Su tutte le amministrazioni pubbliche grava l’obbligo di attivare procedure competitive

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 2 luglio 2019, n. 4516.

La massima estrapolata:

Su tutte le amministrazioni pubbliche, in generale, grava l’obbligo di attivare procedure competitive ogni qualvolta si debbano assegnare beni pubblici suscettibili di sfruttamento economico. Infatti, la mancanza di tale procedura introduce una barriera all’ingresso al mercato, determinando una lesione alla parità di trattamento, al principio di non discriminazione ed alla trasparenza tra gli operatori economici, in violazione dei principî comunitari di concorrenza e di libertà di stabilimento.

Sentenza 2 luglio 2019, n. 4516

Data udienza 6 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4391 del 2015, proposto da
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ru., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
contro
Agenzia del Demanio, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Oc. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Gi. e Cl. An., con domicilio eletto presso lo studio Br. Ta. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo n. 125 del 2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Gi. Ru., Br. Ta., su delega dell’avv. Gi. Gi., e l’avvocato dello Stato Pa. De Nu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – In data 10 luglio 2014, l’Agenzia del Demanio Abruzzo-Molise ha pubblicato un avviso pubblico per la concessione di immobili appartenenti al Demanio Pubblico dello Stato ai sensi del DPR 296/2005, tra cui i lotti (numeri 1, 2 e 3) confinanti con terreni (identificati in catasto al fg. 1 p.11a 1) già dati in concessione al Comune di (omissis) sino al 31 dicembre 2020.
2 – Il Comune di (omissis), con nota del 18 agosto 2014, ha chiesto all’Agenzia del Demanio di annullare in autotutela l’avviso pubblico e di procedere ad assegnare al Comune i predetti lotti a trattativa privata, stanti le previsioni dell’art. 2, co. 3° lett. c del D.P.R. 296/2005.
L’Agenzia del Demanio, con la nota n. 10328 del 3 settembre 2014, ha rigettato l’istanza.
A seguito di tale diniego, il Comune, con la nota del 12 settembre 2014,ha presentato una nuova istanza di assegnazione dei lotti 1, 2 e 3.
3 – L’agenzia del Demanio, con la nota n. 10942 del 18 settembre 2014, ha nuovamente rigettato sia l’istanza di revoca in autotutela dell’avviso, sia la richiesta di assegnazione diretta dei lotti.
4 – Il Comune di (omissis) ha quindi proposto ricorso dinanzi al T.A.R. per l’Abruzzo, impugnando sia le predette note dell’Agenzia del demanio, sia l’avviso pubblico “limitatamente alla parte in cui l’Agenzia ha inserito, nel predetto avviso, anche i lotti 1, 2 e 3 anziché procedere a trattativa privata con il Comune di (omissis) già titolare di concessioni di terreni confinanti con i predetti lotti”.
5 – Il T.A.R., con la sentenza n. 125 del 2015, ha rigettato il ricorso, ritenendo insussistenti i presupposti legittimanti la trattativa privata, così come previsti dall’art. 2, co. 3° lett. c del. D.P.R. 296/2005.
6 – Tale sentenza è stata appellata dal Comune ricorrente in primo grado.
Si è costituita in giudizio la società contro interessata, proponendo appello incidentale, in quanto il T.A.R. avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale di condanna del Comune di (omissis) al risarcimento dei danni per lite temeraria.
Con l’ordinanza n. 2935 del 2015, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare del Comune “risultando condivisibili i rilievi che hanno portato il giudice di primo grado a respingere l’originario ricorso, tenuto conto altresì del prevalente interesse pubblico alla finalizzazione della procedura di assegnazione dei lotti di terreno avviata dall’Agenzia del demanio”.
A seguito della discussione del 6 giugno 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.
7 – Con il primo motivo di appello, il Comune insiste nel sostenere che l’Agenzia del Demanio avrebbe dovuto affidare ad esso, a trattativa privata, i lotti di terreno oggetto di causa, in quanto soggetto già concessionario di altro terreno confinante con gli stessi, invece di fare ricorso alla gara pubblica.
