Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 25 ottobre 2018, n. 27102

La massima estrapolata:

In tema di responsabilità ex art. 2087 c.c., il datore di lavoro, debitore dell’obbligo di sicurezza, deve provare l’assenza di colpa, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare l’evento lesivo o provando che il fatto si è verificato per un comportamento anomalo o abnorme del lavoratore. Pertanto, in caso di infortunio sul lavoro, deve ritenersi accertata la responsabilità del datore di lavoro ogni qual volta il lavoratore non abbia utilizzato gli strumenti di protezione dei quali – seppure forniti dal datore di lavoro – non ne veniva imposto l’uso e il cui mancato utilizzo non può considerarsi atto abnorme del lavoratore, del tutto avulso dal normale processo produttivo.

Sentenza 25 ottobre 2018, n. 27102

Data udienza 19 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 17836/2013 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 182/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/07/2012, R.G.N. 588/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS); udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 182 del 2012, la Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello proposto dall’Inail nei confronti della societa’ in liquidazione (OMISSIS) s.r.l. e del suo liquidatore e legale rappresentante (OMISSIS), avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda di regresso proposta dall’Inail nei riguardi dei medesimi soggetti, in relazione alla rendita costituita a seguito dell’infortunio sul lavoro occorso al dipendente (OMISSIS) in data (OMISSIS).
2. La Corte territoriale, dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilita’ dell’appello per genericita’, ha ritenuto che il giudice di primo grado avesse fatto non corretta applicazione della regola di riparto dell’onere della prova in tema di azione di regresso da parte dell’Inali per cui, anche se il giudizio penale svoltosi nei riguardi del datore di lavoro si era concluso con l’assoluzione, trattandosi di accertare la responsabilita’ civile ai sensi dell’articolo 2087 c.c., si sarebbe dovuto applicare il principio secondo il quale all’Istituto spettava di allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa e del danno, nonche’ il nesso causale tra questo e la prestazione, mentre al datore di lavoro spettava la prova che il danno non fosse a se’ imputabile e cioe’ di aver adempiuto al proprio obbligo di sicurezza.
Cio’ premesso, nel merito, come era stato accertato dal servizio SPISAL, il lavoratore si era procurato delle ustioni mentre effettuava un’operazione di caricamento del forno fusorio con scarti di lavorazione in alluminio, senza indossare alcun indumento protettivo che, pure, era stato messo a sua disposizione e che solo dopo l’incidente il sistema di caricamento era stato modificato con l’inserimento di un nastro trasportatore. Dunque, non era stata offerta la prova di una efficace vigilanza sul rispetto delle misure di protezione da parte del lavoratore e la sua condotta non poteva definirsi abnorme.
3. Per la cassazione della sentenza, ricorrono gli eredi di (OMISSIS), Stefano ed (OMISSIS), quest’ultimo anche n.q. di liquidatore della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione sulla base di sei motivi illustrati da memoria. Resiste l’Inail con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di censura, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’articolo 434 c.p.c., con riferimento alla reiezione dell’eccezione di inammissibilita’ del ricorso in appello dell’Inail per mancanza di specificita’ dei motivi.
2. Il secondo motivo denuncia la nullita’ della sentenza o del procedimento in relazione alla circostanza che la Corte d’appello ha ritenuto rispondente al requisito di specificita’ dei motivi il ricorso in appello dell’Inail.
3. Il terzo motivo denuncia violazione e o falsa applicazione dei principi in tema di legittimazione passiva con riferimento alla posizione di (OMISSIS) nonche’ dell’articolo 2087 c.c., poiche’ la Corte territoriale ha ritenuto che la responsabilita’ ex articolo 2087 c.c., fondi necessariamente un’ipotesi di reato colposo e che l’Inail fosse appellato e non appellante; inoltre, dalla prima affermazione aveva dedotto erroneamente l’irrilevanza dell’assoluzione del legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l. (provata mediante produzione della sentenza del Tribunale di Rovigo) per non aver commesso il fatto, giacche’ l’infortunio si era verificato per la condotta abnorme del lavoratore.
4. Il quarto motivo deduce carenza di motivazione sul fatto controverso e decisivo della rilevazione di elementi di fatto idonei a provare l’abnormita’ e l’esorbitanza della condotta del lavoratore vittima dell’infortunio con riferimento all’omesso uso da parte dell’infortunato di un nastro trasportatore.
