capo b), non escussa nell’immediatezza con l’incidente probatorio e sentita per la prima volta in dibattimento all’eta’ di quindici anni.
Lamenta, in particolare, il ricorrente che, a fronte della violazione delle raccomandazioni sul punto contenute nella c.d. Carta di Noto, la sentenza impugnata non contenga quella motivazione rafforzata richiesta dalla giurisprudenza per poter ritenere che le tardive rivelazioni non siano frutto di inquinamento del ricordo, essendo intervenuta una rielaborazione collettiva dei fatti tra il minore, i genitori ed il terapeuta Dott. (OMISSIS) che lo aveva avuto in cura.
Tale percorso era ricavabile anche dalla perizia sulla capacita’ a testimoniare del minore effettuata ex post nel giudizio d’appello, sicche’ non poteva ritenersi che vi fosse stata una spontanea rievocazione dei fatti da parte del bambino, ma, piuttosto, una forte insistenza della famiglia ad ottenere da lui informazioni relative ai presunti abusi.
La motivazione viene inoltre ritenuta insufficiente nella parte in cui ha ravvisato riscontri nella similarita’ delle condotte illecite contestate al capo a) nei confronti di una diversa persona offesa: si sarebbe dovuto approfondire il tema per escludere un reciproco contagio dichiarativo, anche per il tramite di soggetti terzi di comune frequentazione.
4. Con il secondo motivo si deduce inosservanza dell’articolo 192 c.p.p. con riguardo alla violazione delle linee-guida relative all’esame del minore in caso di abuso sessuale. Si lamenta, in particolare, che l’audizione testimoniale della persona offesa sia stata condotta in modo suggestivo per indurre il minore a confermare l’assunto accusatorio in relazione al ricordo oramai sedimentato a seguito della rielaborazione dei fatti avvenuta, nel modo gia’ descritto, tra il 2006 e il 2013.
5. Con il terzo ed il quarto motivo – obiettivamente connessi – si deduce violazione della legge penale in relazione agli articoli 111 e 24 Cost. e articolo 228 c.p.p.per avere la Corte d’appello delegato al perito il giudizio sull’attendibilita’ del minore e per avere lo stesso arbitrariamente ampliato il quesito, utilizzando anche atti formatisi al di fuori del dibattimento, vale a dire le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di s.i.t. nel 2011. Tali dichiarazioni – non acquisite nel processo – sarebbero state indirettamente utilizzate dal giudice d’appello per la decisione. Il perito, inoltre, avrebbe esorbitato dal mandato affidatogli spingendosi ad estendere anche al periodo antecedente alla deposizione resa nel 2013 il giudizio in merito alla possibilita’ che il ricordo potesse essere stato suggestionato, peraltro contraddittoriamente concludendo nel senso della spontaneita’ della rivelazione, pur dichiarando di non avere riscontri effettivi sul punto. Nella perizia sarebbe inoltre mancata l’indagine sui fattori psicologici e ambientali nel cui ambito era avvenuta l’emersione del ricordo, non essendo state approfondite le ragioni che avevano reso necessario l’intervento dello psicologo sul bambino quando questi aveva appena sei anni d’eta’.
6. Con l’ultimo motivo di ricorso si deducono violazione dell’articolo 609 bis c.p. e vizio di motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della circostanza attenuante speciale della minore gravita’ del fatto, spendendo la sentenza argomentazioni contrastanti con la perizia e non operando una valutazione globale del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di reati sessuali, una volta accertata la capacita’ di comprendere e riferire i fatti della persona offesa minorenne, la sua deposizione deve essere inquadrata in un piu’ ampio contesto sociale, familiare e ambientale, al fine di escludere l’intervento di fattori inquinanti in grado di inficiarne la credibilita’ (Sez. 3, n. 8057 del 06/12/2012, dep. 2013, V. e a., Rv. 254741) e che e’ affetta dal vizio di manifesta illogicita’ la motivazione della sentenza nella quale la valutazione sull’attendibilita’ e credibilita’ delle dichiarazioni del minore vittima di abusi sessuali venga condotta esclusivamente riferendosi all’intrinseca coerenza del racconto, senza tenere adeguatamente conto di tutte le circostanze concrete che possono influire su tale valutazione (Sez. 3, n. 39405 del 23/05/2013, B., Rv. 257094).
