Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 4 febbraio 2019, n. 3205.
La massima estrapolata:
In materia di durata irragionevole del processo, stante la possibilità derivante dalla richiamata declaratoria di illegittimità costituzionale della Legge Pinto (sentenza n. 88/2018) di proporre domanda di equa riparazione anche in pendenza del giudizio presupposto, diviene irrilevante la dimostrazione della irrevocabilità del provvedimento che lo abbia definito.
In linea generale, fin quando il diritto non si sia prescritto ovvero sia coperto da giudicato negativo, occorra tenere conto della dichiarazione di incostituzionalità nelle more intervenuta, non potendo il giudice applicare norme dichiarate illegittime, la cui efficacia retroattiva incontra il solo limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito.
Ordinanza 4 febbraio 2019, n. 3205
Data udienza 6 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16446-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 30/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/12/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
La Corte d’appello di Salerno con decreto del 30 novembre ha rigettato l’opposizione proposta da (OMISSIS) avverso il decreto emesso dalla stessa Corte d’Appello in composizione monocratica in data 26/9/2017, con il quale era stata rigettata la domanda di equa riparazione proposta dal ricorrente, in relazione al pregiudizio derivante dall’irragionevole durata del procedimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio, svoltosi dinanzi al Tribunale di Salerno a far data dall’8 febbraio 2007 e conclusosi con la sentenza del 6 luglio 2016. Rilevava il Collegio della Corte distrettuale che la domanda era stata disattesa in quanto nel termine assegnato dal Consigliere delegato non era stata depositata la documentazione integrativa richiesta, ed in particolare la certificazione idonea a comprovare il passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il giudizio presupposto.
Secondo il decreto oggi gravato, stante l’inidoneita’ della prodotta certificazione, correttamente era stato pronunciato il decreto di rigetto, non essendosi adempiuto a quanto richiesto nel termine a tal fine concesso.
Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di un motivo.
Il Ministero non ha svolto difese in questa fase.
Con il mezzo di gravame si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, articolo 3, nonche’ degli articoli 2712 e 2719 c.c. e degli articoli 156 e 640 c.p.c..
Assume il ricorrente che la produzione dei documenti attestanti la definizione del processo presupposto deve avvenire nell’ambito del procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001 anche nel termine concesso ai sensi dell’articolo 640 c.p.c..
Nel caso in esame il ricorrente aveva in realta’ depositato la documentazione de qua sin dal momento del deposito del ricorso per equa riparazione, provvedendo ad un ulteriore deposito a mezzo pec una volta ricevuta la comunicazione della richiesta di integrazione. Ne deriva che pertanto e’ illegittima la decisione adottata dalla Corte d’Appello in composizione collegiale, occorrendo tenere conto anche di tutti i documenti nelle more versati in atti dal ricorrente.
Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, ma alla luce degli effetti scaturenti dalla sentenza della Corte Cost. n. 88 del 2018, che ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della L. 24 marzo 2001, n. 89, articolo 4, come sostituito dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 55, comma 1, lettera d), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto; infatti, rinviare alla conclusione del procedimento presupposto l’attivazione dello strumento volto a rimediare alla lesione dell’interesse a veder definite in un tempo ragionevole le istanze di giustizia significa inevitabilmente sovvertire la ratio per la quale la normativa e’ stata concepita, connotando di irragionevolezza la relativa disciplina.
Il provvedimento di rigetto gravato e’ stato adottato sul presupposto invece della vigenza della norma dichiarata incostituzionale, essendosi ritenuto che non fosse stata fornita la prova della definitivita’ del provvedimento che aveva chiuso il processo presupposto, prova che, invece, alla luce del quadro normativo scaturente dalla richiamata pronuncia di incostituzionalita’, non appare piu’ necessaria, essendo dato avanzare domanda di equa riparazione anche nella pendenza del processo presupposto.
Ritiene poi il Collegio che ancorche’ la questione circa la compatibilita’ con i principi della Costituzione della norma dichiarata illegittima non fosse stata direttamente investita dal motivo di ricorso, debba in ogni caso tenersi conto degli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale.
In tal senso depone la costante giurisprudenza di questa Corte a mente della quale (cfr. Cass. n. 9977/2014) fin quando il diritto non si sia prescritto ovvero sia coperto da giudicato negativo (come appare evidente non sia accaduto nella fattispecie, atteso che la proposizione del ricorso mira appunto a ribadire la sussistenza del dritto all’equo indennizzo), occorra tenere conto della dichiarazione di incostituzionalita’ nelle more intervenuta, non potendo il giudice applicare norme dichiarate illegittime, la cui efficacia retroattiva incontra il solo limite delle situazioni consolidate per essersi il relativo rapporto definitivamente esaurito (in senso conforme Cass. n. 15809/2005; Cass. n. 8761/2002; Cass. n. 14859/2001; Cass. n. 14632/2001).
Trattasi di principio che mira ad assicurare l’adeguamento della soluzione alle modifiche sopravvenute del quadro normativo, in questo caso per effetto della pronuncia di incostituzionalita’, che trova poi conforto anche nella giurisprudenza in tema di ius superveniens (Cass. S.U. n. 21691/2016) che appunto ribadisce che l’unico limite e’ costituito dal formarsi del giudicato.
Ne consegue che, stante la possibilita’ derivante dalla richiamata declaratoria di illegittimita’ costituzionale, di proporre domanda di equa riparazione anche in pendenza del giudizio presupposto, diviene irrilevante la dimostrazione della irrevocabilita’ del provvedimento che lo abbia definito, palesandosi in tal modo anche l’illegittimita’ del decreto impugnato, che va pertanto cassato con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Salerno, che provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Salerno.
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