5. Il quinto motivo ha ad oggetto la carenza di motivazione sul fatto controverso e decisivo della rilevazione di elementi di fatto idonei a provare l’abnormita’ ed esorbitanza della condotta del lavoratore vittima dell’infortunio con riferimento al mancato rispetto di regole di sicurezza da parte del lavoratore.
6. Con il sesto motivo viene denunciata la violazione e o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., laddove la sentenza impugnata non avrebbe utilizzato affatto, al fine di giungere alla formazione del proprio convincimento, le risultanze del procedimento penale che si era concluso con la pronuncia di assoluzione perche’ il fatto non sussiste, che avrebbe dovuto, almeno, considerare quale prova “atipica”.
7. I primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto speculari, sono infondati. Questa Corte di cassazione, pronunciando a Sezioni Unite con sentenza n. 8077 del 22 maggio 2012, ha affermato che quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullita’ del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attivita’ deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullita’ dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimita’ non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicita’ della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma e’ investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purche’ la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformita’ alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformita’ alle prescrizioni dettate dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4).
Dunque, ha pure precisato la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ (Cass. n. 22880 del 29 settembre 2017, Cass. n. 20405 del 2006), l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non puo’ limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificita’.
8. Nel caso di specie, il motivo, pur riportando il passo della sentenza impugnata ove si osserva che “(…) il ricorso in appello dell’Inail contiene una specifica ed articolata esposizione delle ragioni di censura della sentenza impugnata, sotto il profilo della ripartizione tra le parti degli oneri probatori e delle circostanze di fatto specificamente accertate nel corso del giudizio di primo grado con l’esclusione di profili di responsabilita’ esclusiva del lavoratore nella causazione dell’infortunio (…)” non si fa carico di riportare il contenuto del ricorso in appello che critica, con cio’ non consentendo in questa sede di verificare la censura di genericita’. Peraltro, dalla sentenza impugnata e dallo stesso tenore della comparsa di costituzione in appello degli odierni ricorrenti, si evince che comunque il gravame investiva la valutazione del primo giudice quanto alla effettiva abnormita’ della condotta del lavoratore, al fine di escludere la responsabilita’ datoriale, e cio’ sarebbe, comunque, stato sufficiente a specificare le ragioni d’impugnazione perche’ dalla abnormita’ della condotta il primo giudice aveva tratto la ragione fondante del proprio convincimento.
9. I motivi successivi, dal terzo al sesto, sono infondati e vanno trattati congiuntamente in quanto connessi perche’, per aspetti concorrenti, mirano ad intaccare la motivazione della sentenza impugnata laddove la stessa ha ritenuto che l’istruttoria espletata, in mancanza di pregiudizialita’ del giudizio penale e di opponibilita’ all’Inail della sentenza penale di assoluzione, fosse idonea a fondare la pretesa dell’Istituto che ha agito in regresso, ai sensi degli articoli 10 e 11, del t.u. n. 1124 del 1965, a seguito dell’infortunio occorso il (OMISSIS) al lavoratore (OMISSIS) ed alla erogazione allo stesso delle previste prestazioni economiche.
10. E’ evidente, in particolare, che laddove (pag. 10) la sentenza impugnata parla di “responsabilita’ dell’appellante” anziche’ dell’appellato, nei confronti dell’Istituto, e’ integrato un palese mero errore materiale che non inficia in alcun modo la correttezza della decisione quanto al profilo della legittimazione passiva, come pare adombrare il terzo motivo di ricorso.