Per altro verso, e’ noto – e questa Corte lo ha in piu’ occasioni affermato che se anche la mancata assunzione delle testimonianze delle vittime per il tramite dell’incidente probatorio nell’immediatezza degli accadimenti non comporti, di per se’, l’impossibilita’ di affermare la positiva attendibilita’ delle stesse, tale valutazione non puo’ non tenere conto delle problematicita’ connesse alla distanza temporale tra il momento di verificazione dei fatti e quello in cui le persone offese vengono esaminate; con il conseguente onere, per il giudice, di una motivazione rafforzata che dia conto della inidoneita’ del distacco temporale ad incidere sull’attendibilita’ delle dichiarazioni, in particolare precisando se non siano intervenuti fattori esterni di “disturbo”, o se questi, ove intervenuti, non si siano comunque dimostrati in grado di alterare il corretto ricordo dei fatti (Sez. 3, n. 30865 del 14/05/2015, M., Rv. 264248). Nella condivisibile motivazione di tale sentenza si legge che “quanto piu’ tempo abbia a trascorrere dal momento di verificazione dei fatti al momento in cui le persone offese vengano esaminate, tanto piu’ problematica puo’ divenire la operazione di valutazione di attendibilita’ in particolare laddove si abbia a che fare con minori di eta’ infantile, “sentiti” in prima battuta dai genitori, e cio’, perche’, in particolare, anche a non volere considerare l’inevitabile degradazione dei ricordi, nel lasso temporale che precede la “cristallizzazione” coincidente con l’esame ben possono inserirsi fattori esterni provenienti dall’ambiente circostante eventualmente idonei a creare, quand’anche in buona fede, suggestioni e a condurre ad un’alterazione delle corrette percezioni mnemoniche…In altri termini, dunque, il passaggio di un significativo lasso temporale tra il momento di pretesa verificazione dei fatti e il momento del rendiconto testimoniale di essi comporta, per il giudice, l’onere di una motivazione rafforzata che dia conto, complessivamente, della inidoneita’ del distacco temporale ad incidere sull’attendibilita’ delle dichiarazioni rese o perche’, in particolare, non sono intervenuto fattori esterni di “disturbo”, o perche’, ove intervenuti, gli stessi non si sono comunque dimostrati in grado di alterare il corretto ricordo dei fatti” (Sez. 3, n. 30865 del 14/05/2015, M.). Piu’ di recente, si e’ avuto modo di ulteriormente precisare che, in tema di violenza sessuale su minori, la valutazione sull’attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalla vittima deve tenere conto non solo della loro intrinseca coerenza, ma anche di tutte le altre circostanze concretamene idonee ad influire su tale giudizio, ivi inclusa la verifica sull’incidenza di plurime audizioni della persona offesa in punto di usura della fonte dichiarativa (Sez. 3, n. 46592 del 02/03/2017, G., Rv. 271064).
2. Nella sentenza da ultimo citata si ricorda inoltre come gli studi scientifici in materia abbiano trovato un’efficace sintesi nella c.a. Carta di Noto, alcune delle cui raccomandazioni – rileva il ricorrente – sarebbero state nel caso di specie violate.
Al proposito il Collegio richiama il principio, piu’ volte ribadito, secondo cui in tema di testimonianza del minore vittima di abusi sessuali, il giudice non e’ vincolato, nell’assunzione e valutazione della prova, al rispetto delle metodiche suggerite dalla Carta di Noto, salvo che non siano gia’ trasfuse in disposizioni del codice di rito con relativa disciplina degli effetti in caso di inosservanza, di modo che la loro violazione non comporta l’inutilizzabilita’ della prova cosi’ assunta; tuttavia, il giudice e’ tenuto a motivare perche’, secondo il suo libero ma non arbitrario convincimento, ritenga comunque attendibile la prova dichiarativa assunta in violazione di tali metodiche, dovendo adempiere ad un onere motivazionale sul punto tanto piu’ stringente quanto piu’ grave e patente sia stato, anche alla luce delle eccezioni difensive, lo scostamento dalle citate linee guida (Sez. 3, n. 648/2017 del 11/10/2016, L.P.M., Rv. 268738; Sez. 3, n. 39411 del 13/03/2014. G., Rv. 262976).
