Incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare al processo

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 29 maggio 2019, n. 23790.

La massima estrapolata:

La sentenza che, a seguito di impugnazione, accerti l’incapacità irreversibile dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, dichiarando l’improcedibilità ex art. 72-bis cod. proc. pen., comporta, quale conseguenza “ex lege”, la caducazione di tutte le statuizioni della pronuncia di primo grado, ivi comprese quelle eventualmente relative all’esercizio dell’azione civile nel processo penale. (In motivazione, la Corte ha affermato che l’omissione della formale revoca delle statuizioni civili non integra alcuna nullità, precisando che alla stessa può porsi rimedio con la procedura di correzione dell’errore materiale).

Sentenza 29 maggio 2019, n. 23790

Data udienza 19 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 04-12-2017 della Corte di appello dell’Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Fabio Zunica;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Cuomo Luigi, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, nella parte in cui non sono state revocate le statuizioni civili;
udito per le parti civili l’avvocato (OMISSIS), che, anche quale sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), depositava conclusioni scritte e nota spese;
udito per il ricorrente l’avvocato (OMISSIS), sostituto processuale degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), il quale si riportava al ricorso chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 gennaio 2015, i Tribunale di Vasto condannava (OMISSIS) alla pena di anni 7 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’articolo 81 c.p., articolo 609 bis c.p., comma 1 e articolo 609 ter c.p., comma 1, n. 1 e 4, contestatogli per aver costretto le minori (OMISSIS) e (OMISSIS), entrambe infraquattordicenni, a subire atti sessuali, approfittando del suo ruolo di massaggiatore-fisioterapista all’interno della Polisportiva (OMISSIS), nella cui formazione agonistica di pallavolo militavano le persone offese, fatti commessi in (OMISSIS) e in data anteriore e prossima. Con la predetta sentenza, (OMISSIS) veniva altresi’ condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede, assegnando ai genitori di ciascuna minore una provvisionale pari a 10.000 Euro.
Con sentenza del 4 dicembre 2017, la Corte di appello dell’Aquila, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per incapacita’ irreversibile dello stesso, ai sensi dell’articolo 72 bis c.p.p..
2. Avverso la sentenza della Corte di appello abruzzese, (OMISSIS), tramite i difensori, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo, con cui contesta la violazione dell’articolo 546 c.p.p., commi 1 e 3, evidenziando che la Corte di appello, nel dispositivo, non aveva revocato le statuizioni civili della sentenza di primo grado, limitandosi solo in motivazione ad affermare che le stesse non potevano essere confermate, omettendo di riformare sul punto la pronuncia impugnata, per cui, stante l’assenza di indicazioni esplicite in tal senso nel dispositivo, la “non conferma” menzionata in modo irrituale nella motivazione doveva ritenersi inidonea a produrre valide conseguenze giuridiche, non potendosi comunque considerarsi applicabile, proprio alla luce della terminologia adoperata in motivazione, la procedura di correzione dell’errore materiale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.
1. Occorre premettere che, con la sentenza impugnata, la Corte territoriale ha riformato la pronuncia di condanna del Tribunale, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato ai sensi dell’articolo 72 bis c.p.p., norma introdotta dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, articolo 1, comma 22. Tale disposizione (rubricata: “Definizione del procedimento per incapacita’ irreversibile dell’imputato”) prevede che “se, a seguito degli accertamenti previsti dall’articolo 70, risulta che lo stato mentale dell’imputato e’ tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento, il giudice, revocata l’eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere, o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca”.
La L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 23 ha poi modificato il comma 2 dell’articolo 345 c.p.p. (rubricato: “Difetto di una condizione di procedibilita’. Riproponibilita’ dell’azione penale”), stabilendo che l’azione penale puo’ essere esercitata nuovamente anche quando, dopo che e’ stata pronunciata sentenza di non doversi procedere per incapacita’ irreversibile dell’imputato ex articolo 72 bis c.p.p., l’incapacita’ viene meno o e’ stata erroneamente dichiarata.
Viceversa, se l’incapacita’ dell’imputato e’ reversibile, l’articolo 71 c.p.p., pure modificato dalla L. n. 103 del 2017, dispone che il procedimento sia sospeso, con nomina di un curatore speciale per l’imputato, sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere.
Dunque, la riforma del 2017, nell’affrontare la problematica dei cd. “eterni giudicabili”, la cui delicatezza era stata gia’ segnalata al Legislatore dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 23 del 2013 e n. 45 del 2015, ha configurato la capacita’ dell’imputato di partecipare coscientemente al processo come una sorta di condizione di procedibilita’, la cui mancanza, ove sia accertata come irreversibile, impone la definizione del procedimento penale, potendo l’azione penale essere esercitata nuovamente solo ove l’incapacita’ della persona da giudicare venga meno, o sia provato che era stata dichiarata in modo erroneo. Tanto premesso, deve quindi affermarsi che la pronuncia estintiva delineata dal nuovo articolo 72 bis c.p.p., per quanto suscettibile di essere rivisitata, sia comunque idonea a travolgere gli effetti scaturiti dall’esercizio dell’azione penale, per cui, ove, come nel caso di specie, la sentenza che accerti l’incapacita’ irreversibile dell’imputato di partecipare coscientemente al processo intervenga in secondo grado, devono ritenersi caducate ex lege anche le eventuali statuizioni civilistiche della sentenza di primo grado, sulla falsariga di quanto avviene con la sentenza che dichiari l’estinzione del reato per la morte dell’imputato, comportando il sopravvenuto decesso della persona sottoposta a giudizio, come gia’ precisato da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 58 dell’8/11/2000, dep. 2001, Rv. 219149), la cessazione non solo del rapporto processuale in sede penale, ma anche del rapporto processuale civile inserito nel processo penale.
2. Cio’ posto, deve pertanto ritenersi che, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, la mancanza, nel dispositivo della sentenza impugnata, della formale revoca delle statuizioni civili contenute nella pronuncia di primo grado non integra alcuna nullita’, derivando ex lege dalla declaratoria di improcedibilita’ dell’azione penale operata dalla Corte territoriale ex articolo 72 bis c.p.p. la perdita di efficacia di tutte le statuizioni della sentenza di primo grado, comprese quelle relative all’esercizio nel processo penale delle pretese civilistiche.
Dunque, all’omissione nel dispositivo della sentenza impugnata della formale revoca delle statuizioni civili contenute nella pronuncia di primo grado, ben potra’ porsi rimedio con la procedura di correzione dell’errore materiale, tanto piu’ che, nella motivazione della sentenza oggetto dell’odierno ricorso, la Corte di appello ha gia’ evidenziato l’impossibilita’ di confermare le statuizioni civili, per cui l’unica questione che si pone nel caso di specie e’ solo quella di rettificare il dispositivo di una decisione, di cui non viene affatto rimesso in discussione il contenuto, che del resto consegue ipso iure alla peculiare tipologia di definizione del processo. Alla stregua di tali considerazioni, il ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento, mentre, proprio in ragione della gia’ rimarcata caducazione automatica degli effetti della sentenza di primo grado a seguito della sentenza impugnata, alcuna statuizione puo’ essere adottata in questa sede rispetto alle richieste avanzate dalle odierne parti civili.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

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