11. La motivazione della Corte territoriale, dunque, dopo una premessa di carattere generale, relativa agli orientamenti della giurisprudenza di legittimita’ espressi da Corte di cassazione nn. 10529 del 2008; 9817 del 2008; 4184 del 2006 e 23162 del 2007, giunge all’affermazione della natura contrattuale della responsabilita’ del datore di lavoro derivante dalla violazione dell’articolo 2087 c.c., intesa come norma di chiusura del sistema di tutela della salute del lavoratore, ed afferma l’operativita’ della regola di riparto dell’onere probatorio, consequenziale alla natura contrattuale della responsabilita’, che viene individuata nello schema generale di cui all’articolo 1218 c.c.. In particolare, il datore di lavoro, debitore dell’obbligo di sicurezza, deve provare l’assenza di colpa, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare l’evento lesivo o provando che il fatto si e’ verificato a causa di un comportamento anomalo o abnorme del lavoratore. Su tali basi, ricordati i limiti di operativita’ dell’esonero da responsabilita’ Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, ex articolo 10, la sentenza ha ripercorso la giurisprudenza di questa Corte di legittimita’ (Cass. n. 10529 del 2008) in ordine alla comunanza di principi, quanto alla distribuzione dell’onere probatorio, tra azione di responsabilita’ esperita dal lavoratore ex articolo 2087 c.c., nei confronti del datore di lavoro ed azione di regresso dell’INAIL.
12. La questione e’ stata, dunque, risolta nel merito attraverso la ricostruzione degli accadimenti che condussero all’infortunio nel senso che, ad avviso della Corte, l’utilizzo da parte del (OMISSIS) di uno strumento a forma di rastrello per spingere gli scarti di alluminio posti all’interno di un cassone nell’adiacenza del bordo della bocca di caricamento del forno, senza indossare specifici indumenti di protezione, seppure forniti dal datore di lavoro che non ne imponeva l’uso, non costituisce atto abnorme del lavoratore, del tutto avulso dal normale processo produttivo. In particolare, la Corte ha sottolineato che quello realizzato nel caso di specie, come emerso dall’istruttoria svolta dallo SPISAL in sede ispettiva e confermato in sede giudiziale civile, costituiva l’ordinario modo di procedere del lavoratore e solo dopo l’infortunio la datrice di lavoro si muni’ di un nastro trasportatore per alimentare la bocca del forno di fusione.
13. Pertanto, l’accertamento della effettiva responsabilita’ datoriale ex articolo 2087 c.c., doveva ritenersi positivamente affermato dal momento che il datore di lavoro non aveva provato il carattere abnorme della condotta del lavoratore, ne’ di aver in concreto preteso l’osservanza delle misure antinfortunistiche idonee ad evitare l’evento dannoso. Tale accertamento, sia dell’aspetto oggettivo della condotta omissiva che soggettivo stante la natura colposa della medesima, nella motivazione della sentenza, integra anche gli estremi dell’accertamento della astratta sussistenza di una ipotesi di lesioni colpose a carico del legale rappresentante della societa’ datrice di lavoro che non e’ terzo rispetto alla nozione di datore di lavoro in virtu’ del principio di immedesimazione organica tra persona giuridica e legale rappresentante.
14. In questo senso va, dunque, intesa la laconica affermazione della pagina 15 della sentenza impugnata relativa alla sussistenza del “(…) requisito della intervenuta condanna penale” dell’appellante (rectius appellato).
15. Cosi’ ricostruito l’iter argomentativo che sorregge la sentenza impugnata, non possono condividersi le critiche mosse dai ricorrenti.
In primo luogo, infatti, non assume alcun rilievo, al fine dell’azione di regresso, la circostanza che il legale rappresentante della societa’ datrice di lavoro sia stato assolto in sede penale per il reato di lesioni colpose. Infatti, a seguito alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 102 del 1981, secondo cui a’ costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., il combinato disposto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, articoli 10 e 11, nella parte in cui preclude in sede civile l’esercizio del diritto di regresso dell’I.N.A.I.L. nei confronti del datore di lavoro qualora il processo penale nei confronti di questi o di suo dipendente del cui fatto egli debba rispondere si sia concluso con sentenza di assoluzione nonostante l’istituto assicuratore non sia stato posto in grado di parteciparvi, costituisce consolidato convincimento di questa Corte di cassazione il principio della autonomia del giudizio di regresso rispetto a quello condotto in sede penale. In tal senso, infatti, Cass. n. 16874 del 2004 ha affermato che, in base all’articolo 295 c.p.c., il giudizio instaurato dall’INAIL nei confronti del datore di lavoro, Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ex articolo 11, per ottenere il rimborso di quanto corrisposto al lavoratore per effetto di un infortunio sul lavoro non e’ soggetto a sospensione necessaria in attesa dell’esito del procedimento penale a carico del datore di lavoro per i medesimi fatti, giacche’, in applicazione dell’articolo 654 c.p.p., l’efficacia della emananda sentenza penale di condanna o di assoluzione non potra’ mai fare stato nei confronti dell’INAIL, che non e’ parte nel giudizio penale e che non era legittimato a costituirsi, trattandosi non della proposizione di un’azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, ma dell’azione di regresso, diversa da quelle considerate dall’articolo 74 c.p.p..