Nella specie, il ricorrente ha evidenziato essere state disattese le seguenti linee-guida, rinvenibili anche nella piu’ recente versione della stessa quale approvata lo scorso 14 ottobre 2017 alla quale si fa di seguito riferimento:
a) il minore va sentito in contraddittorio il prima possibile…le audizioni effettuate o ripetute ad una considerevole distanza temporale vanno valutate con grande cautela a causa della condizione psicologica mutata rispetto all’epoca dei fatti e dei potenziali fattori di inquinamento del ricordo (articolo 2);
b) e’ opportuno che l’attivita’ di assistenza psicologica o psicoterapeutica del minore – salvo caso di particolare urgenza e gravita’ – avvenga dopo che questi ha reso testimonianza in sede di incidente probatorio (articolo 3);
c) le interviste vanno opportunamente audio-videoregistrate avendo cura che vengano documentate anche le modalita’ dell’interazione dell’esperto con il minore; nel proporre le domande occorre evitare che esse lascino trapelare aspettative dell’interrogante o che diano per scontati fatti che sono oggetto di indagine; durante l’intervista va verificato se il minore ha raccontato in precedenza i presunti fatti ad altre persone e con quali modalita’ (articolo 8).
3. Alla luce delle premesse di cui sopra, i primi quattro motivi di ricorso – da esaminarsi congiuntamente in quanto obiettivamente connessi – non sono fondati, posto che la sentenza impugnata ha sostanzialmente tenuto conto dei principi richiamati dal ricorrente, illustrando le ragioni della concreta impossibilita’ di garantirne nel caso di specie la completa osservanza e in ogni caso spendendo quella motivazione rafforzata che la giurisprudenza sopra citata richiede.
3.1. Quanto al mancato espletamento dell’incidente probatorio nell’imminenza dei fatti, dalla ricostruzione della vicenda effettuata nelle sentenze di merito emerge con evidenza come non si tratto’ certo di negligente conduzione del procedimento in spregio alle raccomandazioni di cui all’articolo 2 della Carta di Noto, posto che la sentenza chiarisce come con riguardo ai fatti commessi in danno di (OMISSIS), non essendo stata presentata denuncia-querela, l’indagine fu avviata d’ufficio soltanto anni dopo. Ed invero, il procedimento nacque in esito alle indagini svolte a seguito della denuncia che, nel 2010, una volta divenuto maggiorenne, (OMISSIS) sporse in relazione alla violenza sessuale subita da minore, nel 2003, contestata al capo a), dichiarata prescritta in grado d’appello e commessa con modalita’ simili a quelle oggetto del capo b), trattandosi di fatti parimenti avvenuti nell’ambito di un campeggio parrocchiale in cui l’imputato aveva parimenti accompagnato la moglie, che fungeva da cuoca. Ecco, peraltro, perche’ il piccolo (OMISSIS) fu – del tutto legittimamente e comprensibilmente (senza che possa ovviamente parlarsi di violazione dell’articolo 3 della Carta di Noto) – portato dai familiari, per il sostegno’ psicologico di cui necessitava, dal Dott. (OMISSIS), indipendentemente da un procedimento penale che i suoi genitori, come piu’ oltre si dira’, nemmeno avrebbero voluto fosse instaurato.
3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale si e’ correttamente posta il problema di verificare se la tardiva audizione del minore e se la precedente rievocazione del ricordo potessero averne inficiato la capacita’ a testimoniare e, rinnovando l’istruttoria espletata in primo grado, ha disposto perizia sul punto.
La perizia ha concluso nel senso della capacita’ a testimoniare del minore e dell’insussistenza di evidenze circa condizionamenti del ricordo e questo ambito di indagine era ricompreso nel quesito formulato (“…se fosse suscettibile di travisamento o suggestione a quanto occorsogli”, recita il quesito riprodotto in ricorso), sicche’ necessariamente l’accertamento doveva estendersi alle modalita’ di rievocazione del ricordo, come sostanzialmente riconosce lo stesso ricorrente la cui doglianza, pertanto, e’ sul punto contraddittoria – richiamando l’articolo 8 della Carta di Noto. L’esistenza di condizionamenti – contrariamente a quanto deduce il ricorrente – non si ricava dagli stralci della relazione peritale riportati a pag. 5 del ricorso e, ripercorrendo la rievocazione del ricordo sulla base delle prove assunte nel giudizio, ed in particolare in base alla deposizione testimoniale del Dott. (OMISSIS), la sentenza impugnata (pagg. 9 e 10) mostra come non vi sia stato alcun condizionamento, ne’ insistenza da parte dei familiari del bambino o del terapeuta. Il racconto fu “sommariamente esposto alla madre a ridosso dei fatti” (pag. 13), la terapia subito iniziata fu sospesa perche’ il bambino mostrava un atteggiamento di chiusura e, permanendo i disagi del minore, riprese soltanto tre anni dopo, si’ che il racconto degli abusi al terapeuta venne fatto per la prima volta nel (OMISSIS), negli stessi termini in cui il racconto fu poi ripetuto nell’esame dibattimentale.