In particolare, il Comune rivendica la ricorrenza dei presupposti previsti dall’art. 2 comma 3° del D.P.R. 296/05, che giustificherebbero l’assegnazione diretta dei lotti confinanti a quelli già concessi al Comune, in forza delle concessioni demaniali marittime n. 845/2002, n. 1/2007, n. 9/2008, n. 18/2009 e n. 1/2013.
8 – Il D.P.R. 13 settembre 2005 n. 296, nel disciplinare i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato, dispone testualmente al primo comma dell’art. 2, come principio generale, che “le concessioni e le locazioni dei beni immobilidemaniali e patrimoniali dello Stato conseguono all’esperimento di procedure ad evidenza pubblica mediante pubblico incanto”. Al terzo comma, introduce un deroga a tale principio, disponendo alla lettera c) che si proceda a trattativa privata, quando “un soggetto già concessionario o locatario di un bene immobile di proprietà dello Stato chiede l’affidamento in concessione o in locazione di un altro bene immobile costituente pertinenza del bene già locato o dato in concessione ovvero confinante con quest’ultimo. La superficie del bene immobile confinante da concedere o da locare non può essere superiore al venti per cento della superficie totale originariamente concessa o locata”.
A prescindere dalla ricorrenza dei predetti requisiti, nel particolare caso in esame, la domanda del Comune non può trovare accoglimento per le ragioni di seguito indicate.
9 – La regola generale è quella secondo cui le concessioni e le locazioni dei beni demaniali possono essere assegnate solo in esito ad una procedura di gara pubblica, mentre il ricorso alla trattativa privata resta una modalità di carattere eccezionale e, perciò, residuale, comprimendo il principio della concorrenza e della più ampia partecipazione alla gara che costituiscono, com’è noto, corollari non solo dei generali principi costituzionali di buon andamento e di imparzialità, che presiedono all’esercizio dell’attività amministrativa, ma anche dei principi comunitari di concorrenza e di libera circolazione dei beni e dei servizi.
Un consolidato indirizzo di questo Consiglio (cfr. Cons. St, Ad. Plen., 25 febbraio 2013, n. 3250; Cons. St., sez. V, 31 maggio 2011, n. 3250) ritiene che su tutte le amministrazioni pubbliche, in generale, grava l’obbligo di attivare procedure competitive ogni qualvolta si debbano assegnare beni pubblici suscettibili di sfruttamento economico. Infatti, la mancanza di tale procedura introduce una barriera all’ingresso al mercato, determinando una lesione alla parità di trattamento, al principio di non discriminazione ed alla trasparenza tra gli operatori economici, in violazione dei principî comunitari di concorrenza e di libertà di stabilimento.
Il D.P.R. citato, invocato dalla stessa appellante, conferma tali principi, statuendo che “le concessioni e le locazioni dei beni immobilidemaniali e patrimoniali dello Stato conseguono all’esperimento di procedure ad evidenza pubblica mediante pubblico incanto”.
I casi in cui è possibile l’affidamento diretto rappresentano invece delle ipotesi speciali, come confermato dal già ricordato comma 3 del medesimo D.P.R., in cui oltre alla lettera c) invocata dal Comune, le ulteriori deroghe al principio della pubblica selezione sono collegate, ad esempio, al fatto che (a) sia andata deserta la procedura ad evidenza pubblica mediante pubblico incanto, oppure, (b) in ragione della tipologia e delle caratteristiche del bene immobile, il canone complessivo della concessione e della locazione non supera euro 50.000.
9.1 – Nel caso in esame, è pacifico che Comune di (omissis) – pur essendo perfettamente a conoscenza della procedura di evidenza pubblica indetta dall’Agenzia del demanio, tanto che ha pubblicato il bando di gara anche sul proprio Albo Pretorio – non ha chiesto l’assegnazione diretta dei lotti 1, 2 e 3; non ha formulato alcuna offerta nei termini previsti; non ha tempestivamente impugnato il bando di gara nella parte in cui includeva i predetti lotti.
Il Comune appellante solo dopo la conclusione della gara ha formulato un’istanza di revoca in autotutela ai sensi dell’art. 21-quinquies della L. 241/90 dell’avviso di gara (poi reiterata), chiedendo (per la prima volta) anche l’assegnazione a trattativa privata degli anzidetti lotti di terreno, nelle more già aggiudicati alla Oc. S.r.l.