Peraltro, in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, ai fini del sorgere del credito dell’INAIL nei confronti della persona civilmente obbligata, e’ necessario che il fatto costituisca reato perseguibile d’ufficio, ma l’accertamento giudiziale, sempre che si renda necessario in mancanza di adempimento spontaneo del soggetto debitore o di bonario componimento della lite, puo’ avvenire sia in sede penale che in sede civile (Cass. n. 2138 del 2015; 11986 del 2010).
16. Su tali basi, dunque, la sentenza impugnata ha proceduto correttamente ad un autonomo accertamento dell’astratta configurabilita’ della fattispecie di reato corrispondente alla condotta datoriale di violazione dell’obbligo di sicurezza imposto dall’articolo 2087 c.c..
17. La concreta ricostruzione del fatto, peraltro, costituisce tipica espressione dei poteri di apprezzamento del giudice di merito e per tale ragione non possono accogliersi le critiche formulate in ricorso relativamente alla motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, con riferimento alla violazione dell’articolo 116 c.p.c., e articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
18. Invero, per il tramite del vizio di violazione dell’articolo 116 c.p.c., per l’omessa valutazione dei fatti indicati nella sentenza penale di assoluzione, si tende a pervenire ad una rivisitazione degli approdi ai quali e’ giunta la Corte di merito sulla esegesi del quadro delineato nel corso dell’istruttoria, inammissibile in questa sede di legittimita’ (cfr. Cass. 11/1/2016 n. 195).
19. Il giudice dell’impugnazione, con motivazione coerente con i canoni sanciti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione di testo antecedente a quella introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, comma 1, lettera b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, e non rispondente al requisiti dell’omissione di alcun fatto essenziale ed oggetto di discussione tra le parti, che avrebbe potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimita’, ha interpretato i dati istruttori acquisiti giungendo alla conclusione che l’evento infortunistico occorso al dipendente, si era verificato a causa: a) di una procedura di alimentazione del forno non automatizzata alla quale era stato adibito il lavoratore; b) della omessa vigilanza da parte del datore di lavoro, sulla effettiva utilizzazione da parte del dipendente dei dispositivi di sicurezza.
20. Gli approdi ai quali e’ pervenuto il giudice del gravame, congruamente motivati per quanto sinora detto, si pongono in continuita’ con l’indirizzo tracciato da questa Corte secondo cui ai fini dell’accertamento della responsabilita’ del datore di lavoro, ex articolo 2087 c.c. – la quale non configura un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva – al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attivita’ lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocivita’ dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente, non potendo il datore medesimo essere esonerato da responsabilita’ in forza dell’eventuale concorso di colpa del lavoratore, se non quando la condotta di quest’ultimo, in quanto del tutto imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo “tipico” ed alle direttive ricevute, rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell’evento (vedi ex plurimis, Cass. 17/2/09 n. 3786 con cui questa Corte ha confermato la sentenza impugnata che – con riferimento all’infortunio occorso ad un portalettere caduto dal ciclomotore a causa del peso esorbitante della corrispondenza e della sua cattiva distribuzione sul veicolo – aveva affermato la responsabilita’ di (OMISSIS) s.p.a. sul presupposto che i dirigenti del servizio avessero omesso di controllare che i portalettere si avvalessero effettivamente dell’ausilio fornito dai motofurgoni aziendali per il trasporto dei plichi piu’ pesanti ed avessero lasciato che l’utilizzo di detto supporto fosse rimesso interamente alla scelta individuale del singolo dipendente, cui adde Cass. 29/1/2013 n. 2038).
21. In definitiva, la statuizione impugnata, in quanto sorretta da motivazione congrua e conforme a diritto per quanto sinora detto, resiste alle censure all’esame ed il ricorso deve essere rigettato.
22. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. Deve darsi, altresi’, atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio del contributo unificato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 5000 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Avv. Renato D’Isa

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *