Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 12 dicembre 2018, n. 32158.
Le massime estrapolate:
Il dipendente divenuto inabile allo svolgimento delle proprie mansioni può essere validamente licenziato per motivo oggettivo, a condizione che il datore di lavoro sia in grado di dimostrare che al momento del recesso non vi fossero in azienda posizioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore. La violazione di tale obbligo di repêchage rende il licenziamento illegittimo e, in particolare, fonda il diritto del dipendente cessato alla reintegra, oltre che al risarcimento dei danni patiti.
Sentenza 12 dicembre 2018, n. 32158
Data udienza 10 luglio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere
Dott. LORITO Matilde – Consigliere
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18056-2016 proposto da:
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 357/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 27/05/2016 R.G.N. 250/20106;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 405 del 2016 resa in sede di opposizione nel procedimento ex lege n. 92 del 2012, ritenne l’illegittimita’ del licenziamento intimato a (OMISSIS) in data 12 maggio 2014 dalla (OMISSIS) Spa e motivato sulla base della sopravvenuta inidoneita’ fisica alle mansioni da ultimo assegnate al lavoratore; indi dichiaro’ risolto il rapporto con la datrice di lavoro e condanno’ la societa’ alla sanzione indennitaria prevista dalla L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5, pro tempore vigente, per un importo pari a 18 mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. Proposto reclamo dal solo lavoratore, la Corte d’Appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 27 maggio 2016, in riforma parziale della pronuncia di primo grado, ha condannato la societa’ alla reintegrazione del (OMISSIS) nel posto di lavoro ed alla corresponsione a titolo di risarcimento del danno della retribuzione globale di fatto pari a 12 mensilita’.
La Corte territoriale, premesso che la societa’ non aveva proposto “impugnazione incidentale in merito all’accertata violazione dell’obbligo di repechage”, ha ritenuto che “il difetto di giustificazione del licenziamento, di cui alla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 7 (ndr. L. n. 300 del 1970, come modificata dalla L. n. 92 del 2012), comprende anche l’ipotesi in cui ad inficiare il licenziamento sia la violazione dell’obbligo di repechage”.
Ha pertanto riconosciuto in favore del lavoratore la tutela reintegratoria cd. attenuata di cui all’articolo 18, comma 4 st. lav. novellato.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) Spa con 2 motivi, cui ha resistito il (OMISSIS) con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia “violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, comma 7, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 42, lettera b), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”.
Si sostiene che la sanzione della reintegrazione non avrebbe “nulla a che vedere” con la violazione del repechage, il quale, come obbligo accessorio, determina l’eventuale tutela indennitaria prevista dall’articolo 18 novellato, comma 5.
Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
1.1. la L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 7 nella formulazione introdotta dalla L. n. 92 del 2012 applicabile alla fattispecie, nella parte in cui qui interessa, cosi’ dispone:
“Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo (ndr. cd. tutela reintegratoria attenuata) nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, articolo 4, comma 4 e articolo 10, comma 3, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento e’ stato intimato in violazione del’articolo 2110 c.c., comma 2. Puo’ altresi’ applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al comma 5.”.
1.2. Non e’ piu’ qui controversa l’illegittimita’ del licenziamento intimato al (OMISSIS) per sopravvenuta inidoneita’ fisica alle mansioni da ultimo a lui assegnate, affermata dai giudici di merito per violazione dell’obbligo di repechage, in quanto, come rilevato dalla Corte piemontese con statuizione non impugnata in questa sede, la societa’ non ha reclamato sul punto la sentenza di primo grado.
Piuttosto occorre verificare in diritto se, in caso di illegittimita’ del licenziamento intimato per sopravvenuta inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore dovuta a violazione dell’obbligo di adibire il lavoratore a mansioni compatibili con il suo stato di salute, sia da riconoscere la cd. tutela reintegratoria attenuata prevista dall’articolo 18 novellato, comma 4 (come affermato dalla Corte territoriale) ovvero se debba essere applicata la cd. tutela indennitaria forte (come opinato dalla societa’ ricorrente).
1.3. Il Collegio reputa possa darsi continuita’ al principio gia’ affermato da Cass. n. 24377 del 2015 secondo cui “l’articolo 18 cit., nel comma 7 introdotto dalla L. n. 92 del 2012, articolo 1prevede espressamente la reintegrazione per il caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore, senza attribuire al giudice stesso alcuna discrezionalita’” (successive conformi: Cass. n. 19774 del 2016; Cass. n. 18020 del 2017).
In tal senso depone il tenore letterale della disposizione in esame secondo cui “Il giudice applica la… disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, articolo 4, comma 4 e articolo 10, comma 3, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore”; pertanto in tutti i casi di licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore – sia esso assunto come disabile ovvero anche nel caso di inidoneita’ sopravvenuta – dovra’ applicarsi la cd. tutela reintegratoria attenuata ove il giudice “accerti il difetto di giustificazione”; sempre dal punto di vista letterale vale evidenziare la differenza rispetto alla previsione contenuta nel medesimo comma per l’ipotesi in cui il giudice “accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” in cui egli “puo'” applicare la disciplina cd. reintegratoria attenuata (cfr. Cass. n. 10435 del 2018).
Non par dubbio, poi, che un licenziamento per motivo oggettivo in violazione dell’obbligo datoriale di adibire il lavoratore ad alternative possibili mansioni, cui lo stesso sia idoneo e compatibili con il suo stato di salute, sia qualificabile come ingiustificato.
Tale interpretazione appare confermata dal principio di recente affermato da questa Corte (sebbene propriamente afferente al licenziamento per motivi economici) secondo cui, a fronte della espressione lessicale utilizzata dal legislatore nell’articolo 18, comma 7 il termine “fatto”, sganciato da richiami diretti ed espliciti alle “ragioni” connesse con l’organizzazione del lavoro o l’attivita’ produttiva previste dalla L. n. 604 del 1966, articolo 3 “deve intendersi effettuato alla nozione complessiva di giustificato motivo oggettivo cosi’ come elaborata dalla giurisprudenza consolidata”; pertanto anche la carenza di uno dei due presupposti – e, quindi, pure la sola “impossibilita’ di una diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni diverse” – puo’ determinare la sanzione reintegratoria di cui all’articolo 18 novellato, comma 4 (Cass. n. 10435/18 cit.).
Rappresenterebbe una grave aporia sistematica ritenere che la violazione dell’obbligo di repechage possa determinare una tutela reintegratoria nel caso di licenziamento per motivi economici e precluderla invece nel caso di lavoratore affetto da inidoneita’ fisica o psichica.
Tanto contrasterebbe anche con la peculiare tutela riconosciuta dal diritto dell’Unione Europea ai lavoratori con disabilita’ atteso che la direttiva n. 78/2000/CE del 27 novembre 2000 sulla parita’ di trattamento in materia di occupazione, “comprese le condizioni di licenziamento”, protegge all’articolo 1 il fattore soggettivo dell'”handicap” (v. diffusamente sul tema Cass. n. 12911 del 2017 e Cass. n. 6798 del 2018).
Infine l’esegesi patrocinata appare coerente anche con il successivo sviluppo della legislazione in materia di tutele operanti in caso di licenziamenti intimati rispetto a contratti di lavoro stipulati successivamente al 7 marzo 2015 e difformi dal modello legale, visto che il Decreto Legislativo 7 marzo 2015, n. 23 (articolo 2, comma 1) ha previsto nell’ipotesi di “difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilita’ fisica o psichica del lavoratore” la tutela reintegratoria piena.
2. Il secondo motivo di impugnazione denuncia “omesso esame circa il fatto decisivo delle corrette conseguenze sanzionatorie della violazione dell’obbligo di repechage, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5”.
Si deduce che il Giudice del reclamo avrebbe “totalmente omesso di considerare l’esistenza di una giurisprudenza cosi’ pacifica ed univoca nel far confluire la violazione dell’obbligo di repechage nel concetto di mancanza degli estremi del giustificato motivo, con conseguente applicazione della sola tutela indennitaria, piuttosto che nel concetto di manifesta insussistenza del fatto”.
Il motivo e’ inammissibile perche’ censura impropriamente nelle forme dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 una questione che e’ di diritto circa la tutela applicabile in caso di violazione dell’obbligo di repechage, senza individuare il fatto storico decisivo attinente alla ricostruzione della vicenda storica che sarebbe stato trascurato dalla Corte piemontese e che non puo’ essere certo un orientamento giurisprudenziale.
3. Conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Occorre altresi’ dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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