3.3. Quanto a quest’ultimo, la contestazione circa modalita’ suggestive di conduzione e’ del tutto generica e non puo’ certo essere ritenuta sulla base dei pochissimi stralci della stessa riportati a pag. 7 del ricorso che, dunque, sul punto pecca di difetto di autosufficienza.
3.4. Del pari generica e’ la doglianza circa il fatto che non sarebbero state approfondite le ragioni che avevano indotto i genitori a portare il bambino dallo psichiatra (OMISSIS) gia’ prima che accadessero i fatti per cui e’ processo: la sentenza impugnata (pag. 9) attesta che cio’ era dipeso, quando (OMISSIS) frequentava la seconda elementare, da “leggere difficolta’ scolastiche dovute all’irrequietezza manifestata dal minore”, vale a dire problemi che nulla avevano a che vedere con quelli che, due anni dopo, quando era in quarta elementare, insorsero a seguito degli abusi subiti. Lo stesso psichiatra ha riferito del cambiamento che egli apprezzo’ nel bambino tra il primo ed il secondo ciclo di terapia: mentre la priva volta egli era collaborativo, la seconda il suo atteggiamento era decisamente mutato, presentandosi come chiuso nel suo mutismo e propenso a non collaborare, tanto, appunto, da dover a breve sospendere la terapia per poi riprenderla, con l’esito di cui si e’ detto, tre anni dopo.
3.5. Quanto alla violazione dell’articolo 228 c.p.p., per essere stati utilizzati nella perizia atti non acquisiti al dibattimento, va qui ribadito il condivisibile e risalente principio – da ultimo richiamato da Sez. 5, n. 2903 del 22/03/2013, Venturato, Rv. 258447 – secondo cui il perito, oltre a richiedere direttamente notizie all’imputato, alla persona offesa o ad altro soggetto, puo’ anche prendere visione di atti processuali nei quali le predette notizie siano state gia’ raccolte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, a nulla rilevando il divieto di inserimento degli atti visionati nel fascicolo per il dibattimento (Sez. 4, n. 5060 del 04/11/2009, dep. 2010, Carcione e aa., Rv. 246638; Sez. 2, n. 752 del 21/11/2003, dep. 2004, Filomena, Rv. 227861). Ed invero, la previsione di cui all’articolo 228 c.p.p., comma 3, deve essere intesa nel senso che non solo il perito si possa rivolgere direttamente a dette persone per assumere notizie, ma anche che il medesimo possa prendere visione di atti processuali in cui le notizie da richiedersi siano state da altri acquisite nel corso del procedimento, pure se cristallizzate in verbali non contenuti nel fascicolo per il dibattimento. Si tratta, di fatti, di informazioni che non possono assurgere al rango di prova, essendo utilizzabili – come espressamente prescrive la richiamata disposizione – solo ai fini dell’accertamento peritale.
3.6. Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, poi, il riferimento fatto in sentenza alle dichiarazioni rese dal minore nel (OMISSIS) (pag. 10) non attiene al verbale di s.i.t. che sarebbe stato impropriamente veicolato al tribunale tramite la relazione peritale, ma a quanto il ragazzino riferi’ al Dott. (OMISSIS) secondo la deposizione dal medesimo resa al dibattimento. Lo stesso si ricava dalla sentenza di primo grado (pag. 17), sicche’ la censura sul punto e’ manifestamente infondata.
3.7. Del pari manifestamente infondata e’ la doglianza secondo cui la Corte territoriale avrebbe mutuato il convincimento circa la spontaneita’ del racconto dalle conclusioni – ritenute contraddittorie – dell’esperta nominata perito, avendo alla stessa delegato la valutazione dell’attendibilita’ delle dichiarazioni. Dalla lettura della sentenza, di fatti, emerge chiaramente come tale spontaneita’ e’ stata ricavata dalla prova testimoniale assunta in dibattimento e, in particolare, dall’inequivoca dichiarazione – a cui il ricorrente neppure accenna – fatta dal minore alla nonna nell’immediatezza dei fatti, quando fini’ l’esperienza del campeggio ove le violenze si verificarono: richiesto dalla nonna del perche’ non fosse andato a salutare il suo amico (OMISSIS) (con cui il bambino era stato visto intrattenersi), egli rispose, sbottando: “si’, proprio lui che mi ha ciucciato l’uccello” (v. sent. impugnata, pagg. 7 e 11). La sentenza impugnata da’ inoltre atto del fatto che la famiglia del minore – che proprio per questo volle farlo seguire da un terapeuta – non manifesto’ alcuna acrimonia nei confronti dell’imputato, tanto che disse al Dott. (OMISSIS) di voler “chiudere la vicenda”, non sporse alcuna denuncia e si limito’ a raccomandare ai sacerdoti della parrocchia che aveva organizzato il campeggio che l’imputato, marito della persona che fungeva da cuoca, non partecipasse piu’ ad altri campeggi con i bambini, tanto che la coppia, dopo il 2006, proprio per tale ragione non fu piu’ chiamata a partecipare ad analoghe iniziative.