10 – Alla luce di tali circostanze, è evidente che l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Agenzia del Demanio, oltre a prendere in considerazione il comma 3 del D.P.R. 13 settembre 2005, n. 296, non poteva non effettuare un più complessivo bilanciamento dei diversi interessi in gioco, che con l’assegnazione dei lotti ad un soggetto terzo – senza che il Comune abbia mai impugnato gli atti della relativa procedura – includeva anche quello della società Oc. alla conservazione della concessione in proprio favore.
Tale interesse della società contro interessata, unitamente a quello più generale di preservare l’esito dell’assegnazione del bene demaniale a seguito di una procedura competitiva, quale espressione del criterio preferenziale attraverso cui il legislatore ha disciplinato la materia, appare prevalente rispetto all’interesse del Comune, manifestato solo in seguito all’esito della procedura e volto a destinare i lotti in questione ad area pertinenziale di un terreno di sua proprietà (particella 18), che lo stesso Comune prospetta essere destinata alla vendita per la realizzazione di un complesso turistico.
10.1 – Ricordato che “i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare”(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1469; Cons. St., sez. IV, 16 settembre 2008 n. 4362), la giustificazione dei provvedimenti con i quali è stata negata l’autotutela appare logica e coerente con l’interesse primario perseguito con la concessione dei lotti tramite la pubblica competizione, mai tempestivamente contestata dal Comune; inoltre, anche l’interesse allo sviluppo urbanistico del territorio, che secondo il Comune includerebbe anche i lotti in questione, e la sussistenza dei requisiti per procedere all’assegnazione diretta, non essendo stati fatti valere tempestivamente nei confronti del bando di gara, non possono portare a configurare come necessitato un provvedimento di secondo grado, che andrebbe ad incidere in senso deteriore anche sulla sfera della società assegnataria a seguito della competizione pubblica.
11 – Appare infine inammissibile (o comunque infondato) il motivo relativo alla denunciata incompetenza del direttore dell’Agenzia a rigettare l’istanza di assegnazione dei lotti avanzata dal Comune senza aver preventivamente coinvolto la Commissione, posto che, per come formulata, la doglianza non specifica neppure il disposto legislativo o regolamentare per cui sarebbe competente ad esprimersi la Commissione piuttosto che il Direttore, al quale, in base ai principi generali, compete il potere di assumere i provvedimenti amministrativi. Né, da altro punto di vista, dalla scarna articolazione della contestazione pare desumibile un difetto di istruttoria.
12 – Per le ragioni esposte, l’appello principale deve essere rigettato.
Ciò assorbe le eccezioni di inammissibilità ed i motivi di appello proposte in via subordinata con l’appello incidentale.
Deve invece essere rigattato il motivo di appello incidentale volto ad ottenere il risarcimento dei danni per lite temeraria ex art. 26 c.p.a. in relazione all’art. 96 c.p.c., posto che, secondo la società contro interessata, il Comune avrebbe agito senza la normale diligenza, anzi nella piena consapevolezza della ingiustizia ed infondatezza delle proprie pretese.
12.1 – Vertendosi in una ipotesi di responsabilità aquiliana, l’onere di provare il dolo o la colpa grave incombe sul soggetto che chiede il risarcimento (cfr. Cons. St., sez. V., 27 aprile 2006, n. 2359; Corte Cass., sez. I, 8 luglio 2004, n. 12545).
Nel caso di specie tale incombente non risulta assolto, non potendosi ritenere dimostrato l’imprescindibile elemento soggettivo dalle mere ragioni per cui il ricorso sarebbe giuridicamente infondato.
13 – Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta respinge l’appello principale, respinge l’appello incidentale e condanna il Comune alla refusione delle spese di lite in favore delle controparti, che liquida in Euro1.500 oltre accessori di legge, in favore di ciascuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

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