3.8. Del resto, gia’ in precedenza l’imputato aveva commesso fatti analoghi, nel medesimo contesto, in danno di (OMISSIS) e non illogicamente la sentenza impugnata considera quell’episodio – ritenuto accertato ai fini civilistici nonostante la declaratoria di prescrizione, senza che sul punto sia stata proposta impugnazione – quale riscontro dell’attendibilita’ della dichiarazione resa da (OMISSIS). Del tutto generica, sul punto, e’ la censura sul mancato approfondimento di un possibile contagio dichiarativo tra le due persone offese, tra le quali la sentenza impugnata (pag. 14) riferisce non esservi mai stati contatti o rapporti.
4. Manifestamente infondato e’ l’ultimo motivo di ricorso: non v’e’ alcuna contraddizione tra il passaggio della relazione peritale riportato a pag. 12 del ricorso (che semplicemente attesta l’assenza di disturbi di percezione o del pensiero che possano inficiare l’idoneita’ della persona offesa a rendere testimonianza) ed il giudizio sulla sofferenza del minore dovuta al trauma per le violenze sessuali subite che la Corte d’appello ha ricavato dalle dichiarazioni rese dai familiari e dal terapeuta Dott. (OMISSIS), e delle quali ultime gia’ piu’ sopra si e’ detto richiamando l’evidente mutamento di atteggiamento e reazioni che lo specialista ravviso’ nel bambino rispetto al primo ciclo di incontri che egli ebbe con lui prima che gli abusi si verificassero. Nell’effettuare analoghe valutazioni al fine di negare l’invocata circostanza attenuante di cui all’articolo 609 bis c.p., u.c., la sentenza di primo grado compie analoghe valutazioni e ricorda quanto riferito dal Dott. (OMISSIS) nel suo esame (“ci sono voluti quattro anni perche’ lui tirasse fuori quello che aveva dentro”, nel frattempo manifestando comportamenti di forte disagio), evidenziando altresi’ le modalita’ particolarmente insidiose della condotta, commessa in danno di bambini indifesi da un adulto ritenuto affidabile perche’ frequentava liberamente una struttura protetta quale il campeggio estivo, godendo della fiducia dei responsabili.
I giudici di merito hanno quindi fatto buon governo dei consolidati principi interpretativi secondo cui, in tema di violenza sessuale, ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravita’, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalita’ esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’eta’, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante e’ sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravita’ (Sez. 4, n. 16122 del 12/10/2016, L., Rv. 269600; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, K., Rv. 263821), dovendosi per contro escludere che la sola tipologia dell’atto possa essere sufficiente per ravvisare tale attenuante (Sez. 3, n. 39445 del 01/07/2014, S., Rv. 260501) ed essendo invece necessario accertare che la liberta’ sessuale sia stata compressa in maniera non grave, cosi’ come il danno arrecato alla vittima anche in termini psichici (Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516).
5. Il ricorso – complessivamente infondato in relazione a talune delle doglianze esaminate supra, sub §§. 3 ss. – deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Segue, inoltre, la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili rappresentate dall’avv. (OMISSIS), da liquidarsi come da congrua richiesta, con esclusione tuttavia della fase introduttiva del giudizio, non avendo la parte compiuto attivita’ processuale in detta fase.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna il ricorrente alla rifusione in favore delle parti civili delle spese del grado che liquida in Euro 3.800,00, oltre spese generali nella misura del 15%, c.p.A. ed I.V.A..
Dispone, a norma dell’articolo 52 del Decreto Legislativo n. 30 giugno 2003 n. 196, che – a tutela dei diritti o della dignita’ degli interessati – sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.

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